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    Animazione e preadolescenti:

    il peso dell'esperienza

    Giuliano Palizzi

    (NPG 1989-1-52)

    Assumo come punto di partenza la ricerca Cospes sulla preadolescenza: «La categoria che emerge vistosamente è la pulsionalità psico-motoria e relazionale: uscire e stare insieme è la nota che sembra meglio caratterizzare questa età. Lo spazio è dominio del preadolescente, non il tempo; il fare non l'essere; la relazione tra i pari non quella con gli adulti... Lo sviluppo cognitivo, resta dominato dalla logica operativa concreta: solo una piccola parte di soggetti perviene - al termine dell'età - ai processi di ragionamento logico-formale. Per questo non decolla spontaneamente lo spirito critico né viene attivata l'introspezione. La maturazione cognitiva avviene ancora secondo le categorie del pensiero intuitivo, analogico e induttivo».[1]

    PRIMATO DELL'ESPERIENZA NELL'ETÀ EVOLUTIVA

    Uscire, stare, spazio, fare, relazione, concretezza, intuizione, induzione... sono termini che descrivono dettagliatamente la preadolescenza un'età dove l'esperienza, il poter toccare con mano, il come fare e raccontare, il «vivere» in prima persona, sono elementi indispensabili per fare l'educazione.

    Il fatto educativo

    Il fatto educativo si presenta come rapporto dinamico tra persone, in un contesto ambientale, sociale, culturale: genitori e figli, insegnanti ed alunni, educatori ed educandi; società familiare, civile, religiosa, professionale e sudditi, fedeli, membri, generazione adulta e generazione immatura.
    «Educazione, scrive P. Braido, è attivo intenzionale rapporto interpersonale tra adulto e non adulto, diretto a far sí che questi, fornito di determinate risorse naturali, ambientali e sociali, mentre acquista la capacità di agire liberamente secondo l'ordine della ragione, e in funzione di questo acquisto, riceva una regolazione umana della sua condotta, degna della sua condizione umana proporzionata al suo stato attuale e alle esigenze dello stato maturo verso cui tende». È un crescere, è un acquisire un più di essere e di umanità sul piano esistenziale e operativo. È un maturare attraverso l'esperienza vissuta e guidata dai mezzi.
    In altre parole, «il preadolescente raggiunge la maturazione umana esercitandosi in atti validi e impegnativi; egli deve essere messo a contatto con cose, persone, che sono i beni educativi, e quindi i valori umani capaci di suscitare e accrescere il dinamismo spirituale.
    È indispensabile quindi che nel processo educativo si faccia riferimento ai mezzi: in tale raporto i beni-valori sono comunicati attraverso il sensibile, il percepibile, attraverso segni adeguati. È nel contesto di una comunicazione di beni-valori che si parla di esperienza e del suo significato nel processo educativo. Esperienza educativa è infatti esercizio di atti gradualmente produttivi, di capacità critiche, decisionali e abiti di pensiero e di comportamento.
    Con questo si vuole sottolineare che il mezzo non educa per la sua attitudine tecnologica o psicologica persuasiva, ma per i contenuti educativi; i beni-valori, che riesce a veicolare e a far vivere in modo educativo».[2]

