Fabio Pasqualetti
(NPG 2003-03-32)
C’eravamo lasciati nel numero 8/2002 di NPG con il tentativo di esplorare l’evento concerto. In questo numero vorrei esemplificare una tesi già accennata nei precedenti articoli, e cioè che l’arte, e la musica in questo caso, sanno percepire i cambiamenti culturali e sociali e raccontarli attraverso i loro linguaggi, spesso ambigui, ma simbolicamente ed emozionalmente significativi.
Forzando un po’ tempi e spazi, propongo una lettura di ciò che è stata l’evoluzione del rapporto tra giovani e il loro rapporto con Dio attraverso una rilettura, anche se incompleta, di alcune canzoni italiane dal 1960 ad oggi. I testi quindi che proporrò, fra i tanti che si potrebbero scegliere, sono quelli che, a mio parere, catturano meglio questa evoluzione, che interpretano in forma quasi iconica il modo con cui le nuove generazioni intendono e pensano Dio, la fede, la religione e il sacro.
Una mappatura volta a stimolare la voglia di educatori, animatori e genitori ad approfondire questo argomento. Ho tralasciato tutta la musica straniera e fenomeni come la Christian Music americana che richiederebbero una conoscenza più approfondita di quella che ho in questo momento. Ho tralasciato anche il folto sottobosco della produzione cattolica che meriterebbe certamente più attenzione. Mi sono invece concentrato su quel mondo della popular music che abita il nostro quotidiano.
Saranno ricordate anche alcune date e avvenimenti significativi per capire meglio il contesto sociale, culturale, e politico all’interno del quale sono nate queste canzoni.
La musica ha sempre esercitato un importante ruolo nella cultura di ogni popolo, e sembra che in origine fosse il linguaggio privilegiato per entrare in contatto con la divinità.
“Non posso fare distinzione tra la musica e le lacrime” affermava Nietzsche, e Cioran gli faceva eco dicendo: “Chi non lo capisce istantaneamente non è mai vissuto nell’intimità della musica. Ogni vera musica è sgorgata dalle lacrime, nata com’è dal rimpianto del paradiso”.
I giovani abitano costantemente i territori musicali e spesso ad essi affidano le loro angosce, speranze e denunce. La canzone è certamente uno dei generi musicali più amati dai giovani, e capita che, a volte, sia eletta a manifesto culturale e generazionale proprio perché in essa i giovani riconoscono quello che vorrebbero dire, cantare, raccontare, urlare, sentire, sognare, ecc.
“Dio è morto… Dio è risorto”: gli anni Sessanta-Settanta
Gli anni Sessanta segnano per l’Italia il passaggio dalla situazione rurale a quella industriale incarnato nel mito della macchina di massa. Nel ’62 è indetto il Concilio Vaticano II che segnerà un punto di svolta nella Chiesa Cattolica. Nel ’63 arrivano i primi 45 giri dei Beatles dando il “la” a quella a quella realtà che già dieci anni prima aveva sconvolto l’America, i giovani. Il 22 novembre del 1963 viene assassinato John F. Kennedy: muore un simbolo. Il 3 aprile 1965 inizia lo sciopero generale nelle Università italiane di professori e studenti. Nello stesso anno muore assassinato Malcom X. Nel 1966 nasce la prima comunità hippy in California. Nello stesso anno don Milani è assolto dall’accusa di apologia di reato per aver difeso l’obiezione di coscienza. Il 9 aprile 1966 il Vaticano abolisce l’indice dei libri proibiti. Nel 1967 le occupazioni universitarie si diffondono sul territorio Italiano. Nello stesso anno avviene il colpo di Stato in Grecia e inizia la dittatura dei colonnelli. Il 1968 rappresenterà simbolicamente un punto di svolta copernicano nella vita sociale italiana ed europea senza precedenti. Mi fermo a questa data come convenzionalmente indicante l’inizio di un rapido mutamento della cultura, dei costumi, della politica, della religione in Italia.
Facciamo tuttavia un breve passo indietro perché, come capita spesso con l’arte, anche la musica anticipa ciò che gira nell’aria. Nel 1965 Guccini scrive la celeberrima canzone Dio è morto sotto l’influenza della nuove tendenze teologiche sulla “Morte di Dio”, da una sua poesia “Le tecniche da difendere” e da “Urlo” di Allen Ginsberg.
