Cultura e sessualità

Furio Pesci

 

1. Il compito dei giovani è «creare una famiglia» (M. Montessori)

In uno dei suoi pochi scritti riguardanti le età dello sviluppo umano successive all'infanzia, Maria Montessori sottolineava già sessant'anni fa il fenomeno di giovani adulti che, per le condizioni economiche e culturali del tempo, vivevano a lungo in una sorta di «adolescenza prolungata».
Maria Montessori si riferiva in particolare agli studenti universitari che nel secondo dopoguerra, quando scriveva, erano una piccola minoranza della popolazione giovanile complessiva: «All'università abbiamo degli uomini che vivono come bambini, mentre sono uomini».[1]
Con queste parole la Montessori metteva in discussione tutto il si-stema formativo rivolto ai giovani adulti, individuandone la principale carenza nella scarsa responsabilizzazione che la società occidentale richiedeva alla generazione più giovane. Il fenomeno era, a suo dire, significativo e grave, perché, coinvolgendo molti tra coloro che avrebbero assunto compiti di responsabilità nella società, la sostanziale «irresponsabilità» in cui sarebbero vissuti troppo a lungo costituiva una condizione negativa per lo sviluppo delle loro potenzialità: «Qui [all'università] dovrebbero prender coscienza delle loro responsabilità, del loro compito sociale, che è quello di creare una famiglia. Invece dimostrano per lo più una generale mancanza di coscienza: si fanno della vita un'idea falsa. Non si può sperare che tali uomini contribuiscano a migliorare la società».[2]
Montessori individuava, dunque, molto chiaramente quella che dovrebbe essere, anche oggi, la finalità sociale più importante dell'educazione, vale a dire che i giovani desiderino e volgano i loro sforzi a costruire nuove famiglie. L'obiettivo dei giovani, maschi e femmine, deve essere «creare una famiglia»; è raro trovare una tale affermazione esplicitamente formulata nell'opera di altri grandi pedagogisti del Novecento, ed è perciò che ho scelto di cominciare il mio intervento con la citazione montessoriana, che per la sua chiarezza mi sembra molto utile a collocare la questione specifica qui considerata nel suo orizzonte più appropriato.
«Creare nuove famiglie» è un'esigenza primaria della società, ma, ovviamente, rappresenta anche l'elemento unificante che può dare una prospettiva piena di senso alla vita di ciascuna persona, specialmente se giovane. La famiglia offre una prospettiva adeguata a quella complessa e delicata opera di costruzione della propria identità e della propria vita che ciascun giovane deve portare a compimento per raggiungere l'armonia interiore e la consapevolezza di sé, due elementi fondamentali e inscindibili della personalità.
L'educazione è una «ricerca di significato», una preparazione a cercare quel «senso della vita» che si trova tanto nelle grandi scelte esistenziali, nelle opzioni morali, quanto nelle piccole vicende quotidiane; ciò appare chiaro nelle conseguenze pedagogiche derivanti dagli insegnamenti di importanti «scuole» psicologiche, come l'analisi esistenziale frankliana (Frankl, 1969) e, oggi, la psicologia positiva (Peterson & Seligman, 2004).
Tuttavia, la realtà sociale e culturale del nostro tempo ci espone quotidianamente alla constatazione di quanto siamo lontani dalle implicazioni più impegnative di questa idea di educazione. Le generazioni adulte sembrano aver rinunciato a svolgere questo compito di «proposta di senso», riconoscendo ai più giovani, spesso fin da un'età molto precoce, il diritto di trovare la propria strada (e, quindi, il senso della vita) da sé.
Eppure, l'educazione è, effettivamente, una forma particolare di relazione interpersonale che si può caratterizzare per una finalità più ampia e fondamentale: la ricerca del senso della vita da parte dei più giovani e la risposta a questa domanda di senso da parte dei loro educatori (genitori, insegnanti, formatori, catechisti, ecc.). Non è, questa, una definizione che ambisca al riconoscimento di un valore scientifico, ma mi sembra adatta a cogliere un elemento essenziale del rapporto di «cura» che dovrebbe intercorrere tra le generazioni, in famiglia, a scuola, nella società in genere.
