Segnalazione e recensione
Prefazione di Giuseppe Mari
Postfazione di Salvatore Currò
LAS-ROMA 2017 - pp. 448 - € 25,00
IN ESTREMA SINTESI
«Occorre riconoscere che la fede cristiana e la sua educazione hanno una forma propria dove l’espressione non identifica l’aspetto esterno, ma l’intima configurazione, ciò che rende riconoscibile l’originalità rispetto a cui, quindi, l’espressione pubblica deve essere coerente e conseguente. Qual è questa matrice? È il Cristo, dall’incontro con il quale prende forma la sequela che diventa ragione di vita, come ricorda Papa Francesco nella Evangelii Gaudium al n. 7, citando un passo della Deus Caritas Est di Papa Benedetto al n. 1: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva”» (dalla prefazione di Giuseppe Mari).
«Il libro, di cui ho l’onore di scrivere la postfazione, ha il merito di riproporre la questione dei fondamenti o, come Sala dice, del nucleo generativo della pastorale giovanile.
La sua proposta costituisce un contributo prezioso all’interno del percorso di pastorale giovanile che la Facoltà di Teologia dell’Università va elaborando; tale contributo vuole raccogliere, rilanciare e integrare la riflessione sulla pastorale giovanile che ha segnato il cammino dell’Università, che ha avuto come protagonisti diversi docenti e che ha potuto beneficiare, in particolare, dell’apporto, di ispirazione, di interpretazione, di coordinamento, del compianto prof. Riccardo Tonelli» (dalla postfazione di Salvatore Currò).
L'AUTORE
Rossano Sala, salesiano dal 1992 e sacerdote dal 2000, ha ottenuto la Licenza e il Dottorato in Teologia Fondamentale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano sotto la guida del prof. Pierangelo Sequeri. Ha pubblicato Dialettica dell’antropocentrismo. La filosofia dell’epoca e l’antropologia cristiana nella ricerca di H.U. von Balthasar: premesse e compimenti (Glossa, Milano 2002) e L’umano possibile. Esplorazioni in uscita dalla modernità (LAS, Roma 2012).
Attualmente è Docente Straordinario di Pastorale Giovanile presso la Facoltà di Teologia della Università Pontificia Salesiana di Roma. È anche Direttore della Rivista «Note di Pastorale Giovanile», che da oltre cinquant’anni accompagna in Italia la riflessione intorno ai temi dell’educazione e dell’evangelizzazione dei giovani.
IL CONTENUTO PER DISTESO
Premessa
NANO SULLE SPALLE DI GIGANTI
Avrei certamente chiesto a Riccardo Tonelli di scrivere la premessa a questo testo, frutto del mio impegno poco più che quinquennale nella riflessione teorica e nell’insegnamento accademico della “pastorale giovanile”. Il Signore della vita e della speranza, come lui soleva amichevolmente chiamarlo, lo ha invece voluto con sé il primo di ottobre del 2013.
Mi piace allora in questa introduzione – dopo aver doverosamente dedicato a lui l’intero testo – cercare almeno di immaginare, ricordando le vivaci e simpatiche chiacchierate avute con lui nel tempo del piccolo spaccato di vita che abbiamo condiviso insieme all’Università Pontificia Salesiana, alcune cose che forse avrebbe potuto e voluto scrivere.
Insieme aggiungo qualche considerazione sul mio itinerario personale – esistenziale, pastorale e accademico – che ritengo utile premettere per orientare il lettore a districarsi nell’ampio e articolato saggio a cui si sta accostando.
1. Sulle orme di Riccardo Tonelli
Pur avendo avuto a che fare con lui direttamente negli ultimi anni della sua vita, conoscevo Riccardo da lunga data, perché la mia esperienza pastorale mi ha portato per quattro estati prima della mia ordinazione sacerdotale (1996- 2000) e poi per i primi quattro anni di sacerdozio (2000-2004) nella casa salesiana di Bologna come assistente dell’oratorio prima e come animatore pastorale della scuola superiore dopo. Egli tornava sempre volentieri a Bologna, sua città di origine, per incontrare i suoi cari, i suoi amici e i confratelli della sua amata Ispettoria di origine, rivedendo l’opera salesiana dove era nata e cresciuta la sua vocazione consacrata salesiana. Varie volte venne anche a guidare dei campi scuola estivi, soprattutto con gli animatori dell’oratorio.
La mia presenza nel campo della riflessione e insegnamento della “pastorale giovanile” prese il suo avvio da una mia conferenza. In realtà mi stavo preparando, dopo una più che decennale esperienza pastorale, all’insegnamento della materia su cui mi ero lungamente e faticosamente preparato – la Teologia Fondamentale – nell’Istituto Internazionale Don Bosco di Torino- Crocetta. Dopo il lavoro di Licenza stavo concludendo il Dottorato.
In quella conferenza, indirizzata ad un gruppo di Direttori salesiani, in una prima parte analizzavo un lucido e lungimirante articolo di Riccardo sugli ultimi quarant’anni della pastorale giovanile [1], capace con onestà intellettuale di elencare i guadagni e fare il punto sui problemi aperti generati dalle sue proposte, ed in una seconda parte auspicavo quattro necessarie “conversioni” per un rilancio della pastorale giovanile: una conversione teologica della nostra riflessione pastorale, una conversione evangelizzatrice della nostra pratica educativa, una conversione vocazionale del nostro impegno di evangelizzazione ed infine una conversione corresponsabile del nostro modello gestionale.
Da lì è nata, oltre che la rielaborazione della conferenza che divenne – per volere esplicito di Riccardo – un articolo sulla rivista «Note di Pastorale Giovanile» [2], l’inizio di un dialogo interrotto solo dalla sua morte. Intanto egli si avvicinava all’età dell’emeritato, mentre la malattia già lo stava aggredendo.
Fece il mio nome ai superiori per la successione alla sua cattedra, vedendo in me una buona sintesi tra esperienza pastorale, riflessione teologica e proposta pratica. Il resto va da sé: la conclusione degli studi, il trasferimento a Roma, l’inizio della riflessione, l’insegnamento all’UPS, la presenza nel gruppo di direzione della rivista «Note di Pastorale Giovanile» fino alla recente nomina a Direttore della stessa. Il tutto raggiunge una tappa di rilievo con la presente pubblicazione.
Mi chiedo che cosa si aspettasse da me Riccardo, partendo da alcuni problemi emersi nel confronto con altri già verso la fine degli anni novanta sull’impostazione generale della riflessione sulla pratica della pastorale giovanile.
Alcuni rimproveravano all’impianto nato, cresciuto e consolidato negli ultimi tre decenni del XX secolo all’UPS una concentrazione indebita e talvolta superficiale sul motivo dell’“incarnazione” senza una dovuta profondità teologica. Tale impostazione aveva il grande vantaggio di guadagnare una pastorale giovanile della prossimità, della condivisione e della animazione, ma portava con sé il rischio di non prendere troppo sul serio la portata della “Pasqua”, con tutto il suo carico di drammaticità insieme tragica e gioiosa.
