Giuseppe Morante
(NPG 2001-03-19)
Che cosa si può dire dell’attuale prassi di iniziazione alla Confermazione dei ragazzi delle nostre parrocchie? Anche guardandone solo l’organizzazione pastorale e mettendola a confronto con alcuni documenti ufficiali della Chiesa italiana (come i «Catechismi per l’iniziazione cristiani dei ragazzi» Sarete miei testimoni e Vi ho chiamato amici; alcune Note CEI - per esempio, Come educare i giovani alla fede; oppure qualche progetto diocesano sulla Iniziazione Cristiana), si rimane del tutto perplessi. L’analisi, come l’esperienza, evidenzia un grave ritardo culturale e quindi pastorale; si registrano contraddizioni tra principi e prassi; si verificano interventi catechistici inefficaci ed inutili, specie se messi a confronto con l’enorme lavoro pastorale e catechistico che pure si fa...
Alcune ambivalenze di fondo
Per favorire la riflessione pastorale sull’attuale prassi della celebrazione del sacramento della Confermazione per i preadolescenti e ricavarne prospettive operative in vista di una nuova mentalità catechistica e per un ripensamento dell’organizzazione pastorale, evidenziamo alcune ambivalenze.
* Oggi si continua a parlare di catechesi, sia pure con alcune particolari accentuazioni. Ma il «fare la catechesi» significa realizzare quella particolare espressione della Parola di Dio che segue l’annuncio e che quindi è impegnata sul vettore dell’approfondimento del germe della fede. Molti catechisti, anche di quelli che preparano alla Confermazione i ragazzi, si dovrebbero domandare: come può svilupparsi il germe della fede ricevuto nel battesimo, se non c’è stato un vero cammino di iniziazione cristiana, un apprendistato dell’esperienza dell’essere figli di Dio?
Un vero accompagnamento nella crescita cristiana avrebbe dovuto far prendere coscienza del battesimo ricevuto da bambini, avrebbe dovuto portare a svilupparne il germe iniziale, anche se incipiente, facendo operare una conversione a Gesù Cristo. Si dà il caso che molti dei catechisti dei ragazzi verificano che essi una vera scelta di fede, anche se incipiente ed insicura, non l’hanno ancora fatta; e quindi bisognerebbe parlare di riscoperta di un annuncio ricevuto in maniera acritica, piuttosto che di catechesi, in vista del sacramento da ricevere.
Il magistero attuale, anche per riferirsi ai recenti catechismi, a proposito della catechesi ai cresimandi, suppone esplicitamente che ci sia almeno una prima scelta di fede, cioè di aver scelto, almeno implicitamente, di diventare quello che nel battesimo hanno iniziato ad essere, cioè cristiani. Non a caso anche il recente Direttorio Generale per la catechesi afferma che oggi la catechesi non può non essere che «catecumenale», cioè come accompagnamento delle scelte in ordine all’adesione al messaggio di Cristo e all’appartenenza alla vita della comunità cristiana, testimoniando nella vita ciò che si accetta nella fede. Se il germe della fede non si sviluppa, vuol dire che la catechesi rimane sterile e la celebrazione del sacramento è vissuto semplicemente come un rito più o meno legato ad una tradizione...
* Nonostante alcune scelte storiche (30 anni de Il rinnovamento della Catechesi, la grande campagna degli anni ‘70-’80 su Evangelizzazione e sacramenti, dovuta alle intuizioni sulle mutate condizioni culturali) si continua a fare poca evangelizzazione, ma si celebrano ancora in maniera massiccia i sacramenti, senza una particolare e sistematica preparazione, o al massimo con qualche semplice diversivo rispetto all’immediato passato.
Sulle ipotesi (del resto abbastanza accreditate da molte analisi di questi ultimi tempi) di una realtà culturale nuova e sulla esperienza esistenziale sostanzialmente diversa da quella di qualche decennio fa, bisogna che i responsabili della comunità cristiana (pastori, catechisti ed educatori adulti) riprendano in maniera nuova la riflessione catechistica e pastorale della celebrazione della Confermazione ai preadolescenti, che attualmente - con indicazioni abbastanza generiche - viene celebrata per disposizione dell’episcopato «attorno al 12° anno di età», secondo una prassi ormai consolidata in molte parrocchie. Si sono offerti ai catechisti nuovi catechismi detti «per l’iniziazione cristiana dei ragazzi», ma i catechisti non sanno che cosa è esattamente iniziazione; e le comunità parrocchiali non hanno mentalità e strumenti per far fare ai ragazzi iniziazione cristiana, cioè modi per realizzare un vero apprendistato di vita di fede.
