Gioia Quattrini
(NPG 1998-02-10)
Butterfly è il nome davvero gentile di alcuni graziosi oggettini che, allegri per colori e per forma – da farfalla appunto – ammiccano seminascosti nel terreno e subito attirano l’attenzione di donne dalla schiena spezzata che sperano chissà quale tesoro, di vecchi dagli occhi spenti che cercano di evitare un inciampo, di manine curiose da bimbo povero ma goloso di giocattoli.
Peccato che siano MINE!
Le popolazioni povere di paesi come l’Afganistan, la Cambogia, l’Angola, il Kurdistan iracheno, vivono di coltivazioni, di pastorizia, del trasporto dell’acqua e della raccolta del legname. Passano l’intera giornata nei campi, ma qualche buon paese, all’avanguardia nell’ambito dello sviluppo, forse per rendere più grasso il raccolto, ha seminato in solchi certo affamati di altro, trecento milioni di mine.
Lo scopo non è uccidere i soldati dell’esercito avversario, ma ferire e mutilare i vecchi e i bambini, gli uomini e le donne del paese nemico. L’idea è schiantare gli animi, perché nel profondo di questi nasce la vera resistenza, quella che strappa vittorie disperate quando i fucili non hanno più munizioni.
Il bimbo mutilato ha più peso di un soldato morto sulle tasche e sul cuore del suo popolo. Al soldato morto è sufficiente un funerale improvvisato e una lapide provvisoria. Un bimbo mutilato, un vecchio, una donna hanno bisogno di ospedali e medici e macchinari in grado di fornire cure che salvino la vita ma anche la speranza del domani.
Sul quotidiano francese Le Monde, qualche anno fa, un alto responsabile della Croce Rossa Internazionale sosteneva che durante la guerra Iran-Irak, il governo di Teheran aveva deciso di mandare i bambini sui terreni probabilmente minati. Costavano meno dei montoni che erano stati utilizzati fino ad allora e in caso di morte per la loro «sacra» missione i bimbi avrebbero guadagnano di certo il Paradiso.
Le mine costano dalle cinque alle quindicimila lire, al pezzo.
Disinnescarle costa cento volte tanto: da cinquecentomila lire ad un milione e mezzo, sempre al pezzo.
Se ne possono seminare cinquantamila al mese, e rimuovere ottantacinquemila all’anno. A questo ritmo per bonificare l’Afganistan, ci vorranno migliaia di anni. Fatevi qualche conto.
In Italia gli uomini e le donne di Emergency litigano da tempo con queste cifre, nel tentativo – assurdo sarebbe poco – di farle quadrare.
EMERGENCY, sostegno alla vita per le vittime civili della guerra, associazione nata a Milano nel 1994, investe le sue inesauribili energie per costruire e attivare ospedali in grado di offrire cure mediche certo, ma anche protesi e terapie di riabilitazione motoria perché le vittime civili delle mine anti-uomo non soltanto sopravvivano ma possano anche sperare in una qualità della vita che restituisca loro il futuro.
In questo momento Emergency è impegnata in Cambogia nella costruzione e soprattutto nella veloce attivazione di un ospedale a Battambang, una zona tra le più infestate di mine antiuomo. Il volto dell’associazione è Gino Strada che, per quanto ne so, non sarebbe contento affatto di questa mia affermazione.
Dal palcoscenico del Maurizio Costanzo Show, durante la sua più recente partecipazione, è arrivata forte l’immagine di un uomo che ha cose più serie da fare che celebrare se stesso e le sue imprese.
Questi uomini e queste donne hanno bisogno anche di noi e di una manciata del nostro tempo. Prenderanno, senza pretendere, quello che saremo disposti ad offrire perché il lavoro da fare è molto anche in Italia. Lavoro di sensibilizzazione e informazione di un’opinione pubblica distratta e indaffarata, con tante cose serie da fare.
Avete mai provato ad immaginare la vostra automobile derubata delle sue quattro ruote?
Beh, ora provate ad immaginare un bimbo senza gambe.
Emergency
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