Mass media ed educazione religiosa /2. Strumenti mediatici e criteri catechetico-pastorali

Giuseppe Morante

(NPG 2004-09-3)


Se la prima parte di questo dossier [NPG 7 (2004)] ha descritto i principi interni alla visione culturale mass-mediale nella sua complessità presente e nella sua pervasività dinamica, mettendone in evidenza le sfide che pone agli educatori cristiani che sono invitati a prenderne coscienza, questa seconda parte ne vuole studiare la “grammatica comunicativa”, centrando l’attenzione sui diversi “media” per individuarne criteri metodologici nella dimensione specifica dell’educazione religiosa.
Bisogna però premettere che, se nel campo di “media education” o di “educomunicazione”,[1] sia in Italia che all’estero esiste una vasta gamma di studi e di interpretazioni dal punto di vista delle teorie, delle ricerche, sperimentazioni scolastiche ed extra-scuola, quanto al tema più pertinente dell’“educazione religiosa” c’è ancora molto poco e soprattutto ci si colloca più spesso sul versante del mezzo come uso didattico più o meno estemporaneo e strumentale, che sull’approfondimento dei valori e sulle mediazione dei linguaggi mediatici in vista della crescita integrale della persona.
Che lo si voglia o meno, il mondo sta veramente cambiando sotto i nostri occhi, e le persone responsabili del tramandare alle giovani generazioni il messaggio salvifico della fede non sembra che ne abbiano presa seria visione. Non si può negare infatti che l’uomo di oggi è immerso nella vasta gamma della comunicazione, che modifica opinioni e atteggiamenti, schemi culturali e tradizionali, valori morali e religiosi…
Entrando nello specifico del tema in esame, possiamo scoprire che se i vari media stanno diventando sempre più “cultura di massa”, dal punto di vista religioso ci si imbatte ancora in una visione strumentale del mezzo senza smantellarne, attraverso l’uso critico, la struttura comunicativa a vantaggio dell’accettazione del messaggio controllato e reagente della persona che se ne serve.
Non ci si meravigli se si afferma che, nonostante se ne parli da decenni anche in Italia, i processi educativi religiosi con i media sono una realtà ancora in buona parte da inventare, anche se ci sono esperienze significative realizzate da persone e da “istituzioni carismatiche” che se ne fanno serio carico.
Se il problema è di acquisizione di una nuova mentalità educativa, agli educatori cristiani non si chiede tanto di diventare specialisti di settore (questa forse è la causa principale di una certa reticenza nei loro confronti), ma si esige da loro una sensibilità al problema per diventare esperti di esperienze fatte e comunicate. Oggi non si può continuare a fare catechesi o educazione religiosa solo col “linguaggio scritto o parlato”, che certamente ha ancora un concreto ruolo comunicativo interpersonale se fatto in un certo modo! Ma bisogna prendere coscienza che oggi si scrive anche con altri linguaggi, come quelli più attuali “della luce, delle macchine fotografiche, del computer, della cinepresa, delle immagini, dei suoni…” che sono tipici di questa cultura mass-mediale.
Perciò queste riflessioni non sono rivolte ai pensatori e teorizzatori di questi sistemi; ma molto semplicemente vogliono aiutare educatori, animatori di gruppi giovanili, catechisti, genitori, pastori… ad entrare sempre di più nella loro logica. Non si può continuare a pensare che questi sono solo “mezzi” (anche se il termine li qualifica ancora così), ma è una nuova visione di vita in cui si naviga, quasi senza accorgercene, e questo modifica le proprie immagini mentali circa valori e abitudini che stanno mettendo in crisi la stessa trasmissione della fede cristiana.
Perciò non è tempo inutile quello “perduto” per dedicarsi ad entrare in questa nuova cultura, a conoscerla dal di dentro. Servirà a esorcizzarla, a guardare il fenomeno da vicino, e a capirlo. Solo così ce se ne potrà servire senza indebite strumentalizzazioni, per la crescita dell’uomo e la sua salvezza in Cristo.

NB. Il dossier è stato preparato quando ancora non era stato pubblicato il documento della CEI, “Comunicazione e missione. Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della chiesa”. Esso, nelle sue due grandi sezioni (“Comunicare il Vangelo nella cultura mediale” e “Percorsi e iniziative pastorali”) si presenta come l’orizzonte di riferimento – anche normativo – per le riflessioni e proposte contenute nei due dossier di NPG.

1. Visione cristiana e cultura mediale: una sfida da accogliere


Tra visione cristiana e modi di vivere nella cultura mass-mediale non si deve innestare un nesso forzato, ma sarà necessario recuperare il codice genetico comune che li unisce: cioè quella “dimensione religiosa” da scoprire perché punto di intersezione tra la concezione dell’uomo nella sua realtà storica e quella tecnologica proveniente dalla visione mass-mediale. Giovanni Paolo II afferma perentoriamente: “È tempo di comprendere più profondamente che il nucleo generatore di ogni autentica cultura è costituito dal suo approccio al mistero di Dio, nel quale soltanto trova il suo fondamento incrollabile un ordine sociale incentrato sulla dignità e responsabilità personale... È a partire da qui che si deve costruire una nuova cultura. Questo è il principale contributo che, come cristiani, possiamo dare a quel rinnovamento della società in Italia”. [2]

