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    Per una spiritualità del gioco



    A cura di Dalmazio Maggi

    (NPG 1996-04-16)


    Quando si riflette di spiritualità e di vita spirituale è facile imbattersi in trattati sul bello in generale e sull'arte in particolare, sulla festa e sulla celebrazione come vie per raggiungere la santità. Non è comune affrontare in questo contesto il tema del gioco.

    Importanza del gioco nella vita degli uomini

    Nella pedagogia cristiana il cortile e il gioco, che è considerato come parte essenziale della vita del ragazzo e del giovane, è anche un luogo di spiritualità, cioè un luogo e un tempo in cui si vive e si agisce sotto la spinta dello Spirito del Signore e secondo i valori del vangelo.
    Prima di tentare di comprendere il ragazzo e il giovane come uno che gioca, è bene chiedersi quale tipo di gioco scelgono i ragazzi e i giovani d'oggi. Molti purtroppo si interessano del gioco piuttosto come spettatori e tifosi di quelli che giocano che come giocatori.
    Per il gioco «spettacolo», il gioco «visto», il primo posto è occupato dalla televisione, che permette di assistere alle partite che interessano standosene comodamente seduti in poltrona e in casa. Per gli affezionati e i tifosi c'è anche lo stadio o il palazzetto dello sport. Tra gli sport più seguiti e più trasmessi ci sono quelli spettacolari del calcio, del volley, del basket, delle corse automobilistiche, del pugilato... Dipende per lo più dagli interessi e dai soldi che fanno girare e fanno guadagnare. Tutto ciò è in qualche modo specchio della vita dei nostri giorni, basata sullo spettacolo, sull'immagine e sul profitto.
    Riflettiamo su uno stadio pieno di giovani che seguono la propria squadra e spesso si identificano con gli undici giocatori. La partecipazione alla partita della propria squadra sconvolge la giornata: fin dal mattino ci si organizza insieme agli amici tifosi, si viaggia insieme con sciarpe e bandiere che esprimono la propria «fede sportiva», si entra nello stadio e incomincia una grande festa all'insegna dell'entusiasmo, che fa dimenticare ogni altro problema e preoccupazione. Può essere una specie di simbolo del culto della competizione e della celebrazione del campione, che si desidera diventare, almeno nei sogni.
    Dal mattino alla sera una voglia di scaricare tensioni accumulate, difficoltà non superate. Non c'è spazio né tempo per la riflessione, per l'incontro con gli altri, tanto meno per la preghiera e per l'incontro con il Signore.
    Per i giocatori in genere il campo di gioco è il luogo della competizione, risulta il campo di lavoro, al quale ci si prepara e nel quale si tenta di vincere, anche per questione di compensi.
    Da qualche comportamento e in qualche momento della gara, per i motivi più vari (un fallo subito, una punizione inflitta...) può diventare anche per loro un luogo di scontro anche fisico, un campo di battaglia: l'altra squadra è formata non da giocatori con i quali si compete e ci si guadagna da vivere, ma da avversari da neutralizzare e sconfiggere. Nel caso soprattutto del calcio, dove il contatto tra i giocatori è continuo e diretto, lo scontro fisico avviene già in campo.
    Ciò che capita in campo può suscitare reazioni a catena negli spettatori e nei tifosi delle gradinate. E allora anche le gradinate dello stadio diventano un campo di battaglia, il più delle volte con slogan ed invettive, qualche volta con lo scontro fisico diretto. Anche il tifoso dell'altra squadra è un avversario da neutralizzare e far fuori. Essere in molti e organizzati quindi è garanzia di non essere sopraffatti e distrutti e di poter sconfiggere gli altri.
    Al termine della partita l'entusiasmo per la vittoria o la rabbia per la sconfitta della propria squadra esplode in manifestazioni e in intemperanze che hanno, purtroppo, lo stesso esito: violenza e distruzione. Alla fine di una manifestazione sportiva, soprattutto di tipo calcistico, il bilancio è di strutture distrutte, di giovani all'ospedale, di altri in questura per violenza verso altri tifosi, o resistenza alle forze dell'ordine.