    Fare esperienza per darsi un'identità personale

    Così si arriva all'identità adulta, alla capacità di produrre nuove azioni integrando passato e presente, le molteplici sfaccettature del presente, nell'unità e nella continuità del proprio io, della propria biografia individuale.
    La costruzione dell'identità non è un processo che avviene «per idee chiare e distinte», ma è un processo per tentativi: la logica dell'oscillazione del pendolo lo definisce simbolicamente.
    Fare esperienza è la strategia principale attraverso la quale l'adolescente ricerca e costruisce la sua identità. Un'esperienza che funziona come elemento perturbatore e, spesso, conflittuale. L'adolescenza è una continua elaborazione di attese sempre nuove, di nuovi bisogni, nuove domande. A tutto questo viene data una risposta mediante una destrutturazione della personalità e l'attivazione di una ricerca nuova, mediata dall'azione, dalla riflessione che questa provoca, e dalle nuove esperienze.
    L'esito non è certo scontato. L'esperienza conflittuale e perturbatrice può elaborare un adolescente che ristruttura la sua identità e si rimette in cammino, oppure con adolescente che si rifugia nella frammentazione, soddisfatto di aver consumato un'altra esperienza senza essersi preclusa la possibilità di continuare a scegliere e a sperimentare.
    Per entrare pienamente nel ruolo educativo svolto dalle esperienze, è bene ripensarle all'interno di un quadro più vasto, quale è quello della ricerca di identità personale che caratterizza il periodo adolescenziale nel suo complesso.
    L'identità personale è «l'insieme delle caratteristiche e modalità di intervento individuale che, nella organizzazione e strutturazione, spiegano l'adattamento unico dell'individuo al suo ambiente nella totalità» (Hilgard).
    L'identità è per natura una realtà dinamica. È la capacità progressiva di differenziarsi dagli altri, restando fedele a se stesso nel tempo, sfuggendo quelle variazioni provocate dall'ambiente quando si situano oltre una certa soglia. Formarsi un'identità personale comporta inserirsi in un processo di apprendimento: attraverso fasi irreversibili di complessità crescente, l'individuo arriva all'autonomizzazione, alla capacità di affrontare e di trovare una soluzione personale ai problemi della vita, alla indipendenza sempre più accentuata nelle relazioni, di fare l'esperienza della responsabilità che non è più un'imposizione esterna ma elaborata nell'intimità del proprio io, alla originalità nel trovare e riconoscere un senso alla vita.
    Un apprendimento che si costruisce da una parte su un processo di identificazione inteso come la capacità di interiorizzare l'universo simbolico della cultura in cui si vive, e dall'altra su un processo di differenziazione, inteso come la capacità di guadagnarsi un'indipendenza crescente rispetto al sistema socio-culturale e, di conseguenza, la possibilità di produrre in maniera autonoma, a partire dal proprio io, dalla propria coscienza, ciò che nella fanciullezza è stato subito come esperienza passiva.
     
    Per superare il consumismo esperienziale

    L'arte educativa è azione tesa a unificare la dispersione delle esperienze di vita entro un universo che ruota attorno all'io, alla coscienza come il suo «centro». Ora la condizione del preadolescente sembra escludere ogni possibilità di riferimento ad un centro così definito. Perché nel periodo delle «identificazioni»[3] l'unità era garantita dai modelli esterni che diventano «centri unificatori»; nel periodo in cui si cercano le premesse per l'elaborazione dell'identità viene a mancare ogni punto di riferimento e ogni centro capace di salvare il preadolescente dalla dispersione.
    Sono le esperienze stesse che diventano, di volta in volta, il suo centro, senza alcuna riflessione all'interno, senza ritorno su di sé. Il preadolescente consuma esperienze, ma corre il rischio di non «fare esperienza» L'educatore accetta il primato dell'esperienza come l'unica via per iniziarlo alla costruzione della propria identità, ma supera la mera domanda di esperienza per elaborare un processo che lo porti a saper «narrare ed elaborare» l'esperienza per arrivare ad un centro che unifica, ad un nucleo che diventa punto di riferimento indispensabile per poter leggere i dati raccolti attraverso l'esperienza.
     
    Chiusura nel presente

    La società odierna, con la prevalenza delle logiche produttivistiche ed efficientistiche e la programmazione razionalizzata del tempo, scandisce il ritmo di vita dei ragazzi. Se questo ritmo è assai intenso nel «tempo impegnato» (tipo scuola), altrettanto deve esserlo in quello «libero». Così i preadolescenti possono scegliere fra nuoto, inglese, flauto dolce, palestra, scuola di mimo, lasciando così rassicurati i genitori, preoccupati di garantire spazi protetti per l'intrattenimento dei figli.
    Molteplici sono le attività che vengono proposte ai ragazzi, ormai allenati a consumarle passivamente, senza la possibilità di «viverle» con fantasia e da protagonisti.
    Da tutto questo deriva una connotazione della preadolescenza odierna che non può essere accolta senza fare problema: la «chiusura nel presente».[4]
    I preadolescenti appaiono prigionieri del quotidiano, assorbiti dall'esperienza episodica del momento. La tensione verso il futuro tradotta in progettualità è piuttosto ridotta, vissuta implicitamente, e trascritta nella direzione del «fare» più che in quella dell'«essere».
    Anche se provocato dall'adulto, si accontenta di un futuro che è la riproduzione identica e ripetitiva del presente. Non solo. Questo appiattimento sul presente è anche accompagnato dal suo scarso radicamento nel «passato», nella storia, nelle tradizioni culturali.
    Tanto più che il consumismo genera dei bisogni artificiali di avere, totalmente estranei alla tradizione e alla storia del gruppo sociale di appartenenza. È la vittoria dello spazio sul tempo. Una vittoria del «mondo delle cose» sul «mondo dell'essere». È la rottura dell'unità profonda tra lo spazio e il tempo, tra l'avere e l'essere, al fine di sottomettere l'essere all'avere. Il preadolescente si trova a vivere all'interno di una cultura, la cui unica dimensione è quella dello spazio e del suo guardiano, il potere sulle cose, sugli altri, sul mondo.
    Sotto questi punti di vista il preadolescente sembrerebbe il prodotto di catene di influssi ambientali: una specie di automa, insomma! Nella realtà però non è così.
    La ricerca Cospes, come si è visto, lo definisce come individuo che nella sua fragilità e nella dipendenza dal contesto di vita, vuole spingersi a diventare il protagonista iniziale della sua vicenda umana. Vuole diventare se stesso, e siccome la società non si preoccupa di formarlo in tal senso, l'esperienza educativa diventa un'occasione preziosa per stimolarlo a «scoprirsi» e a realizzare la capacità di progettarsi.
     