PER UNA CULTURA CRISTIANA

Tutti i credenti devono essere aiutati ad approfondire il riferimento cristiano della propria visione di vita, per poter diventare credenti coscienti e capaci di aperta testimonianza nel mondo della propria esperienza vitale. Per questo motivo la proposta di fede della chiesa italiana insiste su tre passaggi fondamentali per l’educazione alla vita di fede:
– animazione culturale come “momento dell’inculturazione della fede” e come capacità di innervare le realtà sociali sul piano della persona (mentalità) e della società (strutture e costume). Questa azione è rivolta al non credente (con il recupero del catecumenato cristiano); e a chi è in situazione di fede dubbiosa e incerta e che respira l’atmosfera del nostro tempo (per un processo cosciente di iniziazione cristiana come risveglio della fede nelle sue radici più profonde);
– un primo annuncio per far nascere il germe della fede: è il momento dell’inculturazione della fede come capacità di esprimere il Vangelo di sempre nel “qui e ora” della cultura storica, come proposta convincente e avvincente delle ragioni della fede, dei suoi contenuti fondamentali e delle sue esigenze primarie;
– un approfondimento come “intelligenza della fede”: è il momento della visione organica e sistematica della Verità cristiana, mediata anche attraverso le modalità culturali vissute dentro il proprio contesto: formare e nutrire la mentalità di fede; dal sapere alla sapienza e alla vita cristiana testimoniata; formazione dell’identità cristiana del soggetto in vista del suo integrarsi nella vita della comunità cristiana e sociale…
Questa è la sfida lanciata alla fede anche dalla comunicazione oggi. Afferma il papa nell’enciclica Redemptoris missio: “Il primo areopago del tempo moderno è il mondo della comunicazione, che sta unificando l’umanità rendendola – come si suol dire – ‘villaggio globale’ [...]. L’impiego dei mass-media, tuttavia, non ha solo lo scopo di moltiplicare l’annunzio: si tratta di un fatto più profondo, perché l’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso. [...] Occorre integrare il messaggio stesso in questa ‘nuova cultura’ creata dalla comunicazione moderna. È un problema complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici” (RM 37).
Non si interviene quindi su di essa con piccoli aggiustamenti di tipo pastorale, ma con cambiamenti profondi di intervento e di mediazioni, perché questa cultura non è un ambito o un settore, ma un carattere distintivo e trasversale, un aspetto che segna di sé l’uomo di oggi in tutte le sue manifestazioni.
Si tratta di una sfida che è insieme educativa, sociale e religiosa, che oggi può essere affrontata solo attraverso una nuova e più adeguata competenza comunicativa, e che coinvolge la pastorale in tutte le sue forme relazionali: annuncio, catechesi, predicazione liturgica, omelia… La verità del messaggio cristiano ha prima di tutto una dimensione comunicativa, prima ancora che essere verità da annunciare. Una sfida quindi che richiama soprattutto l’acquisizione di una nuova mentalità educativa e pastorale da parte della Chiesa e dei suoi membri più sensibili.
Cristiani che hanno responsabilità ecclesiale, come credenti che fanno parte della grande utenza dei mass-media, con propri interessi, speciali e legittimi, devono desiderare di entrare in questo processo che orienta gli sviluppi futuri della vita sociale e culturale odierna. Senza dubbio, a volte, essi saranno obbligati a modificare il proprio modo di pensare e di agire.
È importante anche che essi, a tutti i livelli della vita ecclesiale, utilizzino i media in modo creativo per adempiere alle proprie responsabilità e per svolgere la propria azione di Chiesa. Tirarsi indietro timidamente per paura della tecnologia o per qualche altro motivo non è accettabile, soprattutto in considerazione delle numerose possibilità positive che questi media offrono. “Metodi per agevolare la comunicazione e il dialogo fra i suoi stessi membri possono rafforzare i legami di unità tra di loro. L’immediato accesso all’informazione rende possibile alla Chiesa di approfondire il dialogo col mondo contemporaneo... la Chiesa può più rapidamente informare il mondo del suo ‘credo’ e spiegare le ragioni della sua posizione su ogni problema o evento. Può ascoltare più chiaramente la voce dell’opinione pubblica, ed entrare in un continuo dibattito con il mondo circostante, impegnandosi così più tempestivamente nella ricerca comune di soluzioni ai molti, pressanti problemi dell’umanità”.[3]

I MEDIA PER LA COMUNICAZIONE RELIGIOSA

È necessario precisare che qui non vogliamo descrivere lo specifico dei vari mass-media, e neppure di offrirne un semplice elenco. Vogliamo indicare solo possibilità educative ed elementi per un’autentica comprensione.
Chi volesse approfondirne le strutture e le possibilità dei vari media dovrebbe riferirsi alle bibliografie specializzate che in abbondanza si trovano per la loro storia, e per lo specifico di ogni mezzo che veniamo ad analizzare.
Si può dire in generale che ogni mezzo che “invade” la nostra cultura mediatica può essere veicolo di valori e di spiritualità se l’educatore lo vede in questa prospettiva, evitando però il rischio che esso possa saturare l’interesse globale del suo fruitore; e questo capita se il mezzo non gli lascia la libertà di un proprio autonomo percorso di scoperta e di coinvolgimento…. Bisogna andare oltre quello che l’utente ha visto e vissuto, perché non ne rimanga imprigionato nella visione emotiva della sua “spettacolarità”.

Media tradizionali

Certamente media come il cinema, i giornali (scritti e on-line) e le riviste, la radio e le tante emittenti, la televisione e le tante stazioni televisive, le immagini simboliche… non hanno perso la loro attualità e vitalità, ma, in sintonia con l’ampliamento del campo della comunicazione, sono diventati essi stessi più pervasivi e più invasivi.
Si tratta di mezzi “tradizionali” anche se sempre più aggiornati, ed è vasta la loro bibliografia in circolazione. Ne indichiamo solo fonti e riferimenti, dal momento che sono stati i primi media ad entrare nella pedagogia e nella didattica e sono stati anche i primi strumenti per la comunicazione religiosa sia nell’insegnamento scolastico che nella catechesi parrocchiale.
Basta sfogliare qualche dépliant illustrativo delle case editrici che si interessano al settore dei mezzi di comunicazione sociale (come, ad esempio, le Edizioni Paoline, l’editrice Elledici, le Edizioni Dehoniane), per rendersi conto di come questo tipo di produzione editoriale si occupi ancora di media che sono tra quelli più diffusi tra gli educatori cristiani: libri, riviste, musicassette, cd, poster, video, cd-rom… Per la comprensione di questi media basta rifarsi alle voci riportate, ad esempio, in un dizionario di comunicazione sociale (come quello citato nell’introduzione) e conoscerne storia e linguaggio, strategie e modalità.

