Effusione

dello Spirito santo

e remissione dei peccati

Enzo Bianchi

«Venga il tuo Spirito santo su di noi e ci purifichi» (Lc 11,2). Allo Spirito santo appartiene dunque la particolare e prioritaria forza ed energia di purificare e rimettere i peccati, come attesta la parola evangelica. (Gregorio di Nissa, Omelie sul Padre nostro III)
La remissione dei peccati avviene nella grazia dello Spirito [, come sta scritto]: «Siete stati lavati e siete stati santificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito santo» (cf 1Cor 6,11). (Basilio di Cesarea, Lo Spirito santo XIX,49)

Introduzione

Quando mi è stata richiesta questa relazione sul tema: «Effusione dello Spirito santo e remissione dei peccati», ho accettato con gioia. Ma non appena ho iniziato le mie ricerche ho avuto la sorpresa di constatare che questo argomento è evaso, tralasciato, nel migliore dei casi appena accennato. In ambito liturgico, in particolare, il rapporto tra Spirito e remissione dei peccati non ha attirato l’attenzione degli studiosi; anche in ambito teologico, e più precisamente pneumatologico, il tema non è assolutamente approfondito, ma sempre solo accennato.
Chiedo quindi scusa a tutti voi se vi offro una relazione che ha il limite di una ricerca molto personale, senza molti possibili punti di confronto, e che dunque non si presenta sufficientemente articolata. Cercherò innanzitutto di leggere come la relazione tra Spirito santo e remissione dei peccati è delineata nelle Sante Scritture; in un secondo momento metterò in luce come la liturgia, lex orandi, sia ispirata e nello stesso tempo confermi la fede, la lex credendi.

