La spiritualità dell'infanzia
Giovanni Catti
«La pietà cristiana fervente crea una vita spirituale, che può assumere tono diverso e diverso indirizzo, a seconda che vi ha maggior campo l'una o l'altra delle verità cristiane o che si accentua il compito dell'intelligenza o quello del cuore; correnti diverse di spiritualità hanno iniziato nella chiesa grandi santi, improntandole dal loro particolare atteggiamento». In questo modo Giacomo Lercaro dava un'idea del significato e della importanza dell'uso del vocabolo spiritualità, in un suo piccolo dizionario liturgico (Genova 1950): dalla pietà alla spiritualità.
Dalla lingua degli osci e degli umbri antichi viene la parola pio e dall'Umbria viene il Cantico di frate Sole, dove la riverenza verso l'altezza e la potenza divine è contemperata con il sentimento e il senso della bontà divina: «Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so' le laude, la gloria e l'onore et onne benedictione». Tale è la pietà delle sorelle e dei fratelli credenti in Cristo.
La devozione, l'orazione, la preghiera diventano devozioni, orazioni, preghiere, ma soprattutto si pongono in relazione con la interiorità, con l'intimo. Imitando l'armonia dei suoni nella voce di un vento diciamo sp...r...., e poi spirito...: di qui una famiglia di parole utili per dire l'ineffabile, il non immaginabile, lo spirituale. Gli atti compiuti nella interiorità, nell'intimo tendono a venire alla luce negli occhi, nei volti, nelle opere. Manifestano unità e molteplicità, nella chiesa pellegrina in un luogo o in un altro luogo del cosmo, in un'epoca o in un'altra epoca. «Il vento, dove vuole spira, e ne odi la voce, ma non sai donde viene e dove va: così ognuno, che è nato dallo Spirito» (Gv 3,8).
Sembra dunque legittimo parlare di spiritualità biblica, o liturgica, o del laicato, o delle nuove forme di vita religiosa, o del matrimonio, o di chi opera in campo sociale; o dei monaci dell'Oriente, o di Teresa di Avila, o di Francesco di Assisi, o di Domenico di Guzmàn, o di Vincenzo de' Paoli: o, finalmente, dell'infanzia. Sembra anzi fruttuoso parlare di spiritualità dell'infanzia, ma con alcune distinzioni.
Religiosità e spiritualità: una distinzione opportuna
Una prima distinzione è opportuna fra religiosità e spiritualità. Alcuni autori affermano che «la religione ci si presenta innanzitutto come riconoscimento intellettuale dell'esistenza di un Essere creatore, ritenuto causa prima di ogni cosa, e del quale sono più o meno apertamente ammessi i vari attributi a seconda della cultura, dell'orientamento mentale del soggetto». Da codesta affermazione traggono la conclusione che «non si dà in ogni caso vita religiosa senza attività intellettuale e volitiva».
«L'attività religiosa nei primi anni di vita è puramente esteriore e come mutuata per imitazione o per apprendimento dall'ambiente in cui il bambino e il fanciullo vivono». Però A. Gemelli soggiunge: «Non si può negare, inoltre, che vi è qualche cosa di istintivo in questo bisogno di dipendenza che caratterizza il sentimento religioso... La facilità con cui il bambino, ancor prima dei quattro anni, si mette in atteggiamento di preghiera, non è solo dovuto all'apprendimento o all'imitazione, ma è indice di questa tendenza». A ogni modo simili citazioni riguardano forse una religiosità filosoficamente concepita.
