I poveri

 

Juan E.Vecchi

(NPG 2001-07-3)



La miseria più che un problema economico è soprattutto un problema etico di giustizia e di solidarietà che oggi coinvolge l’ordine internazionale.Il Summit del Millennio fatto a New York ha proposto due fondamentali obiettivi per il nuovo secolo: la pace e il superamento della miseria. Il cardinale Sodano, inviato dal Papa, dichiarava: «La povertà di un miliardo di persone è uno scandalo» (Avvenire 10 sett. 2000). Il mondo è diviso irrimediabilmente in aree ricche e aree povere, e troppa gente rimane vittima degli ingranaggi perversi di questa ingiusta bipolarità.

I paesi ricchi hanno una organizzazione sociale efficiente e grandi riserve pecuniarie per sostenere costose ricerche di fonti alternative, ma continuano ad accaparrarsi aree del terzo e quarto mondo per estrarre materie prime a prezzi stracciati, imponendo le loro leggi di commercio.È immorale che le grandi imprese investano di preferenza proprio là dove le esigenze ecologiche sono minori, la mano d’opera è meno esigente, e dove la necessità impellente assieme allo spaventoso indebitamento costringe quei paesi ad accettare contratti di sfruttamento delle risorse a condizioni infamanti.È vero che le grandi istituzioni finanziarie occidentali prestano danaro, ma certo non gratis. Tant’è che il debito dei paesi poveri invece che diminuire aumenta, perché ciò che viene loro prestato non è sufficiente nemmeno per pagare gli interessi al prestatore. Che dire poi quando quel denaro viene usato per comprare armamenti, invece che per finanziare lo sviluppo? Siamo di fronte a una spirale odiosa, fatta sulla pelle dei più poveri, che non fa certo onore all’Occidente. Ma queste, si dice, sono le leggi del «libero commercio», c’è poco da fare. E il paese debitore deve stringere sugli stipendi, ridurre i piani di sviluppo, rincarare i prezzi, diminuire i servizi, e abbandonare irrimediabilmente alla fame i più deboli.
È vero: il debito non è l’unica causa della povertà. A questa sciagura concorrono anche la cattiva amministrazione, la corruzione, l’impiego sconsiderato delle risorse. Ma esso provoca una spaventosa disoccupazione, azzera i finanziamenti per l’educazione e la ricerca, e cancella i piani di sviluppo sociale. Durante il Giubileo in qualche Sinodo continentale si sono dimostrati disposti a condonarlo a una quarantina di paesi. Qualcosa, molto poco, è andato in porto soprattutto a favore di quei paesi dai quali non si poteva attendere alcun pagamento nemmeno a lunga scadenza, mentre si continuano a esigere interessi da quelli che, sacrificando il proprio sviluppo, hanno anche una minima possibilità di pagare.
C’è un racconto di Garcìa Marquez che uno studioso di economia prende come parabola di questa situazione. Ne L’incredibile e triste storia della candida Erendira e della sua nonna senza cuore, una vecchia megera mantiene florida sua nipote fintanto che costei, attraverso prestazioni del suo corpo, le può corrispondere del denaro.Nel 1964 il debito del Brasile era di 2,5 miliardi di dollari; oggi, a forza di chiedere prestiti per pagare gli interessi, è arrivato a 243 miliardi. Nel 1999 ha pagato 65 miliardi di dollari di interessi, quest’anno ne pagherà 144, e potrà impiegarne soltanto 33 nell’area sociale. Ed è un paese nel quale, secondo la parola del suo stesso Presidente e della Conferenza episcopale, il 50% della popolazione è sotto la soglia della povertà. Il Brasile è come la candida Erendira, può ancora dare, e la nonna senz’anima continua a mungerlo. Non è l’unico caso tra i paesi a medio sviluppo. Condonare è un atto «giubilare». Ma in clima di mondializzazione, sarebbe molto più indicato studiare nuove condizioni di giustizia in questo settore per evitare l’usura a livelli mondiali. La dottrina sociale della Chiesa (cf l’enciclica di Paolo VI, Populorum Progressio) mira a unire i popoli uniti nel proposito di uno sviluppo congiunto. È possibile costruire un mondo nuovo sull’umanesimo che viene dalla Redenzione.
Tutti possiamo e dobbiamo influire perché qualche cosa cambi o per lo meno venga riconsiderata. Nel secolo della globalità la miseria collettiva sfida la carità della comunità cristiana. «L’eliminazione della povertà è per il genere umano un imperativo etico, sociale, economico e politico» (Kofi Annan).