    Pensiamo anche alle corse automobilistiche, che attirano decine di migliaia di spettatori tra i giovani. Esse sono una specie di simbolo del culto della velocità che diventa droga: di quella fretta che non ha mai tempo per la riflessione, per la preghiera e per la contemplazione, che soffoca sul nascere i sentimenti o i pensieri profondi e che qualche volta miete anche vite umane sia tra i piloti sia tra gli spettatori.
    Nemmeno la morte riesce a fermare manifestazioni che sono organizzate all'insegna della velocità e della potenza. Dobbiamo dire che anche in questo lo sport è uno specchio fedele della nostra società e cultura che rischia di poggiare tutto sull'efficienza, sul prestigio e sull'utile.
    In questo contesto e di fronte a queste sfide si può agire efficacemente se si sceglie la linea educativa.
    Se, fin da piccoli, i ragazzi e i giovani riescono ad imparare a giocare in modo amichevole, in un clima di festa e di gioia per tutti, sono aiutati e facilitati a crescere in un atteggiamento critico di fronte a questo tipo di gioco che porta alla distruzione e alla morte.
    Bisogna educare i ragazzi e i giovani fin da piccoli a giocare e vivere la gara sportiva non come lotta e scontro contro qualcuno, ma come incontro e confronto con altri, a competere con gli atleti di un'altra società e non con degli avversari da sconfiggere.
    Una prima esigenza di tipo educativo è cambiare il vocabolario, passare dall'uso di termini tipici dell'ambiente «militare» (avversari, lotta, combattimento, vittoria, sconfitta) all'uso di termini dell'ambiente «civile» (atleta, gara, competizione, risultati personali e di squadra). Partecipare alla gara, conseguire dei risultati personali e di squadra, saper riconoscere e apprezzare quelli degli altri, raggiunti anche con il proprio apporto, educa a un tipo di gioco che non porta alla violenza e allo scontro ma al rispetto e alla sana competizione.
    Coloro che sanno gioire insieme e celebrare insieme la vita, imparando così il linguaggio del gioco, non sono disarmati di fronte all'aggressività di tanti programmi televisivi e tante situazioni di violenza.
    Come si rileva dalla storia, gioco e danza appartengono alla sfera religiosa quasi come la festa. «Il buon umore e la genuina serenità dell'uomo che gioca, per il quale serietà e allegria vanno sempre di pari passo, sono un fenomeno religioso; sono un qualcosa che risente dell'uomo terrestre e dell'uomo celeste» (H. Rahner).
    «Chi è capace di giocare e di danzare sa prendere le cose sul serio. È 'preso' da ciò che sta facendo, ma la sua serietà è serenità, gioia, libertà traboccante. Nel gioco noi impariamo un tipo di serietà che è del tutto umano, assai distante dalla serietà di coloro che vedono la vita solo come un peso e non come un dono. La persona che gioca sa che il gioco è soltanto gioco e che essa deve adempiere seriamente il suo compito nel mondo, ma lo sa in una maniera che conferisce uno spirito di libertà alla serietà con cui adempie ai suoi doveri» (H.G. Gadamer).
    Il gioco spesso è ambivalente come tutta la cultura umana. Ma come un amore sbagliato non può far sì che ci allontaniamo dall'amore vero, così il gioco violento e cattivo è un appello rivolto a noi credenti affinché giochiamo «a gloria di Dio e quindi dell'uomo», facendo sì che l'intero ambiente del gioco sperimenti la forza di cambiamento che viene dal Cristo risorto.
    Si tratta di saper individuare nel mondo dello sport le varie forme di ricerca dell'incontro e dell'amicizia, di tensione verso la solidarietà e la pace.
    Anche se i progetti del mondo sportivo qualche volta sono contraddetti da interessi egoistici, oppure sono velati da ambiguità, rappresentano nei loro propositi e obiettivi un «gemito» della creazione e dell'uomo, che il credente deve saper discernere. «Tutto ciò va colto con diligenza e va accolto con amore, senza pregiudizi e senza presunzioni: con la disponibilità a collaborare perché il vero e il bello maturi ovunque e da chiunque proposto».