È certamente una di quelle canzoni che si possono considerare un manifesto generazionale. Il testo della canzone tratteggia iconicamente le problematiche che animavano l’immaginario dei giovani in quegli anni. Tripartita in denuncia, dichiarazione e speranza, la canzone è un inno fiducioso nella capacità delle nuove generazioni di costruire un mondo migliore.
Denuncia di quello che stava accadendo sotto gli occhi di un’Italia ancora troppo addormentata e provinciale per capire cosa bolliva in pentola.
Ho visto / la gente della mia età andare via /lungo le strade che non portano mai a niente, / cercare il sogno che conduce alla pazzia / nella ricerca di qualcosa che non trovano / nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate, / dentro alle stanze da pastiglie trasformate, / lungo alle nuvole di fumo del mondo fatto di città, / essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà / e un dio che è morto, / ai bordi delle strade dio è morto, / nelle auto prese a rate dio è morto, / nei miti dell’estate dio è morto...
Dichiarazione, da parte di questa nuova generazione che si distacca e rifiuta un malessere borghese e ipocrita che permeava gli ambienti istituzionali della politica, della chiesa e della famiglia.
Mi han detto / che questa mia generazione ormai non crede / in ciò che spesso han mascherato con la fede, / nei miti eterni della patria o dell’eroe / perché è venuto ormai il momento di negare / tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura, / una politica che è solo far carriera, / il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, / l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto / e un dio che è morto, / nei campi di sterminio dio è morto, / coi miti della razza dio è morto / con gli odi di partito dio è morto...
Speranza, perché al contrario di ciò che il ritornello “dio è morto” possa far credere, è una canzone in cui “Dio risorge” proprio nella volontà di questa nuova generazione. I giovani vogliono sganciarsi da una realtà e stile di vita fatta di abitudini e paure, per passare ad un modo di vivere fatto di scelte personali.
Ma penso / che questa mia generazione è preparata / a un mondo nuovo e a una speranza appena nata, / ad un futuro che ha già in mano, / a una rivolta senza armi, / perché noi tutti ormai sappiamo / che se dio muore è per tre giorni e poi risorge, / in ciò che noi crediamo dio è risorto, in ciò che noi vogliamo dio è risorto, / nel mondo che faremo dio è risorto...
Il dio che muore in questa canzone è il dio fantoccio usato spesso per mascherare gli abusi e gli abomini dell’uomo, mentre quello che risorge è quello che può risorgere solo con gli uomini di “buona volontà”.
Sono questi gli anni in cui i giovani iniziavano ad abbandonare le istituzioni alla ricerca di un volto diverso di Dio.
La Chiesa ancora stordita dal vento rinnovatore del Vaticano II, non aveva saputo riconfigurarsi immediatamente con i nuovi corsi della storia, e così mentre i documenti sollecitavano l’attenzione ai segni dei tempi, c’era chi gridava allo scandalo e al sacrilegio per la messa beat di Marcello Giombini celebrata nel 1966 nell’Oratorio romano dei Padri Filippini, senza accorgersi che era iniziato il grande esodo dei giovani dall’ombra del campanile alle piazze. Bisognerà aspettare l’incontro dei giovani con Giovanni Paolo II a Bologna del 1998 per riconciliare “apparentemente” la musica giovanile con la Chiesa.
C’era una forte voglia di cambiare “perché è venuto ormai il momento di negare / tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura”. Tutto veniva rimesso in discussione e Dio non poteva essere lasciato fuori dal processo.
Nel 1968 Fabrizio De André pubblicava “Volume I”, e con la canzone Si chiamava Gesù si faceva interprete di un desiderio di scoperta del volto umano di Gesù, forse stanchi di una sua sacralità abusata che l’aveva allontanato.
Si legge, infatti, nel testo della canzone: “Non intendo cantare la gloria / né invocare la grazia e il perdono / di chi penso non fu altro che un uomo / come Dio passato alla storia”. L’aver fatto cadere la sua divinità lo fa percepire ancora più sconvolgente e misterioso, in un certo senso “divino” “ma inumano è pur sempre l’amore / di chi rantola senza rancore / perdonando con l’ultima voce / chi lo uccide fra le braccia di una croce”.
De André percorrerà coerentemente questa sua riflessione sul Gesù nell’album “La buona Novella” 1970, dove come un pittore impressionista tratteggerà un paesaggio di personaggi profondamente umani.
Venuto da molto lontano / a convertire gente e bestie / non si può dire non sia servito a niente / perché prese la terra per mano / vestito di sabbia e di bianco / alcuni lo dissero santo / per altri ebbe meno virtù / si faceva chiamare Gesù.