Un’accusa non certamente leggera, tanto che nacquero tensioni non facili da governare che hanno portato talvolta a incomprensioni e distanziamenti non solo accademici, ma personali. La stessa Congregazione Salesiana, in un documento capitolare del 2008, chiese un “ripensamento della pastorale giovanile” in base ai mutati paradigmi culturali ed ecclesiali, dando fondamento teologico ed antropologico rinnovato alla nostra prassi educativo-pastorale [3].
Insomma, unire in forma feconda la grammatica dell’incarnazione con la drammatica degli eventi pasquali non è un affare da poco.
Riccardo si aspettava da me un lavoro capace di ripensare il nodo teorico e pratico di questo gap tra “incarnazione” e “croce”, tra “educazione” ed “evangelizzazione”, tra “prossimità” e “donazione”. Vedeva in me una persona che poteva riconciliare le due anime della pastorale giovanile che non solo non si possono escludere, ma devono trovare una corretta articolazione teologica, pedagogica e pastorale. Di lavoro, diceva, ne abbiamo ancora da fare parecchio:
Sono sinceramente convinto che tante cose avrebbero dovuto essere dette in modo diverso, più corretto, più completo, più rispettoso del cammino tradizionale della Chiesa. Se non lo so fare io, proviamo a realizzarlo almeno assieme.
Spesso, infatti, su queste questioni importanti, nel nostro progetto di pastorale giovanile, siamo rimasti solo alle premesse. Si richiedeva, allora e oggi soprattutto, un lungo e approfondito lavoro di riflessione per portare a sviluppo, a compimento, a operatività le prime iniziali intuizioni.
Questo è il limite più grave del lavoro fatto in questi anni. Non sto cercando dei colpevoli. Sto solo cercando di dire che di lavoro da fare ce n’è ancora molto.
Sarebbe triste sprecare le energie per ritornare al passato, quando invece le poche energie che abbiamo andrebbero giocate tutte per riscrivere il passato nel presente verso un futuro che restituisca al Vangelo di Gesù la sua forza di salvezza e di buona notizia [4].
Ho sempre questo obiettivo davanti al mio impegno: mi aspetto e desidero che il testo qui pubblicato sia un piccolo tassello capace di generare una sana e profonda opera di riconciliazione che, nella prospettiva della donazione, non perda ciò che Riccardo ha pensato e realizzato in questi quarant’anni, ma che insieme gli dia un fondamento più ampio e fecondo, capace di creare consenso e condivisione intorno all’unità sinfonica e armonica del nostro pensare ed agire cattolico.
Immagino quindi questo saggio come una riflessione capace di aiutare tutti e ciascuno a portare i giovani a Dio e portare Dio ai giovani, attraverso un percorso fedele alla pienezza della rivelazione e creativo rispetto al momento culturale che stiamo vivendo. Tutto ciò attraverso uno stile teologico non alieno dalla riflessione critica e quindi non schiavo di una verità preconfezionata e immodificabile, separata dalla storia e dalla vicenda degli uomini.
In questa scia si colloca il rinnovamento del curricolo di pastorale giovanile in atto nella Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia Salesiana, di cui questa pubblicazione è pensata come suo nucleo generativo e come sua ispirazione originaria.
2. Partendo da un itinerario personale
Quando si incomincia qualcosa di nuovo e di diverso è importante riconoscere che, più che all’inizio, siamo al termine di un cammino in cui tante persone ci hanno preso sulle loro spalle e ci hanno portato in braccio, creando le condizioni per un avanzamento del pensiero.
Può sembrare banale riconoscerlo, ma ognuno di noi è innanzitutto figlio dei suoi padri e discepolo dei suoi maestri, riportando nel proprio tracciato spirituale e teologico la struttura genetica e i profili somatici, che sarebbe profondamente fuorviante non ammettere o nascondere. Accettare se stessi come risultato di un complicato intreccio di forze e di forme è l’atto che ci permette di esistere in modo realistico e pacificamente. Abbiamo tanti debiti e la cartina al tornasole di un’autentica conoscenza è la riconoscenza. Don Bosco lo sapeva bene nel campo dell’educazione, tanto che, ragionando tra sé di fronte alla visibile gratitudine del giovane Francesco Besucco, dissi tosto tra me:
“Questo giovanetto mediante coltura farà eccellente riuscita nella sua morale educazione. Imperciocché è provato dall’esperienza che la gratitudine nei fanciulli è per lo più presagio di un felice avvenire; al contrario, coloro che dimenticano con facilità i favori ricevuti e le sollecitudini a loro vantaggio prodigate rimangono insensibili agli avvisi, ai consigli alla religione, e sono perciò di educazione difficile, di riuscita incerta” [5].
Questo vale, mutatis mutandis, per ciascuno di noi, teologi compresi. La proposta di un testo fondamentale dipende dalla propria storia, che inevitabilmente si forma e si lega a persone, intuizioni, approfondimenti: inutile dirlo, alcuni incontri lasciano il segno, incidono nella carne, nell’intelligenza e negli affetti, non solo informano ma formano, rafforzano e creano convinzioni che si radicano nel profondo della propria anima.
Ci si sente, oggi più che mai, dei nanerottoli che continuamente stanno sulle spalle di giganti e che solo così riescono a vedere lontano, come è giusto che sia. È assolutamente da tenersi e meditarsi accuratamente la bella massima di Bernardo di Chartres (filosofo francese del XII secolo), citata da Giovanni di Salisbury:
La nostra età fruisce del beneficio delle precedenti, e spesso conosce molte cose non per esservi giunta con il proprio ingegno, ma illuminando con forze altrui anche le grandi opere dei padri. Diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come nani che siedono sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere molte cose anche molto più in là di loro, non per acutezza della propria vista o perché più alti di corporatura, ma perché siamo sollevati e innalzati dalla loro gigantesca grandezza [6].
D’altra parte ogni educatore che sia tale vorrebbe questo: che giunga il giorno in cui finalmente il discepolo faccia cose più grandi del maestro e che proprio così il maestro ne venga glorificato! Gesù stesso ci attesta la fecondità di questa logica: «In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste» [7]. Non è quindi umiliante per un uomo di valore il fatto che avvenga un avanzamento rispetto al suo pensiero, ma è esattamente il traguardo a cui egli tende davvero. Non per nulla Gesù ci vuole, come il Padre, tutti santi come Lui e il Padre suo che è nei cieli: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» [8]; «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» [9]; «Come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta» [10].
La nostra identità è storico-narrativa, ovvero si dispiega nel tempo e nello spazio e così prende forma attraverso una storia irripetibile di incontri che danno forma alle forze che insorgono continuamente dal fondo del nostro essere. L’identità è narrativa e quindi va narrata: è ormai scontato che lo si sappia, ma non lo è che si faccia! Ognuno ha i suoi incontri, le sue stelle, le sue fascinazioni e le sue seduzioni. Anch’io evidentemente, nell’ambito vocazionale, filosofico, teologico e pastorale ho avuto i miei innamoramenti.
Innanzitutto la figura di don Bosco, che mi è stata consegnata da alcuni sacerdoti e da alcuni benefattori nel senso pieno del termine. I salesiani sono venuti nella mia vita in ampio ritardo rispetto alla presenza attraente di don Bosco, che da sempre mi ha conquistato.