È in questo rapporto di cura e d'aiuto, caratterizzante la relazione educativa, che si sviluppa complessivamente la personalità e, all'interno del processo di formazione dell'Io, la stessa identità sessuale (o, come si preferisce dire oggi, di «genere»). E opportuno allora ricordare quali sono le caratteristiche e le tappe essenziali di questo percorso di maturazione, sgombrando innanzitutto il campo da una possibile fonte di confusione terminologica.
In questi mesi nel nostro Paese si discute molto della teoria del cosiddetto gender, termine introdotto anche nel linguaggio politico per indicare che, accanto all'identità biologica individuale (il sesso, maschile e femminile), nel processo di formazione dell'identità personale sono implicati molteplici fattori, di carattere psicologico, sociologico, culturale, valoriale, la cui interazione è delicata e complessa. L'uso del termine da parte di alcuni, soprattutto da parte di esponenti delle organizzazioni cosiddette «LGBT» (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali), ha subito, purtroppo, una serie di distorsioni e di trasformazioni abusive, legate a finalità prevalentemente politiche, che disturbano molto la possibilità di portare avanti serenamente la discussione su questi temi e l'impiego stesso del termine senza previe precisazioni.
La cosiddetta gender theory rappresenta, per la sua tesi dell'assoluta secondariètà dei caratteri biologici e dell'altrettanto assoluta arbitrarietà dell'orientamento sessuale, una sorta di impostura scientifica; la sua influenza sul panorama della ricerca nelle scienze umane richiede, tuttavia, di prenderla criticamente in considerazione, perché le sue contraddizioni consentono di descrivere ciò che effettivamente avviene nel corso dell'età evolutiva e quelle che sono le conoscenze acquisite, come pure i punti ancora discussi o sui quali non vi è ancora sufficiente chiarezza.
Per cominciare, è bene da parte mia chiarire che, pur nella varietà delle opinioni diffuse anche tra gli specialisti delle varie discipline interessate alla questione, l'orientamento sessuale è un processo sul quale intervengono molteplici fattori, da quelli biologici a quelli culturali, ciascuno dei quali può esercitare influenze molto diverse da persona a persona; sul piano pedagogico è, comunque, desiderabile che le vicende personali dei singoli portino a una maturazione armoniosa dell'identità personale in aderenza con i connotati biologici.

2. Educazione e orientamento sessuale

L'idea di gender potrebbe avere una sua validità scientifica, se la si utilizzasse per significare che la maturazione dell'identità sessuale della persona (maschio o femmina) non è un fatto esclusivamente biologico. E certo e assodato, ormai da tempo, che i singoli individui prendono, in un certo senso, «posizione» rispetto alla propria identità biologica e che la loro storia personale influisce, positivamente o negativamente, nell'accettazione di questa identità, talvolta provocandone il rifiuto.
D'altra parte, nella storia recente dei movimenti sociali e culturali si è assistito a una vera e propria rivolta contro i fraintendimenti che un certo «tradizionalismo» implicava nella formazione di quelli che erano chiamati «stereotipi» sessuali; i movimenti femministi degli anni Cinquanta/Settanta ebbero molto successo nel combattere l'idea che la donna sia meno intelligente dell'uomo, più fragile e incostante, incapace di svolgere determinate mansioni normalmente attribuite ai maschi, ecc. La celebre frase di Simone de Beauvoir, «Donna non si nasce, si diventa» condensa efficacemente lo spirito di un'epoca intera del femminismo occidentale.
Le risultanze scientifiche confermano molte ragioni di questo approccio, come anche la decisiva influenza dei pregiudizi culturalmente diffusi nella genesi degli stereotipi negativi, che ancora oggi pesano su alcune sperequazioni tra maschi e femmine di carattere economico (in molti casi le donne, a parità di mansioni e di prestazioni, sono pagate meno degli uomini) e socio-culturale (l'accesso all'istruzione superiore è ancora, di fatto, più difficile per le donne in vaste zone del mondo, e anche, localmente, in Occidente).