1. Spirito santo e remissione dei peccati nelle Scritture

Quando evochiamo lo Spirito di Dio, lo Spirito santo, la ruach ‘Adonaj, non dobbiamo mai dimenticare che lungo tutto l’Antico Testamento, così come nel Nuovo, esso è indissolubilmente legato alla Parola di Dio: ruach ‘Adonaj e dabar ‘Adonaj sono sempre congiunti e spesso nominati l’uno dopo l’altra. Questo appare già all’inizio delle Sante Scritture, in Gen 1,2-3: «Lo Spirito di Dio planava/covava (merachefet) sulla faccia delle acque, e Dio parlò: “Luce!”, e la luce fu». Così anche nel Sal 33,6: «Con la Parola del Signore furono fatti i cieli e con lo Spirito della sua bocca tutte le loro schiere». E ancora in 2Sam 23,2, dove David dice: «Lo Spirito del Signore parla in me, la sua Parola è sulla mia lingua».
Lo Spirito appare come il principio fondante e dinamico, come l’ambiente in cui Dio è presente, mentre la Parola è il principio che struttura, che fa venire all’esistenza. Dove c’è la Parola di Dio, là c’è lo Spirito di Dio, e per questo sia nella tradizione rabbinica che nel Nuovo Testamento la Parola del Signore ha potuto essere introdotta con formule come: «lo Spirito santo dice» (At 28,25 e Eb 3,7, cui seguono citazioni tratte rispettivamente da Isaia e da un Salmo), o «lo Spirito santo attesta» (Eb 10,15, cui segue una citazione tratta da Geremia). Lo Spirito santo non è mai donato senza la Parola e, reciprocamente, la Parola suppone sempre la presenza dello Spirito. Lo dirà Ireneo di Lione, scrivendo sinteticamente che la Parola e lo Spirito sono le due sante mani con cui il Padre ha creato ogni cosa (cf. Contro le eresie IV, prefazione; IV,20,1); lo dirà il grande Basilio, chiamando lo Spirito e il Verbo «i due compagni inseparabili» (cf. Lo Spirito santo XVI,39). Questo legame tra Parola e Spirito va dunque sempre affermato, anche quando non è materialmente attestato nello sta scritto. Ma per focalizzare con più precisione il rapporto tra Spirito santo e remissione dei peccati dobbiamo necessariamente ascoltare due testi profetici che si richiamano a vicenda. Innanzitutto un brano del profeta Geremia (Ger 31,33-34: tra l’altro è il testo citato nel passo della Lettera agli Ebrei di cui sopra, Eb 10,16-17, nonché in Eb 8,8-12), in cui vi è la promessa di una nuova alleanza, un’alleanza non come quella stipulata con i padri, da essi violata, ma un’alleanza che avrà questi fondamenti:
- Dio pone la sua Parola-Insegnamento (Torah) nell’animo, la scrive nel cuore degli uomini (v. 33);
- Dio perdona l’iniquità e non ricorda più il peccato del suo popolo (v. 34);
- ecco allora la nuova alleanza, conclusa con le parole: «Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (v. 33).
Accanto a questa promessa vi è quella contenuta nel profeta Ezechiele (Ez 36,25-28), che conferma la nuova alleanza in modo parallelo:
- Dio dà agli uomini un cuore nuovo e infonde in loro uno Spirito nuovo, il suo Spirito (vv. 26-27);
- Dio purifica il suo popolo da tutte le impurità e da tutti gli idoli (v. 25);
- ecco allora l’alleanza, conclusa con le parole: «Voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio» (v. 28).
In Geremia è la Torah, l’Insegnamento-Parola di Dio che, posto nel cuore dei credenti, causa la remissione dei peccati; in Ezechiele è lo Spirito di Dio che, infuso nel cuore dei credenti, produce questa stessa remissione. Ma questo legame tra Parola-Spirito di Dio e remissione dei peccati appare epifanico nel compimento pasquale di Gesù. È soprattutto l’evangelista Giovanni che è attento a questo compimento avvenuto in Gesù, Parola fatta carne (cf. Gv 1,14), che ha ricevuto su di sé «lo Spirito senza misura» (cf. Gv 3,34). Subito all’inizio del vangelo Gesù è presentato da Giovanni il Battista come «colui sul quale aveva visto scendere e rimanere lo Spirito, colui che battezza nello Spirito santo» (cf. Gv 1,33): per questo egli è «l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29; cf. 1,35).
E al cuore del suo ministero, nel grande giorno della festa delle Capanne, Gesù levatosi in piedi nel tempio esclama a gran voce:
«Chi ha sete venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: “Fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno”». Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non era ancora stato dato lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato (Gv 7,37-39).