È vero che questa indicazione di massima non viene interpretata alla lettera da molti pastori e catechisti, per cui la celebrazione del sacramento oscilla tra la preadolescenza e l’adolescenza. Ma è anche vero che - al di là di poche esperienze pastorali significative - la massa dei ragazzi riceve questo sacramento in una età in cui le scelte che esso richiede non sembrano essere in sintonia col sacramento celebrato, vanificando spesso la forte carica propulsiva da cui può essere spinta.
Non si evidenziano, in generale, «scelte» pastorali significative e riflesse dal punto di vista pastorale. È amaro costatarlo, ma il sacramento crismale non può essere inteso come la meta finale di un itinerario organizzato per la «festa dell’addio» dalla comunità; o per far pagare alle famiglie (ed ai ragazzi) uno certo scotto di partecipazione alla catechesi, in vista del sacramento da celebrare più o meno come retaggio di una abitudine (che del resto parecchi non seguono più!) che si rifà alla tradizione sacrale, da prendere al momento opportuno nella parrocchia e che la parrocchia continua ad offrire a chi se ne vuole avvalere…
Dove sta il «salto di qualità» che la nuova evangelizzazione richiede? Dove viene collocata quella specifica dimensione missionaria o evangelizzatrice che la nuova cultura esige? In che cosa è «nuova» l’evangelizzazione, che in questi ultimi anni il magistero continua a proporre con accenti sempre più pressanti? Forse, sia per i ragazzi che per il sacramento, non si è ancora preso coscienza del cambio culturale in atto!
Non ci sono «scelte» per una vera maturazione cristiana dei ragazzi, perché si continua a fare catechesi e ad usare dei catechismi che mostrano di non prendere sul serio quella esperienza di cui dicono di essere veicoli e portatori in rapporto alle ragioni di fede. In tale realtà, anche i catechisti, più che essere interpreti ed iniziatori di esperienze di fede attraverso il catechismo, sono spesso dei ripetitori più o meno dottrinali, senza sapere neppure come far dialogare, attraverso i loro contenuti, fede e vita nella esperienza concreta della vita dei ragazzi.
Da tutto l’insieme la nostra prassi pastorale sembra mancare ancora di quel salto di qualità richiesto dalle mutate condizioni di vita. In molte parrocchie, anche il semplice linguaggio usato nella organizzazione catechistica alla preparazione al sacramento denota una mentalità statica e quindi poco attenta sia alla realtà che alla visione teologica del sacramento. Espressioni di tipo come «primo anno di cresima», «secondo anno di cresima»; oppure «anno di preparazione alla cresima»; oppure «corso di preparazione alla cresima», indicano mancanza di rispetto del processo di iniziazione e lontananza pastorale dall’itinerario «catecumenale», come vero cammino verso la fede adulta.
Quanto è lontano questo linguaggio (con le sue conseguenze strutturali sulla organizzazione catechistica e pastorale) da ciò che significa «dimensione missionaria della catechesi», «iniziazione alla vita cristiana», «educazione alla vita di fede attraverso un cammino progressivo, organico e sistematico», che porti i nostri ragazzi ad una vera e cosciente scelta cristiana, ad una vera capacità di orientarsi nella vita con la cosciente disponibilità ad essere «veri figli di Dio, di cui Gesù ce ne ha rivelato il volto»!
