Sale e pepe nella liturgia
Elena Massimi
(NPG 2020-01-58)
Esistono liturgie salate o sciape? Con troppo pepe o senza alcun sapore? Una tale associazione a prima vista potrebbe apparire “strana”. In realtà capita (non troppo di rado, purtroppo!) di partecipare a liturgie senza sapore, noiose, vissute nella speranza che finiscano presto, o a liturgie nelle quali la carica emotiva – cioè la quantità di “sale e pepe” – è tale da distoglierci dal Mistero che celebriamo. Come in cucina non è semplice dosare i diversi elementi, in modo particolare il sale e il pepe, ed è importante utilizzare tutti gli ingredienti in modo equilibrato, in modo tale che ciascuno possa offrire al piatto il suo gusto particolare, senza soffocare gli altri, anzi esaltando il gusto del cibo “principale”, così nella liturgia tutto è importante, ogni gesto, parola, rito, anche se non tutto allo stesso modo. È decisivo, però, non mescolare i diversi elementi in modo casuale, disordinato, non equilibrato. Alcune volte le nostre liturgie assomigliano a quei piatti dove i diversi cibi vengono cucinati senza seguire una ricetta, dove vengono inseriti ingredienti che non hanno nulla a che fare con la pietanza principale, che ne coprono il gusto…
In questa rubrica, dedicata appunto alla liturgia, attraverso l’analisi di casi concreti, cercheremo di scoprire come dare sapore alle nostre celebrazioni - senza renderle eccessivamente salate o troppo sciape-, come gestire e concatenare i diversi riti, gesti, parole, linguaggi di cui si compone la liturgia, come iniziare/formare le nuove generazioni ai riti cristiani.
Prima di intraprendere il nostro percorso è necessario però avere alcuni criteri, punti fermi, che ci permetteranno un “mutamento dello sguardo” sulla liturgia.
Uscire dalla logica del “minimo necessario”
È necessario essere consapevoli che nella liturgia tutto è importante; ogni elemento, seppur secondario, contribuisce alla manifestazione del Mistero. Certamente alcuni gesti, parole, riti assumono un valore particolare, costituiscono il punto apice di tutta la celebrazione (pensiamo alla preghiera eucaristica nella messa); questo non significa che i cosiddetti elementi “non necessari” non ricoprano un posto significativo relativamente alla partecipazione dei fedeli.
Non è infatti indifferente, ad esempio, come nella celebrazione liturgica vengano utilizzate le luci, gestiti gli spazi, annunciata la Parola. Oppure (forse può sembrare banale…) se si utilizzano candele di plastica o di vera cera, che nel loro consumarsi mostrano il tempo che passa, e mantengono vivo il legame con il cero pasquale “frutto del lavoro delle api, simbolo della nuova luce” (dall’Exultet).
Dobbiamo essere consapevoli come proprio l’indifferenza nei confronti del “non necessario” possa rendere la liturgia “muta” o addirittura “fastidiosa”.
Cosa proviamo quando ad esempio i canti sono urlati, i microfoni per i lettori non funzionano, i lettori stessi leggono male, senza rispettare la struttura letteraria e il senso del testo, oppure quando l’altare è “ricoperto” di piante, o fiori, quasi a “soffocare” il nostro sguardo, o anche quando si è seduti talmente distanti l’uno dall’altro che non si riesce a scambiare un segno di pace…?
Spesso ci si lamenta del fatto che la liturgia sembri non offrire più una esperienza significativa (forse per questo la riempiamo di oggetti della nostra quotidianità) per la vita cristiana; in realtà siamo noi che la rendiamo “muta”. Come possiamo vivere la gioia per la venuta del Signore in mezzo a noi, quando alla domenica il sacerdote entra direttamente in presbiterio dalla sagrestia, senza passare per la navata centrale, in mezzo al “suo popolo”, preceduto dall’incenso, dalla croce, dalle candele, dall’Evangeliario, dagli altri ministri? Oppure come vivere la Quaresima, tempo di preparazione alla Pasqua attraverso la preghiera, il digiuno e l’elemosina in liturgie che hanno tutto tranne qualche spazio di profondo silenzio?