Nei discorsi di addio Gesù annuncia poi ai suoi discepoli che il Paraclito, lo Spirito consolatore che egli avrebbe inviato dal Padre una volta ritornato a lui, avrebbe convinto il mondo quanto al peccato (cf. Gv 16,7-9). Giunta infine l’ora della glorificazione, il quarto vangelo presenta questo dono dello Spirito da parte di Gesù articolandolo in due momenti. Il primo è quello dell’«ora», l’ora della morte di Gesù in croce. Gesù, dopo aver gridato: «Ho sete» (Gv 19,28), sete del Dio vivente (cf. Sal 42,3), e aver ricevuto l’aceto (cf. Gv 19,29; Sal 69,22), «disse: “È compiuto!” e, chinato il capo, consegnò lo Spirito» (Gv 19,30): parédoken tò pneûma, recita il testo greco, servendosi del verbo paradídomi, quello tipico del linguaggio della trasmissione, della tradizione. Così il dono dello Spirito viene effuso sull’universo, sulla chiesa presente sotto la croce nella polarità materna in Maria e in quella filiale nel discepolo amato. E subito dopo avviene anche il compimento delle parole profetiche dette da Gesù in occasione della festa delle Capanne: il suo seno viene colpito con la lancia da un soldato, e subito «ne uscirono sangue e acqua» (Gv 19,34). Commenta Xavier Léon-Dufour:
L’acqua che sgorga dal fianco trafitto simboleggia che il fiume d’acqua viva ha cominciato a scorrere: il dono che i profeti situavano alla fine dei tempi, l’acqua pura, cioè lo Spirito effuso, è una realtà presente da quando il Figlio ha compiuto il suo passaggio al Padre (Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni. IV [Capitoli 18-21], San Paolo, Cinisello Balsamo 1998, p. 217).
Il secondo momento della glorificazione è situato dopo la resurrezione. È la sera del primo giorno della settimana e i discepoli sono radunati insieme: ed ecco che «Gesù venne, stette in mezzo (hêlthen ho Iesoûs kaì éste eis tò méson) e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il seno, e i discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv 20,19-20). Si avvera così ciò che Gesù aveva detto prima della passione: «Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia … Io vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (Gv 16,20.22). Il Risorto innesta poi la sua comunità nella sua missione: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21); e affinché questo innesto avvenga e la missione del Figlio diventi la missione dei discepoli, Gesù «alitò (verbo en-physáo, «soffiare dentro») su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito santo”» (Gv 20,22). Egli soffia
come Dio nel creare l’uomo «soffiò nelle sue narici un alito di vita ed egli divenne un essere vivente» (Gen 2,7; cf. anche Sap 15,11); come sta scritto in Ezechiele: «Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti perché rivivano» (Ez 37,9: in entrambi i casi la LXX usa il verbo en-physáo),
e così comunica lo Spirito santo. È il pieno compimento della glorificazione: lo Spirito è dato ai credenti. Di più, il dono dello Spirito, compimento di tutta la missione del Figlio, di colui che battezza nello Spirito santo, è potenza, dýnamis, è autorevolezza, exousía, in vista della remissione dei peccati per tutti gli uomini, come il Risorto annuncia al termine della sua manifestazione: «Ricevete lo Spirito santo. A coloro a cui rimetterete i peccati, saranno rimessi» (Gv 20,23). Mostrando i segni della sua passione, Gesù risorto e vittorioso sulla morte alita lo Spirito e dona la parola sulla remissione dei peccati, delineando la sua missione e la missione dei discepoli: rimettere i peccati, annunciare il perdono di Dio, la riconciliazione con lui. Dunque il Risorto nel primo giorno della settimana
fa il dono dell’ostensione del suo corpo trafitto e glorioso, in particolare del suo seno squarciato da cui è uscito il flusso d’acqua simbolo dello Spirito santo;
fa il dono dell’insufflazione dello Spirito santo, che apre la nuova creazione, che è Spirito nuovo nel cuore dei suoi discepoli, che è remissione dei peccati.
Il fine dell’incarnazione e del mistero pasquale è la riconciliazione tra l’uomo e Dio: e se nell’ora della glorificazione questo fine è stato raggiunto da Gesù Cristo, ora spetta ai suoi discepoli, alla chiesa proseguire questo ministero di riconciliazione. In altre parole, la chiesa testimonia la resurrezione di Gesù annunciando e attuando tra gli uomini la remissione dei peccati che si compie nella potenza dello Spirito santo: e questo a partire dalla liturgia, come ora vedremo.