Quale uso e che giudizio darne?

Per il nostro caso possiamo indicare le tre possibilità di uso che attualmente gli educatori ne fanno nell’educazione religiosa.

Come “sussidio” didattico

Con questa modalità di scelta, l’educatore ne fa un uso come di un sussidio assertivo e volto a confermare la sua proposta (che è esterna al mezzo). Tali media a volte riescono in qualche modo ad interessare il soggetto, ma non in maniera profonda, a meno che chi se ne serve lo sappia fare con una sintonia che collega lo strumento al soggetto attraverso una esperienza di cui lo strumento si fa “analogia” di quella e il soggetto viene invitato ad immedesimarsi.
L’utilizzazione del mezzo a livello didattico-sussidiario si ha quando l’educatore decide di accompagnare la sua proposta educativa religiosa o di fede con qualcuno di questi strumenti. In questo caso, le immagini fisse o in movimento, quelle visive e/o sonore, assolvono ad una duplice funzione:
– come materiale illustrativo che viene diretto a stimolare la sensibilità e l’immaginazione degli educandi, per rendere più accessibile il significato misterioso e profondo della verità evocata dall’immagine nel suo significato estetico e religioso;
– oppure come un documento di un fatto, di un evento, di una esperienza, in quanto esso informa e richiama l’attenzione sui fatti e sulle situazioni religiose cui ci si riferisce.
Questa duplice funzione può essere realizzata in tre maniere diverse:
– i sussidi vengono utilizzati come strumenti che attivano il processo educativo in vista della organizzazione di una lezione, di un corso di lezioni... per avviare l’approfondimento di un fatto religioso. Questo è l’uso che se ne fa anche in televisione, nelle conferenze, nei dibattiti quando il materiale audiovisivo (illustrativo o documentario) accompagna il parlato;
– i sussidi vengono usati per visualizzare passi biblici, misteri della fede, vite di santi o altri avvenimenti di tipo religioso;
– i sussidi vengono usati come richiamo gradevole per avvicinare i partecipanti all’incontro attorno a certi poli di interesse comune: una canzone, una immagine, uno spezzone di film, per avviare una riflessione in gruppo.
L’utilizzazione didattico-sussidiaria ha dei limiti evidenti, e il primo sta proprio nel fattore sussidiario che indica un qualcosa di esterno, aggiuntivo, che non incide sull’essenza della proposta educativa religiosa. L’altro limite è nel ruolo del catechista: è lui che programma, sceglie il tema, stabilisce i sussidi visivi o sonori, con il conseguente rischio di strumentalizzare tutto a favore della sua tesi. Il catechizzando è condannato al ruolo di eterno apprendista, quando non di spugna che è costretto ad assorbire meccanicamente tutto.
Può avere però anche i suoi vantaggi. Intanto è un primo passo, pressoché obbligato, e che va commisurato alla mentalità, all’età e alla capacità di reazione dei destinatari.
Si deve però chiarire un equivoco nei confronti dell’utilizzazione didattico-sussidiaria dei media; equivoco che perdura ancora oggi. Un catechista aggiornato nella dinamica dei media e al corrente delle acquisizioni pedagogico-didattiche della pedagogia – che utilizza in scala sempre maggiore i media nell’educazione religiosa – sarà in grado di superare il vecchio concetto deteriore di sussidio, come elemento esteriore, aggiuntivo, statico, rendendo attivi gli alunni, associandoli a lui nella programmazione e bella scelta dei temi e del materiale illustrativo.
Oggi i media in circolazione nel mercato hanno raggiunto una eccellente perfezione tecnica e contenutistica. Non si limitano a riprodurre quadri artistici o scene della natura, ma vi è accettata in pieno la svolta antropologica; visualizzano cioè i problemi, le speranze, le angosce dell’uomo e le situazioni del mondo, offrendo così un materiale documentario prezioso per avviare un discorso catechistico aggiornato.

