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    I santi e i morti



    Carlo Molari

    (NPG 1995-07-05)

    Noi viviamo in quanto conserviamo memorie. Quando l'esercizio della memoria viene meno, la nostra identità sia a livello personale che sociale si sfalda. Non mi riferisco esclusivamente alla memoria intellettiva, ma principalmente alla memoria vitale, che conserva le numerose informazioni necessarie alla vita trasmesse dagli altri. In ogni istante, ogni persona e ogni gruppo sociale è solo ciò che conserva dei numerosi doni vitali e culturali ricevuti dai predecessori.
    Quando poi la memoria è esercitata nell'orizzonte della fede in Dio, allora i doni vitali sono considerati l'espressione di una azione più ricca e più perfetta, l'emergenza di una Parola creatrice, frutto di un Amore immenso. Fare memoria nell'orizzonte della fede quindi vuol dire consegnarsi, abbandonarsi con fiducia alla Parola, che alimenta la vita, all'Amore, che la attraversa, alla Verità, che la illumina. Non sappiamo dove essa ci conduca, ma siamo certi che è forza positiva e che là dove ci guida, ci attende vita.
    La nostra piccola esistenza è un tratto infinitesimale di una lunga storia, che non conosciamo se non nel piccolo spazio che ci è dato abitare o ricordare. Ricordare i morti significa inserirsi consapevolmente in questa storia per farla procedere. I morti, infatti, sono coloro che ci hanno consegnato la vita, e che, vivendo accanto a noi, sono entrati a far parte della nostra esistenza e hanno lasciato una traccia ancora viva nella storia. Ricordare i santi significa in particolare fare memoria dello sviluppo avuto e in particolare dell'atteggiamento teologale di Gesù e dell'influsso esercitato nei secoli dalla sua avventura salvifica.

    Raccogliere l'eredità di vita

    Facciamo quindi memoria dei santi e dei morti per raccogliere una eredità. Oggi la nostra generazione è l'unico ambito dove si concentra tutta la ricchezza accumulata dall'umanità nei millenni della sua storia precedente. Ricordare i predecessori vuol dire esercitarsi a raccogliere l'immenso tesoro che è stato accumulato da uomini fedeli alla vita: possiamo perderlo o farlo fruttificare per il cammino che ancora ci resta da fare. Ma possiamo anche distruggere completamente la ricchezza umana e così bloccare la storia. Oggi questa è una reale possibilità dell'attuale umanità. Quando trascuriamo, perdiamo o distruggiamo le ricchezze vitali e culturali, anche solo accontentandoci di vivere in economia e di condurre avanti stancamente la vita, rendiamo insignificanti gli sforzi e le fatiche, le gioie e le sofferenze, gli amori e le lotte delle generazioni che ci hanno preceduto. Ma più ancora rendiamo vane le attese e le speranze suscitate in loro dalla vita lungo i millenni.
    Oggi poi che siamo passati da una concezione statica della realtà ad una visione dinamica ed evolutiva, siamo in grado di leggere la nostra fedeltà non più semplicemente come semplice fedeltà al passato, ma più ancora come il consenso perché la vita possa esprimersi secondo modalità inedite. L'infedeltà costituisce un ostacolo al loro irrompere così come la fedeltà le rende possibili e ne consente la realizzazione. Noi possiamo impedire che fiorisca ciò che è già stato seminato, ma possiamo pure impedire che sia sparso il seme di ciò che ancora non è stato pensato. Ricordare i morti non è semplicemente fare memoria di ciò che un giorno è stato, ma è rendere possibile ciò che ancora non è stato mai vissuto; è far fiorire ciò che è in embrione, ma anche consentire all'inedito assoluto di irrompere. La santità, in questa luce, non è la semplice esecuzione di comandamenti divini, ma è l'adesione al processo della vita, alla grande storia dell'universo, per renderne possibili gli sviluppi ulteriori. Fare memoria dei santi quindi significa inserirsi sulla loro scia per proseguire oltre ma nella stessa direzione.
    L'umanità in molti ambiti è ancora allo stadio neolitico. Molte espressioni contenute nella parola creatrice non hanno potuto trovare ancora alcuna realizzazione. Ci sono forme di umanità che non sono apparse, ci sono conoscenze, realizzazioni di giustizia che non sono state neppure pensate, ma che sono possibili, e che oggi sono affidate alle nostre mani. Non perché noi possiamo realizzarle subito o completamente, ma perché la loro realizzazione passa anche attraverso la nostra generazione. La fedeltà dei santi è lo spazio della loro irruzione.
    Perdere memoria del nostro passato, quindi, è essere infedeli alla vita, non solo nel senso che tradiamo le attese da altri lungamente coltivate, ma anche perché vanifichiamo e quindi rendiamo insignificante l'azione di Dio nella storia degli uomini.

    Memoria dei propri morti

    Quando la memoria riguarda persone care, c'è un altro aspetto da considerare, perché esse fanno parte della nostra persona.
    Fare memoria dei nostri cari è ripercorrere i numerosi sentieri della esistenza passata, non solo per rievocare, ma per riassumere e far fiorire in forme nuove di fraternità, di servizio, di amore, cioè di vita, tutto l'amore che ci ha alimentato. C'è qualcosa dei genitori, degli amici, dei figli, dei coniugi, degli avi, che sono scomparsi, presente ancora dentro di noi e nella storia. Fare memoria dei nostri cari non è solo rivivere un passato, ma è far risuonare alcune fibre della nostra interiorità e della nostra storia. O, per portare un'altra metafora, è il farlo sbocciare perché produca fiori nuovi di vita.
    Se la loro presenza non è insignificante per la nostra vita, la loro dimenticanza tradisce il senso della loro offerta e, per quanto sta in noi, toglie valore alla loro esistenza. Il dono che essi ci hanno fatto, deve esprimersi come fiore nuovo e diventare dono per gli altri. Questa, infatti, è la ragione intima della vita: offrirsi, espandersi, svolgersi in forme nuove. Se noi non portiamo a compimento ciò che abbiamo ricevuto, rendiamo vano l'amore che l'ha alimentato; se invece lo facciamo rifiorire, diamo un senso nuovo all'esistenza di chi ce l'ha offerto.

    Testimoni di Cristo

    Ricordiamo, in modo particolare, i santi che continuano perciò la missione di Gesù riassunta nelle beatitudini.
    Quello di Gesù non era solo un proclama verbale: Egli incontrava la donna che piangeva e le restituiva il figlio morto; incontrava persone affamate e moltiplicava i pani; incontrava dei peccatori e con misericordia diceva: «Va' in pace»; entrava nella casa di Zaccheo e con la sua presenza ne sollecitava la conversione. L'annuncio non riguarda semplicemente la proclamazione di un futuro che deve accadere, ma riguarda un impegno da realizzare, un'azione da compiere. Se oggi noi ricordiamo la fedeltà dei santi, è per assumere questa stessa eredità e continuarla nel tempo.
    La preghiera per i morti e per i santi, perciò, è sì esercizio di memoria, ma anche impegno di fedeltà. Altrimenti tutto si esaurisce nella nostalgia e non diventa profezia, come deve essere ogni preghiera.


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