Il primo pensatore che mi ha affascinato è stato Romano Guardini. Il suo stile semplice e sapiente, la sua fede robusta e capace di giungere in ogni piega dell’umano per rinsaldarla e fornirgli forma e forza, il suo sguardo profondo nella pratica pedagogica, sia liturgicamente che culturalmente incarnata, mi hanno affascinato all’inizio dei miei studi.
Il primo teologo a cui mi sento particolarmente legato è H. De Lubac.
L’andamento storico-ermeneutico e narrativo del suo pensare mi è sempre parso il modo migliore per riconciliarsi con la grande e sempre più sconosciuta tradizione del cristianesimo. Rileggere e presentare la freschezza e la ricchezza del pensiero cristiano – dalla patristica al medioevo, dagli intricati labirinti moderni al rilancio della possibilità cristiana oggi – mi è sembrato un lavoro oggi più che mai necessario. Senza memoria non sono solo i giovani e la società rattrappita sul presente e mancante di futuro, ma a volte lo è anche una teologia presentista, sempre alla ricerca dell’ultimo ritrovato perché ha dimenticato la forza, le forme e la bellezza di tutto quello che il pensiero cristiano ha generato in due millenni.
Ma è in particolare l’incontro con H.U. von Balthasar che mi ha sedotto.
Ho divorato i suoi testi a partire dal primo anno di studio della teologia, nel lontano 1996-1997, tanto che alle soglie del terzo millennio avevo letto di lui tutto quel che c’era da leggere. La sua teologia “adorante”, pensata come un atto vivente di contemplazione che si pone davanti al mostrarsi glorioso di Dio, mi ha inserito nella considerazione profonda dell’oggettività inscalfibile della “gloria” divina, del suo amore radicale e incondizionato. La donazione e la dedizione del Figlio, centro e cuore della rivelazione e della storia tutta, è il luogo sorgivo di ogni cosa che abbia il coraggio di volersi presentare come cristiana.
La sua Estetica teologica, generata dalla necessità di lasciarsi colpire e rapire dall’atto sovrano della donazione di Cristo, è effettivamente il metodo esatto che ci restituisce la pienezza della rivelazione e della fede, che è partecipazione drammatica – che ci coinvolge, redimendoci e riabilitandoci come autentici partner reciprocanti dell’alleanza – a questo movimento di Agape che è il luogo sorgivo e la destinazione ultima di tutti e di tutto.
Attraverso la mediazione di De Lubac e di von Balthasar ho conosciuto intimamente la giustezza e la pienezza della tradizione cattolica: Ireneo, Agostino, Origene, Massimo il Confessore, Anselmo, Scoto, Tommaso, Ugo di san Vittore, Bernardo, Ignazio, Francesco di Sales, Pascal, insieme a tanti altri teologi e filosofi hanno preso stabile dimora nel mio cuore.
Insieme con loro alcuni teologi del nostro tempo che ho frequentato mi paiono dei punti fermi con alcune loro tesi portanti: W. Kasper, con il suo radicale aggancio teologico alla storia; G. Gozzelino, attraverso il suo metodo di ricerca lucido e serrato; G. Colombo, attraverso un lavoro critico capace di ridare dignità alla “ragione teologica”; E. Salmann, che con la sua originalità appare una voce innovativa per fare teologia oggi; P. Coda, con le penetrazioni in merito al Dio totalmente agapico che Gesù ci ha portato; P. Sequeri con il suo sforzo di riconfigurazione della teologia fondamentale in un dialogo a tutto campo con la cultura contemporanea.
L’interesse per la filosofia non mi ha mai abbandonato, soprattutto quella contemporanea: F. Nietzsche, E. Husserl, M. Heidegger, E. Levinas, P. Ricoeur, J.-L. Marion, R. Girard, G. Agamben, insieme a tanti altri nomi di grande interesse costituiscono l’humus di una riflessione fondativa che sempre mi appassiona.
Ritengo anche importante l’influsso dell’originale stile del minoritario cattolicesimo inglese, con la sua caratteristica gioiosità estrosa: J.H. Newman, G.K. Chesterton, C.S. Lewis, J.R.R. Tolkien, per citare almeno i più famosi e conosciuti sono per me un’immagine eloquente di una minoranza qualificata e creativa capace di essere significativa per un popolo e per la Chiesa cattolica stessa.
Attraverso la mediazione di Pierangelo Sequeri – che riconosco come libero e liberante mentore e pedagogo del mio percorso teologico – ho indagato sulle vigorose passioni giovanili di von Balthasar. Ne è nato il lavoro di licenza in teologia fondamentale nel 2002 [11]. È una ricerca originale, perché va a scavare in alcune opere dimenticate (in particolare nell’Apokalypse der deutschen Seele) per cogliere quali siano il sottofondo e la genealogia di una proposta teologica, quella che emerge dalla famosa trilogia (estetica – teodrammatica – teologica). All’inizio ci stava l’incontro traumatico con la filosofia moderna e i suoi “antropologismi”, in particolare quelli di matrice tedesca, che von Balthasar ha sostanzialmente ritenuto incapaci di sostenere un autentico rilancio del pensiero cristiano. Questa scelta determina poi tutto: il suo distacco dai tentativi di mediazione con la modernità – in particolare è indicativa la dura opposizione alla teologia trascendentale e alla svolta antropologica della teologia di matrice rahneriana – e il ritrovamento del principio estetico – attraverso la presa in carico in ambito cattolico dell’intuizione radicale della teologia di K. Barth. In questa estrema concentrazione per ritrovare il cuore e il centro della fede cristiana vi è certamente – era inevitabile – una certa dimenticanza dell’uomo così come concretamente si trova nel mondo contemporaneo, quello realmente esistente e con cui oggi è necessario fare i conti, perché il Cristo è contemporaneo ad ogni contemporaneità e solo lì può generare e rigenerare continuamente la sua Chiesa.
Era necessario, per supplire a questa obiettiva mancanza, gettarsi a capofitto dentro il presente, per coglierne le possibilità e i limiti. Non vi è infatti sapienza, potenza e teoria pastorale che non abbia a che fare con un’immersione reale nel proprio tempo e nel proprio spazio, nel sociale-storico reale della propria epoca. Colui che ama davvero non si pone mai a distanza di sicurezza dall’“oggetto” della sua passione, ma si prende sempre il rischio di passargli attraverso e di non allontanarsi mai da esso.
Tale esigenza è stata onorata in questi ultimi dieci anni in due precise modalità.
La prima è quella esistenziale. L’obbedienza mi ha obbligato ad abbandonare lo studio scientifico della teologia per circa dieci anni, facendomi immergere nella pratica educativa e nella dedizione ai giovani. Riconosco in questa esigenza a “stare con i giovani” il cuore della mia vocazione consacrata salesiana.
Tale forma di vita mi ha reso felicemente rispondente al progetto di Dio.
