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    Vivevano Giuseppe e Maria in un piccolo paese chiamato Nazaret, terra di miseri e di miseria, in quel di Galilea, in una casa pressoché identica a quasi tutte le altre, una sorta di cubo sbilenco fatto di mattoni e argilla, povero fra poveri.
    Invenzioni dell’arte architettonica, nessuna, appena la banalità uniforme di un modello instancabilmente ripetuto. Per risparmiare qualcosa nei materiali, l’avevano costruita sul pendio della collina, poggiata al declivio, scavato un po’ all’interno a crearvi una parete intera, quella posteriore, con il vantaggio inoltre di avere un facile accesso alla terrazza che costituiva il tetto. Sappiamo che Giuseppe fa il falegname, esperto entro la norma nel lavoro, ma privo di talento per perfezionismi, casomai gli richiedano qualcosa di più fino. Queste carenze non dovrebbero scandalizzare gli impazienti, giacché il tempo e l’esperienza, ciascuno dotato di un proprio ritmo, non sono ancora abbastanza per conferire, al punto da risaltare nel lavoro quotidiano, il sapore artigianale e la sensibilità estetica a un uomo che ha appena compiuto vent’anni e che vive in una terra con così poche risorse e ancor minori necessità.
    Eppure, giacché non vanno misurati i meriti degli uomini unicamente con il metro delle loro competenze professionali, è bene dire che, malgrado la sua giovane età, il nostro Giuseppe è fra i più timorati e giusti che a Nazaret si possano trovare, solerte nella sinagoga, puntuale nell’adempimento dei doveri, e, pur non avendo avuto tanta fortuna da essere dotato da Dio di una facondia tale da distinguerlo dai comuni mortali, capace tuttavia di discorrere con proprietà e di commentare con giudizio, tanto più se gli capita di introdurre nel discorso un’immagine o una metafora riguardante il suo mestiere, per esempio la falegnameria dell’universo. Ma, visto che gli è mancato fin dall’inizio il colpo d’ali di un’immaginazione veramente creativa, mai nella vita sarà capace di produrre una parabola che si ricordi, un detto meritevole di restare nella memoria delle genti di Nazaret e di essere legato per i posteri, o tanto meno uno di quei precisi epiloghi in cui l’esemplarità della lezione traspare immediatamente dalle parole, una lezione talmente luminosa da respingere in futuro l’intromissione di qualunque glossa, oppure, al contrario, abbastanza oscura o ambigua da trasformarsi nei giorni avvenire in piatto succulento per eruditi e specialisti vari.
    Quanto alle doti di Maria, per il momento, c’è solo da cercarle con il lanternino, e comunque non troveremmo altro se non quanto è legittimo attendersi da chi non ha neppure sedici anni e, benché donna sposata, è solo una ragazzina fragile, due soldi di cacio, per così dire, ché anche allora, pur essendoci diversi denari, queste monete qui non mancavano. Malgrado l’esile figura, Maria lavora come le altre donne, cardando, filando e tessendo la biancheria di casa, cuocendo tutti i santi giorni il pane per la famiglia nel forno domestico, scendendo alla fonte per attingere l’acqua, e poi di nuovo su per il pendio, fra ripidi sentieri, la brocca panciuta in testa, un orcio poggiato sul fianco e, infine, sul far della sera, spingendosi fra stradelle e piste abbandonate dal Signore a raccogliere legna e a fare stoppia, portandosi per giunta dietro un cesto con cui raccattare non solo lo sterco secco del bestiame, ma anche tutti quei cardi e rovi che abbondano sulle declivi alture di Nazaret, quanto di meglio è riuscito a inventare Dio per accendere un fuoco e intrecciare una corona.
