Feste mariane
Tomáš Špidlík
1 gennaio: Solennità di Maria Santissima, Madre di Dio e inizio dell'anno nuovo
L'anno nuovo
"È cominciato l'anno nuovo, ma se non hai cominciato una nuova vita, rimani nell'anno vecchio". Sono parole del mistico Angelo Silesio. A prima vista, sembra una battuta spiritosa che si ascolta volentieri e si dimentica presto. In realtà, pone un serio problema: siamo noi a dipendere dal tempo, o il tempo dipende da noi? Per rispondere, dobbiamo prima renderci conto che cosa è il tempo e come lo consideriamo. Si possono distinguere diverse concezioni. Parliamo di un tempo reale, di un tempo psicologico, morale e infine ci possiamo chiedere che cosa dice del tempo la teologia. Proviamo quindi ad analizzare questi diversi "tempi".
Il tempo reale sarebbe quello che misuriamo con l'orologio e con il calendario. Aristotele, e dopo di lui gli scolastici, lo definivano come la numerazione del movimento. La terra gira intorno al suo asse in un giorno che abbiamo diviso in 24 ore. Questo tempo sembra assolutamente valido, ma non lo è. Se il movimento della terra e di tutto l'universo rallentasse, noi probabilmente non ce ne accorgeremmo.
Il tempo corre secondo il proprio ritmo, e a noi non rimane altro che approfittarne per la nostra utilità. "Non perdiamo tempo! ", ammoniscono tutti, sia quelli che lavorano che quelli che si divertono. Già gli antichi dicevano: "Coroniamoci di rose finché fioriscono. Il tempo corre senza pietà!". Chi non ha utilizzato bene il suo tempo, ha perduto la vita, è più disgraziato di tutti. Il suo orologio è stato caricato invano.
Ma da ciò segue un'altra conclusione. A chi utilizza con diligenza il suo tempo, il tempo stesso sembra correre piú velocemente. In questo senso parliamo di "tempo psicologico". Lo conosciamo dall'esperienza. Se una occupazione ci piace, il tempo sembra breve. La gente sospira: "Dio mio, come vola il tempo! Quanti anni sono già passati! Sembrano ieri!". Il contrario succede quando soffriamo. I malati si lamentano: "Com'è lunga la notte!". E i sani che si annoiano sanno anche loro che il tempo è lungo. Lo osserviamo ad esempio durante una conferenza, dove coloro che non sono interessati guardano continuamente l'orologio e sospirano. Come è felice quindi la vita di colui che dice: "È passato così veloce, non me ne sono neanche accorto!".
Allora, se vogliamo davvero passare il nostro tempo felicemente, dobbiamo concentrarci su qualche cosa che attira il nostro pieno interesse. Ma che cosa sarà? Il lavoro, il divertimento, la preghiera? In questo contesto, parliamo di "tempo morale", cioè di quello che è riempito da qualche cosa buona. Per questo motivo stimiamo gli uomini non secondo la lunghezza della loro vita, ma secondo il bene che hanno fatto. La Chiesa venera come santi anche parecchi giovani e nella liturgia si dice di loro, come ad esempio di san Stanislao, che "in breve ha riempito molti anni".
Va da sé che gli autori spirituali danno molta importanza a questo aspetto morale del tempo e giudicano il valore della vita non secondo la sua lunghezza, ma secondo le opere di cui è stata riempita. Ma, d'altra parte, anche l'opera subisce la determinazione del tempo. Il padre che ha costruito una casa per i suoi figli ha fatto un'opera meritevole. Per quanto tempo? Probabilmente per una sola generazione. Un libro scritto da un poeta o da un filosofo è più duraturo. Platone ha vissuto molti secoli fa, ma i suoi scritti sono ancora oggi stampati e letti; sono piú duraturi delle piramidi dei faraoni. Ma Platone è uno dei pochi privilegiati. La maggior parte dei libri scritti cade nella dimenticanza.
Questo ci porta all'ultima considerazione sul senso teologico del tempo, cioè sulla relazione del tempo con l'eternità. Guardiamo, sotto questo aspetto, la vita di Gesù. Si è svolta nel tempo. È nato sotto il regno di Augusto, la sua morte è datata all'epoca del procuratore Pilato. Ma siccome la sua vita umana è contemporaneamente vita divina, è misurata dal tempo e insieme è vita eterna. E il suo valore? È assoluto, indistruttibile: la salvezza del mondo.
