Preadolescente e corpo: uno spazio di comunicazione

Inserito in NPG annata 1986.


Gabriella Tavazza - Brigitte Bolli

(NPG 1986-09-63)


Ci proponiamo con questo articolo di sviluppare i vari aspetti inerenti al «corpo» e alle sue modalità di comunicazione nell'età preadolescenziale. Il corpo può essere veicolo di comunicazione all'interno di una relazione diadica e di gruppo.
Individueremo i segnali e le modalità di tale comunicazione, insieme alle relative disfunzioni; segnali comunicativi che l'educatore potrà imparare a riconoscere.

UNA PREMESSA

Prima di addentrarci in tale analisi riteniamo opportuno soffermarci su come, in ciascun essere umano, si costituisce lo «schema corporeo» e contemporaneamente «l'immagine del proprio corpo». Utilizzeremo perciò i concetti di «schema corporeo» e di «immagine corporea», intendendo con il primo l'apparato neurofisiologico di percezione del proprio corpo, e con il secondo il processo di interiorizzazione della percezione del proprio corpo in rapporto allo spazio fisico, relazionale ed affettivo. Si rendono necessarie alcune puntualizzazioni.

Da una concezione neurologica: lo schema corporeo

Il concetto di schema corporeo è stato coniato per la prima volta da Henry Head (1911) in termini neurologici come l'attività della corteccia che registra ogni movimento e posizione del corpo e mette in rapporto le diverse sensazioni prodotte dal mutamento di posizione (modello posturale). Esso si costruisce, a partire dalle prime esperienze sensorio-motorie del neonato, dalle attività riflesse fino ai primi movimenti volontari, in varie tappe, corrispondenti allo sviluppo fisiologico:
- tappa del «corpo vissuto» (fino ai 3 anni);
- tappa della «discriminazione percettiva» (dai 3 ai 4 anni);
- tappa del «corpo rappresentato» staticamente in movimento (dai 7 ai 12 anni). Allo stadio del corpo vissuto (fino ai 3 anni) il comportamento motorio è globale e le sue ripercussioni emozionali incisive e mal controllate (espressione spontanea). Il bambino in questo periodo procede per «prove ed errori»: ciò gli permette di acquisire per imitazione i movimenti usuali dell'adulto (prassie). A tre anni è costituito uno scheletro di un'Io attraverso l'esperienza prassica globale e le relazioni con l'adulto.
Lo stadio della «discriminazione percettiva» (dai 3 ai 4 anni) è una tappa intermedia di grande importanza. La globalità a livello del vissuto sarà assicurata dai giochi, dalle attività espressive e dalla coordinazione globale, quindi attraverso il movimento. L'«attività» si impernierà sulla «percezione» degli spazi esterni. Verso i sei anni l'attività psicologica introdurrà una immagine del corpo orientata a carattere statico. Il soggetto può alternare l'attenzione dalla totalità del proprio corpo ad uno dei segmenti corporei.
Lo stadio del «corpo rappresentato» (dai 7 ai 12 anni) corrisponde su un piano intellettivo allo stadio delle «operazioni concrete» di Piaget. Così tra i 10 e i 12 anni il preadolescente avrà acquisito ed interiorizzato una coscienza della sua immagine durante un'azione, per cui potrà affrontare l'apprendimento dei gesti codificati. In molti casi fra i 7 ed i 12 anni vi è una frattura tra «rappresentazione mentale» e realizzazione motoria, e ciò comporta la scissione tra la sfera intellettuale e quella affettivo-motoria.
Per favorire lo sviluppo di queste tappe sono richieste un certo numero di condizioni:
a) un apparato fisiologico ben funzionante che permetta l'associazione delle percezioni cinestesiche interne ed esterne con i dati visivi-auditivi;
b) i fattori sociali che siano in grado di essere fonte di stimolo e di motivazione (tutti sanno come è fondamentale la relazione madre-bambino nello sviluppo motorio di quest'ultimo come fonte di stimolazione affettiva);
c) l'allenamento come esercitazione a ripetere e verificare il risultato dei movimenti del corpo in rapporto allo spazio degli oggetti e delle persone.
In realtà l'attività corticale (cerebrale) è soltanto una parte del circuito necessario all'integrazione finale dei vari processi che contribuiscono alla costruzione dello schema corporeo.