Non intendo cantare la gloria / né invocare la grazia e il perdono / di chi penso non fu altro che un uomo / come Dio passato alla storia / ma inumano è pur sempre l’amore / di chi rantola senza rancore / perdonando con l’ultima voce / chi lo uccide fra le braccia di una croce.
E per quelli che l’ebbero odiato / nel getzemani pianse l’addio / come per chi l’adorò come Dio / che gli disse sia sempre lodato / per chi gli portò in dono alla fine / una lacrima o una treccia di spine, / accettando ad estremo saluto / la preghiera e l’insulto e lo sputo.
E morì come tutti si muore / come tutti cambiando colore / non si può dire che sia servito a molto / perché il male dalla terra non fu tolto. / Ebbe forse un po’ troppe virtù, / ebbe un volto ed un nome: Gesù. / Di Maria dicono fosse figlio / sulla croce sbiancò come un giglio.
La nuova situazione culturale inizia a mettere in discussione il Dio dell’istituzione, una religione incapace di dare risposte a ciò che sta succedendo.
Ricordiamo che a meno di quindici anni di distanza dalla Seconda Guerra mondiale, le nuove generazioni stavano vivendo la “guerra fredda”, l’incubo dell’atomica, e la tragedia del Vietnam consumata sotto la benedizione di un connivente “dio” americano. L’uccisione di Martin Luther King nel 1968 congelava il sogno di un’uguaglianza tra bianchi e neri ancora lontana da raggiungere.
Da “il mio Dio” all’“Uno al di sopra del bene e del male”: gli anni Ottanta
Gli anni Settanta erano stati per molti aspetti anni caldi. Lotte giuste e terrorismo si erano mescolati in una miscela ambigua e, alla fine, non più gestibile. Gli anni passavano e il sogno di molti giovani si frangeva contro la realtà quotidiana di un paese e di una classe dirigente che non cambiava rapidamente. Iniziavano gli anni della P2 e dell’edonismo reaganiano. Gli anni Ottanta arrivarono velocemente e con sé portarono il riflusso. Era come se di colpo fosse crollata tutta la tensione idealista e ottimista. Non c’era più voglia di lottare, e le nuove generazioni non sapevano bene per chi e per cosa avevano lottato le precedenti.
Il rock dei primi anni Settanta in Europa, marcatamente segnata dal rock sinfonico e dal progressive, mostra un’immagine di musica ripiegata su se stessa, molto raffinata ma anche molto autocompiacente. Bisognerà arrivare all’anno ’77, che con la rivolta punk riporterà sulla scena musicale e sociale una nuova generazione di arrabbiati e disillusi. Il punk fu un fenomeno non facile da analizzare perché portò con sé tutte le contraddizioni che la cultura postmoderna iniziava a forgiare, ma certamente ebbe il pregio di ridare una carica emotiva e sociale alla musica. Un riappropriamento dell’immediatezza comunicativa del suono e della parola. Bisogna riconoscere che la maggioranza dei giovani preferì passare dalle piazze alla pista chiusa e ammalianti della discoteca. La “Febbre del sabato sera” è un fenomeno destinato a contaminare milioni di giovani che riscoprono la gioia del ballo, dell’incontro, della differenziazione stilistica. In quel clima andò via via sviluppandosi la cultura del vivere l’immediato “qui” e “adesso”. Non è difficile incontrare analisi di questi anni nelle quali i giovani sono catalogati come incapaci di incarnare ideali e distanti dalla politica. Questi due atteggiamenti saranno destinati ad esasperarsi, rischiando di essere valutati solo nella loro negatività, se non si tenesse conto della progressiva complessificazione della scena sociale e della deregolamentazione al livello economico che instaurerà continua ascesa del consumo. La penetrante diffusione mediatica e il moltiplicarsi delle agenzie di informazione ed educazione, non solo resero sempre più articolata e pluralista la scena nella quale il giovane doveva crescere, ma lo spinsero a cercare nuove strategie per la ricerca e costruzione della propria identità.
Anche in questo periodo le chiese fanno sempre più fatica a stare al passo con i tempi, e i giovani prendono silenziosamente distanza dai gestori classici del sacro. Il rapporto con Dio si svincola dalla mediazione istituzionale e si avvia su strade più personali e sperimentali.