Quattro anni a Bologna, come catechista della scuola superiore e animatore vocazionale, in un lavoro di evangelizzazione ed educazione pieno e traboccante, a diretto contatto con le fragilità e le possibilità dei giovani che abitano nella cultura occidentale mai così sazia e mai così disperata come oggi. Poi sei anni a Brescia, come Direttore e Preside di una complessa realtà educativo-pastorale salesiana. Anche qui un’esperienza formativa e modellante: pensare, proporre ed attuare un modello gestionale capace di vivere la comunione tra salesiani e laici; entrare nella vita di un’opera con lo sguardo d’insieme di chi deve cogliere insieme le esigenze di tutti e di ciascuno, del tutto e di ogni particolare è una esperienza che forma il cuore, la mente e le mani.
La seconda è quella riflessiva. In verità una potente vena sotterranea di mantenimento con la teologia non è mai mancata, almeno per due motivi: il primo è che quando qualcosa ti ha davvero preso il cuore non la abbandoni più e quindi in ogni momento “libero” rimane il tuo “hobby” preferito in Nano sulle spalle di giganti 15 ordine ad un aggiornamento che, tra l’altro, a tutti i pastori è richiesto, anche se in diverse modalità; la seconda è che al termine della licenza ho mantenuto il contatto e la prospettiva di portare avanti una riflessione in vista del Dottorato.
Ho quindi, nel senso migliore del termine, lasciato marcire – nella logica del seme che resta per il lungo inverno sotto terra – l’idea fondamentale che portava alla luce l’intuizione di confrontarmi con l’uomo d’oggi, proponendo un’autentica immersione del cristianesimo con l’uomo contemporaneo.
Ne è nato l’incontro e il confronto con alcuni giganti della contemporaneità, che ho maturato in questi ultimi anni e che ho potuto raccogliere per mezzo della nuova obbedienza, che nel settembre 2010 mi invitava a ributtarmi a capofitto nell’agone teologico. In un anno e mezzo di vita certosina sono riuscito a raccogliere i pensieri sparsi e le letture fatte nell’ultimo decennio.
Ne è nata la tesi di Dottorato in Teologia Fondamentale [12]: in un’immersione profonda dentro il percorso culturale di quelli che chiamo amichevolmente “sei personaggi in cerca d’autore” – Zygmunt Bauman, Alain Touraine, Charles Taylor, Slavoj Žižek, Cornelius Castoriadis e Pietro Barcellona – che non sono direttamente teologi, ma uomini a tutto campo che interpretano incisivamente ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi, ho cercato di recuperare contatto con l’antropologia che si sta dispiegando in uscita dalla modernità, per coglierne le invocazioni, le interrogazioni e le provocazioni in ordine al cristianesimo.
La certezza che la modernità sta esaurendo il suo corso e che stiamo entrando in una nuova epoca di cui sappiamo ancora poco è chiara: questo è il motivo evidente per cui è certamente corretto parlare di “nuova evangelizzazione”, purché con essa non s’intenda il patetico, vano e pericoloso tentativo di una riconquista cristiana, ma la necessità interna di un riposizionamento del cristianesimo in una nuova epoca della storia e soprattutto in ordine al Vangelo ed alle sue esigenze, che ci richiedono conversione e riforma permanente.
La transizione che sta avvenendo è epocale e riguarda tutto e tutti.
Gli autori con cui ho dialogato certamente ci offrono tanti elementi per poter intraprendere seriamente il lavoro di ripensamento evangelico e culturale del cristianesimo a favore dei giovani del nostro tempo. Nell’ultima parte di quel lavoro, dopo aver visto le convergenze significative che ci proiettano oltre la modernità, si approssima una specie di canovaccio di un “umano possibile”, che riparta dalle esperienze apodittiche fondamentali – la generazione, gli affetti, la fede e i legami – per poter recuperare ciò che di davvero umano vi è nell’uomo, ovvero quella nostalgia del legame con quel Dio Agape che in Gesù è diventato invocazione, interrogazione e provocazione. La presenza di Gesù nella storia rimane quell’ineliminabile ed inedita “spina nella carne” che sempre di nuovo, insieme a tante tribolazioni, può portare pienezza e solidità all’incertezza che ci abita oggi più che mai.
3. Passando attraverso una nuova missione
E poi arriviamo a questi ultimi anni. Ero oramai convinto che il mio futuro fosse legato all’insegnamento a cui da almeno una ventina d’anni mi ero preparato, ovvero alla “teologia fondamentale”. Ma Dio, la cui estrosità e scapigliatezza non ci è sconosciuta, ha sempre le sue pennellate originali. Quindi mi è giunta, quasi all’improvviso, l’obbedienza riguardante l’insegnamento e la ricerca nell’ambito della “teologia pastorale” ed in particolare “pastorale giovanile”. Certamente tutto ciò non ha mai avuto nulla a che vedere con alcuna mia volontà, quindi vi sono buone possibilità che ciò abbia a che fare con la volontà di Dio.
Ripensandoci in questo tempo, in tal modo sono in un certo modo unite le due passioni dominanti della mia vicenda esistenziale: i giovani, che stanno da sempre all’origine della mia vocazione, e la teologia, al cui studio fin da subito mi sono appassionato. Come al solito Dio ci porta dove egli vuole, attraverso strade contorte e per noi chiaramente incomprensibili, vie che crea e che inaugura appositamente per farci giungere all’adempimento della sua volontà.
Rimane quindi chiaro che l’idea fondamentale da perseguire è certamente quella di pensare insieme la realtà giovanile concretamente esistente e le esigenze del Vangelo, di cui la teologia si presenta come ragione critica. Non uno senza l’altro ma partendo dal legame che vi è tra gli uni e l’altro: il vero rischio infatti risiede sempre nel perdere qualcosa per strada. Sempre, nell’opposizione polare tra due realtà, i rischi possibili sono quelli legati alle eresie cristologiche: arianesimo (orizzontalismo: un umano liquefatto che rende irrilevante il divino), monofisismo (verticalismo: un divino dispotico che annichilisce l’umano) e nestorianesimo (giustapposizione: un estrinsecismo che crea una distanza di sicurezza tra il divino e l’umano). Invece la verità del legame risiede nella misteriosa configurazione per cui le due realtà rimangono in autentica unità, ma nella forma per cui sono positivamente “non distinte e non confuse”, come afferma autorevolmente il Concilio di Calcedonia. Il mistero ci viene restituito qui nella forma di una doppia negazione, che non è una semplice positività, ma un passaggio dentro il mistero dell’essere, che ha semNano sulle spalle di giganti 17 pre a che fare con il divino e con l’umano nella forma di legami affettuosi e di affetti ragionevoli. L’uomo, fatto dalla terra e dal soffio divino, non può pensarsi estrinseco a questa struttura, che lo definisce da capo a piedi, rendendolo sempre eccedente rispetto a qualsiasi tentativo di comprensione totalizzante.
Così pensare insieme, in maniera rigorosa, la divinità dell’uomo e l’umanità di Dio, significa immergersi nel mistero che Dio ha rivelato una volta per tutte attraverso l’Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità, che non per nulla è anche il Primogenito di molti fratelli.
Le Costituzioni salesiane attestano che «imitando la pazienza di Dio, incontriamo i giovani al punto in cui si trova la loro libertà. Li accompagniamo perché maturino solide convinzioni e siano progressivamente responsabili nel delicato processo di crescita della loro umanità nella fede» [13]. Per “libertà” qui s’intende, penso, la storia concreta della loro esistenza: le loro convinzioni, il loro vissuto, la loro storia, le loro sconfitte e le loro sofferenze. Quindi “libertà” è un titolo riassuntivo della vicenda sociale-storica di una persona nella sua integralità.