Per una concezione psicologica: l'immagine corporea

L'introduzione del concetto di «immagine del corpo» (Schilder) permette di aggiungere alla precedente concezione neurologica una visione psicologica, ove l'attività di percezione del proprio corpo è basata sulla interiorizzazione e su una forma di attenzione incentrata sul corpo.
È il risultato dell'associazione delle varie fonti sensitive, della memoria e dell'esperienza con le intenzioni, le aspirazioni volitive, le tendenze e le variabili emotive.
Dovendo riassumere, diremo che lo schema corporeo si riferisce ad una sfera percettivo-cognitiva (sistema corticale) mentre l'immagine corporea ad una sfera sensorio-affettiva (sistema limbico). Gli apporti della psicanalisi hanno aggiunto al concetto di immagine del corpo, sopra descritto, i fattori di investimenti libidinali più profondi tenendo conto della vita pulsionale.
L'immagine del corpo si considera compiuta dal punto di vista della maturazione psicomotoria verso i 12 anni, età in cui la sfera intellettuale delle rappresentazioni mentali
e la sfera affettivo-motoria della realizzazione motoria troveranno un equilibrio. Successivamente, al momento della pubertà, il risveglio della sessualità può determinare uno squilibrio tra queste due sfere, quella intellettuale e quella affettivo-motoria (es. il preadolescente «goffo» in una situazione di particolare stress emotivo).
Il cambiamento dello sviluppo (muscolare, crescita scheletrica, apparizione dei segni secondari della sessualità) provoca una modifica dell'immagine corporea, anche se essa mantiene le caratteristiche fondamentali dell'età precedente.

Importanza emergente dell'aspetto affettivo-relazionale

In questo periodo è altresì importante l'aspetto affettivo-relazionale.
Il corpo è il primo «biglietto da visita» e di riconoscimento nei confronti dell'altro, ed esprime il vissuto interno della persona: come uno «schermo sul quale vengono proiettati i sentimenti di base dell'individuo relativi alla sua sicurezza nel mondo».
La formazione della nostra immagine corporea è quindi legata alla storia delle nostre esperienze affettive e relazionali, oltre che alla vicenda percettiva e motoria del nostro corpo.

IL CORPO NELLA RELAZIONE INTERPERSONALE

L'età preadolescenziale è una fase in cui tutti i tessuti sono in crescita costante. Sul piano psicologico individuale e relazionale hanno maggior rilevanza quelle aree del corpo le cui modificazioni sono più evidenti alla propria e alle altrui percezioni.
Va tenuto conto che il ritmo di crescita del preadolescente è soggetto a forti differenze individuali, sia all'interno dello stesso che tra i due sessi, nel momento in cui ha inizio la pubertà.

Un corpo da evidenziare o da nascondere agli altri

La rapida crescita spesso coincide con una fase di disarmonia corporea, dove le «nuove» proporzioni del corpo risultano e vengono vissute come «difetti». La risonanza interiore dei difetti potrà portare il preadolescente ad evitare la relazione con l'altro, soprattutto se coetaneo, o ad adottare posture fisiche che permettano di nascondere il presunto difetto. Gli attegiamenti di evidenziamento e di evitamento nei confronti delle diverse parti del corpo dipendono in larga misura dall'interesse immaginario el o reale che gli altri dimostrano di avere per il nostro corpo. Nell'elaborare la propria immagine corporea il ragazzo si attiene all'esperienza acquisita attraverso le azioni e gli atteggiamenti altrui.
Un particolare di questo periodo è dato dalla risonanza interiore delle modificazioni corporee legate alla crescita; la dissonanza tra la realtà del proprio cambiamento corporeo e la sua percezione può essere vissuta come un realtà stabile nel tempo piuttosto che un accadimento temporaneo. Tale vissuto di «difetto», se trova conferma nel soggetto e all'interno del suo mondo di relazioni significative (famiglia, compagni, insegnanti), può cristallizzarsi dando luogo a posture fisiche ed ansietà, costanti nel tempo, anche quando, con la crescita, vengono a scomparire le disarmonie temporanee.

Un corpo che comunica vissuti da saper leggere

Da quanto descritto si evidenzia come il «biglietto da visita» che è il nostro corpo, comunica vissuti interni; questi ultimi, spesso, vengono agiti sotto forme di comportamenti, gesti, parole di cui non sempre si è consapevoli. La decodifica della comunicazione corporea richiede che l'educatore abbia sviluppato una attenzione volta anzitutto al riconoscimento delle proprie modalità espressive a livello corporeo; tale abilità gli permetterà una corretta individuazione del linguaggio corporeo tra preadolescenti stessi.