Quando diciamo spiritualità la nostra intenzione va oltre i fenomeni dell'apprendimento e della imitazione, di un atteggiamento di preghiera, di un bisogno di dipendenza e di qualche cosa di istintivo, di un riconoscimento intellettuale e di un conseguente atto di volontà. Ci inoltriamo e discendiamo nella direzione dell'impenetrabile, dell'àdyton, com'era chiamata la parte segreta della casa o del tempio: i penetrali. Fermarsi di fronte a questo impenetrabile con riverenza, in silenzio, è esperienza di umiltà e di verità, non di umiliazione. Se poi la prospettiva è di fede «nello Spirito santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio, e ha parlato per mezzo dei profeti», allora la sosta è momento opportuno di stupore e di ammirazione, più che mai. Da questo punto di vista ci sembra che una spiritualità dell'infanzia sia delineata nei primi capitoli del Vangelo secondo Luca (1,1-2,52).2. Il Vangelo dell'infanzia: la storia del Battista
Il vangelo secondo Luca racconta come un angelo del Signore venga a dire a Zaccaria di non temere, perché la sua preghiera è stata esaudita. La moglie di lui, Elisabetta, gli partorirà un figlio, e per divino mandato la voce di Zaccaria dirà il nome del figlio: il-Signorefa-grazia, Giovanni. Zaccaria partecipava alla prece di Israele per la venuta del Messia, e temeva di non essere esaudito; il Signore si fa obbediente a lui. Intanto Giovanni sarà partorito da Elisabetta, moglie di Zaccaria, per Zaccaria. Elisabetta è moglie di lui, è sua; il figlio è partorito a lui, è dato a lui. Si riflette in queste parole l'idea di una famiglia rigorosamente patriarcale. Ma la buona Novella raggiunge un suo culmine, Giovanni sarà riempito, saziato di un alito, di un fiato, di un soffio santo; anzi, sarà riempito, saziato di Spirito santo. Fin dalla cavità, dal ventre, dall'utero materno ne sarà riempito, ne sarà saziato. La novità impone a Zaccaria riverenza a Giovanni e ad Elisabetta, e quindi la deposizione dell'idea che Elisabetta sia suo possesso, e che il figlio sia dato a lui. Giovanni è il precursore, l'annuncio del suo concepimento precorre un modo nuovissimo d'intendere un concepimento.
Si compiono i giorni del servizio di Zaccaria, sacerdote, al Tempio, ed egli se ne torna a casa sua; Elisabetta dopo questi giorni concepisce, e con circospezione si tiene nascosta cinque mesi. La sua precedente sterilità, la sua senilità, fanno risaltare che Giovanni è grazia del Signore; però intorno sarebbero fatte domande indiscrete. Al sesto mese di nascondimento di Elisabetta, l'angelo Forza di Dio, Gabriele, è mandato a Maria di Nazaret per un'annunciazione. t Spirito santo chi verrà su lei e l'adombrerà: come la nube procurava ombra nel deserto a Israele e contrassegnava la presenza divina. Le circostanze del concepimento di Giovanni contrassegnano la presenza divina su Elisabetta, e adesso su Maria: sono trascorsi sei mesi dal concepimento di Giovanni.
Maria è in posizione di quiete, quando sorge in piedi e si avvia verso una città della Giudea, entra nella casa di Zaccaria e saluta Elisabetta nelle forme usate, a incominciare da uno scambio di benedizioni, per proseguire con gesti espressivi di affetto e con mutue informazioni. Maria benedice Elisabetta, e i movimenti della creatura nel seno di Elisabetta sono percepiti dalla madre come se l'infante saltasse, danzasse in segno di gioia. Elisabetta è riempita, saziata di Spirito santo. Lei, già benedetta da Maria, benedice a sua volta l'ospite; la riconosce benedetta in modo superlativo, e benedice il frutto del seno di Maria: è stato come se la creatura saltasse, danzasse in segno di gioia e di glorificazione, di esaltazione e di esultanza. Usiamo il termine creatura per tradurre brèfos, un termine classico per indicare una vita umana in uno stato incipiente.
Per Elisabetta si compie il tempo per partorire, e lei genera un figlio. All'ottavo giorno viene il momento per ascrivere il bimbo al ceto virile della etnia, con la circoncisione. Usiamo il termine bimbo, dovuto a un'armonia imitativa di un suono abituale sulla lingua e fra le labbra di neonati, per tradurre paidìon, diminutivo di paìs, un termine classico per indicare la discendenza, l'età o la condizione. Vi si riconosce il senso di una radice «pau»: piccolo, povero, piccolino, poverello. La mano di Zaccaria scrive il nome di Giovanni, insolito in questa famiglia. Dalla originalità del nome viene il desiderio di sapere che cosa, dunque, sarà questo piccolo figlio, questo bimbo. E questo bimbo cresce e si fortifica nello Spirito, e se ne sta nei deserti fino al giorno del suo mostrarsi a Israele.