    Tutto questo arsenale messo insieme sarebbe un carico più adatto da trasportare a casa in groppa a un mulo, non fosse per la convincente circostanza che l’animale è rigorosamente adibito al servizio di Giuseppe e al trasporto del legname. Scalza alla fonte va Maria, scalza va nei campi, con quei suoi poveri vestiti che nel lavoro tanto più si sporcano e si consumano, e che bisogna stare sempre lì a lavare e a rammendare, i panni nuovi e le maggiori cure sono per il marito, donne del genere si contentano di una cosa qualunque. Maria va alla sinagoga, entra dalla porta laterale, quella che la Legge impone alle donne, e se, supponiamo, vi si trovano già lei e trenta sue compagne, o magari tutte le donne di Nazaret, o tutta la popolazione femminile della Galilea, dovranno comunque aspettare che arrivino almeno dieci uomini perché il servizio del culto, cui solo da passive assistenti parteciperanno, possa essere celebrato. Al contrario di Giuseppe, suo marito, Maria non è né timorata né giusta, ma non è certo sua la colpa di queste piaghe morali, la responsabilità è della lingua che parla, se non degli uomini che l’hanno inventata, visto che le parole giusto e timorato, semplicemente, non hanno il femminile.
    Orbene, accadde che un bel giorno, passate circa quattro settimane da quell’alba indimenticabile in cui le nuvole del cielo erano straordinariamente apparse di un colore violetto, Giuseppe era a casa, più o meno all’ora del tramonto, e stava consumando la sua cena, seduto per terra e con le mani nel piatto come si usava allora, e Maria, in piedi, aspettava che finisse per poi mangiare. Erano entrambi taciturni, l’uno perché non aveva niente da dire, l’altra perché non sapeva come dire quanto aveva in mente. Accadde dunque che andò a bussare al cancelletto del cortile uno di quei poveri mendicanti che, pur non essendo un’assoluta rarità, erano assai poco frequenti lì, tenendo conto dell’umiltà del luogo e della norma degli abitanti, senza contare l’arguzia e l’esperienza della gente che mendica, ogniqualvolta c’è da ricorrere al calcolo delle probabilità, minime in questo caso. Eppure, delle lenticchie stufate con cipolla e della zuppa di ceci che stavano per diventare la sua cena, Maria ne mise una buona porzione in una scodella e la portò al mendicante, che si sedette a terra per mangiare, fuori della porta che non aveva varcato. Non c’era stato bisogno che Maria chiedesse il permesso al marito ad alta voce, glielo concesse lui o gliel’ordinò con un cenno del capo, ché già si sa quanto siano superflue le parole di questi tempi, quando un semplice gesto basta per uccidere o lasciar vivere, tale e quale nei giochi del circo si muove il pollice dei cesari, puntando in su o in giù. Benché diverso, anche questo crepuscolo era stupendo, con quei mille filamenti di nuvola sparsi nella vastità, rosa, madreperla, salmone, ciliegia, sono modi di dire terreni per poterci capire, giacché questi colori, e tutti gli altri, a quanto si conosce non hanno nomi celesti. Senza dubbio, il mendicante doveva avere una fame arretrata, questa sì che è fame, se ha ingollato tutto e si è leccato il piatto in così pochi minuti, ma eccolo, sta bussando di nuovo alla porta per restituire la scodella e ringraziare per l’elemosina. Maria andò ad aprire, l’accattone era lì, in piedi, ma inaspettatamente grande, assai più alto di quanto le era parso prima, in fondo è giusto quel che si dice, c’è davvero una differenza enorme fra il mangiare e il non aver mangiato, tant’è che a quest’uomo pareva addirittura che gli risplendesse il viso e gli brillassero gli occhi, mentre gli abiti che indossava, vecchi e cenciosi, si agitavano sotto un vento venuto da non si sa dove, e con quell’incessante movimento ci si confondeva la vista, al punto che, per un istante, quei cenci sembrarono degli eleganti e sontuosi drappi, ma solo a vederlo ci si potrebbe credere. Maria tese le mani per riprendere la scodella che, per un’illusione ottica davvero portentosa, suscitata forse dalle luci cangianti del cielo, pareva essersi tramutata in un vaso dell’oro più puro, e, nel preciso istante in cui la ciotola passava da queste mani a quelle, disse il mendico con voce potentissima, ché anche in questo il povero cristo si era trasformato, Che il Signore ti benedica, donna, e ti dia tutti i figli che a tuo marito piacerà, ma che non ti consenta di vederli come adesso vedi me, io che non ho, o vita mille volte dolorosa, dove posare il capo. Maria stringeva la scodella con le mani a conca, coppa su coppa, come in attesa che il mendico vi deponesse qualcosa dentro, e lui senza spiegazioni così fece, si chinò e raccolse un pugno di terra che, dopo aver alzato la mano, lentamente fece scivolare fra le dita, mentre diceva con voce sorda e risonante, L’argilla all’argilla, la polvere alla polvere, la terra alla terra, nulla comincia che non debba finire, tutto ciò che comincia nasce da ciò che è finito. Maria, turbata, domandò, Cosa vuol dire, e il mendico rispose solo, Donna, tu porti un figlio nel tuo ventre, ed è questo l’unico destino degli uomini, avere inizio e fine, avere fine e inizio, Come hai saputo che sono incinta, Non è ancora cresciuto il ventre, ma i figli brillano già negli occhi della madre, In tal caso, mio marito avrebbe dovuto vedere nei miei occhi il figlio che ha generato, Ma forse non ti guarda quando lo guardi tu, E chi sei tu, che non hai avuto bisogno di udirlo dalle mie labbra, Io sono un angelo, ma non dirlo a nessuno.