Al seguito di Cristo, anche la vita di noi cristiani è misurata con il tempo, ma si apre alla prospettiva eterna. Le opere con le quali riempiamo i nostri giorni e i nostri anni in unione con Gesù diventano eterne e acquistano un valore indelebile. Ciò vale, in primo luogo, per la preghiera. Recitando i testi delle preghiere, uniamo i nostri pensieri e desideri alla preghiera eterna che il Figlio di Dio, nella vita trinitaria, rivolge al Padre. Anche se le nostre preghiere sono pronunciate durante un tempo brevissimo, sono inserite nel valore eterno della volontà di Dio, che è assoluta. Lo stesso vale per le nostre opere, se sono veramente buone. Sono opere nostre, eseguite oggi, domani o in qualsiasi altra data, ma unite con la volontà di Dio sono eterne; costituiscono ciò che in linguaggio popolare chiamiamo "il nostro tesoro nei cieli". Sono anche il tesoro comune di tutta la Chiesa e si commemorano per sempre nella liturgia celeste. Accade cosi che
8 dicembre: Immacolata Concezione
Il peccato originale
Un professore di liceo, convinto marxista, era normalmente tollerante verso la religione. Ma ogni tanto dava la sua spiegazione "scientifica" ai "miti religiosi". In questa linea diede anche la sua spiegazione del peccato originale. Disse piú o meno questo: "Io sono un professore, ma devo fare dello sport, altrimenti mi ammalo e trasmetto la mia debolezza personale ai figli, che soffriranno a causa mia. Ecco il peccato originale, più comprensibile di quello di cui parla il catechismo". Dobbiamo contraddire questa argomentazione? Certo, esistono colpe ereditarie in un senso corporale. Le conseguenze dell'abitudine all'alcool sulla prole sono talvolta gravi. Ci sono anche delle colpe ereditarie in campo psicologico. Se ne occupano gli psicoanalisti, quando scoprono che il loro paziente, in certe situazioni, non reagisce normalmente e quando le stesse reazioni si notavano già nel padre. La religione non lo nega, ma aggiunge che si osservano certe reazioni non normali anche in campo spirituale, specialmente nella coscienza. Se ne meraviglia san Paolo, quando scrive: "Faccio ciò che non voglio" (cf Rm 7,15). Prima di lui aveva dichiarato lo stesso il poeta romano Ovidio: "Vedo ciò che è meglio, lo approvo, ma faccio ciò che è peggio". Osserviamo quindi che c'è nella nostra vita morale qualche difetto, ma lo stesso lo possiamo vedere nel mondo. Dio creò l'universo e lo approvò con soddisfazione, dicendo che era buono. Come spieghiamo allora le catastrofi che succedono di continuo, come mai ci sono tanti uomini innocenti perseguitati, se Dio governa il mondo e senza la sua volontà neanche un capello cade dalla testa (cf Lc 12,7)? Pascal scrive che non riusciva a riconciliarsi con questi fatti, ma quando ha approfondito la sua fede nel peccato originale, gli si aprirono gli occhi. Il pensatore non cerca tuttavia di rispondere all'obiezione che si solleva oggi: non è giusto che i figli siano puniti per i crimini dei loro padri. Questo non lo ammette nessun governo veramente democratico. Dobbiamo attribuire un tale atteggiamento a Dio, che è giustissimo? Per rispondere, dobbiamo anzitutto renderci conto che non si può trasferire a Dio il modo di agire dei tribunali umani. Qui si procede cosí: l'uomo commette qualche colpa, viene preso e poi un giudice, uno sconosciuto, decide una pena conforme alle leggi vigenti. Nel caso del peccato, in senso religioso, succede diversamente. La pena è inseparabile dal delitto, non è imposta dall'esterno, ma è la conseguenza naturale del fatto, una cosa simile alla malattia. Il medico non può far altro che avvertirci che, se viviamo cosí, ci ammaleremo. Lui non prescrive la malattia, al contrario, ci indica il metodo per guarire. Gesú è venuto come un medico per guarirci dalle malattie personali e da quella ereditaria. In ogni caso, rimane la difficoltà di interpretare l'espressione "peccato originale". Davvero si può ereditare un peccato? Anche in questo caso dobbiamo renderci conto che le parole umane che esprimono il mistero religioso sono come immagini di una realtà piú profonda. Se diciamo che uno ha ereditato dai genitori la miseria, sappiamo cosa vogliamo dire: non ha ereditato i soldi che si aspettava da loro, la miseria è la mancanza di ciò che naturalmente gli conveniva. In modo simile possiamo riflettere sul peccato originale. Gli uomini sono uniti in Cristo in una Chiesa e si trasmettono a vicenda la partecipazione alla comune preghiera e i meriti per le opere buone. Colui che per sua colpa si è privato della ricchezza della grazia, non può trasmetterla agli altri, che sono come figli che ereditano da lui la miseria.