    Il gioco svela il vero volto del giovane

    La Sacra Scrittura usa il gioco come paradigma per svelare le verità più sublimi. La sapienza divina non solo prepara una grande festa (cf Prov 9,1-6), ma si presenta pure in un gioco meraviglioso. «Quando egli stabiliva al mare i suoi limiti, sicché le acque non ne oltrepassassero la spiaggia; quando disponeva le fondamenta della terra, allora io ero con lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno, mi rallegravo davanti a lui in ogni istante; mi ricreavo sul globo terrestre, ponevo le mie delizie tra i figli dell'uomo» (Prov 8,29-31).
    Il gioco è particolarmente gratificante quando coinvolge più persone e diventa espressione di amicizia e di gioia compartecipata. Tutte le opere di Dio seguono questo paradigma del gioco fra più persone. La creazione, l'incarnazione e l'intera storia della salvezza sono manifestazione e rivelazione di Dio e del fatto che egli gioca con noi e che il suo gioco è santo e liberante, è la suprema espressione del suo amore. Questa è la verità più profonda della persona che gioca, la sorgente della sua allegria, della sua serenità e della sua serietà. «Non si può negare che l'origine del gioco e il giocare stesso ci indirizzano a un mistero sacro che non è a nostra disposizione» (H.E. Bahr). Questo mistero fa parte della nostra vita, perché Dio stesso ci invita a giocare con lui. Se partecipiamo ai giochi e ne rispettiamo le regole, svolgendo il nostro ruolo con nobiltà, attenzione e generosità, essi rivelano una dimensione della verità trascendente. Il nostro gioco diventa un simbolo nel quale è già presente il gioco di Dio. «Il più grande gioco è il gioco di Dio con noi e per il mondo, con e per il genere umano, un gioco che egli stesso ha iniziato e per il quale non ha fissato altro che le regole. Il mondo sostenuto da Dio giocherà il proprio gioco, senza tuttavia azzardare di fare una partita contro Dio. E l'uomo non è un giocattolo nelle mani di Dio, ma è invitato ad essere il suo libero partner» (H. Küng).
    Dopo queste splendide riflessioni, bisogna guardarsi dal semplificare eccessivamente le cose. Per quanto il gioco sia un categoria estetica, la realtà descritta sotto il paradigma del gioco non è da prendersi alla leggera. Perché troppo spesso l'uomo non è onorato dai suoi fratelli come compagno di gioco, ma è trattato come un oggetto usato in un gioco d'azzardo che viene giocato con lui ma contro di lui.
    Il modo in cui Dio gioca con l'uomo e per l'uomo costituisce sempre una meravigliosa sorpresa. La più grande sorpresa è la venuta del suo Figlio unigenito come redentore, è la Pasqua che segue il Venerdì santo. Quando onoriamo le sorprendenti iniziative di Dio, scopriamo nuove prospettive, nuove opportunità, e ci sentiamo onorati di essere suoi partner. E anche noi giocheremo con il Signore per la libertà e la gioia del prossimo. Allora avremo pure noi una riserva sempre fresca di bellissime sorprese.
    L'arte del gioco e della danza spesso rivela la verità smascherando pericolosi errori. Chi ha assistito a danze belle e dignitose - pensiamo alle danze sacre come quella di Davide davanti all'arca del Signore - è difeso dalla tendenza manichea verso un dualismo che disprezza il corpo. La danza e il gioco sono dei poemi fatti con la realtà corporale. Danza e gioco ci dicono che è giusta la visione biblica secondo la quale il corpo è la persona umana che manifesta la propria gioia di essere opera del grande Artista. Con i suoi movimenti aggraziati il corpo parla la lingua dell'artista. La danza sacra e il gioco sacro possono mediare l'esperienza religiosa. Spesso gli storici hanno messo in luce la connessione fra religione e gioco. Come il gioco trova in sé il proprio significato, così, ma in grado superiore, la religione ha il suo significato e valore in se stessa e pertanto arricchisce tutta la vita.
    Anche il linguaggio umano è uno splendido gioco o, meglio, un gioco comunitario. Parlandoci a vicenda con fantasia ed immaginazione, scoprendo le grandi possibilità del nostro linguaggio, noi diventiamo compagni di gioco che si aiutano l'un l'altro a scoprire dimensioni essenziali della verità. Il fatto che con le parole uno possa fare anche un gioco fatuo, non contraddice questa verità, ma semplicemente smaschera colui che non rispetta le regole del gioco. Il gioco del linguaggio e delle parole, quando è genuino, è fonte di gioia. È l'esperienza che la mia verità è bella solo se diventa anche la tua e che non troverò la mia verità se non sono aperto alla tua.
    Il paradigma del gioco ci aiuta a comprendere meglio che cosa significhi l'affermazione di Ireneo, che la nostra vita è per la gloria di Dio, ma anche che la gloria di Dio consiste nel far vivere felici gli uomini, dando a tutti la possibilità di giocare. «La gioia è il significato della vita umana, gioia nel rendere grazie e rendere grazie nella gioia... Allora ci chiediamo: A che cosa servo io? E la risposta non si trova negli scopi dimostrabili che stabiliscono la mia utilità, ma nell'accettazione della mia esistenza in quanto tale» (J. Moltmann).

