Luis A. Gallo
(NPG 2005-03-54)
Il titolo più bello, tra i tanti che la fede e l’amore hanno attribuito a Maria di Nazareth lungo i secoli, è indubbiamente quello con cui è insignita, sin dalle origini, nel libro degli Atti degli Apostoli: la “madre di Gesù” (At 1,14). Esso racchiude in sé tutta la grandezza e tutta la gloria dell’umile “serva del Signore” (Lc 1,38).
Ora, come spesso succede, i figli portano impressi sul volto, in maggior o minor misura, i tratti del volto della propria madre. Sono, lo si può dire utilizzando una celebre frase biblica, “a sua immagine e somiglianza” (Gen 1,26). Fisiologicamente, ma anche spiritualmente. Si può supporre che fisiologicamente Gesù rassomigliasse molto a sua Madre; ma soprattutto ci deve essere stata una grande somiglianza spirituale e interiore tra lui e lei. Contemplare, quindi, il suo volto, significa intravedere anche quello della Madre sua riflesso in esso.
Maria modellatrice del volto di Gesù
Non è molto ciò che sappiamo sull’infanzia di Gesù. Come è risaputo, i cosiddetti “vangeli dell’infanzia” (Mt 1,18-25; 2,1-23; Lc 2,1-52) sono più delle confessioni di fede sull’identità messianica di Gesù che delle informazioni storiche sui suoi primi anni.
Se si vuole quindi sapere qualcosa su di essa, bisogna rivolgersi piuttosto agli studi fatti sulla condizione della famiglia in Israele a quei tempi. Da essi ricaviamo che il bambino era affidato inizialmente alla madre per ciò che riguardava la cura materiale e la primissima formazione; successivamente subentravano anzitutto il padre e, un po’ più tardi, per i figli maschi, la scuola, dove imparavano a leggere ed eventualmente a scrivere la Tôrah, espressione sacrosanta della volontà di JHWH. Una formazione che culminava verso i tredici anni con la celebrazione in cui venivano dichiarati “bar mitzvà” (figlio del precetto) e maggiorenni. Si può pensare con ragione che Gesù, come ogni altro bambino ebreo maschio, abbia ripercorso questo processo di formazione.
Possiamo quindi pensare che sia stata Maria, la giovane madre del suo “figlio primogenito” (Lc 2,7.23), a plasmare il volto interiore di Gesù, lei che aveva prima plasmato fisiologicamente nel proprio grembo il suo volto corporale. Sulle sue ginocchia egli deve aver succhiato, insieme al latte che nutriva il suo corpo e lo faceva crescere “in età”, l’altro latte, quello della fede del suo popolo che nutriva il suo cuore e il suo spirito, e lo faceva crescere “in sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52).
Non è da escludere poi, quando frequentava la scuola e andava assimilando i testi sacri, che Maria l’abbia anche accompagnato e illuminato con le luci che le venivano dalla sua profonda esperienza di fede.
Essa deve essere stata, di conseguenza, la prima e decisiva formatrice della fisionomia religiosa del suo figlio, segnandola profondamente con la sua impronta di donna intensamente credente. Il volto interiore del figlio doveva portare impressi, sin dagli inizi, i tratti di quello di sua madre.
Un tratto di fondamentale importanza
Un apporto proveniente dalle attuali scienze umane può aiutarci a cogliere e ad evidenziare meglio ancora la somiglianza del volto interiore, spirituale, di Gesù e di sua Madre.
In ambito psicologico c’è stato infatti chi, analizzando le peculiarità delle differenti forme di amore che si ritrovano nell’arco dell’esperienza umana, ha attribuito all’amore materno quella dell’amore per la vita (E. Fromm). Tipico di questo amore, proprio della donna che genera nel proprio grembo e dà la vita, a differenza di altri modi di amare quali sono quello paterno, quello fraterno o quello sponsale o amicale, è appunto l’istillare, nel cuore di colui o colei che essa genera, l’amore per la vita. Per quella propria e per quella degli altri.