L'abuso compiuto dalle organizzazioni LGBT, negli ultimi due decenni circa, di questa idea, nata nel contesto del femminismo circa mezzo secolo fa, consiste nell'aver voluto estendere arbitrariamente un'affermazione che riguardava la «natura» femminile e che puntava al riconoscimento di determinate prerogative tradizionalmente «maschili», giungendo a considerare i caratteri biologici come meramente secondari nella formazione della personalità.
Sulla base di questa teoria si perseguono oggi, soprattutto in Occidente, da parte degli stessi governi che fondano il loro consenso sul sostegno delle organizzazioni del femminismo radicale e della galassia gay, politiche educative che combattano gli «stereotipi» attraverso l'introduzione di una sorta di «contro-stereotipi». Essi, nelle intenzioni dei sostenitori di tali politiche, dovrebbero legittimare socialmente anche quelli che, fino ad anni ancora recenti, erano considerati, nella stessa letteratura scientifica, come «disturbi» (appunto, l'omosessualità maschile e femminile, il bisessualismo, ecc.).
Al di là di questi abusi, peraltro, ciò che è stato riconosciuto come vero sul piano scientifico è che la maturazione dell'identità maschile e di quella femminile è connessa a una serie di fattori legati sia alla costituzione biologica sia all'interazione delle singole persone con gli altri e con l'ambiente sociale. Le modalità e le fasi di questo processo di formazione sono, comunque, ancora oggetto di ricerche e di discussioni tra gli stessi specialisti.
I tre grandi orientamenti contemporanei della psicologia dell'età evolutiva (in estrema sintesi e per semplificare: la psicoanalisi nelle sue varie espressioni, le teorie dell'apprendimento sociale e quelle dello sviluppo cognitivo) forniscono rappresentazioni sostanzialmente diverse dei fenomeni considerati. Per le scuole psicoanalitiche, l'assunzione del ruolo sessuale è influenzato in maniera decisiva dall'identificazione con il genitore dello stesso sesso, attraverso la quale passa l'interiorizzazione dei caratteri maschili o femminili della personalità e l'adozione dei valori e degli atteggiamenti relativi. Per i teorici dell'apprendimento sociale anche questo aspetto della personalità è frutto del condizionamento operante; attraverso rinforzi positivi e negativi, che inducono a creare negli individui una serie di aspettative sulla base delle quali ciascuno modella l'atteggiamento e il comportamento personale, viene anche a strutturarsi l'identità di genere. Per i teorici dello sviluppo cognitivo, infine, l'apprendimento del ruolo sessuale è una parte del più generale processo di maturazione cognitiva e segue fasi precise che l'influenza ambientale può modificare parzialmente, ma in maniera decisiva.
Appare abbastanza chiaro, allora, che nell'impianto psicoanalitico la qualità delle relazioni con le figure genitoriali (non soltanto i genitori, ma anche altre persone in posizione analoga) risulta determinante nella storia dell'orientamento sessuale individuale, mentre sulla base dell'apprendimento sociale non soltanto la gamma delle influenze è più vasta, ma lo sviluppo dell'orientamento sessuale è legato a un sottile gioco di aspettative tra i singoli e il loro gruppo sociale. Sul piano dello sviluppo cognitivo la maturazione procede per gradi: anche in questo caso, le esperienze dei singoli sono determinanti nell'orientare tra le varie direzioni.