    L'arte del gioco e la morale del gioco

    Il gioco può essere letteralmente ri-creazione, perché esso possiede un potere risanatore. L'arte del gioco e della celebrazione ci insegna anche l'arte di vivere in modo bello ed entusiasmante. Per verificarlo occorre solo confrontare un gioco bello con un gioco scorretto. Bisogna mettere in evidenza la differenza fra il gioco bello e comunitario entro rapporti sani, da una parte, e il gioco disturbato a causa di repressioni e disordini racchiusi nel subconscio, dall'altra. Queste prospettive aprono una via alla terapia per mezzo del gioco.
    In passato ci sono stati educatori e santi che giudicavano molto duramente il teatro, gli spettacoli e le gare competitive dai loro tempi. Era una valutazione storicamente condizionata e probabilmente necessaria per la loro epoca a causa di situazioni pericolose sia per l'incolumità fisica che per la condotta morale. Ma in questi ultimi secoli con Filippo Neri, don Bosco e tanti educatori c'è stata una rivalutazione del gioco, del teatro e dello spettacolo, come luoghi di educazione e di crescita nella santità.
    Anche oggi assistiamo a giochi e spettacoli che strumentalizzano e distruggono la dignità della persona, che viene valutata non per quello che è ma per quello che rende e fa vendere. Però ci sono tante esperienze di gioco, di sport e di spettacoli, in cui viene esaltata la dignità della persona e viene riaffermata l'importanza e la necessità che tutti, anche i meno dotati, possano partecipare e giocare, non per i primati da conseguire ma per la gioia di esprimersi con tutto se stessi.
    È necessario entrare e stare nel mondo del gioco e dello sport con atteggiamento di attenzione, di comprensione e di collaborazione.
    Si può contribuire alla promozione della cultura e della mentalità sportiva solo con un apprezzamento positivo e una chiara intelligenza del significato del gioco buono. Coloro che si sforzano di inserire questa componente vitale del gioco nelle grandi dimensioni dell'educazione e dell'evangelizzazione, vanno incoraggiati e lodati. Dopo di che possiamo dire una parola anche contro gli abusi, come ad esempio la crudeltà del pugilato che giunge fino al knock out, l'insensato e isterico culto dei divi, i balli indegni, i giochi osceni e cose simili.