Questa idea, per cui si incontrano i giovani “al punto in cui si trova la loro libertà” è fondamentale per la pastorale giovanile. Questo vale anche per me, nel senso che questo testo ha a che fare con il punto preciso in cui la mia libertà si trova, con tutti i suoi limiti e le sue ricchezze. Significa entrare in una zona di profonda umiltà, attestando che siamo relativi alla nostra vicenda, che siamo costruiti in una drammatica in cui Dio e gli altri sono innervati in una singolare ed irripetibile storia d’amore.
Il percorso di pastorale giovanile proposto nel testo prende forma attraverso le condizioni qui espresse e non è pensabile al fuori o al di là di esse. In ciò consiste la sua forza e insieme la sua debolezza, le sue risorse e i suoi limiti.
Passa attraverso una storia singolare ed una serie di relazioni significative: una vicenda umana, un cammino di formazione intellettuale, alcune esperienze pastorali significative, l’appartenenza ad una Congregazione e all’ineludibile inserimento in un’epoca storica di particolare transizione.
Il testo rappresenta una proposta innovativa nel panorama riflessivo della pastorale giovanile. Forse in questo qualcuno potrà intravedere una voce dello Spirito che soffia dove vuole e che non va spento, ma alimentato con sapienza e pazienza: «Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» [14]. Addirittura nelle cose di maggior rilievo la saggezza di San Benedetto attesta la necessità di non disprezzare il parere di coloro che sono i più giovani e che sono appena arrivati nel “monastero della pastorale giovanile”:
Ogni volta che in monastero si devono trattare cose d’importanza, l’abate raduni tutta la comunità ed esponga egli stesso di che si tratta. E udito il parere dei fratelli, consideri dentro di sé la cosa, e faccia quel che gli sembrerà più utile. Abbiamo detto di chiamare tutti a consiglio, perché spesso il Signore ispira al più giovane il partito migliore. I fratelli diano il loro consiglio con ogni umiltà e sottomissione, né osino difendere troppo insistentemente il loro modo di vedere [15].
4. Ringraziamenti più che dovuti
Un grazie più che speciale va alle cinque persone che hanno contribuito e sostenuto in forma diretta e partecipativa la pubblicazione del testo.
Andrea Bozzolo, Preside della sezione teologica torinese dell’Università Pontificia Salesiana, teologo lineare e profondo capace di coniugare la contemplazione alta dei misteri della fede con la vita pastorale della Chiesa e dei cristiani impegnati a vivere la loro esistenza umana come Gesù l’ha vissuta. A lui il mio grazie per il penetrante intervento sul tema dell’evangelizzazione, che emerge come un vero e proprio “quadro di riferimento” sintetico che si distende tra ascolto della rivelazione, dinamiche antropologiche e forma ecclesiale.
Roberto Carelli, Professore di Teologia sistematica presso la sezione torinese dell’Università Pontificia Salesiana, che ringrazio per il suo contributo preciso e puntuale sul tema dell’educazione. Il suo insegnamento intorno ai temi dell’antropologia teologica, sui temi della generazione e della famiglia, del maschile e del femminile lo fanno un interlocutore di tutto rispetto davanti alle grandi sfide della teoria e della pratica educativa oggi.
Salvatore Currò, Professore invitato presso la Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia Salesiana di Roma e partecipe del cammino di rinnovamento in atto nel nuovo curricolo di pastorale giovanile, che con la sua postfazione rilancia la riflessione verso un dibattito aperto e argomentato sui fondamenti della pastorale giovanile in ottica teologica, antropologica e pastorale. A lui il mio grazie per il sostegno mai mancato e l’amicizia sempre più salda.
Giuseppe Mari, Professore Ordinario di Pedagogia generale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Una lunga e bella amicizia ci lega da vari anni nella condivisione della stessa passione educativa ed accademica.
La sua presenza autorevole, il confronto continuo e fecondo, lo scambio di pubblicazioni lo rendono un mio punto di riferimento affidabile nel campo accademico della pedagogia. La sua prefazione sigilla la nostra concordia della mente e del cuore.
Paolo Zini, Preside del nostro Centro Salesiano di studi Filosofici e Pedagogici di Nave (BS), filosofo e teologo di grande solidità e spessore, intento allo studio delle genealogie del pensiero e delle dinamiche culturali, offre qui una lettura acuta e pertinente della parabola moderna sull’asse del rapporto tra fede e cultura, con una particolare attenzione alla questione del rapporto tra evangelizzazione ed educazione.
NOTE
1 R. Tonelli, Ripensando quarant’anni di servizio alla Pastorale Giovanile, in «Note di Pastorale Giovanile» 5 (2009) 11-65.
2 R. Sala, Per un ripensamento della pastorale giovanile, in «Note di Pastorale Giovanile» 3 (2011) 4-13.
3 Il Capitolo Generale 26, celebratosi nel 2008, chiedeva precisamente al Rettor Maggiore e al suo Consiglio di curare «l’approfondimento del rapporto tra evangelizzazione ed educazione, per attualizzare il sistema preventivo e adeguare il quadro di riferimento della pastorale giovanile alle mutate condizioni culturali» (n. 45). Come è noto, dopo sei anni di lavoro condiviso guidato e coordinato dal “Dicastero della Pastorale Giovanile” nella persona di F. Attard, è stato pubblicato il volume: Dicastero per la Pastorale Giovanile, La pastorale giovanile salesiana. Quadro di riferimento, SDB, Roma, 20143. Tradotto già in una ventina di lingue, è il punto di riferimento autorevole e imprescindibile per la pastorale giovanile nella Congregazione Salesiana oggi.
4 R. Tonelli, Ripensando quarant’anni di servizio alla Pastorale Giovanile, in «Note di Pastorale Giovanile» 5 (2009) 11-65, 44-45.
5 G. Bosco (saggio introduttivo e note storiche a cura di A. Giraudo), Vite di giovani. Le biografie di Domenico Savio, Michele Magone e Francesco Besucco, LAS, Roma, 2012, 195.
6 Giovanni di Salisbury, Metalogicon, III, 4.
7 Gv 14,12.
8 Mt 5,48.
9 Lc 6,36.
10 1Pt 1,15.
11 R. Sala, Dialettica dell’antropocentrismo. La filosofia dell’epoca e l’antropologia cristiana nella ricerca di H.U. von Balthasar: premesse e compimenti, Glossa, Milano, 2002.
12 R. Sala, L’umano possibile. Esplorazioni in uscita dalla modernità, LAS, Roma 2012.
13 Articolo 38.
14 1Ts 5,19-21.