1980 Renato Zero pubblica “Tregua”, un doppio album che tocca varie problematiche del mondo dei giovani inclusa quella di Dio. In Potrebbe essere Dio, si può intravedere uno spaccato del cambiamento dell’immagine di Dio. Riassumendo il percorso fatto fin qui, si potrebbe dire che scompare il Dio sociale di Guccini, il Gesù fortemente umano di De Andrè, ed emerge un’immagine di Dio che lo si può ritrovare come dice la canzone: nel nostro “immenso io”.
Dio diventa allora questa ricerca dentro di noi
“se mai un dio non ce l’hai / io ti presenterò il mio / dove abita io non saprei / magari in un cuore / in un atto d’amore / nel tuo immenso io c’è dio / potrebbe essere dio”.
Se c’era un dio da discutere / adesso non c’è più / sei troppo ingenuo da credere / che un dio, sei tu / dio non sarà aritmetica / né parapsicologia / non sta nei falsi tuoi simboli / nella pornografia / ti giochi dio al totocalcio / lo vendi per una dose / lo butti via in una frase / lo cercherai in farmacia / pensi dio vada a petrolio / la fede non è un imbroglio / e non c’è dio sulla luna / ma in questa terra che trema / se mai non sarà dio / sarà ricostruire / se mai lo ritroverai / in un pensiero, in un desiderio / nel tuo immenso io / c’è dio / potrebbe essere dio / e anch’io con te / cercherei nella paura una strada sicura / un’altra promessa magari la stessa / dio / riporta dio dove nascerai / là dove morirai / riporta dio nella fabbrica / nei sogni più avari che fai / ti giochi dio al totocalcio / lo vendi per una dose / lo butti via in una frase / lo cercherai in farmacia / e dio non è un manifesto / la morte senza un pretesto / la noia un altro veleno / la bocca di un altro squalo / se mai un dio non ce l’hai / io ti presenterò il mio / dove abita io non saprei / magari in un cuore / in un atto d’amore / nel tuo immenso io c’è dio / potrebbe essere dio / e tu al posto suo / ti tradiresti / ti uccideresti / mi lasceresti senza un dio / se mai lo ritroverai / in un pensiero in un desiderio / nel tuo delirio / nel tuo cielo / dio / dio.
Il conto torna, le nuove generazioni, raccontate anche dalle indagini sociologiche, credono sempre meno nella religione istituzionale e sono alla ricerca di qualcosa di più personale e intimo. Da un volto di Dio definito e preciso delle formule catechistiche, si passa ad un volto di Dio indefinito, continuamente mutevole e personale. Dio certamente non è morto, ma il rapporto con lui sta radicalmente cambiando. David Lyon, nel suo libro Gesù a Disneyland, parlando di come la spiritualità possa arrivare ad essere vista come un aspetto del soggetto autonomo, cita Robert Wuthnow il quale afferma: “l’espressione religiosa sta diventando sempre più il prodotto di biografie individuali”.
Non bisogna necessariamente guardare con negatività a questa maggiore personalizzazione del rapporto con Dio. Dio è importante per le nuove generazioni, ma non è più moralmente normativo nella modalità istituzionale voluta dalle chiese. L’ambito in cui forse si coglie più vistosamente questa dissociazione è quello dei rapporti sessuali che la normativa tradizione delle chiese definisce molto chiaramente, ma che i giovani facilmente ignorano vivendo la propria sessualità con molta più libertà e disinvoltura.
Proseguendo questo viaggio a colpi di flash si arriva a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Grandi eventi a livello internazionale e nazionale segnano questo periodo. Il 1989 segna l’evento storico della caduta del muro di Berlino. Tra la fine del 1990 e l’inizio del 1991 scoppia al guerra del Golfo. Il 31 dicembre 1991 cessa di esistere l’URSS e nasce la CSI (Confederazione degli stati indipendenti). Nel 1994 scoppia la guerra in Ruanda con oltre mezzo milione di morti e nello stesso anno i soldati russi lasciano Berlino dopo cinquant’anni. In Italia esplode il caso “Mani pulite”, inizia la fine della Prima repubblica, e l’ascesa di Bossi e della Lega sono segni di un’Italia in crisi e in trasformazione. L’era della globalizzazione avanza e i giovani sono sempre più una realtà e un prodotto a sé, le nuove generazioni sono tele-videogiochi-dipendenti, sempre più distanti dalla politica e sempre più eterogenei. Il panorama musicale offre uno spettro di gusti ampio e diversificato tanto quanto sono ormai diversificati i pubblici giovanili. Parola d’ordine dell’immaginario consumistico tra i giovani è: “Essere belli”. Prosegue l’esasperazione della cultura visiva, del look, dell’apparire.