È un contributo prezioso che può venirci in aiuto per illuminare ulteriormente il rapporto tra Maria e Gesù, e la somiglianza del loro volto interiore. Come abbiamo avuto occasione di vedere più volte in articoli precedenti, Gesù appare nei vangeli come un uomo appassionato per la vita concreta delle persone con cui è a contatto. Tale passione lo spinge a restituire agli ammalati la salute corporale o psichica, a liberare dalle loro catene quelli che sono posseduti da spiriti cattivi, a sgomberare i cuori dei peccatori dal peso dei loro debiti nei confronti di Dio; lo muove anche a cercar di cambiare quei rapporti tra le persone e i gruppi che generano infelicità e tristezza, specialmente nei più deboli e piccoli; lo sprona inoltre a denunciare le false sicurezze religiose o sociali che portano in definitiva alla morte… È una passione che lo spinge perfino a strappare letteralmente alcuni dal regno della morte, per restituirli a quello della vita.
Ora, tenendo presente l’apporto psicologico appena ricordato, possiamo supporre che questo modo di comportarsi di Gesù si debba in gran parte all’intenso amore materno con cui egli è stato accolto e circondato da Maria, e nei primi anni della sua esistenza. Grazie a questa giovane madre, quindi, al suo amore semplice ma intenso, Colui sul cui volto vogliamo fissare contemplativamente gli occhi, fu quello che fu.
Altri tratti del volto…
Oltre al tratto fondamentale e indubbiamente collegati con esso, una serie di altri tratti caratterizzano il volto della Madre e appaiono luminosi in quello del Figlio.
Certo, la figura di Maria che tramandano i vangeli va intesa alla luce dello stesso criterio sopra enunciato per quella di Gesù: le cose che dicono di lei sono più delle affermazioni teologiche che delle informazioni storiche, perché mirano più a chiarire l’identità messianica del Figlio che a erudirci sulla storia della Madre. Ma anche in questo caso, tra le righe ci forniscono dei dati altamente significativi. Vale la pena raccoglierne alcuni dei più rilevanti.
* Anzitutto, Maria viene presentata dai vangeli come una donna di profonda fede. Il saluto con cui l’accoglie Elisabetta, quando arriva a casa sua, è molto espressivo al riguardo: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45). La sua fede, come quella di tutti i credenti biblici, è fondamentalmente fiducia radicale nel Signore che parla dicendo parole di benedizione e di vita. È quindi adesione a Dio e adesione anche a ciò che Egli dice.
Di tale fede Maria dà una particolare testimonianza ai piedi della croce, assistendo, secondo la testimonianza di Giovanni, il Figlio morente (Gv 19,25). Quasi come sottolineando la fermezza di questa sua fede, l’evangelista dice che ella “stava in piedi” presso la croce. È una credente che non indietreggia neanche davanti alle più estreme difficoltà.
Che Gesù sia stato in questo senso un uomo di intensissima fede lo attestano tutti gli scritti neotestamentari. Basta leggere i vangeli per coglierne subito la presenza nella sua vita. Come dice la lettera agli Ebrei parlando di Mosè, egli visse sempre “come se vedesse l’invisibile” (Eb 11,27). Come se vedesse Dio, e quel mondo che le sue parole dischiudevano. Egli, come Maria e iniziato certamente da lei, credette intensamente “nell’adempimento delle parole del Signore”. La stessa lettera agli Ebrei dice di lui che è il “perfezionatore della fede” (Eb 12,2), colui cioè che la visse fino in fondo. Perciò fu, si potrebbe dire, il più grande credente della storia. E nel suo volto di credente si possono cogliere senza dubbio i tratti di quello della Madre.
Al centro della fede di Maria, giovane donna del popolo d’Israele, c’era indiscutibilmente Dio. Un Dio la cui immagine si era andata chiarendo, purificando e arricchendo lungo i secoli, attraverso le svariate vicende del popolo stesso. È nel Cantico del Magnificat, posto dall’evangelista sulle labbra di Maria nel suo incontro con Elisabetta, dove appare tratteggiato con particolare luminosità il volto di tale Dio. Egli è certamente il “Signore onnipotente e santo” (Lc 1,48-49), ma è anche il Dio “salvatore” (v.47), che guarda “l’umiltà della sua serva” per compiere in essa “cose grandi” (v.48). Non solo, ma è il Dio la cui misericordia “si stende di generazione in generazione” (v.50), e ancora il Dio che “ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi” (vv.51-54). Un Dio, quindi, che, rovesciando il modo scontato di vedere le cose tra gli uomini, ripone le sue predilezioni nei più bisognosi e deboli, di quelli che umanamente parlando sembrano essere i più insignificanti.