L'infanzia di Gesù
Maria è legata a Giuseppe da un contratto di matrimonio, quando entrambi salgono dalla Galilea, dov'è Nazaret, città della loro residenza, alla Giudea, dov'è Betlemme città di David e della loro origine, e qui i loro nomi saranno scritti nei pubblici registri, a norma di legge. Maria è incinta, si compiono i giorni del suo partorire, e partorisce: il partorito gode delle prerogative del primo nato. Maria lo avvolge in fasce e lo reclina in una greppia, poiché nel luogo di sosta
non c'era sistemazione per loro. Pastori vaganti col gregge vedono apparire un angelo del Signore e odono l'annuncio: troveranno una creatura avvolta in fasce e reclinata in una greppia. Vanno con premura e trovano Maria e Giuseppe e il bimbo reclinato nella greppia.
Si compiono gli otto giorni e viene il giorno della sua ascrizione al ceto virile della etnia, con la circoncisione. È chiamato con il nome predetto dall'angelo del Signore: Salvatore, Gesù. Si compiono i giorni della purificazione e della presentazione. Lo Spirito santo è sopra Simeone, uomo giusto, e gli rivela che lui vedrà il Cristo, da lui atteso; e Simeone entra nel Tempio. I genitori vi introducono il bimbo Gesù, e mentre Anna profetessa parla di lui Simeone canta il cantico della sua attesa. Il bimbo cresce e s'irrobustisce, continua ad aumentare la sapienza in lui e la grazia di Dio gli è sopra.
Gesù, il fanciullo, rimane in Gerusalemme, e i suoi genitori non se ne accorgono. Sono finiti i giorni del pellegrinaggio, i suoi genitori fanno un giorno di cammino sulla via del ritorno; poi lo cercano, non lo trovano e ritornano in Gerusalemme per cercarlo ancora. Tre giorni dopo lo ritrovano nel Tempio: è assiso in mezzo ai Dottori, li ascolta e li interroga; tutti nell'udirlo sono fuori di sé per l'intelligenza e per le risposte di lui. I genitori lo vedono, rimangono stupiti. La madre domanda al figlio ragione di quanto egli fece. Il figlio domanda ai genitori se non sapessero che egli doveva essere nella Casa del Padre, occupandosi delle cose, delle attività paterne. I genitori non intendono il detto del figlio, ed egli scende con loro, viene a Nazaret, è soggetto a loro. La madre conserva detti e fatti nel proprio cuore. Gesù progredisce nella sapienza, in età e in grazia, presso Dio e presso esseri umani.
La presenza continua dello Spirito Santo
Lo Spirito santo riempie, sazia Giovanni già nel seno materno. Viene su Maria, e lei concepisce il figlio. Riempie e sazia Elisabetta, incinta di Giovanni. Il bimbo cresce e s'irrobustisce nello Spirito. Pensiamo dunque a una spiritualità originata, confortata, consolata e difesa dallo Spirito santo. Si estende nella persona a tutti gli àmbiti della sua vita. Incomincia al momento opportuno secondo la volontà dello Spirito, e non in un dato tempo.
I nomi propri di persona di Gesù e di Giovanni, e di Maria ed Elisabetta, di Simeone, ci fanno pensare alla spiritualità propria di Gesù e a quella propria di Giovanni, e a quella propria di Maria e a quella propria di Elisabetta, a quella propria di Simeone e di ogni altra persona arricchita di tale spiritualità. Quando tale spiritualità incomincia a farsi palese, già era latente nell'intimo, nella interiorità di ogni persona.
Lo Spirito è presente, risiede e opera nell'«essere umano interiore», nell'intimo. Però non toglie, non porta via i fondamenti dell'esistenza, non abolisce la «natura»: non toglie, non porta via, ma risana ed eleva. È quindi riconoscibile una crescita, un irrobustimento. Sono osservati i mesi delle gravidanze, gli anni dell'accrescimento, dalla condizione del brèfos a quella del bimbo, a quella del fanciullo, a quella del dodicenne. Oltre il visibile accrescimento è adorabile l'invisibile accrescimento.