15 Gregorio Magno (introduzione di A. Stendardi), Vita di san Benedetto e la Regola, Città Nuova, Roma 20046, 123.
PREFAZIONE
L’originalità cristiana della proposta educativa
Giuseppe Mari
L’educazione accompagna la storia della salvezza dal suo inizio, come attestano non solo i Padri della Chiesa (esemplare, in proposito, è Il Pedagogo di Clemente Alessandrino), ma le stesse Scritture che abbondano di riferimenti formativi e – in certi casi, come nei libri sapienziali – sono tematicamente pedagogiche. Potrebbe apparire scontato, ma non lo è affatto perché dall’associazione tra fede ed educazione si può ricavare che il tratto connotante la pratica educativa – cioè la libertà – è il medesimo che identifica la fede sia vetero che neotestamentaria. Su questo ora intendo soffermarmi perché il testo Evangelizzazione e educazione dei giovani, in proposito, offre richiami essenziali e necessari.
1. Educazione, fede e libertà
Quello che colpisce, sin dalle prime battute del racconto biblico, è che Dio e l’essere umano sono coinvolti in una relazione reciproca. Senza ovviamente che venga meno il riconoscimento della signoria divina, va sottolineato che questa è espressa nella forma non del dominio, ma dell’alleanza: il signore non si allea con il vassallo perché lo vincola a sé nella forma di un servaggio che – a sua volta – il vassallo replica con coloro che gli sono subordinati.
Non è questa l’immagine biblica ricorrente per alludere al rapporto con Dio, bensì quella sponsale, soprattutto nella predicazione profetica. Nella disputa sul divorzio Cristo dà inequivocabilmente una interpretazione reciproca del rapporto tra marito e moglie richiamandosi al «principio» [1] ossia alla intenzione divina espressa nella creazione di uomo e donna «a immagine di Dio» [2].
La relazione tra Dio e la creatura, quindi, attraverso l’immagine dell’alleanza, a cui corrisponde quella sponsale che Cristo riconduce alla reciprocità originaria, esprime una originalità profonda nella storia della salvezza rispetto alla riconduzione del rapporto religioso alla sudditanza della creatura verso il Creatore, che costituisce la modalità tipica sia del modo “naturale” di concepire la santità di Dio come “separazione” (la logica della “dipendenza” di cui parlano Schleiermacher e Otto) sia della critica moderna che – alimentando l’ateismo – ha presentato Dio come antagonista dell’essere umano. Queste interpretazioni del fenomeno religioso si scontrano con la parola di Cristo circa il nuovo discepolato da lui introdotto: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» [3]. Dove sta la differenza tra il “servaggio” della concezione feudale e il “servizio” della “buona notizia” cristiana? Non tanto nelle cose che si fanno (che possono anche coincidere), ma nella ragione per cui vengono svolte la quale – nel primo caso – è l’utile, mentre – nel secondo – è l’amore. È questa la ragione per cui la fede cristiana – che identifica Dio come «Amore» [4] – si esprime inscindibilmente congiunta alla libertà che dell’amore rappresenta l’alter ego. Non si può infatti essere liberi se non ci si affranca dall’utilità per praticare la fruizione di ciò che vale di per sé e, per questa ragione, viene gratuitamente amato; d’altro canto, chiunque ama non lo fa per interesse, ma gratis: è quello che ha scoperto Agostino quando – tematizzando la differenza tra “uso” (uti) e “fruizione” (frui) – ha fatto i conti con il desiderio d’amore che ha guidato la sua giovinezza, ma che andava bonificato per affrancarlo dalla logica del puro e semplice consumo che anche oggi insidia la vita di tanti.
La domanda che mi pongo, a questo punto, è la seguente: siamo coscienti di questa originalità? Dopo secoli in cui ci è stato costantemente ripetuto, dal contesto culturale in cui ci siamo mossi come credenti e come educatori, che la fede e la libertà sono antitetiche, che l’amore è utopia, che il credente è solo uno che china il capo per paura… come stupirci se la nostra pratica educativa è scivolata verso un generico “umanesimo”, variamente filantropico? Ma è difficile che questo indirizzo conduca all’incontro con Cristo nella Chiesa per la semplice ragione che è filantropia (e di grande intensità) già quella espressa dal personaggio della commedia di Terenzio Heautontimorumenos, che si dice interessato a ogni essere umano per il fatto di essere un uomo, così come la filantropia costituisce il cuore di una straordinaria istituzione pedagogica d’ispirazione illuministica ossia il Philantropinum, fondato da Basedow.
Insomma, la filantropia precede l’evangelizzazione ed è generata anche dalla secolarizzazione, quindi è improprio farne il baricentro dell’educazione cristiana. Lo stesso umanesimo è certamente nato dal cristianesimo, ma può assumere anche profili – pensiamo, ad esempio, all’umanesimo ateo marxista – radicalmente estranei alla fede, la cui educazione – conseguentemente – deve identificare con chiarezza il proprio nucleo generativo per evitare – al di là delle intenzioni – di secolarizzarsi completamente. Il pregio del volume Evangelizzazione e educazione dei giovani consiste nella messa a fuoco del nucleo portante dell’educazione cristiana. Su questo baricentro ora intendo soffermarmi.
2. Una struttura che è un programma
Un “manuale” è tale perché pone tra le mani l’essenziale in ordine ad un compito – teorico e/o pratico – ben identificato. Quale sia questo scopo il testo lo dice sin dalle prime battute: «Immergerci con decisione nella forza e nella forma del Vangelo» [5]. La “buona notizia” ha espresso e continua ad esprimere una forza del tutto originale, quella dello Spirito che sa suscitare – ieri come oggi – testimoni inermi, ma tenaci i quali – per amore di Cristo – sanno andare incontro anche al martirio. Se questo accade (e sta accadendo) altrove, vuol dire che nei Paesi di più antica tradizione cristiana non possiamo né dobbiamo rassegnarci alla insignificanza manifestata dall’abbandono della fede da parte di tanti giovani che alla fede sono (dovrebbero essere) stati iniziati e che negli ambienti ecclesiali hanno (dovrebbero aver) ricevuto un’educazione cristiana. Per giustificare questo fenomeno, non possiamo cavarcela dicendo che la realtà socio-culturale è d’ostacolo e boicotta la nostra azione formativa: il cristianesimo è sempre stato profetico cioè “inattuale” e le Scritture richiamano la persecuzione inflitta ai “veri” profeti [6] così come il consenso raccolto dai “falsi” profeti [7]. Piuttosto che prendercela con il “mondo”, è il caso di verificare come stiamo praticando l’educazione cristiana allo scopo di appurare se corrisponde a quello che dice di essere oppure se si è disciolta in un generico filantropismo.
Occorre infatti riconoscere che la fede cristiana e la sua educazione hanno una forma propria dove l’espressione non identifica l’aspetto esterno, ma l’intima configurazione, ciò che rende riconoscibile l’originalità rispetto a cui, quindi, l’espressione pubblica deve essere coerente e conseguente. Qual è questa matrice? È il Cristo, dall’incontro con il quale prende forma la sequela che diventa ragione di vita, come ricorda Papa Francesco nella Evangelii Gaudium al n. 7, citando un passo della Deus Caritas Est di Papa Benedetto al n. 1: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva».
Il rischio odierno – lo dice chiaramente l’introduzione del volume – è «un cristianesimo privo di Gesù Cristo» [8]. Ecco allora il senso della prima parte, dedicata ai “cardini teorici” dell’educazione cristiana che i tre contributi mettono bene in evidenza. Mi limito a cenni rapsodici: il rifiuto di cedere all’ideologia [9], il riconoscimento della sapienza offerta dall’incontro con Cristo [10], il richiamo della matrice pedagogica propria della rivelazione e della tradizione [11].