Non è difficile constatare l’affinità di tale immagine con quella che presiedette l’intera vita religiosa di Gesù. L’abbiamo messo in rilievo in più di uno dei nostri articoli precedenti. Anche da questo punto di vista Gesù è figlio di sua Madre. Egli deve aver succhiato con il latte materno questa figura di Dio che poi, a contatto con le Scritture e nel cammino della sua personale esperienza religiosa, si affermerà e andrà crescendo fino ad occupare l’intero suo cuore e ad orientare l’intera sua azione. Il Dio del regno che egli annunciava come imminente era, infatti, un Dio che aveva precisamente i connotati enunciati dal Magnificat.
* Un ulteriore tratto del volto di Maria emergente dai vangeli è quello della sua interiorità. Da ciò che racconta soprattutto il vangelo di Luca, il quale fa di lei il simbolo della comunità credente, si può desumere che Maria non viveva nella superficie delle cose, attratta dalla loro apparenza ed esteriorità, ma penetrava nella loro profondità. Sapeva scendere negli avvenimenti della vita scandagliando il loro senso ultimo, quello che avevano agli occhi di Dio. Per ben due volte nel suo “vangelo dell’infanzia” Luca dice che ella serbava “nel suo cuore” – il luogo dell’interiorità – gli avvenimenti che la riguardavano e che riguardavano il suo Figlio (Lc 2,29.51), e in una di esse aggiunge che le serbava “meditandole” (v.29), e cioè, come suggerisce il termine originale, soppesando attentamente il loro significato. Nessuna leggerezza, quindi, in lei, ma viceversa saggezza e ponderazione.
È l’impressione che si ricava nei confronti di Gesù leggendo i vangeli. Egli non vive nella leggerezza e nell’esteriorità, e invita costantemente gli altri a evitarle. Sono innumerevoli i passi evangelici in cui lo si vede superare la scorza delle persone, degli avvenimenti e delle situazioni, e andare dritto verso la loro profondità. Quella che l’occhio della fede, che fa sua la visione di Dio stesso, riesce a scoprire. Gli stessi suoi avversari sembrano averglielo riconosciuto quando, nell’introdurre la domanda sul pagamento del tributo all’imperatore, gli dissero come premessa: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno” (Mt 22,16).
Non sembra forzato pensare che Gesù abbia sviluppato questa capacità di interiorità a contatto con sua Madre. Una madre superficiale difficilmente genera un figlio profondo e capace di andare oltre l’esteriorità di persone e avvenimenti.
* Il volto di Maria è un volto intensamente segnato dalla tenerezza e dalla sollecitudine. Lo si coglie particolarmente nella narrazione delle nozze di Cana (Gv 2,1-11), alle quali, oltre al Maestro e ai suoi discepoli (Gv 2,2), prende attivamente parte anche “la Madre di Gesù” (v.1).
Naturalmente, come in tutto il suo vangelo, anche in questo episodio l’autore si esprime in maniera altamente simbolica. Il testo è di una ricchezza notevole dal punto di vista della comunicazione della fede. Diversi simboli veterotestamentari vi s’incrociano nel tentativo di evidenziare il ruolo decisivo e centrale svolto da Gesù nell’attuazione del grande disegno di Dio. Particolarmente quello del matrimonio, che fa da cornice a tutto il racconto. Impoverirebbe, quindi, certamente un testo tanto denso di significato il prenderlo come una semplice cronaca di quanto sarebbe avvenuto in uno sperduto paesetto della Galilea durante un banchetto di nozze.
Ma, come in altri testi evangelici, tra le righe si può cogliere anche in questo un dato che, pur senza occupare il primo piano, può contribuire ad arricchire quelli che lo occupano. Concretamente, ciò che se ne può ricavare è la tenera sollecitudine di Maria che, anzitutto, coglie con femminile intuizione la situazione d’imbarazzo creata dalla mancanza di vino (v.3), e poi si premura di forzare quasi la mano del Figlio perché intervenga nella soluzione del problema (vv.4-5).