    Cultura dell'immaginario

    La rappresentazione del mondo che il preadolescente elabora è un collage di immagini spesso svuotate e impoverite di contenuto esperienziale, immagini che hanno quasi perso la traccia del rapporto concreto con le cose, perché forse non nascono da questo incontro.
    Si tratta di una cultura che si sviluppa piuttosto sulla linea dell'immaginario o perlomeno tende a sovrapporre l'immaginario alla realtà.
    I linguaggi che utilizza non gli offrono una modalità di rapporto con le cose, non l'aiutano a familiarizzare con esse.
    Gli oggetti diventano portatori di significati simbolico-sostitutivi, prima ancora di rivelarsi nella loro funzione d'uso: l'abbigliamento, per esempio, è anzitutto il simbolo di un'appartenenza, veicola l'identificazione col personaggio, col modello.
    È quasi come se venisse «sfiorato» dalle cose, senza riceverne traccia.
    Tutto ciò, mentre rivela disponibilità alla elaborazione simbolica, può essere colto dall'educatore come un appello al contatto reale con le cose, a immergersi nel concreto.
    È domanda di esperienza. Da ciò l'urgenza di «mettere pesi» ai preadolescenti, attraverso l'incontro/scontro anche fisico con la resistenza delle cose, della natura, degli altri.
    L'esperienza diviene così un rafforzamento del principio della realtà.
     
    Atteggiamenti di competitività
     
    Le logiche produttivistiche e consumistiche lo stimolano a vivere atteggiamenti di competitività con gli altri. Questo può avere effetti positivi e negativi. Il fatto di essere in continua «competizione» può stimolare ad essere sempre meglio: è un bisogno di riconoscimento, una richiesta di stima, di valorizzazione di sé, proprio come se il soggetto vivesse un momento nel quale questo bisogno venisse continuamente minacciato. Il preadolescente chiede di essere «riconosciuto e accettato» per ciò che lo rende diverso dal passato, per ciò che lo fa nuovo nell'immagine che si è costruito di sé, anche se non sa ancora con chiarezza chi sarà nel futuro. L'accettazione della personale originalità in divenire, sostenuta dal riconoscimento di persone a lui significative, offre la condizione irrinunciabile per la ricerca di una «gratificazione immediata» (logica del profitto) e la tendenza, più che reale, a costruire con l'altro un rapporto di potere, a prevalere su di lui, colloca il soggetto in una prospettiva che è ancora proprio-centrica. È l'esperienza che offre l'occasione per iniziare l'apertura ad una relazione socio-centrata con il superamento di una competitività troppo attenta alla propria realizzazione, a scapito degli altri.[5]

    L'ESPERIENZA COME MEZZO EDUCATIVO

    Volendo decidere quale itinerario metodologico privilegiare per «far fare esperienza», occorre necessariamente decidere le qualità, le caratteristiche che rendono l'esperienza un mezzo educativo.[6] Sarà questo punto di arrivo (che cos'è esperienza in senso educativo) a determinare le tappe e l'itinerario educativo, cioè quando e come fare esperienza.