Si tratta di identificare l’originalità cristiana dove l’espressione non allude né a un esclusivismo che alimenta il fanatismo né a un inclusivismo che conduce all’anonimato, ma identifica la capacità di riconoscere ciò che vi è di specifico nella fede cristiana e ciò che ha in comune con l’umanità in quanto creatura di Dio perché c’è un’alleanza universale, quella del patto stipulato con Noè [12], ma c’è anche – per i cristiani – «il colpo di scena» dell’incarnazione [13] ed è al riconoscimento di questo che deve condurre l’educazione praticata nella comunità ecclesiale.
Giungiamo così alla seconda parte, dedicata al “nucleo generativo”. Questo è anzitutto conseguente e collegato al primato della grazia: la vita cristiana prende forma dall’accoglienza dell’azione salvifica di Dio, ecco perché ha un profilo eucaristico ossia è un rendimento di grazie «che non può essere altro che vivere l’esistenza umana come Gesù l’ha vissuta» [14]. Non è quindi l’annuncio di un ideale e nemmeno la scoperta di un archetipo, ma l’incontro con la persona concreta di Cristo così come è annunciata dalla Chiesa. Da qui scaturisce l’invito al realismo pastorale che non cerca altrove le proprie fonti d’ispirazione, ma sa accostare il nostro tempo nella luce dell’annuncio cristiano.
Esemplare di questo atteggiamento è il passaggio, dove si afferma che «invece di attardarci sul tema dei diritti, la pastorale giovanile farebbe bene a curare una vera e propria spiritualità delle beatitudini» [15]. La stessa cosa potremmo dirla a proposito del disagio, della devianza, del conflitto intergenerazionale, dell’adolescenza e di tutto quello che ha finito per occupare l’educazione cristiana rendendo difficile incontrare Cristo in essa: non si tratta di trascurare questi e gli altri temi che coinvolgono i più giovani, ma di avvicinarli a partire dall’annuncio cristiano che – oggi come venti secoli fa – getta una luce che va oltre le analisi – raffinate, ma descrittive – delle scienze umane. L’annuncio cristiano è offerta di salvezza, ecco perché la santità è «il punto unitario e unificante » dell’educazione cristiana [16].
I “cardini pratici” – che costituiscono l’ultima parte del volume – sono conseguenti e soprattutto espliciti perché vengono ricondotti all’invito a «operare una vera e propria iniziazione dei giovani al discepolato e all’apostolato cristiano» [17]. Il richiamo della figura di don Bosco e del suo incontro con Michele Magone – un ragazzo che oggi chiameremmo “difficile” o “in disagio”, come viene giustamente puntualizzato – è efficace. Ci ricorda infatti che non è attraverso la generica “umanizzazione”, ma proponendo l’esplicito discepolato, sostenuto e accompagnato dall’educatore il quale – a sua volta – ha incontrato Cristo, che è possibile raccogliere la sfida dell’educazione cristiana.
Tutte le lucide riflessioni di carattere etico, sociale, esistenziale che seguono, sgorgano da questa sorgente fresca e zampillante.
Leggendo le pagine in cui il testo invita a questo impegno esplicito e fattivo, mi è venuto in mente il commento che fece Montanelli, a margine del Grande Giubileo dei giovani, sul Corriere della Sera del 17 agosto 2000: «Questo vecchio nonno che le parole, anche nella sua lingua, le spiccica male, con fatica, ha detto ai giovani cose di cui la più moderna e aggiornata ha duemila anni di età. Ma è proprio questo, credo, che i giovani inconsciamente cercano in un mondo dell’effimero come quello in cui noi li abbiamo fatti crescere; qualcosa che non abbia tempo perché è eterno, e che gli offra alcunché di stabile su cui posare – e riposare – i piedi». C’è un’esigenza vera e di fondamento in questo richiamo a qualcosa su cui poggiare i piedi. La parola della fede è tale perché genera fiducia, ma questo richiede che si possa dire: «So a chi ho creduto» [18]. È quindi anche una questione di conoscenza.
3. La fede come conoscenza
Ho prima richiamato Clemente Alessandrino ossia uno dei Padri che si sono confrontati con l’antica “gnosi”. L’espressione identifica una delle prime sfide raccolte dal cristianesimo sul terreno della cultura, quella che gli opponeva la conoscenza (la “gnosi” appunto) come alternativa alla fede, declassata a forma popolare e imperfetta di un dono divino che, secondo gli gnostici, l’essere umano può raggiungere da sé. È interessante notare che Clemente Alessandrino non cade nella trappola di dissociare fede e conoscenza per evitare di ridurre la prima alla seconda, ma – al contrario – sostiene che la vera conoscenza è raggiunta proprio attraverso il dono della fede, necessario a colui che conosce come l’ossigeno a colui che vive [19]. Negli stessi anni, Ireneo di Lione svolge considerazioni analoghe quando distingue tra “falsa” e “vera” gnosi ossia tra la presunzione di chi strumentalizza la conoscenza rivelata e l’umiltà di chi si pone in fedele ascolto della Parola divina annunciata dalla Chiesa [20]. Sto evocando questa antica pagina della storia cristiana perché, se la sfida educativa di oggi riguarda il riconoscimento del nucleo essenziale della fede e il problema della sua trasformazione in senso puramente umanitario (come Papa Francesco ha denunciato nella prima omelia, tenuta durante la S. Messa con i Cardinali subito dopo la sua elezione, il 14 marzo 2013: «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore»), allora occorre fare i conti con la dissociazione tra fede e conoscenza. Mi spiego.
L’incontro con Cristo è l’incontro con il Verbo ossia con la Parola di Dio fatta carne. Del resto, Gesù è esplicito quando afferma di essere «via, verità e vita» [21]. Non possiamo “disciogliere” l’incontro con lui in una generica dinamica esistenziale: attraverso Cristo e in lui è la Verità stessa che ci giunge incontro ossia la conoscenza di ciò che sta alla radice e nella linfa vitale di tutto ciò che esiste. Solo se si ha chiaro questo è possibile – nel quadro dell’educazione cristiana – avvalersi delle e non soggiacere alle scienze umane, le quali rappresentano una preziosa fonte di conoscenza sull’essere umano, ma – per poterne fruire in chiave religiosa – occorre avvalersi di una robusta teologia, capace di calare e orientare le scienze umane nella prospettiva della messa a fuoco non dell’essere umano genericamente preso, ma dell’essere umano che la rivelazione cristiana identifica come “figlio” nel “Figlio” [22]. Questo è l’annuncio che l’educazione cristiana deve ai suoi destinatari. Ad esso corrisponde quanto Giovanni Paolo II racchiudeva nella “nuova evangelizzazione”: «L’uomo è amato da Dio! È questo il semplicissimo e sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è debitrice all’uomo. La parola e la vita di ciascun cristiano possono e devono far risuonare questo annuncio: Dio ti ama, Cristo è venuto per te» [23]. Si tratta dello stesso richiamo oggi rilanciato da Francesco attraverso l’annuncio della misericordia che solca tutto il postConcilio sin dal celebre discorso d’apertura del Vaticano II dell’11 ottobre 1962, in cui Giovanni XXIII disse che la Chiesa intendeva usare la «medicina della misericordia».