    In quell’istante, gli abiti risplendenti ridivennero cenci, quella figura di titanico gigante rimpicciolì e si consumò quasi l’avesse lambita una repentina lingua di fuoco, e avvenne appena in tempo la prodigiosa trasformazione, grazie a Dio, perché subito dopo la prudente ritirata Giuseppe era già quasi sulla porta, attratto dal brusio delle voci, più soffocate che in una conversazione lecita, ma soprattutto dall’eccessivo dilungarsi della moglie, Cos’altro voleva da te, quel povero, domandò, e Maria, non sapendo quali parole poteva pronunciare, seppe rispondergli solo, Dall’argilla all’argilla, dalla polvere alla polvere, dalla terra alla terra, nulla comincia che non debba finire, nulla finisce che non cominci, L’ha detto lui, Sì, e ha aggiunto che i figli degli uomini brillano negli occhi della donna, Guardami, Ti sto guardando, Mi pare di vedere un bagliore nei tuoi occhi, furono le parole di Giuseppe, e Maria rispose, Sarà tuo figlio. Il crepuscolo si era tinto di azzurro, stava già acquistando il primo colore della notte, adesso si notava come dall’interno della scodella si irradiasse una sorta di luce nera che delineava sul viso di Maria delle fattezze che non erano mai state sue, gli occhi sembravano appartenere a qualcuno più vecchio. Sei incinta, domandò infine Giuseppe, Sì, gli rispose Maria, Perché non me l’hai detto prima, Te l’avrei detto oggi, aspettavo che finissi di mangiare, E poi è arrivato quel mendicante, Sì, Cos’altro ti ha detto, senza dubbio di tempo ce n’è stato, Che il Signore mi conceda tutti i figli che vorrai, Cos’hai, lì nella scodella, di così brillante, Ho della terra, L’humus è nero, l’argilla verde, la sabbia bianca, soltanto la sabbia brilla, se vi batte il sole, e adesso è notte, Sono una donna, non so spiegarlo, quell’uomo ha raccolto un po’ di terra e l’ha messa dentro, mentre pronunciava queste parole, La terra alla terra, Sì.
    Giuseppe andò ad aprire il cancello, guardò da un lato e dall’altro. Non lo vedo più, è sparito, disse, ma Maria stava già rientrando tranquillamente in casa, sapeva che il mendicante, se era davvero chi aveva detto di essere, solo di sua volontà avrebbe permesso che lo vedessero. Posò la scodella sulla pietra del focolare, prese dalla cenere un po’ di brace, con cui accese il fuoco, soffiandovi fino ad attizzare una fiammella. Giuseppe rientrò, aveva un’espressione interrogativa, uno sguardo perplesso e sospettoso che tentava di nascondere muovendosi con la lentezza e la solennità del patriarca, che non gli donavano affatto, tant’era giovane.