2. Spirito santo e remissione dei peccati nella liturgia

a) Battesimo
A mo’ di introduzione al discorso sull’azione di remissione dei peccati connessa dalla liturgia allo Spirito santo, non possiamo dimenticare innanzitutto una variante del Padre nostro: alcuni testimoni non leggono «Venga il tuo Regno» bensì «Venga il tuo Spirito santo su di noi e ci purifichi» (Lc 11,2), come attesta ancora Massimo il Confessore (VII secolo). Secondo gli esegeti questa variante sarebbe tratta dalla liturgia battesimale, che è sempre stata compresa come liturgia della remissione dei peccati a partire dalle parole pronunciate dall’apostolo Pietro nel giorno di Pentecoste: «Ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito santo» (At 2,38; si noti tra l’altro, anche in questo caso la stretta connessione tra perdono dei peccati e Spirito). Gesù, risuscitato dallo Spirito santo, è diventato sorgente dello Spirito per la sua chiesa, e il battesimo è il sacramento per eccellenza di questo dono. In questo senso, «nascere dall’acqua e dallo Spirito» (cf. Gv 3,5) è nascere dallo Spirito santo di cui l’acqua è segno: per questo l’Apostolo può dire che «siamo stati immersi, battezzati in un solo Spirito» (1Cor 12,13).
Il cristiano nasce dunque dallo Spirito santo e non può sottrarsi al «bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito» (Tt 3,5), perché resta sempre immerso nello Spirito santo. È lo stesso Spirito che resuscita il cristiano incorporandolo a Cristo risorto, e compiendo questa azione rimette e cancella definitivamente i peccati sicché Dio non li ricorda più (cf. Is 43,25). Inizia proprio nel battesimo quella «conoscenza della salvezza» sperimentata «nella remissione dei peccati» (Lc 1,77) – come cantiamo nel Benedictus –, l’unica esperienza di salvezza che ci è donato di fare durante la nostra vita. Nel battesimo lo Spirito santo distrugge l’uomo vecchio (cf. Rm 6,6), fa rivestire il cristiano di Cristo (cf. Gal 3,27), lo rende uomo nuovo (cf. Ef 4,24), creatura nuova (cf. 2Cor 5,17) conforme a Gesù Cristo, il nuovo Adamo (cf. 1Cor 15,45).
Purtroppo dobbiamo confessare che nel rito del battesimo degli adulti non emerge a sufficienza l’azione dello Spirito santo in merito alla remissione dei peccati. Solo nella preghiera del secondo scrutinio si prega «perché, ottenuta la liberazione dal peccato in virtù dello Spirito santo, si volgano dal timore alla fiducia» (n° 170): per il resto lo Spirito è sì evocato, ma solo per la sua azione di rigenerazione, di incorporazione, di comunione. Forse questo è dovuto alla permanenza del rito della confermazione, dove la preghiera che precede il gesto sacramentale dell’imposizione delle mani recita:
Dio onnipotente
Padre del Signore nostro Gesù Cristo
che hai rigenerato questi tuoi figli
dall’acqua e dallo Spirito santo
liberandoli dal peccato
infondi in loro il tuo santo Spirito Paraclito (n° 51).
È invece soprattutto la liturgia siriaca che, fondandosi sulla propria tradizione patristica, insiste sull’azione dello Spirito santo nel battesimo quale remissione dei peccati. In particolare, Efrem di Nisibi (IV secolo) legge il battesimo di Gesù come discesa nell’acqua di Gesù e dello Spirito che era presso di lui: lo Spirito santo invisibile si è mescolato all’acqua visibile, in modo che chi è immerso lo sia non solo nell’acqua ma anche nello Spirito mescolato ad essa (cf. Sermo de Domino nostro 52). Secondo Efrem nel battesimo la remissione dei peccati avviene grazie all’immersione nello Spirito santo. Battesimo di Cristo e battesimo del cristiano non si oppongono ma si completano, perché «come lo Spirito è sceso su Gesù nel suo battesimo (cf. Mc 1,10 e par.), così è donato attraverso il suo battesimo» (Commento al Diatessaron IV,3): «Ecco il fuoco e lo Spirito santo sul fiume in cui tu sei stato battezzato [, o Cristo], fuoco e Spirito nel nostro battesimo» (Inno sulla fede 10). Infine, per Efrem la remissione dei peccati non è solo legata all’immersione nell’acqua che è mescolata con lo Spirito santo, ma anche all’unzione battesimale: è il myron, l’olio santo, che distrugge i peccati e li rimette (cf. Inni sulla verginità 4,9); l’olio santo è il simbolo di Cristo, ma la forza, la potenza, il profumo del myron è lo Spirito santo.