Nella liturgia nessun elemento deve essere sottovalutato; come già detto, ogni elemento concorre alla manifestazione del Mistero e alla esperienza che noi possiamo farne.
Celebrare con arte
È necessario riscoprire che la liturgia è una azione simbolico rituale, composta da una molteplicità di linguaggi[1]. La liturgia non è in primis una spiegazione, ma una azione.
A questo punto viene da chiederci come debbano essere messi in opera i diversi linguaggi liturgici; Sacrosanctum Concilium ci viene in aiuto, leggiamo al numero 34: "I riti splendano per nobile semplicità; siano trasparenti per il fatto della loro brevità e senza inutili ripetizioni; siano adattati alla capacità di comprensione dei fedeli né abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni".
La liturgia, infatti, anche se in una chiesa modesta, con patena, calice e vesti semplici, con i canti ordinari, può essere ben celebrata, se ogni elemento è ordinato in modo dignitoso e armonico.
L’arte del celebrare
consisterà anzitutto nel mettere in buon ordine gli elementi visibili, udibili, toccabili, gustabili, odorabili che costituiscono la celebrazione e permettono all’invisibile della fede e della grazia di essere manifestato. L’arte del celebrare consisterà nel mettere in buon ordine gli spostamenti, gli atteggiamenti e le posture, le parole e i gesti, le letture e i canti; e ancora nella capacità di intervenire nei tempie e negli spazi adeguati, nel tono giusto della comunicazione, in una buona coerenza con ciò che precede e ciò che segue, in una buona corrispondenza tra ciò che viene fatto e ciò che viene detto[2].
Finché non assumeremo tutto ciò, le nostre celebrazioni diventeranno o “eccessivamente saporite” o “troppo sciape”. È necessario evitare di celebrare in modo approssimativo, sciatto, senza alcuna armonia ed equilibrio tra i diversi gesti e le diverse azioni liturgiche, ponendo poca attenzione alla cura del canto, della musica, degli arredi… Il celebrare è un'arte, nell’orizzonte della “nobile semplicità” conciliare, e naturalmente non del vuoto ritualismo (laboratorio 1).
Celebrare con il corpo
La liturgia non è una spiegazione, ma una azione; entriamo in essa, quindi, con il nostro corpo, con i nostri sensi. “A un Dio che si fa corpo non c'è altro modo di corrispondere se non con il proprio corpo” (G. Bonaccorso). Eppure non si comprende come mai le nostre liturgie siano cariche di parole: introduzioni alla messa, alle Letture, omelie “fuori misura”, preghiere dei fedeli talmente lunghe e complesse che ascoltandole si dimentica per chi e per quale intenzione si prega.
La consapevolezza che preghiamo con tutta la nostra persona dovrebbe condurci, come già accennato, a curare i gesti, le azioni della celebrazione. L’Ordinamento Generale del Messale Romano al n. 42 ci ricorda:
I gesti e l’atteggiamento del corpo sia del sacerdote, del diacono e dei ministri, sia del popolo devono tendere a far sì che tutta la celebrazione risplenda per decoro e per nobile semplicità, che si colga il vero e pieno significato delle sue diverse parti e si favorisca la partecipazione di tutti […].
L’atteggiamento comune del corpo, da osservarsi da tutti i partecipanti, è segno dell’unità dei membri della comunità cristiana riuniti per la sacra Liturgia: manifesta infatti e favorisce l’intenzione e i sentimenti dell’animo di coloro che partecipano.
Se si celebra con il corpo, con i sensi, celebriamo anche con le nostre emozioni. Dovremmo chiederci quali emozioni viviamo nella liturgia. Noia? Gioia? Tristezza? Stupore? E qual è il rapporto tra l’emozione che viviamo e il gesto, il canto, la parola che la suscita? Il gesto suscita l’emozione che gli corrisponde? Ad esempio il canto dell’Alleluia provoca in noi la gioia per la presenza in mezzo a noi del Signore nella sua Parola? Dovremmo chiederci cosa viviamo quando il canto di ingresso, ad esempio, con l’utilizzo spropositato di percussioni, volume troppo alto degli strumenti, ritmo eccessivamente incalzante, provoca una forte carica emotiva? Realmente preghiamo, oppure viviamo sentimenti ed emozioni che ci riportano a contesti non liturgici (es. quello che viviamo in una festa dell’oratorio…)? La liturgia, in realtà, se accolta e rispettata, educa le nostre emozioni. Nella ripetizione del programma rituale prestabilito, il sentimento, l’emozione e la variazione di umore del singolo non prevalgono (laboratorio 2).