È veramente mutato il contesto culturale, per cui il supporto al sostegno del cammino di fede dei ragazzi in età evolutiva non può esser interpretato da qualche semplice variazione al programma di sempre. In conclusione, si può affermare che la «catechesi» e la «pastorale» legate al sacramento della Confermazione manifestano ancora queste chiare caratteristiche:
- sono più preoccupate, come orientamento globale, di conservare la vecchia struttura, che di inventare strade nuove e diverse, per rendere più vitale ai ragazzi una più personale scelta di fede, ammesso che la loro condizione attuale possa favorire, da sola, una tale cosciente acquisizione;
- si esprimono entrambe quasi del tutto a senso unico; cioè catechesi per i ragazzi, attività liturgiche e iniziative socio-assistentizali più o meno condivise. Un vero progetto unitario di vita cristiana rimane lontano dall’attenzione unitaria della persona, per cui le tre funzioni fondamentali non si integrano, e i ragazzi non ne riescono a fare una personale e significativa esperienza;
- rimane molto carente l’apertura alle realtà nuove e diverse della cultura e della missione della Chiesa; per cui il messaggio appare più dottrinale che esperienziale (come invece vorrebbero sia i Catechismi che l’Iniziazione Cristiana), con la conseguenza che non solo «non imparano la dottrina», ma neppure «imparano a vivere da credenti»;
- fanno emergere qua e là anche qualche realizzazione interessante e qualche impegno più intenso di alcune persone, ma ne rimane fuori sostanzialmente la comunità e gli altri adulti che di essa dovrebbero essere figure significative per ragazzi; con la conseguenza che mancano persone che ne incarnano i valori comunicati; e sono molto spesso assenti e poco coinvolte le famiglie degli stessi ragazzi;
- si realizzano spesso con la com-presenza di diversi e contrastanti stili educativi e pastorali; ad esempio il modo di fare la catechesi e quello di animare i gruppi.
Come anche si distinguono per una pluriformità di esperienze non sempre plausibili e coordinate. Si tratta di proposte poco creative e senza un metodo appropriato; e anche poco attente ai ragazzi sia dal punto di vista della loro esperienza personale, sia del loro coinvolgimento nella vita comunitaria e sociale dell’ambiente.
Chi sono i preadolescenti oggi
Un secondo gruppo di riflessioni riguarda anche la conoscenza dei dinamismi della crescita dei ragazzi, di cui la dimensione pastorale della preparazione al sacramento crismale dovrebbe farsi carico. Chi sono realmente questi ragazzi; quale esperienza comunitaria deve essere impiantata nei loro confronti; come collocare il sacramento dentro un cammino di iniziazione cristiana; che cosa comporta questo cammino? Non si tratta di domande oziose per la catechesi e la pastorale del sacramento…
Al di là delle descrizioni che si fanno nei manuali dell’età evolutiva o nelle svariate ricerche a carattere psico-sociologico e religioso, agli occhi degli educatori e dei catechisti i ragazzi devono apparire con le loro caratteristiche esistenziali, se si vuole proporre per loro un serio cammino di educazione alla fede.
I doni dello Spirito devono poter interagire coi doni della vita in crescita, perché le due realtà non appaiano loro separate e la fede non abbia nulla da dire alla loro vita nella direzione cristiana.
Le caratteristiche esistenziali qui di seguito sintetizzate, non sembra che siano debitamente tenute presenti dai catechismi; e forse non è abbastanza chiaro ai catechisti che questa realtà umana deve essere illuminata sia dalla catechesi che prepara al sacramento, sia dal sacramento che ne rafforza i valori e ne esalta i significati positivi, correggendone quelli negativi.
Come entrano perciò i tratti della personalità in crescita nel progetto educativo, pastorale, catechistico nella preparazione e nella celebrazione del sacramento della Confermazione? Questa novità di vita, anche se conflittuale, non ha nulla da dire alla novità della fede? Come i doni dello Spirito Santo, effusi dal rito sacramentale, possono illuminare questa realtà, interpretarne la vita, correggerne le ambivalenze?