Il corpo su cui scrivere una nuova identità

Data la grossa differenza nei tempi e nei modi della crescita, il preadolescente, non
potendo utilizzare sempre il proprio corpo, tenderà ad identificarsi con il coetaneo, tramite i segni più convenzionali specifici di quell'età (modo di vestire, linguaggio, accessori, posture, ecc.); questi segni diventano così un elemento di riconoscimento e di appartenenza in un momento in cui, il preadolescente per primo, si sta differenziando dalle abitudini particolari familiari, senza aver acquisito ancora una identità stabile sia sotto il profilo fisico che psicologico; essi gli garantiscono perciò, attraverso il corpo, una identità sociale provvisoria nel gruppo di coetanei.
In questo processo la figura dell'educatore rappresenta una alternativa alla famiglia; infatti egli è sufficientemente più grande per consentire il riconoscimento di un ruolo propositivo e diretto, ma anche vicino d'età tale da divenire un modello di riferimento nella crescita.

Il corpo per misurarsi

Un altro modo di comunicare attraverso il corpo è fornito dallo sviluppo dell'abilità fisica che in questa fascia d'età rappresenta un parametro del valore individuale. Questa abilità fisica si sfoggia e si perfeziona tramite lo sport e il gioco che permettono, anche attraverso la competitività, il confronto della forza fisica rispetto alla propria crescita.
Nella fascia di età precedente (sotto i 10 anni) i giochi più frequenti sono basati sul «prendersi e nascondersi», invece l'età della preadolescenza vede sviluppare la capacità di rispettare regole sempre più complesse con movimenti specifici in cui vengono esercitate le abilità senso-motorie (pallavolo, calcio, ecc.). Infatti il gioco del preadolescente diviene una palestra per l'acquisizione del rispetto delle regole (imparare a vincere e a perdere), delle abilità fisiche di precisione (es. tiro a segno), dell'apprendimento sociale, della diplomazia, della correttezza, della reciprocità.
Queste acquisizioni determinano il peso sociale di ogni ragazzo all'interno del gruppo. Si pensi alle fasi organizzative di un gruppo che si deve costituire in squadra: il processo più evidente sembra essere il promuovere da parte dell'animatore una stimolazione fisica e quindi l'attuare una scelta fra i membri in base alle sole capacità fisiche. Di fatto il processo che sottostà a tutto questo è più complesso. Infatti i ragazzi nello scegliersi si valutano reciprocamente non solo rispetto alle capacità fisiche, ma anche rispetto al ruolo sociale nel gruppo (leader) e rispetto alla correttezza (lealtà nel gioco, capacità di perdere, ecc.).
È evidente, da quanto detto, come per un educatore l'organizzazione di «squadra» che precede il gioco assume una specifica pregnanza in quanto facilita le funzioni sopra indicate.
Attraverso il gioco gli educatori inviano una serie di messaggi, concatenati fra loro e che hanno una certa finalità; quest'ultime possono essere latenti o comunque non esplicitamente intese dagli educatori stessi. D'altro canto attraverso il gioco i ragazzi inviano agli educatori una serie di messaggi di ricezione, di risposta, di autonoma comunicazione, di indifferenza.
Nell'attività ludica emergono per i preadolescenti le regole da applicare nell'interazione sociale. Emerge con chiarezza l'abitudine ad accettare che esistono regole, stabilite al di fuori dell'individuo, arbitrarie, sulle quali è difficile intervenire e che vanno rispettate, se si vogliono raggiungere certi risultati. Sono regole che determinano tempi, circoscrivono spazi, indicano confini, stabiliscono trasgressioni, assegnano ruoli ad individui e a gruppi. Tali abitudini sono convogliate con una serie di messaggi che gravitano più nell'aria della comunicazione non verbale che in quella verbale: sono i toni, gli sguardi, le espressioni del viso usati dagli adulti per attribuire valore ad una azione, per definire lo spazio, le modalità, il tempo ad essa appropriato; sono essi che premiano o scoraggiano comportamenti e atteggiamenti.