Come mezzo di informazione

In questo caso il mezzo usato può diventare una fonte di conoscenze e vale come tutte le fonti di conoscenze. Quanto più è autorevole la fonte, tanto più può apparire oggettiva e quindi più significativa per il soggetto la conoscenza o l’informazione data su un fatto religioso.
La Chiesa con i suoi riti, le sue tradizioni, i suoi personaggi ha fatto sempre notizia, almeno la chiesa ufficiale. Ma è stato necessario aspettare la svolta del Concilio Vaticano II perché cessasse un certo interesse rivolto quasi esclusivamente ai riti, alle parate e al folclore. Oggi possiamo dire che, grazie ai media, la Chiesa non solo fa notizia, ma è notizia, con la sua vita, i suoi valori, ecc.
Naturalmente i media, specialmente quelli di diffusione di massa, sono più sensibili a certi aspetti della realtà ecclesiale che fanno più presa sul gran pubblico e la presentano in maniera spettacolare, a volte parziale e perfino tendenziosa. Basta guardare a fatti che riguardano persone di chiesa (abbandono del sacerdozio, scandali, posizioni in contrasto con il magistero), ad avvenimenti quali il Sinodo dei Vescovi, i viaggi del Papa, la posizione della Sede Apostolica nei riguardi del Terzo Mondo, della pace, della libertà dei popoli, o ad atteggiamenti assunti dai cattolici del dissenso, le discordanti posizioni morali cristiane quali il divorzio, l’aborto, l’eutanasia, la contraccezione, ecc.
Anche se spesso in questa presenza della Chiesa nei media si danno degli eccessi, va detto che anche che se essa è nell’occhio del ciclone vuol dire che è viva e che interessa il pubblico. Qui il discorso catechistico ha anzitutto un compito di serena lettura critica: non importa tanto il fatto che l’informazione tecnica raggiunga il più grande numero di persone, ma preoccupa il fatto qualitativo, cioè il contesto a cui la notizia giunge e la reazione che in esso provoca.
L’educazione religiosa scolastica o il gruppo parrocchiale sono il luogo privilegiato nel quale l’educatore, a partire dall’informazione che stimola la riflessione, amplia il campo di confronto, si rifà ai valori taciuti, ai disvalori eccessivamente accentuati, e fa crescere il discorso fino a un livello più esplicito e religiosamente propositivo.
Allora l’informazione su avvenimenti contingenti, spesso distorti volutamente, può rivelarsi come gioiosa notizia di salvezza. Vangelo non vuol forse dire lieta notizia? A volte questo tipo di discorso si fa all’interno stesso dei mass-media, come può capitare, in dibattiti pubblici.
Sarebbe qui da chiedersi se un utilizzo così intelligente del mezzo non sarebbe da preferire alle frequenti trasmissioni rituali, statiche, fredde, così poco interessanti, che non toccano i problemi della gente e non rispettano affatto lo stile degli strumenti di comunicazione...?
Si sa che le persone si sono ormai abituate alla ricchezza espressiva e alla forza persuasiva dei media, e non sopportano prestazioni scadenti sia negli spettacoli che nelle manifestazioni religiose come i riti liturgici, la predicazione e la catechesi. Questa riflessione è avvalorata anche dal magistero (cf Communio et progressio, n. 130).

Come mediazione ottimale

In questo caso l’educatore comunica un messaggio che è pensato e costruito dentro lo strumento usato. Perciò il mezzo contiene tutte le dimensioni del messaggio religioso e l’educatore fa da collegamento tra il soggetto, la sua esperienza e quella ivi descritta, la testimonianza personale e lo strumento stesso, “manipolato” dal soggetto.
A questo livello il mezzo non è più un semplice sussidio che accompagna la parola, ma è pressoché sostitutivo di essa e rivelativo del suo messaggio.
Perciò una catechesi creativa con i media, pensata, programmata, costruita in essi e letta e approfondita in gruppo… si esprime con i media, ne assume il linguaggio, ne rispetta le esigenze e la dinamica. In essa la accentuazione è posta sullo strumento più che sui contenuti.
La sua realizzazione ha un iter proprio scandito dalle seguenti tappe: scelta dell’argomento; ricerca del materiale espressivo in base al medium da utilizzare; verifica critica del materiale ricercato, che coinvolge la costruzione del discorso catechistico in rapporto all’argomento prescelto; montaggio con il materiale definitivo selezionato; presentazione al gruppo e discussione comune, sotto la guida dell’educatore.
Qui il cammino-processo di interiorizzazione del messaggio è il passo più importante da fare; mediante esso il gruppo approfondisce la sua fede e fa crescere la comunione tra i membri.
Questo tipo di catechesi si può costruire con materiale esistente (foto, diapositive, canzoni, registrazioni, ecc.), che quindi va scelto con oculatezza, in base a criteri di linguaggio (estetici, psicologici e semiologici). Diventa più coinvolgente se si effettua con materiale creato ex novo dai membri del gruppo in grado di adoperare la macchina fotografica, la cinepresa, il videotape, il registratore, ecc.; riprendendo dal vivo gli elementi costruttivi del messaggio salvifico che si vuole comunicare.
L’utilizzazione di questa mediazione è fattibile specialmente con i mini-media e in piccoli gruppi, allenati e capaci di esprimersi con essi, sia pure allo stato rudimentale. Anche qui è vero che la strada si fa camminando!
In esso il ruolo dell’educatore è particolarmente delicato: sarà il vero animatore del gruppo che opera con discrezione, consapevole che la ricerca creativa ed espressiva esige libertà. Perciò vigila, stimola, ascolta, orienta, senza mai soverchiare. Ma non è passivo. È in mezzo al gruppo, come un membro in più, e crea con il gruppo la comunicazione del messaggio di fede. Aiuta i membri del gruppo a esercitare la capacità critica perché non rimangano imbrigliati nei particolari di certe situazioni, le quali non hanno soluzione in se stesse, ma vanno illuminate e risolte alla luce del Vangelo.
Costituisce, comunque, una efficace palestra per sensibilizzare i giovani al linguaggio e alla dinamica dei media. Ciò che soprattutto deve importare in questo processo non è tanto il risultato tecnico della ricerca, quanto che essa aiuti i singoli a raggiungere un più profondo livello di fede.
Ma anche qui i rischi non mancano: primo fra tutti quello che una simile catechesi è limitata a piccoli gruppi. In un mondo tutto da evangelizzare, essi non sfuggono alla tentazione del ghetto. C’è poi il pericolo di cedere al sentimento, all’emotività e all’estetismo, situazioni umane che, se mantenute nei limiti, danno suggestività alla ricerca, ma possono anche snaturarla, svuotandola della finalità di ogni catechesi.
Non esiste attualmente un’opera sistematica sulla comunicazione dell’esperienza religiosa e di fede attraverso i mass-media che abbracci tutti gli strumenti: stampa, cinema, radio, televisione, fumetti, riviste illustrate, dischi, ecc., che agiscono sui recettori globalmente, cioè con un’azione simultanea e cumulativa.
Questo è un settore specifico aperto alla sperimentazione e in tal senso spingono i documenti del magistero (cf Inter mirifica e specialmente l’istruzione pastorale Communio et progressio). In tale direzione una proposta operativa cristiana con i mass-media, per raggiungere i suoi obiettivi, dovrebbe coinvolgere i responsabili del bene comune perché favoriscano prodotti a misura d’uomo: una cultura cioè che ne aiuti la crescita responsabile, personale e sociale.