    Due dimensioni

    Per poter parlare in termini educativi di «fare esperienza», due dimensioni sembrano irrinunciabili.
    Innanzitutto si richiede un contatto vitale con la realtà nelle sue varie sfaccettature; un contatto da persona a persona, non mediato da strumenti culturali (tipo libri), con la realtà in senso totale, non ridotta ai soli dati che si possono manipolare fisicamente.
    In secondo luogo (e qui è lo specifico dell'esperienza) questo contatto va interiorizzato, va fatto proprio, prendendo posizione nei suoi confronti. Ci vuole interiorizzazione dell'informazione ricevuta dal contatto con la realtà dentro la storia personale, una storia fatta di passato, presente e futuro, e in dialogo con tutta l'umanità, perché la storia personale non è solo individuale, ma collettiva.
    La scoperta della solidarietà diventa determinante nella lettura dell'esperienza.
    Non si possono prendere allora come assolute alcune definizioni di esperienza che risultano parziali dal punto di vista educativo:
    - la definizione «empiristica» di esperienza: essa si basa sul puro dato sensitivo, sulle informazioni che provengono dai sensi. In questa prospettiva povera sembra che si faccia esperienza soltanto se «si batte la testa» contro la realtà;
    - la definizione «romantica» di esperienza: si basa sul puro sentimento in contrapposizione con la ragione. Sembra che si faccia esperienza semplicemente perché la partecipazione a un avvenimento o a qualche manifestazione ha emotivamente scosso il soggetto;
    - la definizione «razionalista» di esperienza: si basa sulla conoscenza oggettiva e scientifica, ignorando quello vitale ed esistenziale.
    Sembra che si faccia esperienza solo quando si conosce razionalmente un determinato problema o avvenimento, e lo si traduce in un bel «discorso completo».
     
    Tratti fondamentali del fare esperienza

    * L'esperienza è anzitutto qualcosa di immediato, che si tocca con mano, e se ne ha la consapevolezza.
    Ciò che si sperimenta «parla», è evidente a chi ne fa l'esperienza, non solo a chi la propone.
    Naturalmente il preadolescente vive tante esperienze e non sempre è direttamente consapevole di ciò che succede nell'esperienza anche se questa influisce su di lui. Soltanto l'intervento educativo permette di riprenderla, liberarla e assumerla in maniera riflessa. L'immediatezza poi non è solo vedere, toccare..., ma il rendersi conto di vedere, toccare: è già una elaborazione riflessa dell'esperienza, che è un evento che coinvolge nella totalità.
    * Non si dà l'esperienza inoltre senza un linguaggio per «dirla», rappresentarla, interpretarla. È nel linguaggio che l'esperienza si manifesta. Il linguaggio è mediatore tra noi e l'esperienza: non ne riduce l'immediatezza, ma la qualifica dandole senso; fa passare l'esperienza da semplice materialità ad evento che si inserisce in un contesto storico, in un dato ambiente, in una cultura.
    Sembra difficile qualificare un'esperienza come educativa se il preadolescente, oltre che sperimentare se stesso, non entra in contatto con la «memoria culturale» delle generazioni che l'hanno preceduto, attraverso quei codici linguistici che lavorano l'esperienza mentre veicolano quella del passato. III Il linguaggio permette la riflessione e l'interpretazione del vissuto a diversi livelli. Non una riflessione intesa nel senso opposto all'immediatezza dell'esperienza, perché ci permette di raggiungere quanto non ci arriva immediatamente. Ma nel senso di scoprire in ciò che è «già» dato, nell'immediatezza, qualcosa che nell'esperienza originaria si nasconde, perché troppo ricca e carica di significati tutti condensati insieme, liberandolo appunto dal fatto di essere nascosto o represso.
    Senza la riflessione non esiste esperienza. Occorre scoprire l'immediatezza bloccata, confusa, per distinguerla, renderla visibile nella confusione delle incertezze che quotidianamente ci annebbiano. Occorre dunque aiutare il preadolescente a riflettere sul vissuto, sulle cose, sui fatti, sulle motivazioni, sulle attese, sui risultati, sulle responsabilità personali...
    * L'esperienza è pienamente tale quando colpisce nel profondo del vissuto il preadolescente che fa esperienza e lo trasforma. È l'ultimo passaggio dopo l'immediatezza, il linguaggio e la riflessione. Soltanto un'esperienza coinvolgente e trasformante è veramente educativa. Questa permette al preadolescente di essere un altro rispetto a quello che era prima, e gli apre la possibilità di comportarsi in modo diverso.