Il corpo per elaborare l'aggressività

In questa fascia d'età l'educatore si troverà davanti al bisogno dei ragazzi di organizzare giochi «aggressivi» (si pensi alla «lotta corpo a corpo») dove il confronto serve a riconoscere e a confermare il proprio grado di «forza», a scaricare le energie accumulate e a canalizzare l'aggressività attraverso modalità socialmente accettate.
Evidenziare i momenti di tensione sia a livello individuale che di gruppo, organizzare l'espressione attraverso attività corporee con funzione di scarico, è compito dell'educatore. Un mancato intervento in una situazione di accumulo di tensione può determinare le manifestazioni incontrollate dell'aggressività, con l'eventuale pericolo per i componenti del gruppo.
Quindi dovendo sintetizzare diremo che l'aggressività di questa fascia d'età, che non può usufruire di una elaborazione verbale adeguata, deve essere canalizzata e non bloccata.
Non va dimenticato che la comunicazione corporea assume una codificazione molto precoce nell'individuo, condizionata sia dal gruppo etnico di appartenenza (il modo di entrare in contatto, il modo di salutarsi, il grado di vicinanza convenzionale) che dalla classe sociale di provenienza.

Gli atteggiamenti del corpo: espressione di fronte all'altro

La nostra personalità trova espressione di fronte all'altro grazie alle particolari posture e atteggiamenti del corpo. La postura è di per sé espressione di come ognuno di noi entra in contatto con il mondo, di come si «offre» o si «rifiuta». È una forma di adesione o di paura.
Il rifiuto o l'accettazione di costruire una relazione non sono mai processi puramente verbali o puramente ideativi, ma sono anche reazioni toniche di un «corpo che dà» o di un «corpo che rifiuta». L'espressione verbale passa dal corpo che parla alle varie parti del corpo che entrano in rapporto con le cose: dapprima prendere e lasciar cadere, più tardi gesticolare, indicare, supplicare, protestare con la voce e con il gesto, in seguito giochi autoimitativi ed etero-imitativi verbali e non.
Osserviamo l'interazione fra due interlocutori: la comunicazione procede solo se ad una persona che parla corrisponde una persona che ascolta. I segnali verbali e corporei di entrambe le persone sono strettamente «aggrovigliati» nel processo comunicativo. Infatti «l'emittente» utilizza movimenti posturali (gesti delle mani, del volto, ecc.) che completano ed illustrano il suo messaggio verbale, mentre il «ricevente»
emette segnali corporei che rappresentano un «commento» a quanto gli viene comunicato. Può capitare che l'emittente e il ricevente utilizzino gli stessi comportamenti non verbali (ammiccamenti) definibili a «specchio» (scambio di sorrisi) che confermano la reciproca disponibilità e/o comprensione. Anche i più piccoli movimenti del corpo, spesso non volontari, possono confermare o contraddire i contenuti verbali. In ogni caso sono dei supporti alla comunicazione verbale, permettendone la strutturazione, la qualificazione, la comprensione e la fluidità.
Tra le persone si può verificare, paradossalmente, che lo scambio non verbale risulti più ricco di quello verbale. Questo processo, sopra descritto, è osservabile e valido all'interno di qualsiasi interazione umana al di là di una specifica fascia d'età.
D'altra parte, se è vero che questo processo è valido per ogni fascia d'età, è altrettanto vero che per il preadolescente si colora di una particolare connotazione, in quanto il messaggio non verbale, che riflette il vissuto interno, è nel preadolescente soggetto a continue modifiche, di pari passo alla sua crescita fisica, ed appare dunque molto più modulato sul suo vissuto personale del cambio, di quanto non appaia invece il linguaggio verbale che spesso non riflette ancora la consapevolezza del cambiamento in atto.

SEGNI ABITUALI DEL LINGUAGGIO CORPOREO

La posizione del corpo o di una parte del corpo ci può fornire delle informazioni su come il ragazzo entra in contatto con l'ambiente in cui vive. La significanza del corpo attraverso le sue posizioni, i suoi movimenti, le sue tensioni, le sue mimiche, i suoi contatti, le sue distanze, i suoi ritmi, ci sembra essere un linguaggio innato immediatamente capito dall'altro, qualunque sia la sua età. In una relazione verbale è sempre possibile tacere. Il corpo non tace mai; sotto lo sguardo, sotto il contatto degli altri non smette mai di emettere messaggi.
La capacità di decifrare i segnali posturali, sia propri che delle persone con le quali stiamo entrando in relazione, ci può fornire un grosso bagaglio d'informazioni su quan-
to emotivamente sta avvenendo all'interno della relazione. Spesso queste «informazioni» vanno perse, depauperando in modo significativo l'«incontro».