Quel cammino di personalizzazione del rapporto con Dio non solo è uscito dalle mura istituzionali, ma ormai si integra e si mescola con altri aspetti di religioni diverse, esotiche, accentuando la dimensione del benessere. Il cammino iniziato con la New Age negli anni Settanta da molti giovani americani e pubblicizzato da varie star del mondo dello spettacolo, cinema e musica, diventa oggi un patrimonio popolare e molto più complesso di quello che sembra apparire. Nell’Italia postmoderna proliferano cartomanti, maghe e maghi d’ogni sorte e specie, pratiche di yoga, shiatsu e astrologia. Le televisioni locali sono le cappelle virtuali delle nuove ritualità. È la dimensione affettiva che si accentua sempre di più. Fa parte dello stesso proliferare del consumismo che ha bisogno di stabilire nuove relazioni con i prodotti.
Nel 1988 con la canzone E ti vengo a cercare dell’album “Fisiognomica”, Battiato sembra dar voce ad un certo modo di sentire Dio che si sta diffondendo in molti giovani. Le indagini sulla religiosità giovanile confermano l’apertura al trascendente ed anche un certo ritorno alle istituzioni gestrici del sacro, ma con un atteggiamento critico e indipendente. Si parla, infatti, di un modo d’essere religiosi “a la carte”. Dio ha lasciato il “tempio” probabilmente per non farvi più ritorno e quindi lo si va a cercare. Si cerca un Dio con cui star bene. No al Dio della logica, delle formule, ma un Dio della relazione anche se questa, come dice la canzone di Battiato, giunge ad essere “un rapimento mistico e sensuale / mi imprigiona a te”. Nella contraddizione tipica dei giovani che vivono “vite spericolate”, ritmate dalle notti dei sabato sera, c’è un anelito verso qualcosa di puro “al di sopra del Bene e del Male”. Per questo si mettono in cammino “E ti vengo a cercare / anche solo per vederti o parlare / perché ho bisogno della tua presenza”, ma ormai è una ricerca che esce dai percorsi tradizionali della formazione istituzionale delle chiese. Gli esperti di questi cambiamenti parlano di un passaggio da una “appartenenza per tradizione” ad una religione, ad una “appartenenza per significato”. In pratica si cerca un Dio “perché sto bene con te / perché ho bisogno della tua presenza”.
E ti vengo a cercare / anche solo per vederti o parlare / perché ho bisogno della tua presenza / per capire meglio la mia essenza. / Questo sentimento popolare / nasce da meccaniche divine / un rapimento mistico e sensuale / mi imprigiona a te. / Dovrei cambiare l’oggetto dei miei desideri / non accontentarmi di piccole gioie quotidiane / fare come un eremita / che rinuncia a sé. / E ti vengo a cercare / con la scusa di doverti parlare / perché mi piace ciò che pensi e che dici / perché in te vedo le mie radici. / Questo secolo oramai alla fine / saturo di parassiti senza dignità / mi spinge solo ad essere migliore / con più volontà. / Emanciparmi dall’incubo delle passioni / cercare l’Uno al di sopra del Bene e del Male / essere un’immagine divina / di questa realtà. / E ti vengo a cercare / perché sto bene con te / perché ho bisogno della tua presenza.
“Ognuno sceglie qual è il suo Dio”: gli anni Novanta
Arriviamo così agli anni Novanta, dove il termine giovane ha subito una dilatazione estrema a tal punto che rischiano di sparire come categoria specifica. Tuttavia se consideriamo i giovani come quella fascia che va dai 15 ai 25 anni, questi giovani in occidente sono sempre più il prodotto di una società ipertecnologica. Collegati simbolicamente a cordoni ombelicali digitali, vivono l’esperienza della deterritorializzazione e della virtualizzazione. Comunicano in chat-lines e si incontrano in chat-rooms. La rete sta plasmando una nuova generazione che sviluppa nuove capacità comunicative e relazionali. Vivono simbiosi tra realtà e virtuale, bilocazioni multiple, sradicamenti e contraddizioni culturali. Berger, Berger e Kellner volendo definire i moderni li hanno definiti come “menti senza fissa dimora” che sembra esprimere bene queste nuove generazioni sempre in atteggiamento migratorio. Tutto ciò non può non influenzare anche il rapporto con Dio e la chiesa.