    Istanze metodologiche nell'educazione attraverso l'esperienza

    Nel rapporto educativo l'esperienza è tale se offerta per la ricchezza del suo contenuto, e non soltanto perché il preadolescente ottiene qualcosa. Essa deve far parte di un preciso progetto educativo, attraverso il quale si cerca di dare significato e connessione ad un preciso obiettivo da raggiungere, a determinate competenze che si vogliono far acquisire con l'esperienza che si intende offrire. Non si può puntare su una efficacia magica dell'esperienza fuori da un preciso e razionale progetto dell'educatore, un progetto che cerca l'esperienza su misura del ragazzo, i cui contenuti educativi saranno realtà sensibili, percepibili, assimilabili in base al livello della sua sensibilità. «Il punto essenziale perché l'esperienza sia educativa è che l'intervento dell'educatore, nella fase preparatoria come in quella esecutiva, sia autenticamente e concretamente ragionevole rispetto alle reali esperienze di crescita del preadolescente».
    In questo senso si potrebbe pensare che è educativa l'esperienza che si caratterizza per le seguenti istanze metodologiche:
    - Tiene conto anzitutto della reale situazione del soggetto, della sua storia personale, del suo cammino, delle sue scelte, e soprattutto della sua vocazione ad entrare e vivere con consapevolezza nel regno della libertà.
    - Coinvolge «l'intera persona», esigendo collaborazione e partecipazione attraverso strumenti che si adeguano alla sua immaturità e alla naturalità del processo di maturazione.
    - Tende a promuovere l'autentica maturazione sul piano etico, mediante beni e atti appunto che possono essere dal soggetto assimilati come valori.
    - Si muove dalla convinzione che il processo di maturazione si realizza non trasmettendo concetti universali e astratti, ma impegnando in atti validi e significativi, in esercizio attivo e ininterrotto, tutto il ragazzo, sensibilità, motricità, passioni, intelligenza e volontà.
    - Tiene infine conto che il processo educativo viene vissuto in concreto nella persona, mediante l'abilitazione alla capacità di decisioni personali.[7]
     
    Principi di metodo

    Nell'elaborazione e strutturazione del progetto educativo, il metodo è la selezione particolare e l'organizzazione delle persone che sono disponibili e delle operazioni da praticare funzionali per offrire quelle condizioni che facilitano il raggiungimento degli obiettivi. Forse è da preferire un'organizzazione non rigida, ma alcuni princìpi di metodo da tener presente costantemente nel proporre le varie esperienze, rispettando la centralità della persona nella sua particolare situazione personale e collettiva. Ne richiamiamo quattro:
    - Principio di significatività: ciò che si propone o viene scoperto dal preadolescente è significativo quando si può collegare e concretamente viene collegata, nella percezione soggettiva del soggetto, con quanto è già presente in lui: concetti, capacità, ricordi di esperienze precedenti.
    - Principio di motivazione e di perturbazione: per allargare gli interessi del soggetto e aprirlo ad altre proposte diverse da quelle già presenti, oltre al principio di significatività, occorre insistere su una spinta motivazionale interiore. Ciò si ottiene inserendo nella vita del ragazzo un principio perturbatore che mina, mettendola in crisi, la struttura precedente e invita a superare una situazione di destabilizzazione e di dissonanza che si viene a creare.
    - Principio di approfondimento e di concentrazione: è necessario curare la ripetizione frequente del medesimo intervento, ritornare sui temi trattati, riprendere i comportamenti sui quali si è insistito, per evitare la sovrapposizione di tante proposte e per non perdere di mira l'obiettivo finale, una certa unità direzionale verso la quale tutto è finalizzato.
    - Principio di concretezza: occorre operare con i preadolescenti sempre in modo concreto («lo sviluppo cognitivo resta dominato dalla logica operativa concreta») e rispettoso della sperimentalità delle proposte, facendo toccare con mano e con «tutto il corpo» ciò a cui si invita.