Psicologicamente, il ragazzo/a di questa età vive un vorticoso sviluppo sia biologico che fisiologico, di cui non sempre riesce a decifrarne il senso, e neppure ne riceve gli aiuti necessari per farlo, a tutti i livelli: quello progettuale personale, quello sociale e intellettuale, quello religioso e morale. Le sue energie di crescita quasi mai sono ben orientate al fine della maturazione della fede:
- la forza misteriosa e dirompente della sua crescita puberale (tra i 10 e i 14 anni) lo rende come foglio sparso di un libro in balia di un vento impetuoso. I catechisti dovranno fare molta fatica a rimetterlo in ordine. Ma chi crede di poterlo avere ordinato e puntuale, preciso e metodico, non potrà che cozzare contro una realtà che non ubbidisce ad un preciso comando. E non si tratta di ribellione cosciente, ma di incapacità di coordinamento e di riordinamento dei significati del proprio crescere vorticoso. Bisogna credere che anche dentro questo crescere disordinato c’è la forza della vita che viene da Dio e che risponde ad un orientamento che per il momento, con la pazienza di Dio, l’educatore assume come impegno di presenza e di accompagnamento, con la possibilità di orientare progressivamente queste energie verso l’energia spirituale della fede;
- la sua realtà umana attuale è profondamente ambivalente, perché così si manifesta il nostro ragazzo/a: fanatico e geloso delle sue amicizie, ma anche mutevole nella ricerca di momenti tutti per sé, con il gusto di stare da solo; chiassoso e solitario; molto effusivo in momenti di preghiera, ma superficiale e pieno di dubbi nella incipiente e più personale esperienza religiosa; ha volontà espressa di voler travolgere il mondo, ma subito esprime una non disponibilità all’impegno, perché preso dall’emotività del momento e dalla reazione del «non mi va». È sentimentale e litigioso, generoso e invidioso, ma anche contraddittoriamente interessato e distratto;
- appare più semplice e disponibile ai 10-11 anni, ma poi si trasforma in reattivo e spigoloso, scontroso ed indisponente: parolacce, silenzi imbronciati, zuffe e litigi. Si offende facilmente per un complimento, ma rimane indifferente per un rimprovero; cerca comprensione e affetto, come anche ammirazione per le sue gesta; è fortemente geloso e cattivo contro i preferiti; vuole essere lodato e desidera che i suoi meriti siano riconosciuti anche pubblicamente;
- mette tutto in discussione, chiedendo spiegazioni per ogni cosa, anche se non gli interessa più di tanto; ci tiene a manifestare un parere personale, anche se non ha fondamenti; non gli va bene nulla, ma non offre alternative anche se richieste; non vuole essere ritenuto bambino ma è insicuro, mutevole di umore, fisicamente scoordinato e goffo, senza precisi punti di riferimento per le scelte di ogni giorno:
- vuole essere diverso dal fanciullo che era, ma non ci riesce; vuole essere diverso dai grandi che pure vorrebbe imitare, ma senza farlo vedere, per cui appare senza una fisionomia precisa nelle idee, nei gusti, nei vestiti. È terribilmente conformista nei confronti degli amici più svegli, delle mode, dei divi imposti dai mass-media; vorrebbe cambiare il mondo, ma guai a toccargli il poster del divo preferito;
- sperimenta sensazioni nuove anche nel corpo, nelle energie della propria sessualità, con emozioni forti e trasformazioni fisiche che catturano la sua attenzione: è preoccupato dell’aspetto fisico, è alla ricerca di una posa che lo/la soddisfi (rossetto, smalto, ciuffo, gel). Ha voglia di farsi vedere e destare attenzione, di curiosare e di scoprire; appare tutto un crepitare di sensazioni che si esprimono in piccoli fuochi senza consistenza, ma pur tanto importanti per riscaldarsi al senso della vita…
Come si concilia, in queste condizioni fortemente ambivalenti dal punto di vista esistenziale la preparazione e la celebrazione del sacramento crismale che dovrebbe portare alla maturità di fede e ad una stabilità di vita cristiana?