    Gioco e libertà

    Nella gioia del gioco, nella cultura e nell'ammirazione del bello è necessario educarci ad essere coinvolti con simpatia e ottimismo nel fenomeno sportivo ma anche a saper prendere le distanze con intelligenza e libertà. La persona nella quale è sviluppata in maniera armonica la dimensione del gioco, della festa e del bello sa mantenere quella distanza dal mondo e dalle cose che è necessaria per non essere strumentalizzata e per vivere in pienezza e trasmettere ad altri la voglia di vivere gioiosamente.
    Qualcuno ha provato ad immaginare un tipo di uomo e di comunità umana nei quali mancasse del tutto la dimensione dell'allegria. Ne risulta una comunità dove ogni movimento deve servire a uno scopo concreto e tutto è mezzo e strumento per qualcos'altro; vi è una dipendenza completa che non lascia spazio alla libertà creativa.
    Anche nel gioco o meglio nell'attività sportiva dei piccoli si corre il rischio di considerarlo e di promuoverlo con la preoccupazione dei risultati, che diventano preminenti e obiettivi degli adulti, a scapito della crescita e della gioia dei piccoli protagonisti.
    Qualche altro ci invita a immaginare un mondo plasmato da uomini il cui spirito e la cui esperienza portino l'impronta dell'allegria, della fantasia, della creatività e dell'espressione artistica. In tale contesto è minore la tentazione di operare in modo sleale nella gara, è minore la spinta alla violenza e maggiore la disponibilità all'incontro e alla collaborazione.
    Soprattutto nell'età giovanile il tempo del gioco è della massima importanza, e si danneggerebbero in modo irreparabile i protagonisti di questa fase della vita se lo si restringesse o accorciasse indebitamente. Se i genitori sanno giocare con i figli, ciò è di beneficio per gli uni e per gli altri. Il culto del bello, della festa e del gioco apre al futuro, stimola la fantasia e la creatività, forma uomini capaci di affrontare molti problemi con la tranquillità della persona che gioca, e aiuta a scoprire la bellezza e la gioia del bene.
    La morale cristiana ha la sua migliore espressione nelle beatitudini. Essa è la celebrazione dell'amore, una morale di libertà che non va solamente attuata ma anche celebrata, poiché non può essere attuata se non si gode di essa e non la si celebra.
    È necessario vedere nel gioco una via per giungere all'esperienza esistenziale di sé, per arrivare alla conoscenza vitale. Il gioco apre un orizzonte essenziale di conoscenza che ha le caratteristiche della vicinanza, della nobiltà e dell'attrattiva. L'appello morale è fondato sul messaggio della salvezza, su quella libertà festiva resa possibile dalla benignità di Dio e dalla grazia dello Spirito Santo.
    Per la verità, l'appello morale è anche impegnativo: il bene per essere realizzato esige di fare delle scelte chiare e qualcuna in modo assoluto. Ma tali esigenze si impongono nella gioia della fede, che ci porta a vedere le persone e le cose nella loro giusta dimensione. Nella contemplazione e adorazione del Signore della vita, tutto santo e misericordioso, noi diventiamo liberi con quell'impegno e serietà, che è sempre accompagnata dalla serenità e dall'allegria. Nella misura in cui concepiamo la nostra vita come risposta al meraviglioso gioco di Dio, noi affronteremo con serenità la sfida del gioco della vita e non saremo succubi di una visione delle persone e della società puramente tecnica, basata sull'efficienza, che pretende di avere l'esclusiva della serietà e considera il gioco come qualcosa di infantile e di importanza secondaria. Si risponde alla splendida iniziativa di Dio con una fede gioiosa e con quella felice serietà che è gioco, ma ovviamente anche qualcosa di più del gioco. Per Harvey Cox la preghiera genuina è il gioco dei figli liberi davanti a Dio, e una simile preghiera libera tutte le nostre energie per vivere la vita dei redenti.

    (Riflessione ispirata a uno studio di B. Häring: «Il gioco» in Liberi e fedeli in Cristo, vol. II, ed. Paoline)


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