    PERCORSI DI ESPERIENZA EDUCATIVA

    Volendo impostare un itinerario pedagogico per guidare il preadolescente a iniziare l'elaborazione della sua identità e la sua maturazione sociale, suggeriamo alcune tappe e relative esperienze.[8]

    Perfezionamento dell'autocoscienza e dell'autonomia personale.
    È il tratto che sta alla base della personalità nel suo rapporto con la realtà e con gli altri. Ovviamente è anche riflesso di quanto l'ambiente in cui il preadolescente cresce e le persone che incontra gli propongono.
    Alcuni elementi che fanno parte dell'autocoscienza e autonomia personale: un concetto realistico di sé; accettazione di sé; un chiaro ideale di sé; una sufficiente fedeltà a se stesso e ai propri valori; una adeguata libertà interiore ed esteriore; spirito di iniziativa e capacità decisionale; senso di responsabilità e sviluppo delle doti personali.
    Per raggiungere tutto ciò dovrà maturare dal punto di vista affettivo superando progressivamente egocentrismo, narcisismo, parassitismo fino ad aprirsi ad atteggiamenti di dedizione e generosità; acquisire l'autenticità e la sincerità senza nascondersi dietro maschere di comodo; apprendere ad interagire con larghezza di vedute e senza rigidità; esercitarsi nelle iniziative, nelle attività, nell'esprimere le proprie idee, affrontando contrasti e vincendo timidezze; superare l'atteggiamento di dipendenza infantile e quello di ribellione e di rifiuto.

    Introduzione nella realtà della vita e nel suo senso.
    Il preadolescente deve venire a contatto con le situazioni più varie della vita: quelle felici e quelle meno felici. Deve immergersi nelle situazioni per prendere in mano la sua vita.
    Non basta però il solo inserimento nella società, bisogna che acquisti un suo modo di vedere e di trattare la realtà, deve saper prendere posizione nei suoi riguardi. Contatti diretti, informazione, riflessione, approfondimento metodico, sono gli elementi che danno la capacità di porsi criticamente di fronte e nella realtà. Questo potrà avvenire attraverso un'esperienza guidata. Un'esperienza che ha alla base lo sforzo educativo di motivare quanto si propone. Punto di arrivo è la padronanza di sé. Una padronanza da conquistare perché la propria realizzazione è un processo lento, una conquista, un continuo rimettersi in discussione, un cercare piccole risposte provvisorie rimanendo aperti ai numerosi messaggi.

    Acquisizione o perfezionamento della capacità di contatto umano.
    Alcuni passi per entrare in comunione con gli altri: imparare a rispettare la persona per la dignità umana che possiede, indipendentemente dalle sue scelte ideologiche, morali, economiche, dell'età e sesso; accettare gli altri senza pregiudizi o etichette; imparare a entrare in dialogo; imparare ad ascoltare; apprendere la disponibilità a comunicare agli altri le proprie idee e sentimenti; rispettare la libertà, l'autonomia, l'intimità degli altri; accettare gli aiuti, i consigli, i suggerimenti; saper chiedere l'intervento degli altri; condividere la vita anche nei momenti di difficoltà; mettere a disposizione il proprio tempo, le proprie capacità, mettersi a servizio accogliendo gli altri.

    Rafforzamento del senso di responsabilità e corresponsabilità.
    L'ambiente familiare ha posto le basi, ma il preadolescente diventa adulto imparando ad esercitare la sua responsabilità in ruoli sempre più diversificati. I passi necessari: acquistare la consapevolezza di far parte di un gruppo, di piú gruppi; non come momento evasivo, ma come tentativo di inserirsi in maniera positiva e corresponsabile; assumere il proprio ruolo nel gruppo, distribuire bene il tempo e il lavoro, non nascondersi dietro scuse e impegni gonfiati, ma cogliere ciò che è più importante anche quando costa sacrificio; allenarsi alla creatività e partecipazione sociale imparando ad affrontare insieme un problema e le soluzioni possibili; imparare ad eseguire con senso di responsabilità quanto ci si è assunti di fronte agli altri; cominciare ad assumerci delle responsabilità direttive.
    È insufficiente il livello di responsabilità del preadolescente quando non si preoccupa dei problemi comuni, delle ripercussioni del proprio comportamento sugli altri, scarica colpe e responsabilità, non affronta le conseguenze delle proprie azioni e idee, riduce la responsabilità diretta facendo solo il minimo indispensabile, non sa continuare un lavoro iniziato da altri, non sa accettare incarichi di servizio, si libera degli impegni accusando gli altri di non far niente, si butta nel perfezionismo, nei sogni, nell'irrealizzabile.
     