    Discretamente, cercando di non farsi vedere, andò a sbirciare la scodella, la terra luminosa, assumendo un’aria di scetticismo ironico, ma se era una dimostrazione di virilità quella che voleva dare, non gliene valse la pena, Maria teneva gli occhi bassi, era come assente. Con uno stecco, Giuseppe smosse la terra, incuriosito nel vederla scurirsi mentre la agitava per poi riacquistare la sua brillantezza, su una luce costante, quasi smorta, serpeggiavano rapidi bagliori, Non capisco, qui dev’esserci un mistero, o la terra l’aveva con sé e tu hai creduto che l’abbia raccolta dal suolo, sono i trucchi di un mago, nessuno ha mai visto brillare la terra di Nazaret. Maria non rispose, mangiava quel poco che era rimasto delle lenticchie e della zuppa di ceci, accompagnandolo con un tozzo di pane unto d’olio. Spezzandolo, aveva detto, come sta scritto nella Legge, ma nel tono modesto che si addice alla donna, Che Tu sia lodato, Adonai, nostro Dio, re dell’universo, che fai uscire il pane dalla terra.
    Mangiava in silenzio, mentre Giuseppe, lasciando vagare i pensieri come se stesse commentando nella sinagoga un versetto della Torah o la parola dei profeti, rifletteva sulla frase appena udita dalla moglie, la stessa che aveva recitato anche lui nell’atto di dividere il pane, e tentava di immaginare che messe avrebbe potuto nascere e fruttificare da una terra che brillava, che pane avrebbe dato, che luce avremmo avuto dentro di noi, se ce ne fossimo cibati. Sei sicura che quel mendicante abbia raccolto la terra qui, le domandò di nuovo, e Maria rispose, Sì, sono sicura, E prima non brillava, Per terra non brillava. Tanta decisione dovrebbe scuotere il tipico atteggiamento di sistematico sospetto di chiunque sia posto di fronte ai detti e ai fatti delle donne in genere, e della propria in particolare, ma per Giuseppe, come per qualunque uomo di quei tempi e luoghi, era dottrina assai pertinente quella che riteneva il più saggio degli uomini colui che meglio sappia difendersi dalle arti e dalle furbizie femminili.
    Parlare poco con loro e ascoltarle ancora meno è il motto di ogni uomo prudente che non abbia dimenticato gli avvertimenti del rabbi Josaphat ben Yohanan, parole sagge quanto mai, Nell’ora della morte si dovrà chiedere conto all’uomo di ogni conversazione inutile che abbia avuto con sua moglie. Si chiese Giuseppe se questa conversazione con la moglie avrebbe potuto essere annoverata fra le inutili e, dopo averne concluso affermativamente, prendendo in considerazione la singolarità dell’evento, giurò comunque a se stesso di non dimenticare mai le sante parole del rabbi suo omonimo, è bene ricordare che Josaphat significa Giuseppe, per non doversi ritrovare con dei rimorsi tardivi nell’ora della morte, che a Dio piacendo dovrebbe essere un riposo. E infine, interrogatosi se fosse il caso di informare gli anziani della sinagoga del sospetto caso del mendicante sconosciuto e della terra luminosa, convenne di doverlo fare, per la tranquillità della propria coscienza e la pace domestica.
    Maria finì di mangiare. Portò fuori le scodelle per lavarle, tranne quella, inutile dirlo, usata dal mendicante. In casa c’erano adesso due luci, quella del lume, che lottava faticosamente contro la notte ormai definitivamente insediatasi, e quell’alone luminescente, vibratile ma costante, come un sole che non si decidesse a sorgere.
    Seduta per terra, Maria continuava ad aspettare che il marito le rivolgesse la parola, ma Giuseppe non ha altro da dirle, adesso è impegnato a comporre mentalmente le frasi del discorso che pronuncerà domani davanti al consiglio degli anziani. Lo irrita non sapere esattamente cosa sia successo fra la moglie e il mendicante, cos’altro possano essersi detti, ma non vuole domandarglielo di nuovo, perché non si aspetta certo che lei aggiunga qualcosa a quanto ha già raccontato, e quindi lui dovrebbe prendere per vero il resoconto già fatto per ben due volte, e se in fin dei conti lei sta mentendo, lui non potrà saperlo, ma lei sì, saprà di mentire e di aver mentito, e se la riderà sotto il velo, come vi sono ottime ragioni per credere che abbia riso Eva di Adamo, in modo più dissimulato, è chiaro, perché allora non esisteva ancora un velo che la coprisse. Giunto a questo punto, il pensiero di Giuseppe fece il seguente e inevitabile passo, ed eccolo quindi raffigurarsi il misterioso mendicante come un emissario del Tentatore, il quale, visto quanto sono cambiati i tempi e premunite le persone, non è caduto certo nell’ingenuità di ripetere l’offerta di un semplice frutto naturale, sembra piuttosto che sia venuto a recare la promessa di una terra diversa, luminosa, sfruttando all’uopo, come al solito, la credulità e la malizia delle donne.
