Feste mariane

Ermes Maria Ronchi

 

OTTAVO GIORNO DEL NATALE SANTA MARIA MADRE DI DIO

Dio ci benedica con la luce del suo volto (Nm 6, 22-27; Lc 2, 16-21)

Le prime parole della sacra Scrittura, in questo inizio d'anno, sono un piccolo tesoro di consolazione e di forza. Dio comanda ad Aronne, ai suoi figli e ai sacerdoti di sempre, a ogni credente: «Voi benedirete gli Israeliti!».
Voglio tenere per me questo comando come un piccolo lume sempre acceso: tu benedirai. Se ho un compito da svolgere, una missione da realizzare, è quella di benedire, cioè di trovare e dire parole buone, scoprire e dire il bene della vita, il bene dell'uomo, il bene dei giorni. Io cercherò di benedire, anche se altre parole urgono dentro. E potessimo benedirci in ogni famiglia, per quanto sia difficile, in ogni comunità, benedirci con le parole, con i pensieri, dire all'altro che mi è vicino: «Io ti benedico, tu sei benedizione di Dio per me».
Dio stesso ordina le parole, quelle e non altre. E sono parole bellissime: «Ti benedica il Signore e ti protegga, faccia brillare il suo volto su di te. Il Signore illumini per te il suo volto». Immaginare, ed è solo un aiuto per la nostra povera mente, immaginare che Dio abbia un volto luminoso, significa affermare che Dio ha un cuore di luce, che in lui non c'è ombra, che per nessuno ci sarà la notte per sempre.
Auguro a tutti voi, sorelle e fratelli, di scoprire in quest'anno che viene un Dio luminoso, un Dio solare, ricco non di troni e di poteri, ma il cui più vero tabernacolo è la luminosità di un volto; un Dio che fa festa per il figlio pentito (Lc 15, 6.9.23-24), il Dio dalle grandi braccia e dal volto di luce.
Nel salmo responsoriale abbiamo cantato: «Il Signore ci benedica con la luce del suo volto». La benedizione di Dio non è né ricchezza, né salute, né successo, né fortuna, ma molto semplicemente, molto profondamente, è la luce, quella luce interiore, spirituale, la luce per scegliere, la luce da gustare.
La preghiera sui doni, durante l'offertorio, lo dirà in altri termini: «Ogni bontà e ogni bellezza, o Dio, da te cominciano e sono da te portate a compimento». Bontà e bellezza servono per conquistare la luce. Infatti un volto luminoso, quando lo incontriamo, ci parla subito di una vita buona e bella.
L'augurio che Dio rivolge a ciascuno, oggi – parola intima, delicata –, è di scoprire il suo volto luminoso. E poi a nostra volta di diventare persone luminose, seguendo bontà e bellezza, e di vivere accanto – ecco l'augurio grande che mi permetto di rivolgere a voi – a persone luminose, nella nostra famiglia, nelle comunità, nei luoghi di lavoro. Vi auguro la fortuna di vivere accanto a persone luminose, che sono la benedizione di un Dio a sua volta luminoso. Dio ti benedice ponendoti accanto persone dal volto e dal cuore pieni di luce, che sanno vivere bontà e bellezza.
Continua ancora la benedizione così: «Il Signore ti sia propizio». Dicono gli esegeti che questa espressione indica il chinarsi di Dio, l'avvicinarsi del Signore, il suo curvarsi amoroso su di te. «Rivolga a te il suo volto.» Che cosa ci riserverà l'anno che viene? Non lo so. Non conosco le sorprese, belle o tristi, che incontreremo, non so il lamento, il dubbio, il perché. Di una cosa sono certo: il Signore si chinerà su di me. Potrò andare lontano, prevedere fatiche nuove, ma potrò affrontare tutto ciò che verrà perché Dio si curverà su di me, sarà il mio arco di cielo, sarà il mio confine, sarà la mia luce.