    LA VERIFICA DELL'ESPERIENZA

    Un'esperienza va programmata e va verificata.
    Trascorso un po' di tempo dall'avvenimento/esperienza affascinante ci si ritrova: la verifica è un momento importante dove il vissuto diventa davvero esperienza, in quanto i valori vengono interiorizzati.
    Bisogna far rivivere l'avvenimento. I mezzi possono essere tanti: proiezione di diapositive scattate durante l'esperienza, il racconto di un partecipante, la lettera scritta da un personaggio incontrato allora.
    Vengono analizzati prima i dati positivi, quelli che possono essere interiorizzati piuttosto facilmente in valori.
    Nell'analizzare i dati positivi si può passare dall'enfasi (riprendere gli aspetti positivi in modo da ricreare l'entusiasmo vissuto nell'esperienza) alla razionalizzazione (far emergere i significati e i valori all'interno dell'emozionalità rivissuta), all'impiego (tradurre i valori appresi in alcuni atteggiamenti che impegnano tutti).
    La verifica tocca criticamente anche gli aspetti negativi dell'esperienza. Non bisogna rimuoverli (dimenticandoli come cose spiacevoli, incidenti di percorso), ma motivarli facendo lavorare non l'emotività ma la razionalità. Bisogna considerare i lati negativi con decisione per eliminarne le cause. Se c'è stato un errore nella fase di programmazione, di scelta, bisogna motivarlo per centrare nuovamente l'attenzione sui valori e aprire a nuovi impegni.

    IL RUOLO DELL'EDUCATORE NEL FAR FARE ESPERIENZA

    L'elaborazione dell'identità personale avviene nell'arco dell'adolescenza non in maniera lineare, ma seguendo la logica dell'oscillazione esperienziale. Ciò spinge a pensare ad una educazione dei preadolescenti in termini di «asistematicità sistematica», per portare i destinatari ad una «consapevolezza esperienziale» della propria vita.
    Il preadolescente è per natura sua asistematico: è instabile, spazia in piú direzione con forti scompensi, ha bisogno di essere stimolato educativamente in continuazione, non accetta programmi a lunga scadenza, ha bisogno di toccare con mano i risultati.
    L'educatore allora non si preoccupa tanto che il ragazzo raggiunga delle sintesi, ma che quanto viene proposto nell'ambiente attraverso il fare esperienza diventi un piccolo «lievito» che inizia la formazione o la trasformazione dell'io, della personalità. La sistematicità è propria dell'educatore, in quanto ha sempre presente il quadro globale della crescita umana del preadolescente e in tutti i suoi interventi si preoccupa della sua crescita totale e non settoriale.
    Il «fare esperienza» giocato tra sistematicità e asistematicità ha come punto di arrivo la «consapevolezza esperienziale» della propria identità, almeno in forma iniziale. Perché è proprio della maturità umana «riflettere» sull'esperienza fino a interrogarsi esplicitamen te sull'identità personale. Ora questo si verifica anche nella preadolescenza, non attraverso la coscienza logico-razionale, ma attraverso la consapevolezza esperienziale: il preadolescente percepisce se stesso come l'insieme delle esperienze positive o problematiche vissute finora. Il «cambiamento» non si verifica anzitutto in base alla modificazione delle idee, ma in base al vissuto sperimentato, che viene rimodellato dall'esperienza prima ancora che essa abbia una formazione intellettuale.
    Ancora buona parte della adolescenza procederà in questa maniera. Sarà la adolescenza avanzata e la giovinezza il luogo in cui la consapevolezza esperienziale si muterà in una coscienza logico-riflessa della propria identità.
     
    Valorizzare la domanda esplorativa

    Man mano che il preadolescente cammina e si identifica attraverso la «consapevolezza esperienziale», diventa in lui più grande e più spontanea l'esigenza di far esperienza che si consolida attraverso un periodo più o meno lungo di «esplorazione». Essa avviene almeno a tre livelli:
    - l'esplorazione spaziale, come incontro con la propria soggettività, soprattutto attraverso la corporeità, sia a livello riflesso che a livello inconscio, e come incontro con il territorio, l'ambiente, la cultura, la comunità.
    Lo «spazio» è un elemento determinante nella programmazione delle esperienze educative. Non si possono ignorare gli spazi preferiti e costruire esperienze disincarnate. Il cortile, il quartiere, la strada... devono entrare a far parte dell'esperienza che si propone come educativa;
    - l'esplorazione temporale, come progressivo radicamento e collegamento con il passato fino ad iniziare un minimo di «memoria» personale e culturale, e come collegamento con il futuro per iniziare ad elaborare una personale immagine di sé domani, un'immagine fatta di desiderio, di sogno, di utopia, ma «propria». L'attaccamento al precedente non esclude una certa voglia di sapere, di informarsi sul futuro: l'educatore è pronto a costruire intorno a questo piccolo germe di interesse;
    - l'esplorazione sociale, come sperimentazione, magari confusa, di sempre nuove identificazioni con persone, gruppi, ambienti che guidano la socializzazione.
     