Oggi “ognuno sceglie qual è il suo Dio, / Oggi che ognuno crede… ma a modo suo”, canta Silvia Salemi in W l’anima libera. Il primato della soggettività e della libertà è, almeno nella cultura occidentale, un dato di fatto. Dimenticati ormai gli anni caldi della contestazione, oggi “soffia un vento di spiritualità, / ed ogni uomo fa domande sull’aldilà” e tuttavia ciò che conta è che “ Viva l’a… viva l’anima libera, che non muore più senza idee / Viva l’anima libera che segue la sua verità / che si ribella e se ne va / da qui / che sceglie lei l’autorità / la religione in cui vorrà restare, sognare, volare”. La rivendicazione della propria libertà di scelta avviene forse paradossalmente in una società che in maniera sottile sta organizzando sempre di più la nostra vita e le nostre scelte. Quasi inconsciamente si alza il grido che almeno “per questa voglia di vita eterna chiamata Dio” l’“anima” possa scegliere liberamente. Dio, quindi, sembra essere l’ultima spiaggia della libertà tradita da tante promesse sociali di libertà.
Oggi che ognuno sceglie qual è il suo Dio, / Oggi che ognuno crede… ma a modo suo. / In questi anni che soffia un vento di spiritualità, / ed ogni uomo fa domande sull’aldilà / Viva l’a… viva l’anima libera, che non muore più senza idee / Stanchi dei grandi miti, dei vecchi eroi / Un’era mistica si spalanca davanti a noi / E adesso tutti scegliamo un credo che ci soddisfi l’io / Per questa voglia di vita eterna chiamata Dio / Viva l’a… viva l’anima libera, che non muore più senza idee / Viva l’anima libera che segue la sua verità / che si ribella e se ne va / da qui / che sceglie lei l’autorità / la religione in cui vorrà restare, sognare, volare / Alleluia, alleluia, alleluia / cercherà cambierà / e troverà / la sua preghiera… / in questa nuova era / Viva l’a… viva l’anima libera, che non muore più senza idee / Viva l’anima libera che si sceglierà le sue vie / Voglio un’anima libera che segue la sua verità / La dimensione in cui vorrà restare / sognare / volare.
Siamo distanti da un Dio “qui con noi” che si sporca le mani, e anche se animata da buoni sentimenti questa “anima libera” cerca le spiagge del suo benessere. Se è vero che il rapporto con Dio deve nascere nella libertà, è anche vero che la sfida lanciata dal Dio di Gesù, quel Dio da amare nel prossimo, risuona come perenne sfida ad una cultura e una società che esalta l’“io” e riduce spesso il “tu” a concorrente o oggetto di consumo. Anche per Dio è difficile trovare una posto in una relazione ridotta a competizione.
Il “Signore dell’universo”: verso il nuovo millennio
Così mentre nel 1988 in Kosovo si consuma l’ennesima tragedia umana, e in varie parti d’Africa continuano puntualmente miseria e guerra a colpire decine di migliaia di persone, i giovani dell’occidente europeo sperimentano le contraddizioni di una società sempre più mediatica e virtuale. Da una parte questo mondo delle meraviglie tecnologiche che fa inebriare di potenza coloro che controllano questi nuovi giocattoli. Dall’altra, per molti giovani si profila sempre più il disagio di un futuro incerto, problematico. A questo si deve aggiungere la fatica di imparare a vivere in una società multietnica e multiculturale. Ritornano surrettizie forme di nazionalismi, localismi e fondamentalismi.
Nella sfera religiosa si riflettono gli stessi fenomeni, così, da una parte, per molti giovani diventa sempre più difficile capire le divisioni che regnano tra le religioni, e si muovono con disinvoltura dall’una all’altra, come in un grande supermercato ci si sposta da un reparto all’altro. All’opposto, altri giovani ritornano a forme di culto esteriori che sembravano ormai superate e dimenticate.
La cattolica Italia si trova davanti a nuove generazioni che non capiscono più perché è importante essere cattolici, e quale sia la differenza tra essere cristiano e essere buddista o altro ancora. Il problema è che gli interrogativi che la società solleva sono sempre più complessi e frammentati, e le risposte che le religioni istituzionalmente danno non servono alla vita quotidiana della gente. Una pastorale e una catechesi che spesso facilmente ignorano il sociale, il politico, l’affettivo e lo spirituale, riducendosi al normativo e alla precettistica, non riescono a dialogare con la gente e i loro problemi.