Perché la cresima in questa età
In genere i motivi per cui si amministra il sacramento della Confermazione in questa età non sono chiaramente indicati dalla teologia del sacramento, né la prassi reale appare ben evidenziata da motivi pastorali o pedagogici. Comunque se ne può fare una certa lettura che risponde abbastanza alle visioni di chi ne organizza la pastorale e la catechesi. Possono prevalere, ambivalentemente, motivi interpretativi sia di tipo teologico, che pastorale e pedagogico, anche separatamente:
- la Confermazione non può né deve essere troppo slegata dal Battesimo e dall’Eucaristia. In realtà, una volta - ed oggi nel caso del Battesimo agli adulti - i tre sacramenti erano amministrati nella stessa celebrazione. Quindi è necessario prevedere un tempo abbastanza stretto tra il battesimo e il sacramento che dà i doni dello Spirito per la maturazione della fede;
- i sacramenti sono legati alle dimensioni fondamentali e ai momenti chiave dell’esistenza umana, quando l’uomo si pone i «perché» fondamentali della vita, interrogandosi sul senso da dare ad essa. La preadolescenza (ed insieme l’adolescenza) è uno di questi momenti-chiave. Essa è infatti un’età burrascosa, piena di contraddizioni, in cui convivono, ad esempio, desiderio e timore di crescere: tutto viene posto in discussione, anche la fede. Perciò è necessario conferirla ora;
- si è pedagogicamente convinti che - nonostante le difficoltà e le crisi in atto - ci può essere in questa età da parte dei ragazzi una ratifica più cosciente degli impegni del Battesimo ricevuto nella primissima infanzia, e possono essere aiutati a ratificarlo;
- la preadolescenza è l’età delle relazioni con gli altri (si pensi all’importanza delle amicizie e del gruppo) e delle attività (si pensi alle attività a cui danno importanza, come lo sport). Ricevere la Confermazione in questa età può essere significativo per i ragazzi, perché mostra questo secondo sacramento come sottolineatura della dimensione ecclesiale della testimonianza e della missione;
- afferma anche il catechismo Sarete miei testimoni (10-12 anni): «La celebrazione del sacramento della confermazione si inserisce nella storia della nostra fede come un evento preparato ed atteso. Il Signore interviene con il dono dello Spirito affinché assumiamo consapevolmente le nostre responsabilità nella Chiesa e diventiamo testimoni coraggiosi del Vangelo nel mondo. Ora puoi sedere alla mensa eucaristica con i tuoi fratelli, nella comunità, per assumere nuovi impegni» (p. 99).
A chi ha realizzato un progetto (scritto!) per la pastorale diocesana della celebrazione del sacramento crismale in questa età - e il sottoscritto ne conosce una ventina - le motivazioni di cui sopra appaiono come delle vere giustificazioni teologiche e pedagogiche? O non si va molto al di là di affermazioni che risentono di una giustificazione acritica di un certo retaggio tradizionale di chi non fa i conti con una nuova realtà esistenziale e/o culturale?
A quali condizioni celebrare il sacramento
Perché la Confermazione possa veramente costituire un aiuto per la crescita cristiana del preadolescente e perché sia significativa di ciò che il sacramento realizza attraverso il rito liturgico, è necessario che non diventi il «sacramento dell’addio» dalla comunità, come da più parte ci si lamenta, ed è segno che la cosa non funziona!
Per fare ciò è indispensabile che la preparazione e la celebrazione non siano fini a se stesse, ma tappa di un itinerario educativo umano-cristiano che preceda la stessa preadolescenza e non si fermi ad essa. Insomma è necessaria la formazione permanente e il coinvolgimento in una vita di gruppo significativa, attraverso una vera esperienza di cammino di fede, con alcune esigenze.
* Il gruppo dei coetanei - con la presenza significativa di educatori giovani/adulti - dovrebbe essere l’ambito normale della vita del ragazzo. Non è possibile continuare a pensare - specialmente in questa età - ad una specie di lezione scolastica di catechismo. Il gruppo deve diventare esperienza di piccola chiesa, in un rapporto tra amici, e attraverso cui deve avvenire l’educazione-istruzione cristiana, inserite in un reale itinerario di vita, fatto di gioco, di festa, di testimonianza, di liturgia, di espressione… Per questo gruppo la comunità cristiana organizza la pastorale dell’accoglienza, in collaborazione con le famiglie dei ragazzi e con i responsabili adulti.
* Perché il preadolescente possa guardare con speranza alla propria vita di fede, è necessaria questa testimonianza comunitaria adulta e della famiglia, come pure deve essere indispensabile un rapporto bello e sereno con il catechista/animatore. Per non correre il rischio di vanificare una buona esperienza di fede avviata, bisogna programmare concretamente che il gruppo continui anche dopo la celebrazione della Cresima, e il coinvolgimento degli adulti sia costante e presente.
* Per quanto concerne il padrino, bisogna vederne la funzione-figura in un’ottica diversa: deve essere possibilmente una persona amica del ragazzo/a (o che potrebbe diventarlo), ma che sia in grado di dare garanzie di chiara testimonianza di fede. Si richiede non una figura tradizionale… ma una persona che abbia possibilità di aiutare il ragazzo non solo nella preparazione immediata alla Confermazione, ma anche in seguito, ed è bene quindi che lo frequenti. Sia perciò una persona nota alla comunità ecclesiale, e che possa in qualche modo essere considerata sua espressione. Si tratta di incominciare per tempo la ricerca di queste figure viste soprattutto come accompagnatori di esperienze di fede.