Non so che cosa sarà di me; so solamente che Dio si chinerà su di me. Curvo su di me perché non gli sfugga un solo sospiro, perché non vada perduto alcun tremore. E io gli dirò: «Non ti lascerò se non mi avrai benedetto» (Gen 32, 27). Siamo qui a ripetere le parole di Giacobbe che lotta con l'angelo: «Non ti lascerò se non mi avrai benedetto». Siamo qui a ripetere l'insistenza della vedova del Vangelo (Lc 18, 1-6), ci teniamo stretti a Dio finché non ci benedica, non per strappare qualcosa che gli costa concederci, ma perché Dio ha desiderio del nostro desiderio, Dio desidera che abbiamo desiderio di lui.
Non conosciamo più la lotta con l'angelo (cf. Gen 32, 25ss) e ci pare di avere solo diritti. Anche della misericordia di Dio abbiamo diritto. Ma il dramma è che non ne abbiamo più desiderio e non ci fermiamo ad accoglierla.
«Io non ti lascerò andare», non uscirò da questo luogo, Signore, «se non mi avrai benedetto», perché ho bisogno della tua benedizione, un bisogno che mi fa soffrire. «Non ti lascerò in pace, non ti lascerò andare, non ti lascerò tranquillo finché non mi avrai benedetto.» Sapessimo riscoprire l'insistenza, la perseveranza, la lotta con l'angelo nell'orazione. Solo dopo questa lotta staremo bene, noi e Dio. Solo lottando staremo in pace, noi e Dio.
Così termina la benedizione di Aronne: «Il Signore ti conceda pace». Pace è innanzitutto il contrario della paura. Pace è il bambino in braccio a sua madre. La parola che gli Ebrei usano è shalom, ricchissima di senso, che non indica solo la fine delle guerre, ma indica gioia, armonia, giustizia, qualcosa che si diffonde nell'intera vita della società a partire da Dio e da me. Qualcosa che ti fa responsabile d'altri.
Il modo per avere pace, per abitare il mondo con pace, ci è indicato dal Vangelo, nella via di santa Maria e nella via dei pastori. «Maria conservava e meditava nel cuore» (Lc 2, 19) tutto ciò che era accaduto. La storia di un figlio è scritta prima di tutto nel cuore di sua madre.
Conservare è qualcosa che tutti possiamo fare. Conservare è il verbo che salva il passato, che salva la gratitudine e il gesto e la parola buona che ieri abbiamo ricevuto. Meditare salva il presente e dà profondità al domani.
Prepariamoci anche noi ad accogliere l'anno nuovo, il futuro di Dio, e a conservare ciò che abbiamo vissuto. Oggi, giorno aperto sul futuro, conserviamo e meditiamo le nostre annunciazioni, le nostre fecondità, le nostre verginità riconquistate. Conserviamo e meditiamo tutte le ragioni della speranza in un Dio che si chinerà su di noi giorno dopo giorno, dicendo per il passato: "Grazie" e per il futuro: "Sì, Signore!". E poi benedicendoci l'un l'altro e insieme benedicendo Dio.
La seconda via è quella dei pastori, che «tornano lodando e glorificando e testimoniando». Di fronte all'annuncio del Natale, allora, dimentichiamo tutta la liturgia laica che presiede a questi giorni: alberi e regali, luminarie e auguri. Dimentichiamo per conservare ciò che vale, per meditare su ciò che conta, con la capacità degli abitanti di Betlemme e dei pastori di stupirci della fede, e con il dono di riuscire a stupire qualcuno raccontando del cielo che si è fatto vicino, raccontando il volto di Dio imparando a benedire.
E come oggi ricomincia il grande ciclo dell'anno, così noi ricominciamo da capo la nostra avventura, con fiducia verso figli più felici, verso meno buio, meno fango, meno sangue.
Buon anno, allora, a ciascuno, ma buono della bontà di Dio, bello della sua luce. «Dio ti benedica con la sua luce, faccia risplendere su di te il suo volto, si curvi su di te e ti dia vita.» Amen.