Come agire dentro il nuovo contesto?

Tentativi vi sono stati, e la Chiesa ha organi di intervento sia nazionali che internazionali per orientare nella direzione in cui i mass-media sono utilizzati per l’evangelizzazione e la catechesi, nel più grande rispetto per i loro processi interni (catechesi con i mass-media); e i mass-media assunti come strumenti capaci essi stessi di un linguaggio rivelatore trascendente.
Ma non c’è solo una produzione mass-mediale che interessa la catechesi Già il DCG al n. 123, dopo aver ricordato che tali mezzi hanno anche il potere di conferire carattere di realtà e di attualità ai fatti, alle istituzioni, alle idee di cui parlano, come pure di diminuire nell’opinione comune il credito di quelle cose di cui tacciono, aggiunge un’indicazione assai stimolante e urgente: “è pure compito della catechesi educare i cristiani a discernere la natura e il valore di ciò che viene proposto dai mass-media”.
Alla luce di tale indicazione, la catechesi attraverso i mass-media è l'azione di un gruppo umano che riflette sui messaggi proposti dagli strumenti di comunicazione sociale, con la dinamica e il linguaggio loro propri, li verifica alla luce del Vangelo, cercando di individuare nel cuore di essi i segni con cui Dio parla agli uomini oggi.
Oggi non rimane solo la parola di Dio e della Chiesa ad interpellare l’uomo. Sono i problemi del mondo, della guerra, della fame, del peccato, dell’angoscia della sopravvivenza, del progresso che arrivano alla gente dai nuovi pulpiti tecnici, tradotti in segni di facile assimilazione.
Questo tipo di catechesi molto efficace viene oggi elaborata da maestri laici, spesso critici, a volte irriverenti e dissacratori, sempre scomodi, il cui interesse è centrato sull’uomo anche quando fanno pubblicità di una marmellata o di un cosmetico.
Il compito educativo dell’animatore del gruppo è di importanza fondamentale: un compito di discernimento, di interpretazione, di critica, a volte di dissenso e di rifiuto, ma sempre in rapporto all’uomo integrale del progetto cristiano. Egli cioè è chiamato a svolgere un compito ermeneutico nel cuore stesso dei mass-media.
La metodologia del forum nelle sue varie esemplificazioni vigenti (come iniziative educative di stampaforum, cineforum, teleforum, discoforum, ecc.); come pure i dibattiti ristretti e aperti, i gruppi di ascolto e di ricerca, costituiranno la palestra obbligata per dibattere, stimolare, orientare i partecipanti ad assumere un atteggiamento attivo, critico e responsabile nei confronti dei mass-media.
La sala della comunità parrocchiale in questa prospettiva acquista una dimensione diversa: da semplice luogo di sano divertimento deve divenire occasione privilegiata di approfondimento della fede, nello sforzo di decifrare i più disparati e inquietanti messaggi che giungono con questa informazione dal telegiornale, dal film, dalle canzoni di moda, ecc.
Il ricorso agli esperti – in teologia, catechetica e didattica audiovisiva (e il catechista se ne dovrà servire ampiamente) – sarà indispensabile, specialmente per la programmazione iniziale, per familiarizzarsi con le tecniche, i linguaggi, i mezzi espressivi dei media.

Rischi e ambivalenze

Non tutto comunque appare idilliaco nella cultura e nell’uso della comunicazione sociale. Lo stesso sforzo di tradurre il linguaggio della fede con i nuovi mezzi di comunicazione corre dei rischi. Il documento del II Congresso Catechistico Internazionale di Roma (1971), così li riassume:
– pericolo di svuotare il significato del Cristo-evento e dell’insegnamento della Chiesa per adattarsi alle esigenze dei mezzi di comunicazione sociale;
– rischio di non assumere il mondo audiovisivo ma di utilizzarne i media solamente come dei semplici sussidi (in senso deteriore);
– o il pericolo di accettarli in maniera precipitosa e superficiale, senza compiere una analisi critica delle ideologie, degli imperialismi culturali, dei modelli di vita… sottostanti ad essi;
– il rifiuto di accettare le possibilità innovatrici che essi offrono, anche in ordine alla Parola che salva.
Oltre a questi, c'è un rischio, insito nella stessa struttura di una catechesi del genere: essa è quasi sempre frammentaria, occasionale, spesso provvisoria, provocatoria e indiretta.
Ma un autentico educatore cristiano saprà correre i rischi senza dimenticare che la catechesi è prima di tutto un servizio all’unica Parola, pur espressa in tanti linguaggi diversi.
Alcuni poli di riferimento lo dovranno sostenere, permettendogli di fare delle esperienze che siano pastoralmente valide, senza venir meno all’impegno di fedeltà nell’oggi di Dio:
– l’esigenza di totalità. La lettura “religiosa” dei messaggi emessi dai mass-media non può prescindere dall’attenzione a tutto l’uomo, perché il messaggio cristiano è diretto all’uomo integrale, cioè alla sua sensibilità come alla sua emotività e alla sua razionalità. Per cui uno dei valori chiave del cristianesimo è lo sviluppo della coscienza critica dell’uomo;
– l’esigenza di fedeltà. La catechesi, intesa come educazione alla fede e come educazione della fede, può diventare tale nella misura in cui, nello sforzo di tradurre e adattare la Rivelazione, rimane fedele sia a Dio che all’uomo da Lui creato. Cioè, da una parte deve salvare integralmente il contenuto della rivelazione divina, e dall’altra deve renderlo accessibile agli uomini delle diverse culture.
Questo è un compito fondamentale oggi, a causa del pluralismo ideologico dell’interscambio culturale, facilitato dai mezzi di comunicazione di massa e dall’aumentata mobilità sociale. Ma va pure ricordato che, metodologicamente, l’integrità esplicita del contenuto del messaggio cristiano è un meta a cui tendere e deve sempre essere tenuta presente, non può essere, per la cultura attuale, un punto di partenza della catechesi.