    Giuseppe ha la testa che gli scoppia, ma è soddisfatto di se stesso e delle conclusioni cui è giunto. Dal canto suo, non sapendo nulla dei meandri di analisi demonologica tra cui si è avventurata la mente del marito, e tanto meno delle responsabilità che le sono attribuite, Maria tenta di capire quella strana sensazione di mancanza che sta provando da quando ha annunciato al marito la gravidanza. Non un’assenza interiore, certo, perché oltre tutto sa di trovarsi in quel momento, e nel senso più rigoroso del termine, occupata, ma una vera e propria assenza esterna, come se il mondo, da un attimo all’altro, si fosse spento o allontanato. Ricorda, ma è come se stesse rammentando un’altra vita, che dopo quest’ultimo pasto, e prima di distendere le stuoie per dormire, aveva sempre qualche lavoro da finire, vi passava il tempo, mentre adesso sta pensando che non dovrebbe più muoversi dal punto in cui si trova, lì, seduta per terra, a guardare la luce che tracima dal bordo della scodella e ad aspettare che il figlio nasca. Diciamo adesso, a onore della verità, che i suoi pensieri non furono così chiari, in fin dei conti il pensiero, lo hanno già detto altri, o forse anch’io, è come un grosso gomitolo di filo arrotolato su se stesso, lento in alcuni punti, in altri stretto fino alla soffocazione e allo strangolamento, è qui, dentro la testa, ma è impossibile conoscerne tutta l’estensione, bisognerebbe srotolarlo, tenderlo e infine misurarlo, ma questo, per quanto lo si tenti, o si finga di tentarlo, non si può fare da soli, senza aiuto, dev’esserci qualcuno che un giorno venga a dirti dove tagliare il cordone che lega l’uomo al suo ombelico, dove legare il pensiero alla sua causa.
    Il mattino seguente, dopo una notte di pessimo sonno, durante la quale si era svegliato in continuazione per l’incubo di vedersi cadere e ricadere in un’immensa ciotola capovolta, che era come un cielo stellato, Giuseppe si recò alla sinagoga per chiedere consiglio e rimedio agli anziani. Il suo insolito caso era talmente straordinario, anche se lui non poteva neppure immaginare fino a che punto, giacché, come sappiamo, gli mancava il meglio della storia, cioè la conoscenza dell’essenziale, ché se non fosse per l’ottima opinione che hanno di lui i veterani di Nazaret, magari dovrebbe tornarsene per la stessa strada, sentendo come un riecheggiante suono di bronzo la sentenza dell’Ecclesiaste con cui lo avrebbero fulminato, Chi si fida con troppa facilità è di animo leggero, e lui, poverino, armato dello stesso Ecclesiaste, e a proposito del sogno che lo aveva perseguitato tutta la notte, sarebbe stato privo della presenza di spirito per ribattere, Lo specchio e i sogni sono cose simili, sono come l’immagine dell’uomo di fronte a se stesso. Concluso dunque il racconto, gli anziani si guardarono l’un l’altro e poi, tutti insieme, fissarono Giuseppe, e il più vecchio, traducendo in una domanda diretta la discreta sospettosità del consiglio, disse, È la verità, tutta la verità e solo la verità quanto ci hai appena raccontato, e il falegname rispose, La verità, tutta la verità e nient’altro che la verità, il Signore mi sia testimone.