 

IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

(8 dicembre)

Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te (Lc 1, 26-38)

Secondo un'antica tradizione rabbinica, l'Adamo delle origini era in principio rivestito di luce, e fu solo con il peccato che la luce venne ricoperta dalla pelle dell'uomo; ma è ancora dentro, nascosta. Fu così che la tunica di bellezza che ricopriva Adamo divenne la tunica di pelle. Quando verrà il Messia, la pelle cederà nuovamente il posto alla luce dell'inizio e il nuovo Adamo sarà l'Adamo di luce.
A questa tradizione rabbinica si riferisce forse Paolo quando esorta i cristiani con quella immagine così bella: «Indossate le armi della luce» (Rm 13, 12). Forse conosce il racconto anche Giovanni, che nell'Apocalisse parla di «una donna vestita di sole», vestita di luce (12, 1).
Ebbene, l'Immacolata, la donna senza peccato, è proprio questo: la breccia della luce, la porta della bellezza sepolta dentro ogni uomo. La nostra missione, la nostra vocazione è, allora, liberare la luce che Dio ha posto in ciascuno e che il nostro vivere superficiale o sbagliato continua a nascondere. Ogni uomo è un custode della luce, luce custodita in un guscio d'argilla.
La festa dell'Immacolata, che significa letteralmente "preservata immune da ogni macchia di peccato originale", è la festa di una donna, ma in lei anche di ogni donna e di ogni uomo. È la festa del sogno di Dio per ogni suo figlio; festa delle radici sante dell'umanità, che nella loro origine sono pure, scintille luminose del grande braciere della vita, che nella sua origine è puro.
Le letture di oggi ci aiutano a fare questo collegamento. La prima ci mostra il primo uomo: è la storia di un tesoro perduto, di una luce smarrita. Nel Vangelo appare una donna nuova, la ragazza di Nazaret, in cui inizia il progetto nuovo di Dio. Nella lettera di Paolo entrano in scena tutti gli uomini, chiamati ad essere santi e immacolati, a entrare tutti nel progetto nuovo di Dio. Memoria, storia e profezia. E noi siamo qui a nutrirci di questi tre elementi e della luce sepolta in Adamo.
Ma con Maria, breccia della luce, comincia a trasparire quello che deve essere il nuovo Adamo. Con lei appare nel mondo una creatura che è solo bontà, una mano incapace di colpire, una parola incapace di ferire, una innocenza minacciata eppure vittoriosa, un gesto che non racchiude alcuna ambiguità, uno sguardo che non perde mai l'innocenza del suo brillare, un cuore senza divisioni, una verginità senza rimpianti, una maternità non possessiva, una sposa che ama in castità e tenerezza totali. La creazione, allora, può ripartire, perché vergine di nuovo.
La festa della donna senza peccato ci richiama anche a un altro ordine di riflessioni: ci ricorda la forza distruttiva e misteriosa del male in ogni vita. Maria però è il segnale che il male non è vincente, che la sua forza devastante si arresta. Il racconto della Genesi lo dice con parole che ogni volta riescono a confortare la speranza: «Porrò inimicizia tra te, serpente, e la donna. Tu le insidierai il calcagno». Il male può minacciare, può ferire l'umanità, ma solamente ferirla. Solo dietro di te è il male: ti colpirà alle spalle, ti insegue, ma è solo un passato che ritorna; non è davanti a te, non ingombra la strada, non occupa l'orizzonte. Non è il tuo futuro.