Nel paragone con la miseria economica si vede però anche un'altra cosa. Uno aveva un padre che ha perso tutti i suoi soldi bevendo. Il figlio non eredita da lui altro che miseria, ma la zia, una donna buona, ma anche molto prudente, vuole aiutare il nipote restituendogli ciò di cui il padre lo ha privato. Lascia i suoi soldi al nipote, a condizione che questi possa usarli solo progressivamente, perché si nota anche in lui l'inclinazione al bere. Riceverà i beni completamente solo quando dimostrerà che è guarito dalle sue cattive propensioni. Una cosa simile succede anche col peccato originale. La Chiesa è come una seconda madre che riceve con il battesimo, cioè ufficialmente, il figlio del peccatore nella comunione dei santi, partecipandogli tutte le grazie, ma di queste egli ne approfitterà pienamente solo quando proverà che ha superato le sue debolezze. Il Concilio di Trento ha dichiarato espressamente che il battesimo libera l'uomo dal peccato, ma restano in lui le inclinazioni al male, contro le quali egli deve combattere. Il decreto tridentino è scritto contro la teologia della Riforma. Lutero identificò le inclinazioni al male con il peccato originale. Dato che queste rimangono anche dopo il battesimo, il cristiano è contemporaneamente giusto e peccatore. La dottrina cattolica, al contrario, afferma che l'uomo con il battesimo e con la penitenza è sempre giustificato. Rimane in lui l'inclinazione al male a tentarlo, ma essa in sé non è peccato. Dobbiamo resisterle e vincerla progressivamente. È ciò che si sforzano di fare i santi con il combattimento spirituale e per questo ricevono una particolare grazia divina.
Ci domandiamo allora che cosa sarà di quelli che non sono stati battezzati, ma che però non hanno commesso personalmente alcun peccato grave. Dante li colloca nel regno della beatitudine naturale, fra l'inferno e il cielo. Si consolavano le madri i cui bambini erano morti senza essere stati battezzati dicendo loro che gli innocenti vivono nel limbo. Sono problemi che oggi non ci tormentano. Crediamo fermamente che il battesimo sia l'accettazione ufficiale di un peccatore come figlio di Dio, ma la Chiesa, Corpo mistico di Cristo, agisce con la sua preghiera e con la grazia anche al di là delle sue strutture istituzionali. Come e in che misura, lo lasciamo al giudizio di Dio. Ma neanche identifichiamo l'ecumenismo con l'indifferenza religiosa.
In questo contesto comprendiamo meglio anche il dogma dell'immacolata concezione della Vergine Maria. La pienezza della grazia ricevuta da Dio la liberò fin dal primo inizio di vita da ogni peccato. Divenne poi Madre di Dio. La maternità divina avvenne perché Maria era cosí pura? Alcuni lo affermano. Ma gli esperti in mariologia vedono la cosa sotto un altro aspetto: proprio perché Dio l'aveva scelta come sua madre terrena, l'aveva purificata dal peccato. Ciò ha delle conseguenze anche per la nostra vita spirituale. Dalla vocazione divina siamo tutti scelti ad esercitare qualche funzione nel regno di Dio. Se siamo consapevoli di questa elezione e se collaboriamo con la nostra vocazione, la grazia divina ci purifica progressivamente dal peccato e da tutte le sue conseguenze ereditarie e ci conduce alla santità e alla perfezione.
25 marzo: Annunciazione
Mariologia o cristologia?
È successo ad un pastore evangelico in Germania che amava raccogliere le icone. Così la sua casa parrocchiale era piena di immagini della Madre di Dio. Ad alcuni dei suoi parrocchiani, la cosa non piaceva. Perché tanta devozione ma-rima in una parrocchia della Chiesa evangelica? Alla fine il parroco trovò la risposta: "Non sono immagini mariane, ma immagini di Cristo, che è nato da Maria". Approfittò anche di un detto del teologo ortodosso Vladimir Losskij: "Da noi non esiste una mariologia come parte della teologia. Il mistero di Maria fa parte essenziale della cristologia".