Data la molteplicità delle rappresentazioni dello sviluppo presenti nella letteratura scientifica, non si può dire che non vi siano, dunque, problemi ancora aperti, anche di primaria importanza, per giungere a una conoscenza adeguata dello sviluppo dell'identità sessuale o di genere. Questa situazione problematica è rispecchiata, per esempio, anche dalla «logica» che caratterizza gli itePti utilizzati nelle scale dei tratti maschili e femminili presenti in alcuni tra i principali test di personalità impiegati per l'età evolutiva. Questi strumenti basano la valutazione della mascolinità e della femminilità su punteggi elevati forniti da frasi come: «Il più delle volte riesco meglio dei miei coetanei», «Nel gruppo degli amici spesso faccio il capo», «Mi batto sempre per quello in cui credo» per la mascolinità, e: «Sono una persona molto premurosa», «Sono quasi sempre gentile con gli altri», «Amo molto l'arte e la musica» per la femminilità, perché sono frequentemente sostenute da persone di sesso maschile e femminile; ma si potrebbe facilmente obiettare che sarebbe un dramma per l'intera umanità se non si trovassero persone di sesso maschile gentili, premurose o amanti della musica (cosa, tra l'altro, che renderebbe davvero misteriosa la genesi di gran parte del patrimonio artistico universale!).
Ciò che è interessante notare nell'uso di questi questionari, al di là della loro perfezionabilità ulteriore, è che, comunque, i punteggi delle scale non sono correlati fra loro; vale a dire che un punteggio alto nella scala femminile non implica un punteggio basso in quella maschile. Ovviamente, queste risultanze danno adito a ulteriori domande, ed esigono maggiori approfondimenti. Sul piano pedagogico le conseguenze che se ne possono trarre riguardano soprattutto la preferibilità di un'educazione «non sessista», nel senso che la formazione degli stereotipi, comunque indotta, dovrebbe essere evitata. Per tornare su una questione oggi tanto urgente, i programmi e i materiali proposti dalle organizzazioni LGBT nelle scuole italiane peccano proprio di «sessismo», in questo caso di un sessismo diverso da quello tradizionale, perché vorrebbe condizionare i bambini, addirittura fin dal terzo anno di vita, attraverso l'esposizione a messaggi e contenuti d'insegnamento favorevoli alle pratiche e ai comportamenti omo-, bi- o trans-sessuali; tuttavia si tratta pur sempre di un'educazione «sessista», nella misura in cui tenta di modificare atteggiamenti e comportamenti dei più giovani attraverso l'affermazione di stereotipi di nuovo tipo, reputati più desiderabili di quelli «tradizionali».
Quel che è certo è, in ogni caso, che un'educazione libera da stereotipi è la migliore condizione per una crescita armoniosa di ciascuna persona. Ciò vale in ogni ambito della formazione, e quello dell'identità sessuale è solo un caso particolare in cui applicare la regola generale, la cui osservanza è necessaria per garantire la libertà come condizione dell'opera educativa in vista di un pieno conseguimento di ciò che si intende per «maturità».

3. Ricerca di senso, famiglia, educazione

Rispetto a questo ordine di considerazioni sulla libertà nell'educazione e sull'idea di maturità, occorre spendere ancora qualche parola. La libertà non è un fine in sé dell'agire educativo, così come non lo sono l'indipendenza e l'autonomia. Troppo spesso, anche in ambito ecclesiale, si tende a fare confusione sulle finalità dell'educazione pensando che il suo scopo sia l'autonomia dell'individuo. Sulla base di questa idea erronea si finisce per giustificare, rimettendosi alla «coscienza» dei singoli, pressoché qualsiasi cosa.
È indiscutibile che la libertà, l'indipendenza e l'autonomia siano caratteri che devono essere presenti nella persona matura, ma è essenziale tener presente che non si tratta di fini in sé quanto piuttosto di mezzi, o di fini intermedi a loro volta finalizzati ad altro. Il fine dell'uomo maturo e libero non è la sua stessa libertà, ma quel dono di sé, frutto di una decisione responsabile (e libera, certamente), in cui consiste la maturità autentica.