Con la dipendenza del figlio è compenetrata la dignità dell'infante. La connotazione negativa, in ordine a una età priva dello splendore della parola, rimanda alle connotazioni positive, rivelate nel Natale e nella Epifania, e quindi negli insegnamenti del Signore.
La responsabilità dei genitori si congiunge con il rispetto della spiritualità della figlia e del figlio, della bimba e del bimbo. Chi ascolta la lettura di tutta la Bibbia, chi rilegge la Bibbia, chi si sente sorella e fratello di ogni Israelita, chi coltiva e alimenta il senso di questa fraternità, conosce il modello di responsabilità e di rispetto disegnato nel Deuteronomio.
La pedagogia spirituale della Bibbia
«Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio; il Signore è uno. Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le tue forze. Saranno, queste parole che io ti comando oggi, sul tuo cuore, le ripeterai ai tuoi figli e ne parlerai con loro stando nella tua casa, camminando per la via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Le legherai per segno sul tuo braccio e saranno come frontali fra i tuoi occhi, e le scriverai sugli stipiti delle tue case e delle porte della città» (Dt 6,4-9).
Da varie parti del mondo antico venivano in Palestina moltissimi Israeliti, e molti di loro non erano abituati a parlare correntemente ebraico, allora fu sperimentato il metodo della immersione dei soggetti in ambienti assai ricchi di idee e di parole in lingua ebraica; un metodo suggerito dal Deuteronomio: «Queste parole... le ripeterai ai tuoi figli e ne parlerai con loro stando nella tua casa, camminando per la via, quando ti coricherai e quando ti alzerai». Nello spirito del Deuteronomio tale metodo richiede che le parole siano immediatamente tradotte nella condotta, nella mentalità, in quanto si costuma fare in casa e nella città: «segno sul tuo braccio... frontali fra i tuoi occhi... sugli stipiti...». In questo spirito si risale alla esigenza che educatrici ed educatori, formatrici e formatori condividano l'asserzione della unicità d'Iddio, in modo appassionato: «il Signore è uno... amalo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le tue forze».
«Quando domani tuo figlio ti domanderà: "Che cosa significano queste ammonizioni, questi statuti e queste leggi, che il Signore nostro Dio vi ha comandato", tu allora dirai a tuo figlio "Noi fummo schiavi del Faraone in Egitto, e il Signore ci fece uscire"» (Dt 6, 20-25).
Continuiamo a trarre dalla Bibbia indicazioni sul modo pratico di coltivare, di nutrire la spiritualità dell'infanzia. «Quando, domani» sono segnali assai indeterminati del momento opportuno per incominciare a parlare, a dire con parole quanto fosse già stato espresso anche senza parole. Eppure sono il massimo della determinatezza ragionevole. Il momento opportuno, il quando dell'inizio del discorso non viene tanto da una deliberazione, da una risoluzione dei genitori, quanto dalla domanda, esplicita o implicita, delle figlie e dei figli. Forse domani verrà il momento opportuno, probabilmente non viene subito: occorre procedere a vista con una gradualità prudente e progressiva. A ogni modo è da raccomandare che la risposta sia in forma di narrazione.
L'arte di narrare
Narrare è far sì che uditrici e uditori diventino gnari, e «gnaro» il contrario di «ignaro», di «ignorante». Una specie di narrazione è il racconto. Raccontare è piuttosto un computare, un contare, un dar conto: un rendiconto. È far sì che uditrici e uditori scoprano di essere attori e non uditori soltanto, della narrazione.
«Sarà per noi cosa meritoria, davanti al Signore nostro Dio, se osserveremo e attueremo questi precetti come Egli ci ha comandato» (Dt 6,25). Saper narrare è un'arte, e anche saper passare dalla narrazione al racconto è nell'ambito di quest'arte.
La condiscendenza è una nota caratteristica nella divina ispirazione della Bibbia, e ci sembra richiesta come nota caratteristica dell'arte di narrare e di raccontare i volumi e la pagine della Bibbia. Poiché la divina parola si è fatta simile alla nostra in tutto, fuorché nella infedeltà, pensiamo che essa richieda nelle interpretazioni e nei commenti l'osservanza di regole generali, in analogia con le regole usate per le parole umane. Conviene dunque conoscere l'arte di narrare e di raccontare in genere, per narrare e raccontare quanto è scritto nella Bibbia.