L’educazione cristiana, per uscire dalla genericità e trovare la forza e la forma del Vangelo, deve riscoprire la valenza anche conoscitiva della rivelazione.
Del resto, a questo si riferisce il Concilio quando afferma: «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione» [24]; e a questo ha voluto richiamare il Convegno ecclesiale svoltosi a Firenze il 9-13 novembre 2016 convocando i credenti attorno all’annuncio: «In Cristo il nuovo umanesimo», non “un” nuovo umanesimo – a significare l’originalità della umanizzazione offerta da Cristo a cui l’educazione cristiana deve condurre se vuole essere non solo coerente con se stessa, ma fedele al proprio mandato e leale verso coloro a cui è destinata.
NOTE
1 Cfr. Mc 10,6 e Mt 19,4.8.
2 Gn 1,26-27.
3 Gv 15,15.
4 1Gv 4,8.16.
5 Cfr. p. 29.
6 Mt 5,12.
7 Lc 6,26.
8 Cfr. p. 34.
9 Cfr. il contributo di P. Zini.
10 Cfr. il contributo di A. Bozzolo.
11 Cfr. il contributo di R. Carelli.
12 Gn 9,8-17.
13 Cfr. p. 171.
14 Cfr. p. 195.
15 Cfr. p. 225.
16 Cfr. p. 234.
17 Cfr. p. 246.
18 2Tim 1,12.
19 Stromati, II, 6.
20 Contro le eresie, IV, 33-41.
21 Gv 14,6.
22 Gal 3,26-4,7 e Rm 8,14-23.
23 Christifideles laici, n. 34.
24 Gaudium et Spes, n. 22.
INDICE
Premessa
NANO SULLE SPALLE DI GIGANTI
1. Sulle orme di Riccardo Tonelli
2. Partendo da un itinerario personale
3. Passando attraverso una nuova missione
4. Ringraziamenti più che dovuti
Prefazione
L’ORIGINALITÀ CRISTIANA DELLA PROPOSTA EDUCATIVA
(Giuseppe Mari)
1. Educazione, fede e libertà
2. Una struttura che è un programma
3. La fede come conoscenza
1. Introduzione: la forza e la forma del Vangelo
1. Il rischio di pensare e vivere un cristianesimo senza Gesù
2. Ripensare alla “rivelazione” nella prospettiva della “donazione”
3. La verità dell’evento dell’incarnazione contro lo gnosticismo tardo moderno...
Prima Parte
I CARDINI TEORICI
2. Il destino dell’educazione tra i lumi della ragione e l’oscuramento della fede
(Paolo Zini)
1. Il pericolo civile del Nome di Dio
2. L’oscuramento sociale della pratica credente
3. La secolarizzazione della sollecitudine educativa
4. Liquidazione della fede e astenia della libertà
5. Conclusione
3. L’evangelizzazione: le dimensioni costitutive della missione ecclesiale
(Andrea Bozzolo)
1. Dimensione teologica
1.1. Rivelazione ed evangelizzazione
1.2. La logica della traditio
1.3. Primato del kerygma e azione dello Spirito
2. Dimensione antropologica
2.1. Oltre la divaricazione
2.2. Vangelo e educazione
2.3. Vangelo e coscienza
3. Dimensione ecclesiologica
3.1. La soggettività del popolo di Dio
3.2. Evangelizzazione e riforma ecclesiae
3.3. Processi di evangelizzazione
4. L’educazione e le sue articolazioni
(Roberto Carelli)
1. Evangelizzazione ed educazione: le ragioni della novità e della continuità
1.1. La separazione di Vangelo e educazione: i motivi culturali
1.2. L’unità di Vangelo e educazione: i fondamenti teologici
1.3. L’unità di Vangelo e educazione: gli aspetti della correlazione
1.4. L’idea di educazione nell’ottica del Vangelo: per una configurazione teorica
2. L’educazione e il vincolo di religione
3. L’educazione e l’evento della generazione
4. L’educazione e i processi di maturazione
5. L’educazione e l’autorità della tradizione
Seconda Parte
IL NUCLEO GENERATIVO
5. Il nodo teologico: incarnazione, eucaristia e croce
1. Un episodio istruttivo: la vicenda dei discepoli di Emmaus
2. La ricomprensione della croce a partire dall’ultima cena
3. Per un doveroso “allargamento del logos” dell’incarnazione
4. L’eucaristia, sacramento della donazione di Gesù
5. La forma eucaristica dell’esistenza cristiana
6. Il necessario ripensamento dell’antropologia
6. Criteri per pensare la pastorale giovanile
1. Prossimità: il realismo dell’incarnazione
2. Discepolato: la concretezza della sequela
3. Vocazione: la chiamata per nome
4. Dono di sé: il contenuto sostanziale
5. Beatitudini: la strategia alternativa
5. Comunione: lo stile ecclesiale vincente
7. Santità: il punto unitario e unificante
Terza Parte
I CARDINI PRATICI
7. L’obiettivo: discepoli e apostoli del Signore
1. L’inversione del legame: dal primato del “ricevere” a quello del “donare”
2. Dalla “dialettica” alla “dialogica”: adolescenza e giovinezza
8. La dinamica: la gioventù come età dell’accordatura
1. Premessa: la verità dell’opposizione polare in ottica intradisciplinare
2. Approccio sapienziale: l’altezza degli ideali e la concretezza della realtà
3. Approccio psicologico: la presenza della “legge” a custodia del “desiderio”
4. Approccio sociale: la verità dell’individuo nel legame comunitario
5. Approccio comunicativo: la difficile accordatura tra mondo virtuale e vita reale
6. Approccio biblico: la vocazione come “riconfigurazione” del progetto umano
7. Approccio cristologico: la pienezza della libertà nel vincolo dell’obbedienza
8. Approccio ecclesiale: l’inclusione reciproca tra autenticità e autorità
9. Approccio testimoniale: il legame genetico tra discepolato e apostolato
9. L’orizzonte: gli ambiti della pastorale giovanile
1. L’indispensabile dovere della promozione umana
2. L’ineludibile impegno dell’annuncio esplicito
3. La necessaria formazione morale della coscienza
4. Il decisivo coinvolgimento corresponsabile nella missione
5. La doverosa cura della vita spirituale in ottica vocazionale
10. Conclusione: speranza e responsabilità
1. Dalla demoralizzazione epocale alla speranza cristiana
1.1. Vivere in un mondo senza speranza
1.2. Profeti di una speranza umanamente impossibile
2. Dalla dittatura del narcisismo alla responsorialità evangelica
2.1. Immersi nel regno di Narciso
2.2. Dalla tristezza della “philautía” alla gioia del dono di sé
Postfazione
LA FEDELTÀ A CRISTO E IL SUO DEBORDAMENTO
(Salvatore Currò)
1. Riaprire il dibattito sui fondamenti della pastorale giovanile
2. La fedeltà a Cristo: una rinnovata presa di coscienza teologico-pastorale
3. La fedeltà alla Pasqua e il debordamento della coscienza