Per interpretare e raccogliere i segnali corporei: una vigila da costruire

La bioenergia, scienza che studia la localizzazione dell'energia all'interno dell'essere umano, ha fornito delle griglie di lettura e quindi di decodifica dei segnali posturali. Dal punto di vista spaziale si ritiene che ci sia un allineamento corretto dello scheletro quando viene utilizzata in modo migliore la forza di gravità (senza ricorrere a contrazioni) e la curvatura vertebrale.
Osservando dei ragazzi che stanno «diritti» potremo notare come è possibile appoggiare in modi diversi il proprio peso sul suolo. Per convincersene è sufficiente domandare ad un gruppo di persone in piedi di «stare dritti» senza dare altre spiegazioni. Il risultato è significativo poichè non ci sono due atteggiamenti simili, ciascuno si abbandona alle storture che gli sono proprie; uno alza le spalle, l'altro contrae le braccia, un terzo spinge il mento in avanti; qualche schiena è curva, altre inarcate, uno si piega all'indietro, un altro si china in avanti come per salutare; almeno la metà delle persone bloccano il respiro.
Ad un corpo che utilizza in modo equilibrato il punto di appoggio a disposizione (pianta dei due piedi pienamente aderente alla superficie del suolo) si è soliti attribuire un significato di solidità e quindi un senso di sicurezza. Mentre un corpo che oscilla, utilizzando come base di appoggio ora un piede ora l'altro, dà una immagine di precarietà e quindi un sentimento di insicurezza.
Il corpo il cui baricentro risulti visivamente proteso in avanti può fornire all'altro l'informazione di una «disponibilità» ad entrare in rapporto e di una ricerca di contatto; inversamente un corpo flesso su se stesso, che appare protetto dalle sue stesse membra (braccia incrociate, o gambe rannicchiate al petto), manda un segnale di inavvicinabilità e di difesa rendendo difficile il contatto.
Sempre dal punto di vista spaziale possiamo ricevere ulteriori informazioni sul ragazzo se osserviamo l'ampiezza dei movimenti (la lunghezza del passo, il camminare al centro della stanza o il muoversi rasente i muri, il sedersi utilizzando in modo completo lo spazio a disposizione). L'usufruire senza restrizioni dello spazio circostante può fornirci l'indicazione di uno stato di agio dell'adolescente; viceversa se assistiamo a comportamenti «limitati» (ridotti all'essenziale) saremo portati ad attribuirgli un desiderio di non «apparire», legato ad un vissuto di inadeguatezza. Infatti quando si entra nello spazio dell'altro si stabilisce una relazione che può essere sia una reazione di rigetto (allontanamento, fuga o aggressione), sia una reazione di accettazione (accordo, sottomissione), sia una reazione ambivalente, fatta allo stesso tempo di un desiderio di fuga e di avvicinamento. Il ragazzo potrebbe aver sperimentato situazioni sia di tipo familiare, scolastico, o sociale in cui non si è sentito autorizzato ad entrare e/o prendersi uno spazio per sè. In questo caso il non «utilizzo» dello spazio fisico è l'espressione metaforica di un vissuto psicologico legato ad una fantasia di «divieto».
Il «divieto» può essere stato un reale messaggio genitoriale, scolastico, o una fantasia del soggetto.
Grazie a vari studi si è potuto constatare le corrispondenze che uniscono l'apparato muscolare e la vita affettiva. Ci si è potuti rendere conto di come ogni conflitto affettivo (che perdura) lasci il suo segno sulla muscolatura, e che ogni repressione dell'affettività ha per conseguenza la deformazione di elementi della rappresentazione del corpo che le corrispondono. Basta pensare alle corrispondenze tra le spalle e il binomio paura-aggressività (ficcare la testa tra le spalle) o alla relazione, anche se meno evidente per un osservatore esterno, tra il plesso solare (nodo allo stomaco, male al petto, mancanza d'aria) e il sentimento di tristezza, sofferenza, sensazioni di soffocamento.
Sulla base dei precedenti indicatori per una griglia di lettura, oltre all'ampiezza del gesto possono fornirci elementi indicativi anche la sua precisione, la sua rapidità.
Il tono della voce è indubbiamente il segnale più evidente del vissuto emotivo: arrabbiato, tremante, assertivo, alto, appena percettibile.
L'orientamento dello sguardo: il ragazzo può essere in grado di guardare in modo diretto l'altro, o viceversa di sfuggire allo sguardo altrui o di distogliere il proprio. Spesso ciò coincide con vissuti di accettazione, imbarazzo, timore, rifiuto. L'insieme delle diverse mimiche facciali, espressività del viso, danno una misura delle ricchezze interiori.
Il linguaggio del corpo è l'interconnessione di questi vari aspetti: lo spazio, il ritmo, l'energia impiegata, la mimica.