È anche vero che con la Bibbia entriamo nella prospettiva del Patto, dell'Alleanza, e quindi di promesse e di doni, di promesse e d'impegni. Occorre il respiro della narrazione, occorre l'esattezza del racconto. Ci sembra che figlie e figli d'Iddio siano come titolari di un diritto a sapere quanto il Padre riveli a loro, e come il Padre si stia rivelando a loro. Sperimentalmente risulta che nella loro varietà i volumi della Bibbia si dimostrano molte volte accessibili a bimbe e bimbi, a fanciulle e fanciulli per:
la preferenza data a sostantivi non astratti, a pochi aggettivi come «grande» e «piccolo», «pesante» e «leggero», «dolce» e «amaro»; la preferenza per la coniugazione dei verbi all'imperfetto, in ragione della continuità dell'azione più che del passato o del futuro; la preferenza data a proposizioni semplici, coordinate, in una paratassi, più che a proposizioni relative, subordinate, in una sintassi;
– la preferenza data al discorso diretto, piuttosto che al discorso indiretto;
– l'omaggio fatto ai nomi di cose, di piante, di animali, di luoghi e soprattutto di persone.
Prendiamo ad esempio l'immagine del viaggio. Nel viaggio classico al centro è l'uomo, come Ulisse, ricco specialmente di risorse atte a fargli superare ogni genere di prove. Nel viaggio biblico al centro non è più l'umana intraprendenza, ma una divina intraprendenza; e il viaggiatore appare piccolo e povero, come Israele nel deserto. L'esattezza nel racconto del viaggio biblico diventa la consegna di una mentalità teocentrica, e quindi cristocentrica.
La famiglia di Nazaret, piccola e povera, compie il viaggio a Betlemme per obbedire a una decisione dell'imperatore e non per sua intraprendenza, ma così si compiva il misterioso progetto di Dio.
Francesco fa rivivere il mistero del Natale e dell'infanzia
Un altro spunto pedagogico ci viene dalla vita di san Francesco, il quale sapeva unire «gesti e parole» per trasmettere il messaggio del Vangelo. Nella Vita prima di Tomaso da Celano leggiamo la narrazione della festa della Natività organizzata da Francesco d'Assisi:
Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno fra il bue e l'asinello (Vita prima, 85).
Se vuoi: è un piacere, non un dovere. Greccio non è Betlemme, tuttavia anche a Greccio si fa memoria di quanto accadeva a Betlemme: più che un rammentare, più che un ricordare è un ripresentare, un «memoriale». Prepara: le grandi imprese richiedono lunga preparazione, e coltivare, nutrire la spiritualità dell'infanzia è sempre grande impresa.
Il santo organizzatore tiene presente il testo del vangelo secondo Luca, con la sua triplice insistenza sulla greppia. Questo oggetto diventa elemento integrante, punto di vista della scena intera, simbolo di piccolezza e di povertà. Ceri, fiaccole, greppia, fieno, bue, asinello, voci e canti sono altri elementi: tutti gratuiti, la rappresentazione è a costo zero. Siamo nell'àmbito dell'arte drammatica, e non della scultura o della pittura. Francesco organizza in modo che gli occhi vedano la scena, gli orecchi odano le voci e i canti, le narici odorino il fieno e le mani lo tocchino. «E ogni volta che diceva "Bambino di Betlemme" o "Gesù", passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole» (Vita prima, 86).
Sembra che là, in quel tempo, la messa fosse da celebrare soltanto nel tempio, e la sacra rappresentazione fosse da rappresentare soltanto all'esterno del tempio, e che Francesco fosse stato capace di chiedere e ottenere il privilegio di far culminare la sacra rappresentazione all'esterno con la messa. A ogni modo la messa rimaneva fonte e culmine, radice e cardine di tutta la organizzazione.
