Luis A. Gallo
(NPG 2003-05-38)
Durante la prima sessione del Vaticano II papa Giovanni XXIII pubblicò l’enciclica “Pacem in terris” (11 aprile 1963), nella quale affrontò il tema di quell’“anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi” (n. 1) che è la convivenza pacifica tra gli individui, le famiglie, i popoli, e nell’intera famiglia umana. In essa sosteneva che “al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si deve sostituire il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia” (n. 61). Faceva anche un accorato invito:
“Come vicario di Gesù Cristo, Salvatore del mondo e artefice della pace, e come interprete dell’anelito più profondo dell’intera famiglia umana, seguendo l’impulso del nostro animo, preso dall’ansia di bene per tutti, ci sentiamo in dovere di scongiurare gli uomini, soprattutto quelli che sono investiti di responsabilità pubbliche, a non risparmiare fatiche per imprimere alle cose un corso ragionevole ed umano” (n. 63).
Il Vaticano II diede chiari segni di condividere la stessa “ansia di bene per tutti” anzitutto nel suo Messaggio iniziale del 20 ottobre 1962, nel quale dichiarò di voler tenere in gran conto tutto quello che compete alla dignità dell’uomo e quello che contribuisce alla vera fraternità dei popoli, particolarmente la pace tra essi e la giustizia sociale, e poi nella Costituzione “Gaudium et Spes”, nella quale dedicò la prima sessione del suo ultimo capitolo precisamente al tema della promozione della pace.
Una panoramica poco cambiata
La Costituzione inizia, seguendo sempre quella metodologia di cui abbiamo parlato nel primo dei nostri articoli, descrivendo la situazione mondiale da questo punto di vista. Si può dire che la situazione non sembra essere fondamentalmente cambiata dopo i decenni da allora trascorsi. Dice, infatti:
“In questi nostri anni, nei quali permangono ancora gravissime tra gli uomini le afflizioni e le angustie derivanti da guerre ora imperversanti, ora incombenti, l’intera società umana è giunta ad un momento sommamente decisivo nel processo della sua maturazione. Mentre a poco a poco l’umanità si va unificando e in ogni luogo diventa ormai più consapevole della propria unità, non potrà tuttavia portare a compimento l’opera che l’attende, di costruire cioè un mondo più umano per tutti gli uomini e su tutta la terra, se gli uomini non si volgeranno tutti con animo rinnovato alla vera pace” (n. 77, corsivi nostri).
E con un ancora più accentuato realismo aggiunge, poche righe dopo:
“Sebbene le recenti guerre abbiano portato al nostro mondo gravissimi danni sia materiali che morali, ancora ogni giorno in qualche punto della terra la guerra continua a produrre le sue devastazioni. Anzi dal momento che in essa si fa uso di armi scientifiche di ogni genere, la sua atrocità minaccia di condurre i combattenti ad una barbarie di gran lunga superiore a quella dei tempi passati. La complessità inoltre delle odierne situazioni e la intricata rete delle relazioni internazionali fanno sì che vengano portate in lungo, con nuovi metodi insidiosi e sovversivi, guerre più o meno larvate. In molti casi il ricorso ai sistemi del terrorismo è considerato anch’esso una nuova forma di guerra” (n. 79, corsivi nostri).
Il riferimento alla corsa agli armamenti sempre più sofisticati viene ripreso più avanti, evidenziandone con decisione la negatività sia in se stessa sia negli effetti deleteri che produce. Non è una via sicura per conservare saldamente la pace, si afferma, né il cosiddetto equilibrio che ne risulta può essere considerato pace vera e stabile. E si aggiunge ancora che le cause di guerra, anziché venire eliminate da tale corsa, minacciano piuttosto di aggravarsi gradatamente. Non solo, ma “mentre enormi ricchezze si spendono per la preparazione di armi sempre nuove, diventa poi impossibile arrecare sufficiente rimedio alle miserie così grandi del mondo presente” (n. 81).
L’allusione fatta al terrorismo è di un’attualità ancora più sorprendente se si pensa a ciò che è successo a livello mondiale l’11 settembre 2001 e dopo di esso.
Visione integrale della pace
La presa di posizione della Costituzione davanti alla panoramica menzionata è tassativa:
“Tutte queste cose ci obbligano a considerare l’argomento della guerra con mentalità completamente nuova” (n. 80, corsivi nostri).
L’avverbio che affianca l’aggettivo rivela una volontà di accentuazione molto forte: non basta la novità, ci vuole una “completa” novità nella mentalità. Il tema della pace non può, quindi, essere affrontato come veniva affrontato finora.
Quali sono le novità?
Anzitutto, quella specie di definizione che la Costituzione dà della stessa pace. Si tratta di una sua “vera e nobilissima concezione”, come viene detto nel n. 77. Superando, infatti, una visione meramente negativa di essa che prevalse per secoli tanto nella società quanto nella Chiesa, afferma:
“La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita ‘opera della giustizia’ (Is 32,7)”.
L’associazione della pace alla giustizia, già presente nei testi profetici veterotestamentari, come si desume per esempio dalla citazione del profeta Isaia fatta nel testo, ritorna incalzante nel pensiero conciliare. Come a dire che non ci si può illudere di avere pace se non si coltivano i giusti rapporti tra gli individui, i gruppi e le nazioni. O, ancora, che ogni ingiustizia è un semenzaio di guerra. Anche l’apparente “tranquillità dell’ordine” – definizione agostiniana della pace – può covare la guerra, proprio perché essa può essere solo una copertura dell’ingiustizia. Tardi o presto tale pseudo-pace è destinata a scoppiare.