* L’impegno di fondo che caratterizza la Chiesa italiana in questo inizio di millennio è quello della «trasmissione della fede». Il «tradere» (cioè il consegnare il deposito della fede alle giovani generazioni) ha una sua logica nel cammino di iniziazione cristiana. Ma purtroppo, in un nuovo contesto culturale, il modo tradizionale di tramandarla non funziona più, se ci rivolgiamo direttamente a chi, come i preadolescenti, non sono ancora in grado di fare delle scelte definitive, non hanno fatto un vero apprendistato dell’esperienza del battesimo ricevuto, al massimo hanno una discreta socializzazione religiosa. Bisogna inventare ritualità nuove che scandiscano periodicamente il ritmo di questo tramandare, in modo che il «fare i cristiani oggi» diventi significativo ed efficace e non solo rispolveri tradizioni storiche che sono sorte in altri contesti culturali. Se la Chiesa è madre e in ogni epoca genera i suoi figli, in ogni epoca deve ritrovare la forza di questa generatività con nuove forme di trasmissione vitale, nuove forme espressive che possano richiedere anche dei tempi lunghi di sperimentazione, senza che nessuno si scandalizzi…
* I motivi sono evidenti. Anche per la Confermazione ai ragazzi c’è bisogno di comunità che con vero impegno progettuale sappiamo trasmettere una fede viva, una vita comunitaria radicata nel vangelo, un cuore aperto e conseguenti tessuti di relazioni e strutture che la rendano sperimentabile da tutti i suo appartenenti, compresi i ragazzi. Una vera ricerca su una nuova modalità di iniziazione alla vita crismale comporterebbe la risposta sperimentale alle seguenti domande:
- come aiutare i preadolescenti, che oggi hanno riferimenti cristiani sempre più labili e poco duraturi, a ritrovare la gioia e la forza della fede in Cristo, coinvolgendo catechesi pastorale, liturgia, carità, comunità; quindi come si diventa cristiani oggi, con coerenti progetti di vita;
- come superare la cultura del soggettivismo e del conformismo di cui il ragazzo/a è, senza accorgersene, vittima, per un incontro più personalizzato col divino e come risposta ai doni dello Spirito, oltre il sincretismo, il devozionismo, il ritualismo; quali mediazioni predisporre tra la strada e la Chiesa per accoglierli in questo cammino di fede (persone, gruppi, fraternità vissuta…);
- come superare la ricerca spasmodica della propria gratificazione, per realizzare un progetto di maturazione cristiana, contro la cultura del soggettivismo, pur accettando il soggetto e partendo dalla sua realtà.
* Le sicurezze del passato non ci sono più e se ancora sembrano produrre effetti positivi per lo meno sul piano della partecipazione della gente, rischiano di perpetuarne uno status religioso debole e sempre più separato dalla cultura e dal vissuto quotidiano. E questo non solo per la catechesi relativa alla Confermazione, ma è necessario rivedere anche la prassi della catechesi di iniziazione nella formazione permanente, nella liturgia, nella carità, nella missione, sia sul piano teorico che su quello della prassi pastorale. Non si tratta solo di riscoprire come le prime comunità «facevano i cristiani»; ma come si devono fare i cristiani oggi, nel nuovo contesto socioculturale. Si impone perciò il problema non del sacramento, ma della fede in Cristo, del proporre la fede, del tramandare la fede, dell’educare alla fede, del formare a vivere di fede…, fede liberamente accolta con una scelta personale, convinta e matura.