b) Penitenza
Se, come abbiamo rilevato, la presenza assolutoria dello Spirito santo è messa poco in risalto nel rito del battesimo, non si può dire altrettanto del nuovo rito del sacramento della penitenza (1974): in esso si può constatare con gioia una forte insistenza sul ruolo dello Spirito santo. In tal modo, va riconosciuto, si è riannodata una continuità con la tradizione biblica e patristica, e si è colmata una lacuna della teologia e della liturgia occidentale recenti. Nei Praenotanda e nello stesso Rituale lo Spirito santo è menzionato più di venti volte e ne viene specificata l’azione in vista della remissione dei peccati.
Innanzitutto si mette in evidenza che lo Spirito santo è all’origine del cammino di conversione del peccatore (cf. Praenotanda 6). È lo Spirito che lo spinge a convertirsi, a ritornare al Signore, come d’altronde lascia intravedere anche l’invocazione veterotestamentaria: «Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo» (Lam 5,21; cf. Sal 80,4.8.20; Ger 31,18), in cui l’azione preveniente di Dio è compiuta nella potenza del suo Spirito. La quarta formula suggerita per il rito di accoglienza del penitente proclama:
La grazia dello Spirito santo illumini il tuo cuore,
perché tu possa confessare con fiducia i tuoi peccati
e riconoscere la misericordia di Dio (n° 42).
È qui invocata una delle azioni dello Spirito santo già indicate da Gesù, quella di «convincere il mondo quanto al peccato» (cf. Gv 16,8): sì, lo Spirito concede il dono di fare la verità nella propria coscienza e, insieme, dà la certezza della remissione dei peccati. La fatica della coscienza umana non basta per discernere il peccato, ma occorre anche lo Spirito santo nella sua funzione di Paraclito, di Avvocato e Consolatore: senza di lui la fatica della coscienza non conduce alla metánoia, alla conversione che è sempre trasformazione del cuore, dono di un cuore nuovo e infusione di uno Spirito nuovo, come si vedeva nei passi profetici citati nella prima parte. Tutto questo processo è stato ben sintetizzato da Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Dominum et vivificantem (1986):
Fin [dall’] iniziale testimonianza della Pentecoste, l’azione dello Spirito di verità, che «convince il mondo quanto al peccato» (cf. Gv 16,8) del rifiuto di Cristo, è legata in modo organico con la testimonianza da rendere al mistero pasquale: al mistero del Crocifisso e del Risorto. E in questo legame lo stesso «convincere quanto al peccato» rivela la propria dimensione salvifica. È, infatti, un «convincere» che ha come scopo non la sola accusa del mondo, tanto meno la sua condanna. Gesù Cristo non è venuto nel mondo per giudicarlo e condannarlo, ma per salvarlo (cf. Gv 3,17; 12,47) … Il «convincere quanto al peccato» diventa insieme un convincere circa la remissione dei peccati, nella potenza dello Spirito santo. Pietro nel suo discorso di Gerusalemme esorta alla conversione (cf. At 2,38), come Gesù esortava i suoi ascoltatori all’inizio della sua attività messianica (cf. Mc 1,15). La conversione richiede la convinzione del peccato, contiene in sé il giudizio interiore della coscienza, e questo, essendo una verifica dell’azione dello Spirito di verità nell’intimo dell’uomo, diventa nello stesso tempo il nuovo inizio dell’elargizione della grazia e dell’amore: «Ricevete lo Spirito santo» (Gv 20,22). Così in questo «convincere quanto al peccato» scopriamo una duplice elargizione: il dono della verità della coscienza e il dono della certezza della redenzione. Lo Spirito di verità è il Consolatore (§ 31).
Ma lo Spirito santo è necessario anche al ministro per il compimento del suo ministero: un ministro della riconciliazione quale vero «ambasciatore di Cristo» (cf. 2Cor 5,20) deve essere dotato del dono del discernimento degli spiriti, del dono della consolazione (paráklesis), del dono della carità misericordiosa (cf. Praenotanda 10.15). Proprio perché la remissione dei peccati è innanzitutto un ministero spirituale e carismatico e non una funzione giuridica e disciplinare, allora il suo esercizio deve essere ispirato, sostenuto, guidato dallo Spirito di Cristo. Guai a quel ministro che svolge il ministero di riconciliazione senza questa epiclesi su di sé dello Spirito santo, perché è attraverso di esso che si ha un’exousía nel rimettere i peccati. Il sacramento non ha solo lo scopo di «cancellare» i peccati, ma anche quello di operare un cambiamento di mentalità e di orientamento da parte di chi lo riceve. Ecco perché il gesto di imposizione delle mani nel Rituale della penitenza significa comunicazione dello Spirito santo per la remissione dei peccati, la riconciliazione e la comunione con il Signore. Queste sono le parole che accompagnano l’imposizione delle mani sul penitente:
Dio, Padre delle misericordie,
che ha riconciliato a sé il mondo
attraverso la morte e la resurrezione del suo Figlio
e ha effuso lo Spirito santo per la remissione dei peccati,
mediante il ministero della chiesa
ti conceda il perdono e la pace (n° 46).