Siamo nuovamente davanti ad una stretta somiglianza di Gesù con sua Madre. Della sua tenerezza e sollecitudine davanti ai bisogni degli altri, particolarmente dei più piccoli e deboli, sono piene le pagine dei vangeli. Una di esse, che ne è testimonianza del tutto singolare, è la parabola del buon Samaritano (Lc 10,30-35). Si tratta indubbiamente di una parabola etica, mirata a proporre un genere di comportamento (“Va’, e anche tu fa lo stesso”: v.37), ma può essere anche vista come lo specchio del cuore di Gesù. È lui, come più di una volta hanno rilevato i Padri della Chiesa, il buon Samaritano che, mosso a compassione, visceralmente commosso dalla situazione dell’uomo mezzo morto trovato ai margini della strada (v.33), mette in moto una serie di gratuite iniziative rivolte a restituire vita e salute a colui che gli uomini del tempio, meno sensibili, hanno scansato. Si esagererebbe a pensare che tale fine sensibilità Gesù l’ha imparata vitalmente dal vivere quotidiano di Maria?
* Per finire, merita attenzione il fatto che la madre di Gesù sia presentata, tanto dai vangeli quanto dalla pietà popolare, come la “donna dei dolori”. Due brani evangelici lo mettono principalmente in risalto.
Anzitutto, quello della presentazione di Gesù bambino al tempio (Lc 2,21-39). La scena, come sempre sovraccarica di significati per la fede, ha come uno dei protagonisti principali l’anziano Simeone, il quale, prendendo il bambino tra le braccia, innalza un inno di benedizione a Dio, e poi, rivolgendosi alla madre, le dice: “E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (v.35). Una frase che può essere letta come la previsione di tutte le sofferenze che, pur senza ignorare le grandissime gioie che le deve aver procurato il suo rapporto materno con Gesù, avrebbe implicato il fatto di esserle accanto nel suo singolare cammino malgrado le oscurità e le incomprensioni da esso provocate.
L’attuazione più palese di tale “profezia” la si vede nell’altro brano, quello che la dipinge ai piedi della croce del Figlio morente (Gv 19,25). È il momento della massima oscurità e, lo si può supporre legittimamente, del più intenso dolore per la madre. Eppure, dice il vangelo come volendo sottolineare la sua interezza nell’affrontare l’assurdo della situazione, ella “sta in piedi”. E sta in piedi in silenzio, “aspettando la salvezza del Signore” (Lam 3,26). La risposta a tanto dolore le verrà data “il terzo giorno”, quando la luce del volto del Figlio risorto illuminerà anche il suo volto.
Se nei vangeli troviamo Gesù interamente dedito alla causa del regno di Dio, disposto a “vendere tutto pur di avere quel tesoro” (Mt 13,44), ad affrontare fatiche e sofferenze di ogni genere e, in ultima istanza, anche la terribile morte di croce, possiamo pensare che in gran parte si debba a ciò che egli imparò in grembo alla sua famiglia. Sul suo volto risoluto di uomo che cammina con determinazione verso la croce (Lc 9,51), si rifletteva la costanza imbattibile di Maria e, possiamo anche aggiungere, la tenacia della dura fatica di Giuseppe.
Il capovolgimento di un rapporto
Finora i dati evangelici ci hanno orientato verso una accentuata somiglianza tra il volto di Gesù e quello di sua Madre. Ma ce ne sono altri che, evidenziando un altro orientamento, completano la visione e che non possono essere tralasciati.
* Un primo dato è quello fornito, ancora nel contesto dei “vangeli dell’infanzia”, da Lc 2,42-52. È l’episodio dello smarrimento e del successivo ritrovamento dell’adolescente Gesù nel tempio di Gerusalemme. Anch’esso è anzitutto e fondamentalmente una confessione di fede sull’identità messianica di Gesù, ma mette in evidenza, di passaggio, anche il suo distacco dai vincoli familiari. Più precisamente, per quel che ci interessa, dai vincoli materni.
Infatti, al “rimprovero” che Maria gli rivolge con parole molto accorate – “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2,48) –, egli risponde con la maturità – anticipata – dell’adulto: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49).
Tali parole, considerate dalla prospettiva di Gesù, possono essere viste come indicanti il momento del distacco dai legami familiari e materni che egli praticò decisamente lungo la sua vicenda, come vedremo fra poco. Considerate invece dalla prospettiva di Maria, possono essere viste come rivelatrici del suo ritirarsi perché il figlio possa essere se stesso, avere cioè la sua originale identità, il suo irripetibile volto.