Il male è come in ritardo su di te: per questo «ti insidierà il calcagno». Ma la stirpe della donna gli schiaccerà la testa. L'umanità riuscirà un giorno a schiacciare quello che sembrava invincibile. La vittoria è dell'uomo. Il bene è più forte, nonostante tutto il male che vediamo occupare il nostro sguardo e parte del nostro cuore.
La vittoria è dell'uomo. Il bene è più forte del male. Allora l'uomo, proteso in avanti, ha un anticipo, ha un vantaggio sul male, perché ha dentro di sé una tunica di luce e non di tenebra; ha dentro di sé l'immagine di Dio e non quella del serpente. Ha davanti a sé un mondo che merita amore e non un baratro avvelenato. Certo, la sproporzione tra la vittoria promessa e ciò che abbiamo oggi fra le mani è il nome della speranza. È il tempo della speranza. Ricorda: solo dietro di te è il male e insidia il tuo calcagno. E questo ritardo del male, per grazia di Dio, sarà un ritardo eterno.
Oggi, allora, è la festa delle nostre radici e del nostro futuro, perché ciò che è accaduto in Maria accade in ciascuno; perché ogni dogma suo è lezione per la nostra fede. Le radici dell'umanità sono sante; il nostro futuro è una terra senza veleno di morte. Noi siamo tra questi due estremi, impauriti dalla santità, attratti dal peccato e dalla mediocrità.
A mia volta ripetere a chi incontro,
con la semplicità di chi vuol confidare un incanto:
«Ascolta, Dio riempie la tua vita;
rallegrati, anche tu sei amato per sempre.
Abbi fiducia: sei un mistero di peccato e di bellezza,
ma sei un amato mistero,
dove ancora accade il miracolo della salvezza».
In questo tempo d'Avvento l'Immacolata è come l'aurora del Natale. Entrambe le feste ci parlano di un Dio che si rivela spogliandosi di potenza e rivestendosi di umanità, che si rivela negli inizi della vita, nella generazione. Dio è generazione: egli è là dove la vita celebra la sua festa. Ed è Natale. Ed è l'Immacolata.
I primi capitoli dei Vangeli di Matteo, di Luca e di Giovanni sono intessuti di nascite. La storia è scandita dal ritmo del generare. Ed è storia sacra, per dirci che Dio crea ancora, ma crea generando; che entra nella storia e la cambia generando vite, non con i miracoli, ma con i suoi figli. Cambia la storia non con prodigi, ma con i suoi amici. Viene non sulle ali dei cherubini, ma nel grido vittorioso del bambino che nasce. E poi Dio fa spazio all'uomo. Il Verbo fa spazio alla carne. Ed è l'uomo che assume col suo passo, col suo ritmo, la fragile luce che gli è affidata, e la porta a maturità.
L'angelo dice a Maria: «Chaire. Sii lieta! Sii felice!». Il tuo nome è: "Amata per sempre". Un angelo viene ancora a ripetere per ciascuno: Tu sei amato. Dio ti ha scelto prima della creazione del mondo. Dio ti ha scelto quando non eri che una perla di sangue e di luce.
Allora vorrei pregare così:
Io sono come un bambino, Signore: da solo non saprei vivere.
Sei tu che mi fai esistere.
Ma sapermi amato da te: questo è il senso. Sono come un bambino appena nato:
che cosa posso fare per meritarmi l'amore? Cosa posso offrire di mio?
Eppure sono amato, immeritatamente. Cosa posso fare, allora?