Il modo usato da Francesco di Assisi per la festa della Natività ci sembra esemplare per la devozione, l'orazione, la preghiera nella spiritualità della infanzia. Dall'altissimo, onnipotente e buon Signore discende l'ispirazione. È una rivelazione, consistente «in atti e parole fra loro intrinsecamente connessi, in modo che le opere compiute da Dio nella storia della salvezza manifestino e rafforzino le realtà significate con le parole, e le parole proclamino le opere e facciano splendere il mistero in esse contenuto» (Dei Verbum 2): dalla creazione del cosmo, dalla creazione dell'essere umano, dalla prima buona Novella, fino al Natale e alla Epifania del Signore, alla sua Pasqua e alla discesa dello Spirito santo. Si tratta dell'Esodo, si tratta del mistero pasquale, e si tratta dei tramonti, delle sere, delle notti, delle aurore, delle albe, dei giorni, della vita quotidiana di esseri umani, di esseri senzienti, di cose trovate. Grazie, benedici: da parole semplici come queste, da gesii fatti per accompagnarle, o capaci da soli di esprimere sentimenti o pensieri, si procede verso devozioni, orazioni, preghiere di lode, di ringraziamento, di supplica e di domanda di perdono. Importa che tutte e sempre «splendano di nobile semplicità» (Sacrosanctum Concilium 34).
Una conclusione aperta
Mentre procediamo in questo modo nella nostra ricerca intorno alla spiritualità dell'infanzia, sul pianeta Terra nella nostra epoca esiste una moltitudine di persone in età infantile. Alcune di loro appartengono a famiglie, a famiglie di famiglie, dove divine narrazioni sono ascoltate, dove si fa del proprio meglio per corrispondere a tale voce con la pietà, con la vita. Di altre persone è notevole la loro relazione con le prime da noi elencate: sanno che esistono case dove si nomina un «altissimo, onnipotente e buon Signore», e luoghi dove si fa silenzio e si cantano inni a Qualcuno, come a Dio. Altre persone ancora sono ignare di tali fenomeni, e intanto è probabile che non siano lontane da domande del tipo: chi sono? da dove vengo e dove vado? perché la presenza del male? cosa ci sarà dopo questa vita? (cf. GIOVANNI PAOLO II, Fides et ratio, 1).
Risalendo nella lettura di questo elenco notiamo l'opportunità di una ricerca intorno alla religiosità dell'infanzia, a incominciare da domande del seguente tipo: «Come una bimba, come un bimbo scopre e vive la presenza di Dio nella sua vita?». La mente va a una idea di un «Essere perfettissimo, creatore e signore del cielo e della terra».
In queste riflessioni invece ci siamo impegnati in primo luogo in una ricerca intorno alla spiritualità dell'infanzia, a partire da alcune forme di spiritualità a noi più vicine nello spazio e nel tempo. La mente va all'idea del «Padre nostro». A ogni modo trattasi di una distinzione, non di una separazione, perché dall'esperienza amorosa del Padre e dai «racconti» delle sue gesta d'amore il bambino intuisca e abbia fiducia nel grande Mistero da cui ha origine la sua vita e quella di ogni altro essere.
Sommario
L'articolo prende come base di partenza la spiritualità, emergente dai due primi capitoli del Vangelo secondo Luca, nel rispetto di ogni altra forma di vita spirituale. Una riflessione sull' esperienza del sacro, e sulla sua presenza nella età infantile sarebbe propriamente studio della religiosità; qui, invece, ci interessa trattare della spiritualità in senso stretto, nella prospettiva del divampare, del fluire, dello spirare del Paràclito: dello Spirito santo. Infatti, nella prospettiva del Vangelo secondo Luca, in ogni àmbito della vita umana Io Spirito sceglie il momento opportuno per manifestare la sua continua presenza. È una presenza rispettosa della dignità di ogni creatura, di ogni creatura umana, e desiderosa della sua crescita, del suo irrobustimento.
In pratica si tratta di offrire a chi attraversa l'età infantile ricchezza di narrazioni, di racconti. Il testo biblico suggerisce in certa misura il modo di narrare, di raccontare costruendo spiritualità. Tale attività provoca la devozione, l'orazione, la preghiera. Un opportuno discernimento consente di pregiare devozioni, orazioni, preghiere favorevoli allo sviluppo spirituale nell'età infantile. Infine si raccomanda di leggere alcune pubblicazioni dedicate alla spiritualità dell'infanzia. Ancor più conviene che le esperienze compiute in questo campo siano condivise con quanti si accingono a compierne.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Nell'accennare a una bibliografia, diciamo di disporre di elenchi di centinaia di pubblicazioni intorno alla religiosità, mentre un elenco di alcune decine di pubblicazioni è disponibile intorno alla spiritualità. Da quest'ultimo elenco attingiamo una bibliografia breve.