L’aver vincolato in questo modo la pace e la giustizia, in tutta l’estensione della parola, richiama ad una responsabilità quasi sconfinata. La giustizia, infatti, ha a che fare con gli atteggiamenti, con le programmazioni e con le azioni della vita di ogni giorno e dei momenti nodali della vita collettiva. Perché è proprio in tutto questo vasto ambito che essa è messa alla prova e sfidata. Solo se si coltiverà in esso la giustizia si potrà avere la tanto desiderata pace.
Una seconda novità è data dalla netta condanna che la Costituzione fa della guerra totale. Per secoli si era parlato, anche nella Chiesa, di una guerra “giusta”; ora il Vaticano II, facendo proprie le condanne già pronunciate dai recenti papi dichiara:
“Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione” (n. 80).
Un doppio fondamento sorregge, come si vede, tale condanna. Religioso l’uno, umano l’altro. L’atto di guerra ha una dimensione religiosa perché è “delitto contro Dio”, e una dimensione umana perché è “delitto contro la stessa umanità”. Il testo non spiega la relazione esistente tra i due, ma non è difficile coglierla se si tiene presente la visione evangelica delle cose che sottostà all’intera Costituzione. Alla sua luce si può dire che la guerra è delitto contro Dio proprio perché è delitto contro l’umanità, dato che, stando al Vangelo del giudizio finale, ciò che viene fatto o non viene fatto all’uomo viene fatto o non fatto a Dio stesso (Mt 25,31-46). Così, quello che alla luce della ragione è un semplice atto umano negativo (la guerra, con le sue tristi conseguenze), acquista una dimensione teologalmente negativa.
Ed è proprio questa visione religiosa e umana di ogni intervento bellico mirato indiscriminatamente alla distruzione che fonda lo rende illegittimo.
Ovviamente, sostiene ancora la Costituzione, questa radicale condanna non elimina il diritto alla legittima difesa dei popoli in caso di venire aggrediti.
“La guerra non è purtroppo estirpata dalla umana condizione. E fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati, trattando con grave senso di responsabilità cose di così grande importanza. Ma una cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli, ed altra cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni” (n. 79).
Come si vede, il documento conciliare sembra sopportare a mala pena l’appello alla legittima difesa. Ne accetta l’uso, ma solo perché e fintantoché non ci sarà “un’autorità internazionale competente”. L’esistenza di una tale autorità lo renderebbe, quindi, obsoleto. Il che permette di intravedere pure quale sia l’auspicio del concilio: la creazione di una autorità del genere, che sia dotata di efficace potere per garantire a tutti i popoli sicurezza, osservanza della giustizia e rispetto dei diritti. A tale creazione fa pure riferimento il n. 82 della Costituzione.
I mezzi per la costruzione della pace
Diversi sono i mezzi suggeriti espressamente o per inciso dalla “Gaudium et Spes” per una solida costruzione della pace universale. Ne evidenziamo alcuni dei più rilevanti.
Anzitutto, come è ovvio, il ricorso alla preghiera al Dio della pace (82b). È Lui la fonte ultima di tale pace, Lui, che ha creato l’umanità perché viva nella serenità e nell’armonia, come attestano le prime bellissime pagine della Bibbia (Gen 1-2).
Anche a questo riguardo hanno senso la parole del Sal 126,1: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori”; o quelle altre del Sal 121,6: “Domandate pace per Gerusalemme: sia pace a coloro che ti amano, sia pace sulle tue mura, sicurezza nei tuoi baluardi”, dove per Gerusalemme si può intendere l’intera famiglia umana.
Ma, oltre al ricorso a Dio, è indispensabile la collaborazione umana. Da questo punto di vista la Costituzione sottolinea, tra l’altro, l’importanza di fomentare negli uomini e nei popoli sentimenti di apertura, che portino a estendere la mente e il cuore “al di là dei confini della propria nazione, e a deporre ogni forma di egoismo nazionale ed ogni ambizione di supremazia su altre nazioni” (82b); come anche di promuovere il rispetto dei diritti degli altri uomini e degli altri popoli e la loro dignità (78b).
Di particolare importanza in questo contesto è l’approvazione data all’opzione per la non-violenza attiva, che era andata crescendo nel mondo negli anni precedenti il Concilio, e che è andata affermandosi ulteriormente e con forza dopo di esso. Dichiara al riguardo:
“Non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla portata anche dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei diritti e dei doveri degli altri o della comunità” (78e).
In un altro ordine di cose viene sollecitato l’alacre impegno per far cessare quella che è “una delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri”, la corsa agli armamenti, dato che “la pace deve sgorgare spontanea dalla mutua fiducia delle nazioni, piuttosto che essere imposta ai popoli dal terrore delle armi”, e l’insistente ed energica promozione degli “studi approfonditi, già coraggiosamente e instancabilmente condotti, e dei consessi internazionali che trattarono questi argomenti e considerarli come i primi passi verso la soluzione di problemi così gravi” quali sono quelli che pone la pace universale (n. 82c).
Infine, la Costituzione fa un accenno, sia pure breve, ma molto carico di conseguenze, al bisogno di mettere in atto un’opera di educazione alla pace, soprattutto in ambito giovanile:
“Coloro che si dedicano a un’opera di educazione, specie della gioventù, e coloro che contribuiscono alla formazione della pubblica opinione, considerino loro dovere gravissimo inculcare negli animi di tutti sentimenti nuovi, ispiratori di pace” (n. 82c).
È una sfida che ogni educatore, particolarmente cristiano, non può lasciare di raccogliere e alla quale è chiamato a dare attivamente risposta.