 

ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

(25 marzo)

Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te (Lc 1, 26-38)

È, questo, un Vangelo pieno di parole che non riusciamo a recintare, che dicono più di tutto quello che possiamo dire. Eppure, riascoltandolo ancora una volta, mi sembra che tutto avvenga nel silenzio, senza testimoni. Le voci degli angeli non fanno rumore: una donna, una giovane donna, e l'incredibile annuncio. Non ci sono altre voci, se non questo parlare stupefatto dell'angelo e della donna, senza testimoni, in questa intimità che vorrei tanto recuperare per me: io e il Signore, in questo parlarsi; tu e Dio, in questa intimità.
L'annuncio a Maria non avviene nel tempio, ma nella casa, e indica l'eterna preferenza di Dio. A Davide, che vuole dargli lo spazio di un tempio, Dio risponde che preferisce lo spazio dei pascoli, dei greggi in cammino, delle generazioni, della storia degli uomini, delle mille storie degli uomini. Lo spazio delle strade: «Sono stato con te dovunque sei andato» (2Sam 7, 9) dice a Davide, a ciascuno. Su tutte le mie strade lo posso incontrare; per quante strade io percorra, per quanto lontano io vada, dovunque io vada, sempre è con me.
Nella carne di Maria, nel suo grembo, Dio accade. Ed è così che vuole accadere, nella storia di ciascuno, nella nostra carne, cioè nella nostra vita, nella nostra casa, sulle strade che noi percorriamo. Il tempio amato da Dio è la carne della vita. «Un corpo mi hai preparato» abbiamo ascoltato nella Lettera agli Ebrei. Ora sta a noi offrire a Dio la carne della nostra storia.
L'angelo dice innanzitutto a Maria: «Chatre, sii lieta, gioisci, rallegrati!». L'angelo che viene da Dio non dice: Fa' questo, inginocchiati, ascolta, prega... Semplicemente: «Gioisci!». Il primo annuncio, il primo vangelo è lieta notizia e precede qualunque tua risposta. Il primo vangelo è: «Tu sei piena di grazia, Ma- ria!». E per noi questa parola: Tu sei amato teneramente, gratuitamente, per sempre. Il nome di Maria, allora, è "amata per sempre". E la sua funzione nella Chiesa è ricordare, nel suo stesso nome, quest'amore che dà gioia.
«Il Signore è con te»: questo il nome di Dio! Io sono colui che è con te, che è qui. E quando il Signore Gesù lascerà la terra, ripeterà con la sua ultima parola la prima parola dell'angelo: «Io sarò con voi sempre, fino al consumarsi del tempo» (cf. Mt 28, 20). Il nome di Dio è: Io sono con te. Il nome dell'uomo è: Eccomi.
E aggiunge l'angelo: «Non temere, Maria», non temere se Dio non prende le strade dell'evidenza, della potenza, del clamore, della grandezza apparente; non temere, sé Dio l'Altissimo si nasconderà in un piccolo essere umano, in una perla di luce e di sangue, nascosta dentro di te. Non temere le nuove strade di Dio, così lontane dalla scena, dalle luci, dalle emozioni solenni del tempio; non temere questo Dio bambino che verrà solo se tu lo vuoi, che vivrà solo se tu lo ami.
Maria, Dio vivrà per il tuo amore. Ed è ciò che dice a ogni madre. Tutti noi viviamo per l'amore di una madre. Ma l'angelo ripete a ciascuno: Dio vivrà oggi nel mondo per il tuo amore. Tocca a noi, oggi, aiutare Dio ad essere vivo nel nostro mondo, nella nostra storia, ad essere presente e significativo, ad essere forte e incisiva presenza. Dío vivrà per il nostro amore.
«Non temere, Maria.» Per 365 volte ritornano nella Bibbia queste parole: «Non temere!». Quasi un invito per ogni giorno dell'anno, per ogni anno della vita, quasi pane quotidiano per il cammino del cuore.
Infine l'angelo dice: «La potenza dell'Altissimo scenderà su di te». Si distende e riempie di vita la vita. E a ciascuno ripete: La casa di Dio è la vita. Dio abita la tua vita e la trasforma. Lascia che la Parola diventi carne, cioè diventi corpo, muova le tue mani, muova i tuoi gesti, muova i tuoi piedi e i tuoi occhi in modo nuovo, in un modo legato alla pace, alla giustizia, alla mitezza, alla misericordia. Dio è nella nostra vita come capacità di credere, di sperare, di amare, di servire. Lascia che Dio trasformi i tuoi gesti e tu possa dire le parole più vere, e inventare i gesti più buoni.
Con Simone Weil credo che «la vita del credente è comprensibile solo se in lui c'è qualcosa di incomprensibile», solo se in noi c'è un di più di ciò che è l'uomo: un sogno, un angelo, Dio, un amore e una gioia immotivati, una vita da altrove, come nel grembo di Maria; solo se in noi c'è qualcosa di cui dichiararci "servi".
«Sono la serva del Signore» significa che c'è un progetto più grande di me, c'è qualcosa che vale più della mia vita; il mio amore vale più della mia vita, di esso sono servo. Non appartengo solo al mio sogno, ai miei progetti: appartengo al sogno e al progetto di Dio.
E vorrei pregare così, con la devozione di chi vede in lei l'immagine luminosa che conduce i nostri passi:
Santa Maria, donna dell'annunciazione,
noi ti riconosciamo come specchio lucente
della nostra comune vocazione.
La tua chiamata è la nostra: una proposta nuziale,
una proposta feconda
dentro il grembo sterile della storia:
far nascere di nuovo la vita.
O sposa, sedotta per prima dal bacio dello Spirito,
o sposa che lo hai riamato per prima,
ottieni ogni giorno al nostro cuore
la verginità necessaria
per risvegliarci alla meraviglia della divina seduzione.
L'angelo ancora è mandato a ogni vergine, a ogni cuore puro, a ogni cuore libero, per annunciare che solo questo genera vita per il mondo: un amore puro e libero. L'angelo ancora attraversa favolose.; distanze per ripetere a ciascuno le parole più belle: Sii felice; il tuo nome è "amato per sempre"; tu sei casa di Dio. Dio riempie, da ora e per sempre, la tua vita.