La libertà non è fatta per se stessi, ma per una dedizione in cui consiste anche l'unico vero «compimento di sé» e l'unica autentica «felicità» sperimentabili per l'uomo. È l'amore, in sostanza, ciò a cui mi riferisco, e che é anche la posta in gioco nell'interdipendenza tra cultura e sessualità. Attraverso questa interdipendenza si manifestano le molteplici forme in cui l'amore umano può esprimersi. La maturità dell'uomo è la maturità del suo amore, e l'orientamento sessuale è inglobato nella maturazione della capacità di amare. La consapevolezza che la capacità di amare rivela la maturità dell'uomo appartiene certamente alla cultura pedagogica cristiana, e anche ad altre tradizioni, e coincide con ciò che Frankl, sul terreno di una descrizione scientifica della personalità umana, ha definito «autotrascendenza». Andare «oltre» se stessi nell'amore e nel dono di sé è la strada privilegiata tanto per la realizzazione personale, quanto per il bene della società.
La ricerca del senso dell'esistenza si completa nel momento in cui si scoprono l'autotrascendenza e il dono di sé come le realtà più solide su cui è possibile costruire un progetto di vita in grado di affrontare le circostanze positive e negative che costellano l'esistenza di ciascun uomo. Ovviamente queste considerazioni meriterebbero un'ampia trattazione, anche di carattere etico, ma la letteratura sull'argomento è vasta e la familiarità dei lettori con essa non dovrebbe richiedere, credo, ulteriori specificazioni in queste pagine.
La persona matura è, insomma, quella capace di amare, vale a dire che compie questo domo di se stessa e che, così facendo, mette la sua libertà e la sua indipendenza al servizio di questo dono, intendendolo non come «sacrificio» di sé, ma come «compimento». Troppe volte si sbaglia nel descrivere la vita matrimoniale come una serie di «compromessi» tra due che si vogliono bene. Se fossero compromessi il matrimonio avrebbe ben poca attrattiva. Si dovrebbe, invece, sottolineare come il fare la volontà dell'altro nell'amore, cercare il suo bene piuttosto che il proprio, sono elementi costitutivi di una prospettiva di felicità adeguata al cuore dell'uomo.
Nell'esperienza umana il dono di sé e il compimento di sé avvengono attraverso le grandi opzioni esistenziali e il matrimonio e la coniugalità sono opzioni privilegiate in tal senso. L'amore umano e il dono di sé si esprimono nella maniera più completa nell'apertura alla vita, nella fecondità dell'amore coniugale, e va da sé che tale amore può essere vissuto solo nell'eterosessualità, dato che solo quest'ultima consente la procreazione e la genitorialità nel vero senso della parola. Il fatto che per millenni gli unici istituti giuridici ammessi per legittimare la genitorialità siano stati la procreazione nel matrimonio e l'adozione (quest'ultima nell'interesse, è essenziale notarlo, non dei genitori, o non soltanto loro, ma del minore stesso) è una conseguenza eloquente del senso autentico dell'amore coniugale.
Esiste, dunque, una stretta relazione tra la concezione della maturità qui esaminata e l'assoluta preferibilità di un'identificazione sessuale con i propri connotati biologici, tanto per i maschi che per le femmine. Ciò vale anche dal punto di vista pedagogico. Quest'ultima affermazione può essere motivata in vario modo. Qui, credo sia utile considerare, per un verso, alcuni studi psicologici e sociologici che hanno dimostrato la problematicità delle cure parentali omogenitoriali e, per un altro verso, come non si possa prescindere dal concepire la stessa interazione dei fattori sociali e culturali con quelli biologici nella formazione dell'orientamento sessuale o di genere, se non come accettazione piena e armoniosa della propria identità biologica.
Partendo dal primo ordine di considerazioni, e mantenendo la discussione sul terreno delle risultanze empiriche, gli studi recenti di Regnerus [3] sulle cosiddette «nuove famiglie» (tra cui quelle «omogenitoriali») hanno evidenziato senza ombra di dubbio che le famiglie
«eterosessuali» sono le più efficaci sul piano educativo, facendo riferimento a variabili quali la stabilità delle relazioni, il ricorso limitato a forme di assistenza sociale, la riuscita lavorativa, manifestazioni di disagio quali il suicidio o il tentato suicidio, il ricorso alla psicoterapia, l'incidenza di malattie sessualmente trasmissibili, la frequenza degli abusi sessuali in famiglia; rispetto a ciascuna di queste variabili le differenze sono statisticamente significative (sono, in altre parole, molto ampie e non casuali).