L'essenza della fede cristiana è l'incontro di Dio con l'uomo. Tale incontro culminò a Nazaret. Per questo motivo scrive Pavel Evdokimov: "L'annunciazione alla Vergine Maria, chiamata da san Giovanni Crisostomo 'festa della radice', inaugura una nuova era: l'economia della salvezza ha la sua radice mariana e perciò la mariologia è parte essenziale della cristologia. Il Creatore dice Fiat, sia fatto, e a ciò corrisponde il Fiat da parte della creatura".
Gli osservatori venuti da fuori ritengono che sia esagerata la devozione mariana che incontrano nelle Chiese orientali. I teologi orientali mostrano al contrario come la sua mancanza conduca alla perdita della fede. Viene dimenticato l'elemento umano nell'opera di Cristo e il suo messaggio si presenta come un programma ideologico. A questo pericolo soccombe, ad esempio, Lev N. Tolstoj. Sembra che proprio contro di lui sia stato scritto da Dostoevskij il famoso romanzo L'Idiota. Il protagonista è un uomo simpatico che agisce e pensa in piena conformità ai principi morali del vangelo, ma finisce in un manicomio. Qui infatti ci condurrebbe l'idealismo per la morale di Cristo senza l'esistenza e la presenza della sua Persona. Questi è nato da madre umana e continuamente nasce nella storia dalla grazia dello Spirito Santo e dalla collaborazione umana. Scrive Origene che ogni anima umana ha il carattere di Madre di Dio e prepara la venuta definitiva del Salvatore in questo mondo. La salvezza del mondo è quindi opera di Dio e opera nostra, come Gesú è Figlio di Dio Padre e Figlio di Maria.
Per gli autori spirituali di tutti i tempi, era ed è attuale il problema della collaborazione umana con la grazia. Si usa, in questo contesto, il termine greco synergeía. Ci sono sempre state nella storia delle eresie che, con il pretesto dell'onnipotenza divina, diminuivano la dignità umana. Anche oggi incontriamo gente che con una falsa fiducia in Dio giustifica la propria passività. Allora sentiamo detti che possono sembrare devoti, come ad esempio: "Lasciamo agire Dio, lui lo farà meglio di noi, egli farà ciò che è giusto!". Qualcuno cerca di giustificare un tale modo di pensare persino con considerazioni teologiche che a prima vista sembrano profonde. La preghiera e la religione in genere, dicono, sono elevazione dell'anima a Dio. Chi sale su una montagna va verso la luce, ma dal sole rimane distante allo stesso modo di chi è rimasto in pianura. I nostri sforzi umani hanno quindi un valore minimo, non dobbiamo essere noi uomini a salire in cielo, ma Dio è sceso dal cielo per salvarci.
Quale valore hanno allora le opere umane, là dove si tratta di acquistare la grazia, la vita divina in noi? Gli sforzi umani si chiamano "ascetica" e l'unione con Dio "mistica". Gli autori si chiedono: quale è la relazione fra queste due? In modo simile si discuteva al tempo della Riforma: saremo salvati per mezzo delle opere o della sola fede?
Sappiamo che, sia nella Chiesa orientale che in quella occidentale, il grande risveglio religioso venne con il movimento monastico. In esso, come base fondamentale, vale la persuasione che fra l'ascetica e la mistica c'è una unità. Il progresso nella vita spirituale corrisponde alla sincera collaborazione con la grazia. "Ma poi la grazia non è piú grazia, cioè un dono libero di Dio", obiettano gli avversari. Già nel IV secolo, un autore conosciuto con il nome di pseudo-Macario risponde a questa obiezione con un bell'esempio. Gli sforzi umani sono come il lavoro dell'agricoltore. Tutti sanno che non è sufficiente arare e seminare. Il raccolto dei frutti dipenderà dal sole, dalla pioggia e dalla temperatura. Succede che ci siano degli anni nei quali dopo tanto lavoro si raccoglie poco. In altri accade il contrario. Eppure l'esperienza c'insegna: un campo meglio lavorato produce di piú. Lo stesso è con una certa "esperienza normale con la grazia". A questo proposito vale il detto: "Sforzati, che Dio ti aiuterà!". La grazia è un dono libero di Dio, ma ciò che Dio regala è vita e attività e questa vivifica tutto l'uomo, tutto il suo cuore, tutta la mente, tutte le forze (cf Mt 22,37). L'amore di Dio deve incontrarsi con l'amore dell'uomo.