 

ASSUNZIONE DELLA VERGINE MARIA

(15 agosto)

Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore (Lc 1, 39-56)

La festa di santa Maria assunta in cielo non ci parla semplicemente di una donna, per quanto grande, ma parla di tutta la Chiesa. Perché le verità che riguardano Maria sono l'alfabeto della nostra vita.
La festa di oggi afferma che la Chiesa porta in sé il futuro del mondo, anticipato dalla Vergine Maria. E perciò mostra a ciascuno di noi la via verso il futuro. Ed è un futuro buono. Lo dice con un'immagine solare il libro dell'Apocalisse, la prima lettura: «Nel cielo apparve un segno grandioso: una donna vestita di sole, coronata di stelle». È l'immagine del nostro futuro, umanità di luce pur attraverso la lotta, umanità che dischiude frutti buoni. Lo dice il cantico del Magnificat, con un Dio che innalza, solleva, riempie, abbatte e crea una terra nuova, un'architettura del mondo fatta di giustizia e di bontà. Anche Paolo parla di un futuro buono, nella seconda lettura, dove Cristo è il primo risorto di una immensa carovana che ci comprende tutti (cf. 1Cor 15, 20) e tutti riceveremo vita e l'ultimo nemico sarà annientato.
Come credenti, portiamo in noi la forza di questo futuro, come un seme di fuoco, come un seme di luce. Ognuno, come credente, porta in sé il futuro del mondo. E se molte cose nella nostra storia attuale sembrano contraddire la speranza, per noi, come per i profeti, la parola di Dio è più vera della sua realizzazione.
Noi amiamo le promesse di Dio più della loro attuazione, come faceva Abramo. Egli crede nella terra promessa anche se, quando muore, ha solamente acquistato tanta terra quanta basta a scavarvi una tomba; anche se, quando muore, della innumerevole discendenza promessa – «Avrai più figli che stelle in cielo» (cf. Gen 15, 5) – ha accanto a sé soltanto 'sacco, il piccolo seme. Abramo crede alle promesse di Dio più che alla loro realizzazione.
La festa dell'Assunta ci aiuta ad acquisire fede, acquisire la bellezza del vivere, credere che è bello vivere, è bello amare, è bello sposarsi e avere figli, è bello essere frate o suora. È bello perché il mondo va verso uno sbocco positivo e luminoso, verso un esito forte e grande, qui nel tempo e poi in una vita che non avrà più fine.
Santa Maria, la donna umile che veniva dalla periferia del mondo di allora, ha attraversato per prima il mondo di sempre, le frontiere del cielo. Come dice padre Turoldo:
Vieni e vai per gli spazi
a noi invalicabili,
anello d'oro del tempo e dell'eterno,
anello che rilega, collega, unisce il tempo e l'eterno, l'uno nell'altro, senza soluzione di continuità.
Lei ci insegna a vivere sulla terra con quella parte di cielo che la compone. La fede di Maria è la nostra, è ciò che tiene insieme il lavoro quotidiano e le cose eterne, le realtà penultime di una vita semplice e le realtà ultime, il non vedere e il non capire, e poi la luce improvvisa che rivela il senso: la morte come esperienza devastante e poi la speranza della risurrezione.
Dobbiamo anche noi intrecciare queste due dimensioni: la semplicità fedele alla propria vocazione durante l'esistenza terrena e l'attesa di approdare a quel mare immenso di luce, dove saremo sempre con il Signore e con quanti abbiamo amato. Mantenere uniti in noi i due capi dell'esistenza: la perseveranza fedele giorno per giorno e la speranza tenace di un incontro che, come diceva il poeta francese Mallarmé, «non sarà inginocchiarsi al trono di un imperatore immortale, ma sarà baciare tremando la sorgente vergine dell'universo».