    Discussero gli anziani lungamente fra di loro, mentre Giuseppe aspettava in disparte, e infine lo chiamarono per annunciargli che, per via di certe discordanze che ancora sussistevano sui procedimenti più opportuni, avevano deciso di inviare tre emissari a interrogare direttamente Maria sugli strani eventi e indagare su chi fosse mai quel mendicante che nessun altro aveva visto, che aspetto avesse, quali precise parole avesse pronunciato, se si aggirasse abitualmente per Nazaret a chiedere l’elemosina, raccogliendo peraltro, di passaggio, quante altre notizie avrebbe potuto dare il vicinato circa il misterioso personaggio. Gioì in cuor suo Giuseppe perché, pur non volendo confessarlo, l’intimoriva il pensiero di dover affrontare da solo la moglie, per quel particolare atteggiamento che aveva assunto, sempre con gli occhi bassi, come detta la discrezione, certo, ma insieme con una mal celata espressione provocante, l’espressione di chi sa più di quanto voglia ammettere, e vuole che si noti. In verità, in verità vi dico, non c’è limite alla malizia delle donne, soprattutto delle più innocenti.
    Partirono dunque gli emissari, Giuseppe in testa, a fare strada, ed erano Abiatar, Dotain e Zacchia, nomi che si registrano qui per stornare ogni sospetto di frode storica che potrebbe eventualmente perdurare nello spirito di tutti coloro che di questi fatti e delle loro versioni siano venuti a conoscenza da altre fonti, magari più accreditate dalla tradizione, ma non per questo più autentiche. Enunciati i nomi, provata l’effettiva consistenza di personaggi che li usavano, i dubbi ancora sussistenti perdono molta della loro forza, sebbene non la loro legittimità. Ma non capitava tutti i giorni che uscissero tre anziani emissari, come si rivelavano dalla particolare dignità dell’incedere, dalle tuniche e dalle barbe al vento, e quindi furono ben presto circondati da un gruppo di ragazzini che, con le intemperanze tipiche dell’età, risate, grida, schiamazzi, accompagnarono i delegati della sinagoga fino alla casa di Giuseppe, che il rumoroso e denunciante corteo aveva cominciato a infastidire alquanto. Attratte dal baccano, le donne delle case vicine si affacciarono agli usci e, fiutando qualche novità, mandarono i figli a scoprire che cosa fosse quell’assembramento davanti alla porta della vicina Maria. Fatica sprecata, ché entravano soltanto gli uomini. La porta si chiuse con autorità, fino ai nostri giorni, nessuna delle curiose di Nazaret ha mai saputo quanto accadde nella casa del falegname Giuseppe. E, dovendo immaginare qualcosa per alimentare la curiosità insoddisfatta, finirono per fare del mendico, che non riuscirono mai a vedere, un ladro che svaligiava gli alloggi, davvero una grande ingiustizia, ché l’angelo, ma non dite a nessuno che era un angelo, quel che ha mangiato non l’ha di certo rubato e, per giunta, ha lasciato un pegno soprannaturale. Fatto sta che, mentre i due anziani di maggiore età continuavano a interrogare Maria, il meno vecchio dei tre, Zacchia, raccolse nei paraggi ricordi di un mendicante così e così, secondo gli indizi forniti dalla moglie del falegname, ma nessuna vicina seppe dargli alcuna notizia, nossignore, ieri non si è visto nessun mendicante, e se è passato davanti alla mia porta, non ha bussato, doveva essere un ladro di passaggio che, trovando gente in casa, ha finto di essere un povero mendicante e poi ha preso il largo, è un trucco conosciuto dacché mondo è mondo.