La liturgia è un’azione comunitaria
Sacrosanctum concilium 26 ci ricorda come “Le azioni liturgiche non sono azioni private ma celebrazioni della Chiesa”; questo significa che l’azione liturgica richiede l’impegno di tutti i fedeli che vi partecipano. Ancora oggi purtroppo possiamo constatare come sia presente una lettura errata di cosa sia partecipazione comunitaria: alcuni fedeli, da una parte, si comportano come “muti spettatori”, immobili, osservano cosa fanno gli altri, senza mai (o quasi mai) aprire bocca o accennare qualche piccolo gesto. Dall’altra alcuni pensano che per partecipare ciscun fedele debba necessariamente fare qualcosa, avere un compito e un ruolo, un ministero all’interno della liturgia: quindi partecipiamo a liturgie che vedono una “folla immensa” di fanciulli all’altare, numerose chitarre e ogni sorta di sonaglio per ciascun canto, dieci lettori per la preghiera dei fedeli, atti penitenziali composti e improvvisati, nei quali chiediamo perdono al Padre (bambini, giovani e adulti) per la caramella “rubata” al vicino di banco…
Ma questa è partecipazione attiva e comunitaria?
La liturgia non è “a nostra immagine e somiglianza”
La volontà di esprimersi a cui si assiste in tutti i campi da una trentina di anni a questa parte – un fenomeno peraltro di incontestabile interesse, sia a livello individuale che a livello collettivo-deve trovare la sua giusta applicazione anche nella liturgia. Quante volte, osservando come viene celebrata la liturgia, si è portati a chiedersi se non ci sai più “espressionismo” che espressione, più pressione a partecipare che partecipazione collaborativa…[3]
A tale proposito un fedele qualche anno fa si domandava: "La forma della liturgia non dipende ancora troppo da colui che presiede? Liturgie mute e sciatte e altre che sembrano spettacoli televisivi. La Chiesa ha il diritto di pretendere il rispetto delle regole, e noi fedeli quello di poter partecipare a messe celebrate secondo le regole".
Sembra, soprattutto nel mondo giovanile, che la liturgia debba essere il luogo di espressione “senza limiti” delle nostre emozioni, sentimenti, gusti personali… inventiamo gesti, inseriamo canti che non hanno nulla a che fare con la celebrazione, balletti… immagini…
In modo particolare in alcune circostanze, come messe di inizio d’anno, i foulard si agitano, i solisti mostrano a tutti le loro qualità canore, lunghissime processioni di segni, accompagnati da interminabili introduzioni che cercano di giustificarne la presenza, attraversano la navata della chiesa …
Ma siamo noi che dobbiamo dire al mistero come rivelarsi, siamo noi che dobbiamo “trasformare” la liturgia, oppure dobbiamo lasciarle spazio, lasciarci trasfigurare dal Cristo in essa presente?
Non siamo noi gli autori della liturgia, ne siamo forse gli “attori”, ma non i protagonisti…
Temi per NPG
La Parola nella liturgia
Il silenzio nella liturgia
Il canto nella liturgia
Lo spazio nella liturgia (architettura – scultura – pittura…)
Gli attori nella liturgia
Le “processioni” nella liturgia (spostamenti – vicinanza - lontananza)
La creatività liturgica
L’iniziazione alla liturgia (esempi di percorsi di iniziazione alla liturgia)
NOTE
[1] I principali codici non verbali sono a) locale e topografico; b) odologico; c) prossemico; d) temporale; e) personale e sociale; f) musicale; g) cinesico; h) tattile; i) ottico; l) iconico; m) olfattivo; n) gustativo.
[2] Centro di pastorale liturgica francese, Ars celebrandi, Qiqajon, Bose 2008, 9.
[3] Centro di pastorale liturgica francese, Ars celebrandi, 25-26.