    INTERVENTI SIGNIFICATIVI IN GRUPPO

    L'esplosione socio-motoria è espressione di una caratteristica forte della preadolescenza; stare con i pari vuol dire essenzialmente «fare qualcosa insieme».
    I preadolescenti amano fare? Allora impegniamoli a fare. Le attività faranno nascere a poco a poco il gruppo, perché, facendo, essi cominceranno a provare sentimenti reciproci di amicizia, di simpatia, di agonismo, di ammirazione. Cominceranno a sentirsi «in campo»: tutti dentro l'esperienza. Il gusto della «compagnia» dei pari, cioè, è mediato e gratificato dal «fare» prima che dal chiacchierare, discutere, comunicare. È un «vivere insieme» prevalentemente motorio.
    Si è ridotta o è scomparsa la «banda» come esperienza tipica dell'età, e il gruppo si è strutturato intorno a interessi specifici, in gran parte gestito e influenzato dagli adulti; un gruppo nel quale è più facile conformarsi a regole esistenti proposte da adulti, che partecipare attivamente al processo graduale di elaborazione del codice di gruppo con le sue norme e i suoi linguaggi. Un gruppo ancora molto protetto che riflette appunto la generale condizione di super-protezione dei ragazzi di oggi.
    La ricerca della compagnia, il nascondersi, mimetizzarsi in ciò che fanno gli altri (il collettivo), «cambiare», agevola la saturazione del bisogno esplorativo, stimola all'avventura nella scoperta dell'ambiente e di se stessi. Nella condivisione dell'insicurezza e del rischio attraverso la compagnia, essi affinano la loro presa di contatto con la realtà ambientale e sociale, e giungono pian piano ad accettare il cambio (caratteristica dell'età), a ridurne la valenza emotiva e a delimitarsi una propria territorialità.
    Un'esperienza che non è da raccontare non è una esperienza. Le esperienze devono essere attraenti, devono piacere a tal punto che non si vede l'ora di poterle raccontare in giro. Le attività fatte per forza, di malavoglia, fanno nascere soltanto antipatia verso chi le impone e malumore verso gli altri partecipanti. L'obiezione che ai preadolescenti non piaccia niente è delle più false. Occorre che piaccia ciò che si propone. Il fatto è che le proposte che spesso si fanno sono proprio... brutte, sono a misura di adulto, di adolescente e allora? Che si pretende?
    Perché le esperienze meritino di essere raccontate devono essere «clamorose e avventurose», non fredde e burocratiche. Devono stupire innanzitutto.


    NOTE

    [1] De Pieri, S. Tonolo, G., Introduzione, in Cospes, L'età negata, LDC, Torino-Leumann (1986), 26.
    [2] Macario, L. L'esperienza, mezzo educativo, in AaVv., Progetto educativo-pastorale, LAS, Roma (1984), 197.
    [3] Del Core, P. Romeo, U. Fisichella, M. Il preadolescente verso l'identità, in Cospes, L'età negata, cit., 183-184.
    [4] Teruggi, G. Una nuova età di scoperta, in Cospes, L'età negata, cit., 42
    [5] Palizzi, G. Preadolescenti in gruppo: l'età ritrovata?, LDC, Torino-Leumann, 1987, 147-149. Per un approfondimento: Pollo, M. Preadolescenti: vivere il mondo come un eterno presente, in «Note di pastorale giovanile» 1/1986, 71-75.
    [6] Per l'approfondimento di alcuni contenuti ripresi in questo scritto rimandiamo a Floris, F. Quali esperienze... in «Note di pastorale giovanile» 9/1983, 3-27 e Tonelli, R. Fare esperienza di..., ib., 2/1977, 19-54.
    [7] Macario, L. cit., 200.
    [8] Quanto riportato in questo numero è sinteticamente ripreso da L. Macario, cit., 201-205.


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