Virginia Di Cicco
(NPG 2002-09-3)
Il centro di prima accoglienza Regina Pacis di San Foca a Lecce è un formicaio colorato e vivace, dove gli occhi dilatati dalla paura e le bocche spalancate dalla fame hanno trovato i colori e la pace della speranza.
A dirigere il traffico è Don Cesare e i suoi, che diffondono sole e vento con carezze, abiti, abbracci, letti puliti e cibo. Eccoli qui quelli che Gesù chiamava “pescatori di uomini”, uomini che salvano dal mare in tempesta, dall’animo buio di chi li frusta come bestie da fatica, dal disorientamento dei loro cuori che non sanno più dove riparare. Nel freddo della notte, bagnati fino all’osso, spossati da un viaggio infernale davvero nella barca di Caronte, sporchi e ritrosi dal terrore, bisogna proprio amare intensamente gli uomini per trovarne traccia tra questi naufraghi.
Don Cesare sulla spiaggia guarda lontano, all’orizzonte libero e inoffensivo che solo alla prima oscurità comincerà a vomitare strane ombre che arrancano sull’acqua, gonfie fino ad esplodere.
Don Cesare è in attesa, comunque e sempre, anche se sembra non esserci più spazio, e le forze non bastare e quasi anche l’aria.
Di bello c’è la tavola apparecchiata e tutti che mangiano vicini e stretti e non si sa chi è venuto dal mare e chi invece lo aspettava a terra. Il vocio, la luce, le guance arrossate, la pasta fumante, carne calda e patate dorate. Lo stupore dei bimbi, l’amore delle madri e il dignitoso sollievo dei padri. E magari anche qualche disonesto come ce ne sono tanti pure da noi.
È così che Don Cesare ogni giorno celebra il Natale.
Massimo ha tanti capelli – lui dice uno ogni guaio – e tutti bianchi. Vecchiaia precoce – scherzo io.
Saggezza precoce – risponde lui.
In estate, sedia e tavolino sono fuori da questa specie di negozio trasformato nell’antro delle meraviglie per tutti quelli che corrono a cercare conforto.
Massimo e i suoi, di ogni età, dal giovanotto di tendenza all’ufficiale in pensione, cercano di risolvere i problemi di ogni forma e colore agli abitanti del quartiere. Le persone anziane e la gente semplice corrono con il modello per la dichiarazione dei redditi o con una multa arrivata nonostante sia stata già pagata, perché Massimo e i suoi non temono il labirinto cieco della burocrazia e sciolgono tutti i nodi, anche quelli che sembrano impazziti. Non solo, i giovanotti schizzano sui motorini, con il casco e con cautela, a pagare bollette, comprare medicine e fare spesa e con l’automobile accompagnano alle visite mediche e a volte a portar fiori su una tomba e anche al cinema.
Una sedia sicura sulla quale alleggerire il cuore e un tavolino accogliente dove poggiarsi per ritrovare respiro. La gente si alza sollevata, sorridendo perché il mostro è stato sconfitto, il rebus è stato svelato e a guardarli di nuovo il mostro non era poi così forte e il rebus così difficile. Tornano a casa sereni perché il problema è risolto, il peso che grava sulle spalle è sparito ma soprattutto perché sentono di non essere più soli. E se non ci si sente soli quasi nulla spaventa.
Per Massimo e i suoi, il Natale comincia ogni mattina.
Pasquale è un medico, specialista in chirurgia d’urgenza, ma a guardarlo mentre è al lavoro, sembra che non abbia proprio il “physique du role”. Sempre con i capelli scomposti, maneggia strumenti il più delle volte approssimativi, corre dalla mattina alla sera, senza turni, pause pranzo, o congedi, leggermente trascurato anche nell’aspetto, che pure ha la sua importanza per un professionista.
Quando poi ti riceve nel suo studio, senza uno straccio di segretaria che faccia da filtro, neanche una sala d’aspetto dignitosa per la moltitudine che si affolla in attesa, c’è polvere ovunque tanto che alla fine ti ha impastato la lingua e niente pareti o pavimenti ma teli verdi che oscillano al vento caldo e terra battuta che certo non aiuta a sconfiggere la polvere.
Certo i suoi pazienti non arrivano preparati dal conforto dei cari e da una notte di riposo e da un’alimentazione leggera. Ecco magari c’è una dose minore di attenzione e un po’ più di fretta vista la fila che attende di essere curata, e nessuno bada troppo ai dettagli.
Eppure, cosa incredibile a dirsi, Pasquale ha preso il Nobel.
Pasquale e tutti quelli che con lui formano quell’esercito di camici bianchi e anime benedette che è Medici Senza Frontiere.
E ogni volta che esce da una difficile operazione con una vittoria in mano, stremato e senza fiato, i suoi pronti formulano la domanda ormai di rito: “Che giorno è oggi?” e Pasquale risponde: “ È Natale, no?”.
È banale, noioso e inutile permettere alla bontà e alla commozione, all’altruismo e alla tenerezza di farsi strada nel nostro cuore solo a Natale.
Una volta all’anno non basta. Ci vuole una vita.