Maria è colei che ha dato carne a Dio sulla terra, colei che è carne di donna in paradiso. Con il suo corpo è in cielo. E questo significa che ogni giornata di Maria, vissuta nel silenzio e nel lavoro, ogni ora trascorsa tra le attività della casa, nella pazienza fedele, tutte le gioie e le sofferenze, tutte le notti oscure della sua vita e la speranza indomita, tutto è entrato nell'eternità. Gesù l'ha detto con un'immagine fortissima: «Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» (Mt 10, 30).
E così sarà anche per noi. «Io credo nella risurrezione della carne» diremo tra qualche istante. E se questo sembra così difficile, oggi, se per molti la vita eterna sembra essere per nulla attraente, sappiamo che nel destino di questo corpo è iscritto lo stesso destino dell'anima. Perché l'uomo è uno. E oggi è la fe-
304sta dell'unità dell'uomo, del destino glorioso del corpo uguale al destino glorioso dell'anima. Oggi ogni uomo, obbediente e fedele, canta all'intera salvezza in anima e corpo.
Questo corpo, questa realtà così fragile e sublime, così cara, così sofferente, sacramento d'amore, strumento talvolta di violenza, questo corpo in cui sentiamo la densità della gioia, in cui soffriamo la profondità del dolore, diventerà, dopo l'ultimo viaggio, porta aperta alla comunione, divina tastiera per una melodia che nessuno ha ancora saputo trarre, diventerà trasparenza di cristallo, sacramento dell'incontro perfetto. Oggi la Chiesa intona il canto del valore del corpo. E se una vita vale poco, niente vale quanto una vita.
Un antico testo cristiano, la Lettera a Diogneto, consiglia al credente: «Ogni giorno fermati a contemplare il volto dei santi». Santi che ci incontrano, che incrociamo nella vita, santi che vivono forse nella nostra casa. Contempliamo oggi, però, il volto di santa Maria, certi che l'uomo diventa ciò che contempla, che ciascuno di noi diventa ciò che guarda con amore, ciascuno diventa ciò che ama.
Santa Maria, la donna vestita di sole, la donna generante vita, la donna mai arresa in lotta con il drago, la donna del più grande viaggio, fa scendere fino a noi, fino alle nostre case, una benedizione di speranza, consolante, su tutto ciò che rappresenta il nostro "male di vivere"; una benedizione sugli anni che passano, sulle tenerezze negate, sulle solitudini patite, sui figli che sbagliano, sul decadimento di questo nostro corpo, sulla corruzione della morte, sulla lotta contro il nostro piccolo o grande drago rosso, che ci insidia ma che non vincerà, perché la bellezza è più forte della violenza.
L'Assunta è allora la festa della nostra comune migrazione verso la vita. Come abbiamo cantato nel salmo responsoriale, nella versione di padre Turoldo: «Ora lei viene dal re e la seguono / amiche vergini in danze di gioia». Siamo noi, l'umanità intera, che avanza verso la reggia. Siamo umanità ferita, dolente, eppure incamminata; siamo umanità caduta, eppure incamminata, umanità che ben conosce il tradimento e la crisi della fede, ma che non si arrende, perché ama con la stessa intensità il cielo e la terra, perché sa che è deposto dentro ciascuno l'anello d'oro che lega insieme il tempo e l'eterno.