Group-media

Alcune nuove tecnologie educative come quelli chiamati group-media (immagini, diapositive, montaggi, cassette e video-cassette, radio, dischi) sono più in grado di stimolare motivazione, creatività e partecipazione attiva ai processi di conoscenza. In un ambiente di sviluppo ipermediale, ogni educatore, anche senza particolari competenze di programmazione informatica, può riuscire agevolmente in poche ore a padroneggiare e far padroneggiare oggetti (testi, suoni, immagini) e ad operare legami tra di essi.
Si potranno così costruire ipertesti e ipermedia da soli o in gruppo, lavorando con ragazzi e con giovani, senza ricorrere ai più complessi Supercard.
I group-media costituiscono una realtà comunicativa usata per di più in ambienti educativi di matrice ecclesiale, una specie di “audiovisivo globale” che mira a superare la fredda “lezione di catechismo”, scoprendone il valore comunicativo e coinvolgente del messaggio, reagendo alle forme di linguaggio intellettualistico e freddo (cf la voce Group-Media nel dizionario precedentemente citato) per cogliere la storia e il valore e confrontarlo con la realtà educativa.
In sintesi il giudizio di queste esperienze è abbastanza positivo, per i suoi effetti, se si tiene presente che per questi media:
– la proposta evangelica non consiste in un pacchetto di idee da memorizzare, ma in un insegnamento che può nascere da una parabola, da una storia, da un fatto concreto… con varie soluzioni possibili;
– i soggetti che ricevono il messaggio sono considerati parte attiva del cammino educativo; al singolo come all’intero gruppo dei partecipanti viene data la parola in modo da conquistare qualche porzione di verità, espressa nel proprio linguaggio, lontano da formulazioni teoriche;
– l’animatore non è un docente tradizionale, ma un educatore-accompagnatore delle attività di gruppo, un facilitatore di comunicazione;
– gli autori che programmano la proposta affrontano una grande sfida: devono prima aver approfondito il messaggio da proporre, con in mente le domande anticipate dei destinatari a cui si rivolgono; e quindi inventare un formato capace di piacere e di favorire l’intervento creativo di chi si metterà in ascolto o parteciperà al lavoro di gruppo.
Nei group-media, alla base, c’è una concezione non lineare della comunicazione, dove sia il ricevente che il proponente sono collaboratori nella costruzione del messaggio. L’uso di queste tecniche si è sviluppato a partire dalle esperienze francesi di Babin e diffuse in una serie di aiuti e riflessioni, proposte e realizzazioni, offerti in Italia dall’editrice Elledici (che ne diffonde ancora una rivista) e dall’Istituto di Catechetica dell’UPS che ne ha propagandato diverse sperimentazioni.
Le indicazioni che fanno funzionare bene questa proposta e questo tipo di prodotti mediatici si basano su due condizioni: la presenza nel gruppo di un animatore capace di sostenere il lavoro comune; la comprensione e il sostegno dell’autorità ecclesiale che presiede alla catechesi, perché si tratta di rispettare una metodologia che dà prima di tutto importanza alla dinamica comunicativa messa in atto e alla crescita del gruppo; i risultati si potranno raggiungere col tempo, e non subito!
Questo significa:
– che la proposta non è un prodotto finito ma un tipo di comunicazione creativo e liberante. Per questa ragione al cuore della proposta sta la formazione di nuovi operatori.
In questa direzione non sempre si è lavorato abbastanza da parte degli editori che hanno messo sul mercato questo tipo di sussidi. Anche se quasi sempre sono stati offerti libretti con istruzioni utili per l’applicazione immediata del prodotto, ma poco per far cogliere all’educatore il cambio del metodo di prospettiva;
– che questi media seguono una metodologia che per molti appare svantaggiata rispetto alla catechesi e all’educazione religiosa tradizionale (perché non parte da un testo garantito dal punto di vista veritativo garantito (il catechismo, o comunque, un testo munito di imprimatur) e non valuta il livello di memorizzazione raggiunto da parte dei partecipanti.
Infatti il suo punto di partenza non contiene in modo veramente esplicito il messaggio salvifico, e questo a volte può scandalizzare (come scandalizza la parabola raccontata da Gesù del servo infedele che – scoperto in flagrante – continua a imbrogliare il suo padrone: Luca 16, 1-8) specie chi non ha pazienza; e a volte è una vera e propria provocazione... ma alla lunga paga!
La sicurezza di una verità non va misurata soltanto sulla base del programma “catalizzatore” del lavoro di gruppo; va preso in considerazione l’insieme del progetto comunicativo, la crescita del gruppo, le intuizioni emerse, il cammino fatto insieme.
Se si considera l’intero processo comunicativo, si resta sorpresi della validità dei risultati a cui arriva il gruppo seguendo questo metodo. Certo il gruppo non è da solo e sa in partenza che ascolterà una storia attualizzata e provocatoria, non le parole stesse del Vangelo di Gesù: ascolterà con la Scrittura a portata di mano, pronto a verificare quanto viene affermato.