I Padri della Chiesa parlavano di tale questione anche in un altro contesto, cioè quando interpretavano la creazione dell'uomo a immagine e somiglianza di Dio (cf Gen 1,26-27). I due termini immagine e somiglianza non dicono forse la stessa cosa? Probabilmente è cosí in ebraico, sarebbe come se noi dicessimo "un'immagine molto rassomigliante". Ma nelle traduzioni in greco e poi in latino si cominciò a dare ai due termini un doppio senso. Seguendo l'interpretazione di Origene, l'immagine sarebbe ciò che Dio ha creato all'inizio, come uno schizzo fatto dal pittore che poi dà al discepolo il compito di finirlo, di aggiungere i colori. In questo contesto l'immagine è opera della grazia divina e la somiglianza il risultato della collaborazione umana. Cosí succede che l'opera finale è il risultato di due soggetti: di Dio e dell'uomo. L'immagine e somiglianza perfetta di Dio sono i santi. Quando li abbiamo davanti agli occhi in chiesa, veneriamo Dio e l'uomo contemporaneamente.
Fra i santi in primo luogo c'è Maria, la Madre di Dio. È quindi l'esempio piú perfetto della collaborazione umana con la grazia. Venne da lei l'angelo e le annunciò che su di lei sarebbe sceso lo Spirito Santo. Maria accettò la notizia, dichiarò il suo consenso e diede allo Spirito divino la disposizione di tutta la sua persona. Che cosa potrebbe dare di piú una madre se non se stessa, affinché da lei nasca un figlio? Nacque Gesú che è Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, Uomo-Dio.
Questo mistero è unico, nondimeno siamo chiamati a prolungarlo nella storia con tutta la nostra vita. Bossuet vede che questo si verifica soprattutto nella liturgia, quando celebriamo l'eucarestia: "Cristo accetta il corpo di noi tutti quando noi accettiamo il suo corpo; diviene per noi uomo, allarga la sua incarnazione".
È quindi senza fondamento l'obiezione che la devozione mariana diminuirebbe la stima per Cristo, o anche che dobbiamo avere una totale fiducia nella grazia divina e non nelle nostre opere. Osserviamo come questi aspetti siano inseparabili per chi crede in Cristo, Uomo-Dio.
15 Agosto: Assunzione di Maria
Regina del cielo e della terra
In un raduno ecumenico si senti questo pensiero. Un calvinista olandese constatò con soddisfazione che si era superato ciò che divideva la sua Chiesa dai cattolici, cioè la devozione mariana. L'importante è spiegare bene il vero senso delle pratiche esterne. Tuttavia ammise che ci sono alcuni titoli di Maria usati dai cattolici che urtano la sensibilità dei protestanti. Fra questi elencò "Maria regina del cielo e della terra". Le parole, cosí come sono dette, sarebbero un'offesa a Dio, che nella Bibbia si rivela con tanta insistenza come unico re di tutto ciò che esiste nei cieli e nella terra.
Non vogliamo sviluppare in questa occasione una dotta discussione teologica, solo proporre brevi linee di riflessione che rendono ragione anche di alcune preghiere. Che cosa intendiamo dire quando preghiamo la Salve Regina?
In primo luogo confessiamo che non c'è niente e non può esserci niente che diminuisca il potere assoluto di Dio nel mondo. La fede cristiana è ferma nel professare la regalità di Dio e di Gesú Cristo che siede alla destra del Padre e davanti a cui si deve piegare ogni ginocchio in cielo, sulla terra e negli inferi (cf Fil 2,10). Anche la filosofia arriva alla conclusione che Dio è l'unico Essere assoluto, tutti gli altri valori sono suo libero dono. Ciò vale per tutte le creature, quindi anche per la Madre di Dio. Quello che essa è e che significa è tutto dono di Dio.
Vogliamo però comprendere meglio la parola "dono di Dio". C'è una grande differenza fra un dono umano e quello che dà Dio. Anche noi regaliamo volentieri qualcosa alle persone care. Mandiamo loro un libro, o magari un orologio in qualche particolare occasione, oppure nelle difficoltà mettiamo loro in tasca una busta con dei soldi. Essi possono conservare questo dono, darlo ad un altro o perderlo. Facciano come vogliono, fatto sta che, con il dono o senza, restano ciò che sono. Il dono non cambia troppo la situazione.