Jovanotti consciamente o inconsciamente fotografa questo squarcio di fine anni Novanta cantando:
“O Signore dell’universo ascolta questo figlio disperso / che ha perso il filo che non sa dov’è / e che non sa neanche più parlare con te / ho un Cristo che pende sopra il mio cuscino / e un Buddha sereno sopra il comodino / conosco a memoria il Cantico delle Creature / grandissimo rispetto per le mille sure del Corano / c’ho pure un talismano / che m’ha regalato un mio fratello africano / e io lo so che tu da qualche parte ti riveli / che non sei solamente chiuso dietro ai cieli / e nelle rappresentazioni umane di te / a volte io ti sento in tutto quello che c’è / e giro per il mondo tra i miei alti e bassi / e come pollicino lascio indietro dei sassi / sui miei passi per non dimenticare la strada che ho percorso / fino ad arrivare qua e ora dove si va / adesso si riparte per un’altra città ...
Voglio andare a casa LA CASA DOV’È ??? / la casa è dove posso stare in pace... (3 volte) con te / in pace con te...”
Signore dei viaggiatori ascolta / questo figlio immerso nei colori / che crede che la luce sia sempre una sola / che si distende sulle cose e le colora / di rosso di blu di giallo di vita / dalle tonalità di varietà infinita / ascoltami / proteggimi / ed il cammino quand’è buio illuminami / sono qua in giro per la città / e provo con impegno a interpretare la realtà / cercando il lato buono delle cose / cercandoti in zone pericolose / ai margini di ciò che è convenzione / di ciò che è conformismo / di ogni moralismo / yeahhh / e il mondo mi assomiglia nelle sue contraddizioni / mi specchio nelle situazioni / e poi ti prego / di rilevarti sempre in ciò che vedo / io so che tu mi ascolti / anche se a volte non ci credo ...
Voglio andare a casa / LA CASA DOV’È / la casa è dove posso stare in pace ...
(2 volte) con te / in pace con te, in pace con te...
Signore della mattina che bussa / sulle palpebre quando mi sveglio / mi giro e mi rigiro sopra il mio giaciglio e poi / faccio entrare il mondo dentro me / e dentro al mondo entro fino a notte / barriere confini paure serrature / cancelli dogane e facce scure / sono arrivato qui attraverso mille incroci / di uomini di donne di occhi e di voci / il gallo che canta e la città si sveglia / ed un pensiero vola giù alla mia famiglia / e poi si allarga fino al mondo intero / e vola su, su in alto fino al cielo / il sole la luna e marte e giove / saturno coi suoi nuovi anelli e poi le stelle nuove / e quelle anziane piene di memoria / che con la loro luce hanno fatto la storia / gloria a tutta l’energia che c’è nell’aria ...
Questa è la mia casa / LA CASA DOV’È / la casa è dove posso portar pace ...
(3 volte) / io voglio andare a casa / LA CASA DOV’È la casa è dove posso stare in pace con te / in pace con te... questa è la mia casa...
Il nuovo Millennio: Dio nella nuova Babele
L’inizio del nuovo millennio è stato segnato pesantemente e negativamente dal lacerante massacro, ancora in atto, tra Israeliani e Palestinesi, dai fatti dell’11 settembre, dalla guerra in Afganistan, dall’incubo del terrorismo globale, dai focolai di guerra che si consumano soprattutto nei paesi poveri e quindi spesso dimenticati. Basta consultare il sito https://www.warnews.it/ per rendersi conto di come la macchina della guerra stia facendo continuamente stragi. A questo basterebbe aggiungere il fattore economico che spesso è anche il fattore che decide il rialzarsi o il ricadere di una nazione. Il caso Argentina è ormai un classico. All’interno di questi scenari viviamo la nostra vita in un occidente benestante e viziato, ma con molte contraddizioni interne.
Contraddittorietà colta anche dal mondo della musica. A livello musicale, infatti, la scena è controversa. Da una parte si registra un rinnovato impegno sotto la spinta dei movimenti no global e i fatti dell’11 settembre. A livello internazionale gli inossidabili U2, Manu Chao con … proxima estación… esperanza quasi tautologicamente identificato con il movimento no global, Bruce Springsteen con The rising ispirato alla tragedia delle Torri Gemelle, e altri che riscoprono la voglia di cantare la storia e la lotta per un mondo migliore. Anche in Italia c’è voglia di rinnovato impegno. Non sono più le canzoni degli anni Settanta politicamente identificabili con la sinistra classica, ma certamente c’è voglia di sociale e politico. Daniele Silvestri con l’album Unò-Dué, Piero Pelù con U.D.S. L’uomo della strada, Francesco de Gregori con Giovanna Marini Il fischio del vapore, Piazza Carlo Giuliani ragazzo è un CD con la collaborazione con i Modena City Ramblers, 99Posse, Vito Rorro, Banda Bassotti, Daniele Sepe, Yo Yo Mundi, Africa Unite, Meganoidi, Subsonica, Marco Chiavestrelli, Les Anarchistes, Mau Mau, Andrea Sisti, Kevlar, Pierugo e Marika.