 

MARIA ADDOLORATA

Gesù disse al discepolo: «Ecco la tua madre» (Gv 19, 25-27)

E Gesù disse al discepolo: «Ecco la tua madre». Ma le parole esatte del Vangelo sono: «Guarda: è tua madre!». E questo verbo, questo imperativo, è indirizzato a ogni discepolo: «Guarda, rivolgi gli occhi, tieni fisso lo sguardo su Maria». È l'ultimo comandamento che il Signore morente lascia a ciascuno di noi: «Se vuoi essere discepolo, guarda a Maria, impara da lei, dai suoi gesti, dalle sue parole, dai suoi silenzi; lasciati educare e formare da lei, come fa ogni madre con i suoi figli. E ripeti il suo ascolto, la sua lode, la sua cura, la sua fortezza, la sua capacità di essere madre ancora quando un figlio muore e un altro figlio le è dato».
Oggi celebriamo la solennità dell'Addolorata. Ma non è sul dolore di Maria che fermiamo l'attenzione, ma sul dolore del mondo, sull'immenso peso di lacrime che grava sulla terra e sulla speranza che pare ferita a morte. Il Calvario non è solo un colle appena fuori Gerusalemme, ma il mondo è tutta una collina di croci e le ultime grandi croci sono piantate a New York, in Afganistan, in Iraq.
Eppure, quando tutto muore, quando tutto si fa nero sul Golgota, Gesù pronuncia parole di vita. Dice "madre". Dice "figlio". Dice generazione e affetto e vita che riprende a scorrere.
Sul Calvario è Gesù che prega un uomo e una donna di riannodare il filo spezzato della vita. Nel vertice del dolore non sono gli uomini che pregano Dio, ma è Dio che prega l'uomo e gli dice: «Conquista occhi di madre, guarda con occhi di figlio: sono gli unici che vedono veramente!». Dio invoca l'uomo sul Calvario, perché l'uomo converta lo sguardo con cui vede il mondo e il cuore con cui opera nel mondo. Perché cambi le mani con cui prende e dà la vita e la morte.
Nel giorno del grande dolore noi ci aggrappiamo a Dio. Invece sul Calvario è Dio che si aggrappa a noi, a quella parte sana e buona, a quella parte affettuosa e forte, a quella porzione di fiducia, anzi, alla cosa più forte – istinto, energia, amore – alla cosa più forte che esista sulla terra, il rapporto madre-figlio. Per ricostruire da li un cammino che passi oltre le infinite croci. Leggiamo nella Bibbia che Dio all'origine «creò l'uomo a sua immagine e somiglianza». Ma se cerco somiglianza con Dio fra gli uomini e i loro comportamenti, tornerò con il cuore vuoto. Forse dobbiamo dire che Dio creò nell'uomo solo un abbozzo della sua immagine, solo qualche linea, presto interrotta, subito assediata dal mysterium iniquitatis, il mistero dell'iniquità. È qualcosa che ci supera, che viene da prima di noi, ma che poi ci sconvolge, perché il grande mistero dell'iniquità è che l'iniquo crede di fare il bene. I terroristi credono di distruggere il grande satana, la fonte dell'iniquità della storia. Questo è il grande mistero.
Ma io voglio riprendere quell'abbozzo d'immagine, riprenderlo dal Calvario e cercare i lineamenti di Dio nel mistero della croce. E di una madre alla quale voglio guardare se voglio crescere. Allora porterò il mio contributo al mondo. Porterò una piccola pietra alla costruzione di qualcosa. Io non voglio distruggere, né abbattere, ma edificare e piantare. Voglio piantare ulivi e vigne che diano frutto domani o tra cinque o dieci anni, anche quando intorno le macerie sembrano coprire tutto e soffiano venti di guerra.
Devo discernere linee del volto di Dio, tra cui certo il Dio giusto, il Dio che ci libera dal male. Ma soprattutto il mysterium salutis da opporre al mysterium iniquitatis. La risposta è Gesù Cristo. Torniamo allora al Calvario, a Gesù, che ci affida una vocazione. Ai piedi della croce è la prima cellula della chiesa, Maria e Giovanni. Ciò che è detto a loro è detto a tutta la chiesa. Anche a noi Gesù dice: «Ecco tuo figlio». Lo dice a me, a te, a ciascuno, indicando chiunque ci cammina a fianco nell'esistenza: «Ecco tuo figlio».
A ciascuno ripete: «Ecco tua adre», indicando chiunque un giorno ci abbia aiutato a vivere, innumerevoli piccole madri nella nostra esistenza, chiunque ancora oggi ci sostenga nella vita. Figlio e madre ad ogni creatura, questo è l'uomo di Dio. Figlio e madre a ogni vita, questo è il discepolo di Cristo. E la nostra vocazione è custodire, proteggere, prendersi cura, amare, «prendere Maria» e tutti coloro che ti furono madre «tra le tue cose care». Come ha fatto Giovanni. Tutti noi abbiamo un compito supremo: «Custodire delle vite con la nostra vita, soprattutto là dove la vita langue ed è prossima a spegnersi» (E. Canetti). Questo ci permette di essere, là dove viviamo, dei soccorritori, feriti, ma anche guaritori, almeno guaritori dal male di vivere che è l'odio. L'odio ti sfibra dentro e poi ti corrompe perfino il corpo. Se ti porti odio dentro, esso finisce sempre per stritolarti.
La nostra vocazione è la maternità. È stare con Maria accanto alle infinite croci della terra, dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli, per portare conforto e lavorare alla redenzione, e lottare contro il male. «La creazione è ancora nel dolore e nel travaglio» (Rm 8, 22).
Il mondo è un immenso pianto, ma anche un immenso parto. Ma la consapevolezza di essere portatori di energie che libereranno la creazione dalla schiavitù dell'iniquità per introdurla nella libertà dei figli di Dio, ci dia la speranza e la gioia promessa da Cristo e che nessuno ci potrà togliere.

(Da: Prima delle sorgenti, Servitium 2007; Ha fatto risplendere la vita, Servitium 2003)