Inoltre, lo studio di Marks [4] sulla validità metodologica delle numerose ricerche che, negli ultimi due decenni soprattutto, hanno tentato di sostenere una sostanziale equivalenza dell'efficacia educativa delle famiglie omogenitoriali rispetto a quelle «etero», mette in evidenza carenze molto serie per quanto riguarda una varietà di aspetti metodologici fondamentali, dall'omogeneità dei campioni, all'assenza di gruppi di controllo, dalla contraddittorietà dei dati, alla ridotta attenzione rivolta agli effetti a lungo termine e agli esiti dell'educazione dei figli, tanto che, secondo questa studiosa, l'orientamento attuale della potente American psychological association, che valuta favorevolmente le cure parentali omogenitoriali, è letteralmente ingiustificato (unwarranted) e richiede approfondimenti.
Fin dal loro apparire gli studi qui citati hanno suscitato polemiche accesissime e le lobby gay statunitensi hanno fatto di tutto anche per contestarne la validità. Personalmente, sono convinto, invece, che si tratti di studi molto accurati (forse i più accurati condotti fino a oggi) e vadano adeguatamente intesi nella loro portata pedagogica, sollecitando una forte messa in guardia per la gravità delle riserve che si devono mantenere rispetto a qualsiasi apertura di credito riguardante le cure parentali di coppie omosessuali, e traendone le ovvie conseguenze (a parte tutti gli altri argomenti contrari di carattere etico) circa la possibilità di affidamento e adozione di figli e la fecondazione eterologa.
Non occorrono molti ragionamenti, del resto, per riconoscere che, sulla base stessa delle elucubrazioni dei sostenitori della teoria del gender, le famiglie omogenitoriali sono inadeguate, per la loro stessa composizione, ad assicurare ai bambini quell'esperienza dei ruoli sessuali invocata conte necessaria
per un corretti) orientamento personale. Se il bambino deve fare esperienza del carattere maschile e di quello femminile e della sua relazione con entrambi per assumere liberamente (come vorrebbero i sostenitori del gender e di un'educazione libera da stereotipi sessuali) il proprio autentico orientamento, allora vivere in una famiglia omogenitoriale, in cui non solo manca la possibilità di tale esperienza per l'assenza di uno dei sessi (cosa che accade anche nelle famiglie monoparentali), ma manca anche la possibilità stessa di esperire la possibilità della relazione eterosessuale, rappresenta un vero e proprio vulnus per lo sviluppo psichico e per la tutela dei diritti del minore. Dispiace constatare che, nel diritto contemporaneo, l'interesse dei minori sia, quando si tratti della rivendicazione e/o del riconoscimento delle prerogative reclamate dagli omosessuali, posto in secondo ordine, quando dovrebbe essere prevalente.
In conclusione, al di là delle problematiche educative facilmente prevedibili nel caso delle famiglie omogenitoriali, di cui solo un senso comune indebolito può non accorgersi, il fine del processo di formazione della personalità richiede che quel complesso insieme (li fattori, biologici e socio-culturali, implicati nell'assunzione dell'identità sessuale, si indirizzi verso l'identificazione positiva con i propri connotati biologici.
La libertà che si vuole riconoscere agli individui anche in questo campo potrebbe essere, viceversa, segno di conflitti irrisolti all'interno di un Io ancora in evoluzione. Si tende oggi a vedere nell'eterosessualità una sorta di prospettiva «tradizionale», o addirittura tradizionalistica, sulle relazioni intersessuali, che dovrebbe essere superata o addirittura combattuta, dimenticando, invece, che l'identificazione personale con il proprio sesso può essere, ed effettivamente è nella gran parte dei casi, fonte di gioia e di gratitudine e non implicare affatto il formarsi di stereotipi sessisti.