C’è una prescrizione dell’A.Testamento che probabilmente suona molto strana ai nostri orecchi. Comanda, infatti, al popolo uscito dalla schiavitù dell’Egitto: “Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre” (Es 23,19). Risulta molto interessante, al di là di ciò che se ne possa dire esegeticamente, l’interpretazione che ne hanno dato alcuni rabbini: l’ingiunzione vuol dire che il figlio non deve essere una sorta di ripetizione della madre, ma deve avere la libertà di essere se stesso. L’episodio del tempio narrato in quei termini da Luca, sarebbe una attuazione di tale prescrizione da parte di Maria. Anch’ella, come ogni madre, dovette saper ritirarsi, in certo qual modo scomparire, affinché Gesù potesse avere il suo spazio proprio, quello di occuparsi “delle cose del Padre suo”.
Il che significa, in poche parole, che il volto interiore di Gesù, anche se in sottofondo ha il volto di Maria, è tuttavia segnato dalla propria originalità.
* Un secondo dato ci viene offerto dal vangelo di Marco che, a differenza di quelli di Matteo e di Luca, presenta sin dall’inizio Gesù come adulto, senza riferimento alcuno ai suoi anni anteriori. Ad un certo punto del racconto della sua vicenda, introduce la narrazione dell’andata dei suoi da Nazareth a Cafarnao, dove egli “era venuto ad abitare” (Mt 4,13), con l’intenzione di prenderlo e riportarlo via. Il motivo è apertamente indicato dall’evangelista: “Poiché dicevano: ‘È fuori di sé’” (Mc 3,21). Indubbiamente i rumori di ciò che egli andava facendo e dicendo, così insolito e contro corrente, erano arrivati ai loro orecchi sconvolgendoli.
Da ciò che aggiunge il vangelo poche righe dopo si desume che con il gruppo c’era anche sua Madre (Mc 3,31). Secondo il racconto, alla pretesa dei suoi che dall’esterno lo mandano chiamare, tramite la folla che è seduta tutto attorno, egli dà una risposta tassativa e tagliente: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (Mc 3,33-35).
Apparentemente tali parole sembrerebbero esprimere un rigetto, da parte sua, della famiglia e della stessa madre; in realtà, sono invece una testimonianza della sua sovrana libertà nei confronti di ogni vincolo che non sia quello, strettissimo, che egli dimostra costantemente di avere con il suo “sogno”: la venuta imminente del regno di Dio (Mc 1,14-15). Un vincolo che passa al di sopra di ogni altro, e che subordina a sé tutti gli altri, anche quelli solitamente più stretti come sono quelli creati dalla comunanza di carne e sangue.
Non sarebbe corretto vedere nella dichiarazione di Gesù un “rinnegamento” della Madre, cosa che disdirebbe alla sua maturità umana, così evidente nei vangeli. Egli, come si può intravedere nel racconto della passione di Giovani, deve essersi mantenuto sempre in un sereno e maturo rapporto di intenso amore filiale con Maria. Fino al punto di preoccuparsi di lei in punto di morte sulla croce (Gv 19,27).
Le sua dichiarazione va intesa invece come una conferma, allargata perché coinvolge anche “i fratelli”, di ciò che contenevano le parole proferite al momento del suo ritrovamento nel tempio: egli ha diritto al suo spazio proprio e peculiare, e gli altri, inclusa sua madre, devono saper rispettare e anche favorire tale spazio.
Possiamo supporre che Maria da una parte abbia favorito tale libertà, dal momento che aveva istillato nel suo cuore l’appassionato amore per la vita, e dall’altra che abbia imparato concretamente a farlo non senza una certa fatica, a giudicare da testi come questo.
Più tardi, nel libro degli Atti degli Apostoli, la ritroviamo facente parte, dopo la morte e risurrezione del Figlio, del gruppo dei suoi discepoli (At 1,14). Il che significa che lei, che l’aveva avuto come discepolo nei primi anni e aveva modellato il suo volto interiore riproducendo in esso i suoi propri tratti, è diventata poi sua discepola assimilando i tratti del suo volto. “Figlia del tuo Figlio”, l’aveva cantata Dante in altri tempi; “discepola del tuo Discepolo”, la si potrebbe cantare anche oggi.