E nel caso di una liturgia penitenziale collettiva si dice:
Lo Spirito Paraclito,
che ci è stato dato per la remissione dei peccati
e perché in lui possiamo presentarci al Padre,
purifichi e illumini i vostri cuori
affinché possiate annunciare le grandi opere del Signore
che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce (n° 62).
Conclusione: eucaristia e remissione dei peccati
Non ho purtroppo il tempo per affrontare compiutamente il tema dell’azione di remissione dei peccati svolta dallo Spirito santo nell’eucaristia, tema che nella tradizione occidentale è stato poco sviluppato. Vorrei però almeno ricordare alcune tra le numerose testimonianze delle antiche tradizioni liturgiche, nelle quali appare evidente come l’epiclesi sia tesa innanzitutto a far scendere lo Spirito santo sui partecipanti all’eucaristia, affinché la celebrazione sia feconda in vista della salvezza. Si legge per esempio nell’Anafora di Addai e Mari:
Venga, mio Signore, il tuo Spirito santo e riposi su questa offerta dei tuoi servi, la benedica e la santifichi, affinché sia per noi, mio Signore, per la remissione dei debiti, per il perdono dei peccati, per la speranza grande della resurrezione dalla morte, e per la vita nuova nel regno dei cieli (Segno di unità, Qiqajon, Bose 1996, p. 305).
Oppure nell’Anafora detta di Giovanni Crisostomo:
Ti invochiamo, preghiamo e supplichiamo: manda il tuo Spirito santo su di noi e su questi doni a te offerti. E fa’ di questo pane il prezioso corpo del tuo Cristo trasformandolo con il tuo Spirito santo. Amen. E fa’ di ciò che è in questo calice il prezioso sangue del tuo Cristo, trasformandolo con il tuo Spirito santo, affinché diventi, per coloro che partecipano, per la purificazione dell’anima, per la remissione dei peccati, per la comunione del tuo Spirito santo, per la pienezza del Regno (Segno di unità, p. 246).
Sì, anche nell’eucaristia lo Spirito santo che trasforma i doni (tradizione greca), che si mescola ad essi e li riempie (tradizione siriaca), è per la remissione dei peccati. Del resto anche Ambrogio, in occidente, afferma: «Ogni volta che tu bevi [al calice], tu ricevi la remissione dei peccati e ti inebri di Spirito» (I sacramenti V,3,17).
Pur non addentrandomi nel rapporto tra eucaristia e remissione dei peccati, in quanto esula dal tema a me assegnato, non posso non notare quanto segue: secondo tutta la tradizione biblica e patristica l’eucaristia è per la remissione dei peccati, e lo Spirito santo, ossia la potenza in cui il Signore Gesù Cristo la celebra nella chiesa, è fonte della remissione dei peccati, indissolubilmente congiunta alle parole che Cristo nell’eucaristia rivolge alla sua comunità. In questo senso, mi piace citare ancora due testi tratti dalla tradizione siriaca. Il primo, di Efrem, è piuttosto noto anche per il fatto di essere stato citato da Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Ecclesia de Eucharistia (2003; cf. § 17):
Gesù chiamò il pane suo corpo vivente, lo riempì di se stesso e del suo Spirito. Stendendo la sua mano diede loro il pane che aveva santificato con la sua destra [e disse]: «… Prendete e mangiatene con fede, senza esitare, perché questo è il mio corpo e colui che lo mangia con fede, mangia Fuoco e Spirito … e sarà perdonato da ogni peccato … Prendete e mangiatene tutti, e mangiate con esso lo Spirito santo» (Omelia IV per la Settimana Santa).
L’altro brano è di Filosseno di Mabbug, un padre vissuto a cavallo tra il V e il VI secolo:
Dopo aver compiuto i sacrifici divini e aver compiuto i misteri attraverso la discesa dello Spirito santo, [il presbitero] non distribuisce l’eucaristia agli altri prima di averla presa lui stesso, come un mendicante, riconoscendo davanti a tutta la chiesa che lui per primo prende l’eucaristia per essere da essa purificato … Così testimonia contro di lui che egli è peccatore e che in quanto peccatore prende l’eucaristia per essere purificato … Per questo, al momento di distribuire i misteri, dice: «Ecco il corpo di Cristo per la remissione dei peccati» e «Ecco il sangue del Figlio di Dio per la purificazione delle colpe». (Discorso sull’inabitazione dello Spirito santo; cit. in D. A. Tanghe, «L’Eucharistie pour la rémission des péchés», in Irénikon 34/2 [1961], pp. 178-179).
Mi piace infine ricordare un testo eucologico della tradizione occidentale che è una vera e propria perla, e che nel suo dettato sintetico riassume in modo dossologico tutto il nostro percorso:
Mentes nostras, quaesumus, Domine
Spiritus sanctus adveniens divinis praeparet sacramentis
quia ipse est remissio omnium peccatorum.
Lo Spirito santo che sta per venire
ti preghiamo, Signore,
ci prepari ai misteri divini
poiché egli è la remissione di tutti i peccati.
(Super oblata del Sacramentarium Veronense 223; ora in sabato della VII settimana del tempo pasquale).

Barletta, 27 agosto 2009
«Lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20):
celebrare la misericordia
60° Settimana Liturgica Nazionale organizzata dal CAL