D'altra parte, studiosi contemporanei segnalano che la mancata identificazione con il sesso biologico o il suo rifiuto nel corso della vita (teorizzato, oggi, in quella sorta di apoteosi del rifiuto dell'identità biologica che è rappresentato dal cosiddetto queer, che pretende la possibilità di scegliere identità diverse, di volta in volta, maschili, femminili, orno- o bi-sessuali, nelle varie fasi della vita) può essere segno di un anomalo narcisismo (Lasch, Anatrella),[5] o del risentimento nei confronti di altri, o della società intera (Girard).[6]
Viceversa, l'orientamento eterosessuale, quali ne siano stati i percorsi di formazione e i fattori determinanti, è segno del raggiungimento di un equilibrio, di una maturazione che sul piano educativo non è altro che desiderabile. L'esistenza di comportamenti patologici legati all'eterosessualità e le evidenti difficoltà dei legami eterosessuali, nel nostro tempo, non rendono certamente preferibili, e nemmeno legittimabili, i comportamenti omosessuali, fino a non molto tempo fa considerati in se stessi come patologici ed entro la cui sfera si manifestano, comunque, le stesse problematiche di abuso e di disarmonia denunciate nella vita eterosessuale. Non si deve dimenticare il numero di casi, già registrato nelle cronache, di «ritorno» all'eterosessualità dopo lo scontento della scelta omosessuale, che evidentemente dispiace ai gay, ma che è da menzionare .per una visione completa dei fenomeni qui considerati.
Per sintetizzare nella forma più breve quanto fin qui esposto, il processo educativo ha per finalità una ricerca di senso che si volge in una molteplicità di direzioni, tra le quali vi è anche l'assunzione dell'orientamento sessuale; se il senso della vita non può essere inventato, ma soltanto «scoperto» nel rapporto con la realtà data all'esperienza della singola persona, in questo rapporto con la realtà si trova anche quello con la propria realtà biologica; l'identificazione armoniosa con essa è, allora, uno degli obiettivi primari di questo ambito dell'educazione e della formazione della personalità.[7]

* Professore associato di storia della pedagogia – dipartimento di psicologia dei processi di sviluppo e socializzazione – Università La Sapienza di Roma; docente incaricato di materie pedagogiche presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia

NOTE

1 M. MONTESSORI, Dall'infanzia all'adolescenza, Garzanti, Milano 1949, 158.
2 M. MONTESSORI, Dall'infanzia all'adolescenza, 158.
3 M. REGNERUS, «How different are the adult children of parents who have same-sex relationships? Findings from the new family structures study», in Social science research 41 (2012) 4, 752-770.
4 L. MARKS, «Same-sex parenting and children's outcomes: a closer examination of the APA's brief on lesbian and gay parenting», in Social science research 41 (2012) 4, 735-751.
5 T. ANATRELLA, Le règne de Narcisse, Plon, Parigi 2005 (tr. it., II regno di Narciso, San Paolo, Milano 2014).
6 R. GIRARD, Il risentimento, Cortina, Milano 1999 (tr. it. di alcuni saggi pubblicati in origine separatamente nel 1976 e nel 1996).
7 Per approfondire la tematica affrontata in questo contributo, si veda anche S. DE BEAUVOIR, Le deuxième sexe, Gallimard, Parigi 1949 (tri it. Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1961); GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, Città Nuova-Libreria Editrice Vaticana, Roma 52001; G. KUBY, Die gender revolution, femedienverlag GmbH, Kisslegg 2007 (tr. it., Gender Revolution, Cantagalli, Siena 2008); C. LASCH, The culture of narcissism, Norton, New York 1979 (tr. it. La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano 1988); C. PETERSON - M. SELIGMAN, Character strenghts and virtues,
Oxford University Press, Oxford 2004; K. WOJTYLA, Amore e responsabilità, Marietti, Torino 2000.

(Orientamenti pastorali, 1-2/2015, pp. 40-50)