* La pastorale della vita di fede viene così a delineare un quadro che si muove non solo più in modo sistematico seguendo la crescita della persona, ma esige un impianto pastorale diverso che accentua l’iniziazione alla fede e alla vita cristiana (in cui si colloca la «specifica iniziazione» ai sacramenti della fede), e il suo consolidamento nella formazione permanente. Perciò si tratta di due momenti che non seguono la linea dello sviluppo evolutivo costante dalla nascita alla morte (come si è fatto nella chiesa a partire dal Concilio di Trento), ma che attraversano e interessano tutte le età della vita. Questo sollecita le parrocchie e le famiglie a impostare un nuovo impianto di iniziazione cristiana e di formazione che non è facile ipotizzare, se non attraverso linee teologiche e pastorali, pedagogiche e culturali condivise…, coinvolgendo in modo strutturale la famiglia dei ragazzi. E diventa quindi anche una scelta significativa degli adulti più significativi a cui i ragazzi di oggi sono affettivamente dipendenti. Ma è un ostacolo anche il problema difficile di tante famiglie…
* A guardare bene alla realtà attuale, l’esperienza religiosa del ragazzo/a risente moltissimo di quanto è vissuto a questo proposito anche in famiglia. Se in essa è produttivamente sperimentato il processo di testimonianza religiosa, allora sono possibili sue rielaborazioni personali, verso una funzionalità psicologica, senza essere una riproduzione acritica del passato, con la possibilità che la componente religiosa si traduca in spinta per l’acquisizione di contenuti con cui guardare al futuro. E questo non esclude una sua possibile presa di distanza dall’esperienza religiosa familiare, come bisogno connesso al processo di separazione. Ma non vi sarà un rifiuto dell’esperienza religiosa, quanto un distanziamento dalle attese genitoriali per riproporre il significato in modo personale. Dal punto di vista pedagogico, è importante sottolineare che sta avviando una silenziosa rielaborazione personale e creativa della religiosità, nella ricerca di poterla vivere in modo più personalizzato, spontaneo, interiorizzato, agganciato ai vari vissuti soggettivi.
* Ma essendo il ragazzo/a scarsamente attrezzato a rielaborare significati religiosi infantili, se non aiutato, è facile che perde quel poco che è stato assunto in passato. Se poi frequenta gruppi caratterizzati dall’attenzione educativo-formativa, è possibile che avvii una rielaborazione personale della religiosità come ricerca di significati cui aspira, specialmente se incontra educatori o coetanei che attivano sentimenti di ammirazione in questa direzione. Il compito dei genitori e degli educatori è perciò quello di riuscire a nutrire il livello d’interiorizzazione già attuato precedentemente dal ragazzo, così egli potrà innestare il processo di rielaborazione; da tale avvio potrà scaturire una reinterpretazione di contenuti interiorizzati.
* La formazione religiosa in famiglia non può essere scissa dallo sviluppo delle potenzialità di cui ciascun figlio è portatore; ciò significa che essa è intimamente connessa alla crescita affettiva, intellettiva e sociale in un processo d’integrazione della personalità. Occorre che si promuovano dei processi critici, educativi della responsabilità sociale, dell’amore per il sapere, della ricerca di senso e di opportunità, della cooperazione al bene comune, della volontà di pace, della disponibilità per gli altri, della riflessione sull’azione. Questa è maturazione umana, ed anche unico processo della maturazione cristiana. Perciò, genitori ed educatori degli stessi ragazzi non devono «pretendere» da loro, ma sollecitarli con l’esempio e il dialogo, con azioni educative tese a favorire lo sviluppo delle potenzialità che emergono in questa fase di transizione, e che hanno un riferimento in ciò che hanno in precedenza interiorizzato. Da qui il valore della catechesi familiare che recupera la responsabilità della famiglia anche nell’ambito della iniziazione cristiana, in stretta collaborazione con la pastorale parrocchiale e con gli altri educatori della fede.
*In conclusione:
- si deve innestare un processo di iniziazione cristiana per ogni persona e per ogni età con le attenzioni precedentemente dette e con itinerari di accompagnamento relativi alle diverse esigenze, ed intersecantesi con le diverse età, ma a al centro c’è la centralità dell’adulto nella fede;
- si devono promuovere esperienze cristiane che coinvolgano gruppi e associazioni, dove salta il criterio stretto dell’età progressiva e sistematica del cammino di fede che deve apparire meno noetico e irenico, ma più provocatorio ed esistenziale;
- si deve sviluppare il processo del catecumenato come paradigma esemplare di catechesi di iniziazione e di apprendistato della fede, attraverso un nuovo impianto pastorale che provochi il rapporto fede-sacramenti e in cui collocare i catechismi ma con un prima un durante e un dopo, costituito da un costante «evangelizzare»;
- si deve reinventare un cammino missionario che diventi culturale nella pastorale ordinaria, intendendo i luoghi di catechesi come esperienze di vita, e riscoprendo la maternità della Chiesa che non va più vista come lo spazio di funzione del sacro, ma come madre che «fa i cristiani».
Questa è la vera sfida di oggi!