M. AXELINE, Storia di Dibs, Mondadori, Milano 1964; H. BISSONIER, La Parola di Dio è per tutti, EDB, Bologna 1998; A.H. BOWLEY & TOWNROE, The spiritual development of child, Livingstone, Edimburg-London 1983; G. GATTI, Il problema dei bambini e della fede. Note sugli aspetti religiosi dell'educazione nella prima infanzia, Giunti, Firenze 1969; IDEM, Esclusione e liberazione, La Scuola, Brescia 1961; IDEM, Aspetti religiosi dell'educazione, Milano ed., Bologna 1982; IDEM, «L'esperienza del Consolatore. Spiritualità e infanzia», in Il Regno 40 (1985) fasc. 6 [15 marzo 1985], pp.148-153; R. COLES, La vita spirituale dei bambini, Rizzoli, Milano 1992; IDEM, L'intelligenza morale dei bambini, Rizzoli, Milano 1998; S. CAVALLETTI-G. GOBBI, Educazione religiosa, liturgia e metodo Montessori, Paoline, Roma 1961; U. DELL'ACQUA-E. PAULHUS-A. SERRANO JORGE, Face à l'enfant qui souffre, Fleurus, Paris 1989; H.L. DE LENVAL, L'educazione dell'uomo cosciente, Paoline, Roma 1959; IDEM, La Liturgia del gesto, Paoline, Roma 1958; IDEM, Il Silenzio all'ombra della Parola, Paoline, Roma 1958; IDEM, Pedagogia sacra. L'attenzione a Dio, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1969; M. FARGUES, La foi des petits enfants, Bloud Gay, Paris 1955; IDEM, Il fanciullo e il mistero della morte, Paoline, Roma 1965; M. GIORGI, L'«età della discrezione» fra disciplina ecclesiastica e psicologia dello sviluppo, tesi di laurea in psicologia pedagogica, Università degli Studi Bologna 1986; J. GRASSO FITZPATRICK, Crescere dentro. La formazione interiore del vostro bambino, Sperling & Kupfer, Milano 1994; A. GODIN, Le Dieu des parents et le Dieu des enfants, Casterman, Tournai 1964; C. GNOCCHI, La pedagogia del dolore innocente, La Scuola, Brescia 1956; X. LEFEBVRE-L. PERIN, Il bambino davanti a Dio, Paoline, Milano 1958; M.L. LANINO BARBERIS, La mamma catechista, SEI, Torino 1957; M. MONTESSORI, I bambini viventi nella Chiesa, Morano, Napoli 1922; IDEM, La vita in Cristo, Garzanti, Milano 1949; E. PAULHUS, L'éducation de la foi, aspects psycothérapeutiques, Le Centurion, Paris 1982; IDEM, L'éducabilité réligieuse des déficients mentaux, Vitte, Paris 1970; R. RANWES-J.-M.L. DEFOSSA-J. GERARD-LIBOIS, Insieme verso il Signore, Paoline, Roma 1960; R. SAUER, I bambini s'interrogano sulla sofferenza, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1991; H.-M. SCHULZ, Che cosa fa Dio tutto il giorno? Domande dei bambini sulla fede. Risposte dei genitori ed educatori, Queriniana, Brescia 1976; C. TESTONI, La religiosità nel bambino, tesi di Laurea in Psicologia dell'età evolutiva. Università degli studi di Bologna 1996.
Cf. anche: M. ALETTI, Psicologia, psicoanalisi e religione. Studi e ricerche, EDB, Bologna 1992; IDEM, La religiosità del bambino, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1993; R. VIANELLO, Ricerche psicologiche sulla religiosità infantile, Giunti Barbera, Firenze 1976.
Esperienze e riflessioni di significato e importanza primari rimangono in attesa di chi le narri e le pubblichi.
(da: Credere oggi 109, 1(1999), pp. 73-84)