New-media

I satelliti e le comunicazioni satellitari, il computer, gli ipertesto, i CD-A, i CD-ROM, le reti informatiche… costituiscono oggi e sempre di più costituiranno un ambito di profondi cambiamenti che possono rappresentare, in primo luogo, un importante bacino di contenuti e informazioni anche di natura religiosa: tramite testi, racconti, immagini e musiche infatti si possono conoscere e vedere esperienze diverse di religioni o di vita cristiana vissuta.
Queste nuove tecnologie comunicative, inoltre, possono offrire all’educatore religioso la possibilità di scambio, di dialogo e di conoscenza tra individui e realtà lontane, differenti dalle proprie: si pensi a tal proposito alle cosiddette chat line, “stanze” virtuali in cui persone che vivono in continenti diversi, possono incontrarsi, chiacchierare, instaurare una relazione “reale”.
Certo, l’intercultura e il pluralismo religioso non sono delle realtà astratte, ma rappresentano persone e culture che vivono a “contatto di pelle”, e si costruiscono nella relazione, nei mercati e nelle piazze. Ma anche ad un livello virtuale, come stiamo vedendo, è possibile creare scambi e dialoghi tra individui che non hanno lo stesso patrimonio culturale e religioso.
In questo caso, la multimedialità viene concepita anche come facilitatore per l’acquisizione di competenze, di atteggiamenti e di abilità tipicamente interculturali e interreligiose: i “navigatori” della rete possono sperimentare la transitività, il relativismo, la curiosità, il dialogo, il decentramento del proprio punto di vista... per arrivare ad un dialogo possibile.
In realtà, queste nuove forme di comunicazione e di educazione religiosa costituiscono due modi di “essere-nel-mondo” tipici della contemporaneità, hanno cioè lo stesso “paradigma”: l’idea di cooperazione, di arricchimento proveniente da più fonti, di differenza come risorsa importante da riutilizzare positivamente.
Il mondo della cultura contemporanea può offrire molto anche agli ambiti della formazione e perciò anche a particolari progetti di catechesi. Certamente il concetto di catechesi non può essere quello ristretto di conoscenza di verità di fede, ma è molto più ampio, perché tende ad allargarsi sempre più, fino ad abbracciare un più ampio disegno di educazione cristiana.
È fondamentale infatti partire da un uso trasversale dei media tradizionali, per approdare in modo efficace all’utilizzo dei new-media:
– i media, sia i tradizionali che quelli più avanzati, se ben utilizzati, sono senz’altro utili alla crescita dell’individuo. Educare alla vita cristiana attraverso i media può significare anche educare il gusto estetico, educare alla creatività, alla conoscenza, al rispetto dell’alterità e infine educare ad una visione pluriprospettica della realtà che non perda di vista i valori specifici di riferimento della vita di fede;
– educare il gusto estetico significa insegnare a ritrovare l’armonia del bello nelle forme più diverse, senza preclusioni culturali; qui i media possono fare molto, in particolare attraverso le nuove tecnologie che propongono infinite soluzioni creative, a loro volta motivo di nuova creatività per l’acquisizione del “bello” e del “bene”;
– l’educazione estetica favorisce lo sviluppo dell’intuizione, dell’immaginazione e della contemplazione (che vanno oltre le apparenze di ciò che si vede) che portano all’ideazione di forme e contenuti nuovi, sia artistici che religiosi. In questa era telematica e multimediale appare molto utile sviluppare forme di creatività personale, che può sostenere una maggiore percezione del proprio essere “persone” in dialogo con altre persone, senza perdere la propria identità; e questo vale soprattutto per i giovani. Si tratta di una creatività che si serve delle suggestioni provenienti dai media, ma che poi sa trovare soluzioni e percorsi originali anche per altri valori, come possono essere quelli religiosi;
– i new media costituiscono anche strumento forte per l’acquisizione di nuove conoscenze. Essi, sottraendosi ai percorsi usuali, di tipo sostanzialmente lineare, costruiti con libri e diapositive (peraltro sempre affascinanti), propongono un sapere articolato, che procede per aree semantiche potenzialmente infinite. Collocati in una cornice inedita le informazioni acquistano nuovo spessore, contestualizzate in saperi collaterali a ciò che vogliamo imparare, suscitano nuove curiosità.
Per i più giovani si prospetta un rapporto nuovo con fonti del sapere in cui chi impara ha di fronte a sé terre inesplorate a cui accedere, a significare da una parte l’incommensurabilità del sapere, e dall’altra la propria finitezza e può aprire ad esigenze di trascendenza.
In questa cultura in via di esplorazione emergono, perciò, in tutta la loro evidenza, tutte le differenze culturali che caratterizzano il mondo in cui viviamo, e possono essere viste anche come ricchezze di radici profonde immerse nella storia dei popoli, dove trovano medesima dignità tutte le culture con le loro tradizioni anche religiose.
Questa “galassia multimediale” dunque tende a contenere le ideologie più diverse, mettendo i contenuti in una vetrina ideale dove non c’è merce in secondo piano; tutto è ugualmente visibile, basta trovarlo. II lavoro degli operatori culturali e degli educatori deve qui assumere una funzione fortemente orientativa, per far emergere da questo mare magnum informatico i contenuti che più possono interessare per riflessioni e approfondimenti di tipo religioso.