Dall’altra parte abbiamo il mondo della musica sempre più immerso nel look e nel desiderio di divertimento. L’Espresso del 7 novembre fotografa le emergenti sex simbol della canzone internazionale definendole: “Belle. Sensuali. Provocanti. È la carta vincente delle nuove regine dell’industria discografica”. Shakyra, Jennifer Lopez, Astanti, Britney Spears, Mary J. Blige, Pink ecc… sono nomi forse poco noti al mondo adulto, ma che ai giovani parlano di canzoni, stili, mode e trend. Il versante italiano di questa realtà del pop ricco e famoso viene emulato dalla top ten di radice sanremese.
Dio dove sta in tutto ciò? Sabina Minardi nell’articolo Religione fai-da-te apparso sull’Espresso del 24 ottobre riporta alcuni dati del quinto rapporto IARD su giovani e religione dove si sostiene che “l’80% dei ragazzi tra i 15 e i 34 anni dichiara di essere cattolico, ma di avere fiducia in credenze parallele; il 65% ritiene che tutto ciò che ci circonda abbia un’anima, piante e animali compresi; il 20% sostiene che dopo la morte l’anima si reincarnerà in un’altra forma di vita. Una moderna Babele. Registrata ovunque. Nella cattolicissima Spagna, un’indagine condotta da “El Mundo” rivela che, alla domanda: “Come sarebbe oggi Gesù Cristo?”, una larga parte di giovani tra i 18 e i 29 anni risponde che il figlio di Dio non sceglierebbe di essere cattolico; un altro studio dell’Università Complutense di Madrid mette in luce la crescita della religione nei paesi islamici e il declino in quelli cattolici. E per la Christian Encyclopedia di David B. Barrett e Todd M. Johnson (Oxford University Press) 16,5 milioni di persone ogni anno lasciano il cristianesimo per altre religioni.”
Anche se il quadro italiano sembra reggere grazie alla figura carismatica del Papa e della molteplice offerta cattolica, tuttavia l’attenzione e l’attrazione verso nuove forme di religione non è minore. Non è difficile ormai sentire parlare di esperienze di fede meticce, dove la contaminazione può essere vista come negativa o positiva a seconda di come si consideri l’avventura della fede.
Segnaliamo una pubblicazione di canzoni del 2001 dal titolo Lettere Celesti, raccolta che vuole, come dice il libretto che accompagna il CD, documentare come, nell’ambito della canzone d’autore italiana, si sia affrontato il rapporto uomo-soprannaturale. In un certo senso, anche se con finalità diverse, è ciò che abbiamo tentato di raccontare in questo piccolo viaggio nella canzone italiana come testimone dell’evoluzione del volto dell’uomo e del suo rapporto con Dio.
È un viaggio parziale, incompleto e non dà ragione della complessa evoluzione della situazione religiosa giovanile.
Tuttavia, come più volte ho sostenuto nei precedenti articoli, l’arte, e in particolare la musica con le sue canzoni, coglie e anticipa i mutamenti in atto nella nostra cultura.
L’argomento meriterebbe approfondimenti e ampliamenti; per ora ci fermiamo augurando soprattutto ad educatori, genitori e animatori di tenere sempre un orecchio e un occhio aperto su questo meraviglioso e ambiguo mondo della musica, dove non si troveranno certo le soluzioni ai problemi, ma si possono trovare spunti di riflessione e punti di incontro per dialogare con le nuove generazioni che crescendo ci raccontano la loro storia.
Una domanda provocatoria
Non vi capita a volte di avere la sensazione che le canzoni che noi chiamiamo religiose sembrano incapaci di emozionarci e di parlarci di Dio e dell’uomo, mentre a volte delle canzoni che non hanno nessuna pretesa di essere religiose, suscitano in noi un senso profondo del mistero di Dio e dell’uomo? Vi siete mai chiesti il perché?