Tuttavia, anche fra gli uomini ci sono coloro che riescono a regalare qualcosa che può penetrare nella personalità di colui che riceve il dono. I genitori danno ai figli la vita. È un dono che significa l'esistenza del bambino, il suo valore, il primo suo carattere. Anche Dio che ci crea, conserva, santifica, è chiamato da noi Padre, ci fa partecipi alla sua stessa vita. Nel linguaggio cristiano, chiamiamo i suoi doni "grazia", "vita nuova", "vita divina" in noi.
Che cosa ne segue per Maria che è "piena di grazia"? La vita e l'attività di Dio la penetra in un modo straordinario. Essa partecipa a tutto ciò che Dio fa. Se lui è il padrone universale del cielo e della terra, come dobbiamo allora chiamare Maria, che per mezzo di Cristo è intimamente unita nella vita divina e alla sua azione nel mondo? Il titolo simbolico di Regina sembra adatto a questo e corrisponde al linguaggio della Sacra Scrittura, dove si dice espressamente che i giusti regneranno in questo mondo. Agli apostoli che hanno seguito Gesù fu promesso che si sarebbero seduti sui dodici troni per giudicare le dodici tribù di Israele (cf Mt 19,28).
Non è un gioco di parole, ma una realtà che tocca profondamente la nostra vita. Ognuno di noi desidera naturalmente diventare grande, significare qualcosa, interferire negli affari del mondo. Non è vanità. La vanità è un vizio che devia dalla vera grandezza. L'uomo onesto vuole essere grande per fare un'opera buona o, come dice un poeta, per trasferire la nostra terra in uno spazio più felice, più vicino al sole. Per questo motivo l'uomo buono vorrebbe essere un buon re, per portare la felicità e la pace ai suoi sudditi, o un poeta per cantare agli altri il regno della bellezza e della verità. Ma, se ci guardiamo attorno, solo pochi hanno un notevole successo nella vita. Non possono governare tutti, e quelli che governano possono fare ben poco.
Eppure l'apparenza inganna. Altri sono i destini del mondo rispetto a come appaiono esternamente e altre sono le relazioni interne che uniscono i fatti esterni e danno loro valore. Anche i cosiddetti grandi governanti del mondo non sono altro che strumenti della provvidenza divina, che è come un filo che unisce le perle in un'unica collana. Quelli che realmente intervengono attivamente nel corso della storia sono altri uomini, che non conosciamo.
Se osserviamo la vita esterna della Madre di Dio, mai ci verrebbe in mente di chiamarla regina. Viveva come altre semplici donne di campagna, come ce ne sono a milioni, ma ogni sua azione, ogni suo pensiero era in unione perfetta con Dio. Si riferisce a tutti i cristiani la preghiera di Gesù: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una sola cosa" (Gv 17,21). La pienezza della grazia realizza in Maria questa unione con Dio in un modo irraggiungibile per gli altri. Se comprendiamo la regalità di Maria in questo senso, non ci viene il sospetto che si potrebbe diminuire il potere di Dio e la regalità di Cristo. Al contrario, con questa partecipazione tale potere è confermato e si manifesta in modo intensivo. Se dobbiamo vedere la potenza divina nel vento, nelle acque, nelle leggi dell'universo, tanto più dovremmo ammirarla quando si manifesta in una persona viva. Qui può penetrare solo con il suo libero consenso, con il Fiat. Maria lo pronunciò in modo perfetto.
Tutti i dogmi mariani rivelano qualche mistero della vita cristiana. In essi si verifica in modo magistrale, diremmo virtuoso, ciò che gli altri iniziano. Perciò anche la fede nella regalità di Maria contiene un programma ideale per la vita di ognuno di noi: intervenire nella storia dell'universo, collaborare con Cristo per la piena realizzazione del regno di Dio. L'esempio di Maria ci mostra anche che non è necessaria a questo scopo una grandezza intesa banalmente in senso politico, economico, culturale. Tutte queste forze esistono nel mondo, lo muovono, ma alla fine il potere più grande appartiene al cuore puro in unione con Dio. È una verità consolante che può ispirare ad ognuno il coraggio di vivere e di lavorare.
(Il vangelo delle feste, Lipa 2003)