    Tornò Zacchia senza notizie a casa di Giuseppe proprio mentre Maria stava ripetendo per la terza o quarta volta quanto già sappiamo. Erano tutti dentro casa, lei ritta in piedi, come imputata di un delitto, la scodella per terra, e dentro, persistente, come un cuore palpitante, l’enigmatica terra, Giuseppe da una parte e gli anziani seduti davanti, come giudici, e Dotain, il mediano d’età, diceva, Non è che non vogliamo credere a quanto ci racconti, ma bada che sei l’unica ad aver visto quell’uomo, se era un uomo, tuo marito sa soltanto di averne sentito la voce, e adesso Zacchia ci viene a dire che nessuna delle tue vicine lo ha visto, Ne sarò testimone di fronte al Signore, Egli sa che la verità parla attraverso la mia bocca, Sì, la verità, ma chissà se è tutta la verità, Berrò l’acqua della prova del Signore, ed Egli dimostrerà se sono colpevole, La prova delle acque amare è riservata alle donne sospette d’infedeltà, tu non potevi essere infedele a tuo marito, non ne avevi il tempo, La menzogna, si dice, è tale e quale all’infedeltà, Un’altra, non questa, La mia bocca è fedele quanto me. Prese poi la parola Abiatar, il più vecchio dei tre anziani, e disse, Non ti domanderemo altro, il Signore ti ripagherà sette volte se avrai detto la verità, o sette volte incasserà da te se con la menzogna ci avrai ingannato. Tacque e rimase in silenzio, poi aggiunse, rivolgendosi a Zacchia e Dotain, Che ne facciamo di questa terra che brilla se, come consiglia la prudenza, qui non deve rimanere, giacché può anche darsi che questi siano artifici del Demonio. Disse Dotain, Che torni alla terra da cui è venuta, che torni a essere scura come era in precedenza. Disse Zacchia, Non sappiamo chi fosse il mendicante, né perché abbia voluto farsi vedere solo da Maria, né cosa significhi un pugno di terra che brilla sul fondo di una scodella. Disse Dotain, Portiamola nel deserto e spargiamola lì, lontano dalla vista degli uomini, perché il vento la disperda nell’immensità e la pioggia la spenga. Disse Zacchia, Se questa terra è un bene, non bisogna allontanarla da dove sta, e se, al contrario, è un male, vi siano esposti solo coloro che sono stati prescelti a riceverla. Domandò Abiatar, Cosa proponi, allora, e Zacchia rispose, Si scavi un buco qui e vi si depositi nel fondo la scodella, coperta affinché non si unisca alla terra naturale, un bene, anche se sotterrato, non si perde, e un male avrà meno potere lontano dalla vista. Disse Abiatar, Cosa ne pensi tu, Dotain, e questi rispose, È giusto quanto propone Zacchia, facciamo come dice. Allora Abiatar disse a Maria, Ritirati e lascia che agiamo, Dove devo andare, domandò lei, ma Giuseppe, improvvisamente turbato, disse, Se dobbiamo sotterrare la scodella, che sia fuori di casa, non voglio dormire con una luce sepolta sotto di me. Disse Abiatar, Sia fatto come dici, e rivolto a Maria, Tu resterai qui. Uscirono gli uomini nel cortile, la scodella in mano a Zacchia. Poco dopo si udirono colpi di vanga, ripetuti e secchi, era Giuseppe che stava scavando, e qualche minuto più tardi si sentì la voce di Abiatar che diceva, Basta, è già sufficientemente profonda. Maria sbirciò dalla fessura della porta, vide il marito ricoprire la scodella con un pezzo ricurvo di brocca e poi calarla, per tutta la lunghezza del braccio, dentro la fossa, infine rialzarsi e, di nuovo afferrando la vanga, cominciare a riversarvi dentro della terra, pressandola quindi con i piedi.
    Gli uomini sostarono ancora per qualche momento nel cortile, parlando fra loro e guardando la macchia di terra fresca, quasi avessero appena nascosto un tesoro e volessero fissare il punto nella memoria. Ma non stavano certo discutendo di questo, perché all’improvviso si udì, più forte, la voce di Zacchia, con un tono che sembrava di benevolo rimprovero, Suvvia, Giuseppe, che razza di falegname saresti, se non sei neppure capace di fare un letto, adesso che tua moglie è incinta. Gli altri risero, e Giuseppe li imitò, un po’ per compiacenza, come chi sia stato colto in fallo e voglia far finta di niente. Maria li vide incamminarsi verso il cancello e uscire, e adesso, seduta presso il focolare, vagava con lo sguardo per la casa, cercando il posto dove avrebbe potuto mettere il letto, se il marito si fosse deciso a farlo. Non voleva pensare a quella scodella né alla terra luminosa, né tanto meno se il mendicante fosse davvero un angelo o un commediante andato li a divertirsi alle sue spalle. Una donna, se le promettono un letto per la sua casa, deve pensare solo al posto dove si adatterà meglio.

    (José Saramago, Il Vangelo secondo Gesù, Bompiani 1995, pp. 23-33)


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    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


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