INIBIZIONE DELLA ESPRESSIONE CORPOREA COME INIBIZIONE DELL'ESPRESSIONE AFFETTIVA

Abbiamo finora parlato dell'espressione corporea come della manifestazione del contenuto della vita psichica nei movimenti del corpo.
Si è visto che l'espressione del corpo, dello sguardo, il suono della voce, sono gli strumenti di comunicazione della nostra vita affettiva.
È possibile impedire con la volontà queste manifestazioni esteriori? Questa autoinibizione è possibile definirla come la «repressione dell'espressione». Le emozioni sono presenti, ma un conflitto impedisce loro di manifestarsi all'esterno in modo libero e consapevole, anche se il corpo partecipa comunque alle emozioni. In genere questo blocco provoca sempre una contrazione muscolare che spesso è visibile all'esterno, rivelando il conflitto interiore.
La respirazione è una delle prime parti che tendono a subire modificazioni, come dimostrano le espressioni del linguaggio corrente «sentirsi oppresso», «avere il fiato mozzo». Molti altri processi sono l'espressione corporea interna delle nostre emozioni; per esempio: le escrezioni interne come l'adrenalina (che agisce sul ritmo cardiaco) ed esterna (i sudori freddi); la vascolarizzazione (essere rossi di collera) o la vasocostrizione (essere pallidi dalla rabbia); gli spasmi dei muscoli della digestione (il bolo nell'esofago o il nodo allo stomaco).
Tutte queste manifestazioni durano più a lungo in relazione a quanto è inibita l'emozione che le ha scatenate. Va precisato che ognuno di noi ha sperimentato e sperimenta simili manifestazioni, in quanto a volte la repressione della vita emotiva è resa inevitabile dalle circostanze del sistema educativo e sociale. L'educatore deve soffermarsi su tale «inibizione» qualora si accorga che questa ultima non è più legata alla necessità del momento; in tal caso può assumere un aspetto di pericolosità in quanto potrebbe diventare una inibizione cronica.

L'incongruenza tra linguaggio verbale e linguaggio non verbale

Una delle manifestazioni più lievi della inibizione è l'incongruenza del linguaggio corporeo, e cioè quando ad un contenuto verbale non corrisponde una adeguata reazione posturale-tonico-mimica. Il linguaggio «controllato» logico è in contraddizione con il linguaggio «involontario» non verbale.
Ad esempio uno «star bene» che viene pronunciato con una voce bassa, tremolante, accompagnato da una smorfia del viso e da uno sguardo spento e fuggente.
Nella preadolescenza, che abbiamo descritto come un periodo di transizione, la presenza di messaggi incongrui può essere considerata come «normale», in quanto il vissuto interno del preadolescente è complesso e non è facile per lui esprimere, tramite le parole di cui dispone, i sentimenti legati a questo periodo dello sviluppo.
L'interiorizzazione autorepressiva delle emozioni, divenuta abituale ed inconscia, può allora essere la causa di molti disturbi psicosomatici, quali i tics, la balbuzie, l'asma, l'anoressia (rifiuto del cibo), la bulimia (stimolo a mangiare in continuazione). Va tenuto presente che le disfunzioni molto gravi a livello corporeo, quali il non riconoscimento del proprio corpo e il vissuto di frantumazione dello stesso, richiedono l'intervento specialistico.
Una condotta inibita è quasi sempre il prodotto di una situazione conflittuale e rappresenta per il soggetto un tentativo di soluzione a livello corporeo. È. come se la psiche si affidasse al corpo per comprendere se stessa e per farsi comprendere dall'altro. Da quanto fin qui esposto sembra evidente che l'educatore debba svolgere una funzio-
ne di «specchio»: rimandare al preadolescente una immagine riflessa di ciò che è e di ciò che fa. Spesso nella fase preadolescenziale il ragazzo ha una distorsione ed una cecità rispetto alla percezione di sè. Quindi lo scopo dell'educatore è quello di fornire una correzione di tale percezione.

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