Internet

“Internet” [4] oggi appare come una struttura comunicativa molto più complessa che abbraccia nella sua multimediazione almeno due elementi fondamentali:
– una dimensione cognitiva (attraverso l’offerta di numerosi dati raggruppati in un database che possiede l’ipertestualità, la multimedialità, l’interattività, e perciò costituisce non solo un enorme serbatoio di materiali conoscibili);
– e uno spazio di interazione (dove l’educatore deve sapere che questa vasta mediazione, oltre che essere tecnologia che permette l’acquisizione di molteplici e varie conoscenze, è anche una tecnologia di comunicazione, soprattutto per la sua offerta intrinseca di ipertestualità e di interattività).
L’ipertestualità, confrontata con la rigidità di un testo lineare, appare come un materiale più complesso e articolato, che offre molte direzioni di lettura, corrispondenti ciascuna ad un valore concettuale. Tali direzioni costituiscono una buona base di conoscenze più ampie su un argomento, organizzate in maniera non lineare, e quindi in maniera meno consequenziale e più dinamica. Lo strumento offre perciò, a chi se ne sa servire, la possibilità di organizzare percorsi più personalizzati di conoscenze specifiche che possono rispondere alle proprie esigenze di ricerca, e rispettare anche gli ambiti della propria esperienza religiosa.
Questo è il motivo per cui la struttura ipertestuale, che sta prendendo sempre più piede in questo contesto di rapide trasformazioni, può soddisfare la curiosità dell’utente e può adeguarsi al suo livello di esperienza e di conoscenza.
L’interattività, poi, è relativa alla comunicazione elettronica per indicare le nuove possibilità di fornire all’utente di internet il ruolo di “partecipante attivo” alla comunicazione mediata, molto di più che nelle altre forme di comunicazione mediale (TV, cinema, radio, libro o giornale…), dove al massimo si può interagire ma senza una vera possibilità di influsso; qui si deve essere educati ad acquisire un atteggiamento critico e di distacco affettivo dal mezzo.
A giudizio comune Internet costituisce oggi uno strumento formidabile, che offre possibilità di un reale apprendimento molto più “ingrandito” e compresente, a condizione però che non diventi mezzo di evasione o di dispersione (per non dire di perversione)... che sono i rischi reali contro cui più volte la Chiesa ha elevato la voce in questi ultimi decenni.
Internet ha come caratteristica:
– quella di evidenziare la realtà nella sua istantaneità e nella sua immediatezza, perché è presente in tutto il mondo; è decentrato e interattivo; è indefinitamente espandibile per quanto riguarda i contenuti; è flessibile e molto adattabile;
– “è egualitario, nel senso che chiunque, con gli strumenti necessari e una modesta abilità tecnica, può essere attivamente presente nel ciberspazio, trasmettere al mondo il proprio messaggio e richiedere ascolto. Permette l’anonimato, il gioco di ruoli e il perdersi in fantasticherie nell’ambito di una comunità. Secondo i gusti dei singoli utenti, si presta in egual misura a una partecipazione attiva e a un assorbimento passivo in un mondo di stimoli narcisistico e autoreferenziale”; [5]
– è però ambivalente, oltre per i rischi evidenziati, anche perché può essere utilizzato per rompere l’isolamento degli individui e dei gruppi ma anche per intensificarlo e renderlo più pesante alla persona. Tuttavia, la sua configurazione e l’elaborazione decentralizzata della Rete Mondiale che collega Internet, negli ultimi decenni, si sono dimostrate congeniali a un pensiero che si opponeva in via di principio a qualsiasi imposizione che sapesse di legittima regolamentazione della responsabilità pubblica, per cui su di esso si delineò un individualismo esagerato: un nuovo regno (il meraviglioso paese del ciberspazio) dove diventa possibile ogni sorta di espressione e dove l’unica legge è la totale libertà individuale di fare ciò che si vuole. “Questo significò che la sola comunità, della quale nel ciberspazio si sarebbero riconosciuti veramente diritti e interessi, sarebbe stata quella dei libertari radicali. Ancora oggi, questa concezione influenza alcuni circoli, supportata dai tipici argomenti libertari utilizzati per difendere la pornografia e la violenza nei mezzi di comunicazione in generale”. [6]
Lo sviluppo dell’informatica, quindi, ha accresciuto moltissimo le capacità di comunicazione di alcune persone e gruppi privilegiati. Internet può aiutare le persone ad usare responsabilmente la libertà e la democrazia, a espandere la gamma di scelte disponibili nei diversi campi della vita, ad ampliare gli orizzonti culturali ed educativi, a eliminare le divisioni, a promuovere lo sviluppo umano in una moltitudine di modi. “Il libero flusso delle immagini e delle parole su scala mondiale sta trasformando non solo le relazioni tra i popoli a livello politico ed economico, ma la stessa comprensione del mondo. Questo fenomeno offre molteplici potenzialità”: [7]
– se basato su valori condivisi, radicati nella natura della persona, il dialogo interculturale, reso possibile da Internet e da altri mass-media, può essere uno strumento privilegiato per costruire una civiltà di valori, ma paradossalmente le stesse forze che portano a una migliore comunicazione possono condurre anche all’aumento dell’alienazione e dell’egocentrismo. Internet può unire le persone, ma può anche dividerle, sia come individui sia come gruppi diffidenti l’uno nei confronti dell’altro, separati dalla politica, dall’ideologia, dalle passioni, dalla razza, dall’etnia, da differenze intergenerazionali e perfino dalla religione.
È già stato utilizzato in modo aggressivo, quasi come un’arma di guerra, e si parla già del pericolo rappresentato dal “ciberterrorismo”; [8]
– proprio perché ambivalente richiede un processo di approccio educativo e formativo, come un’area culturale attuale opportuna e necessaria.
La Chiesa, in alcuni organismi ufficiali, insegna che oggi tutti hanno bisogno di alcune forme di costante educazione ai media, sia per lo studio personale che per poter partecipare a un programma organizzato o per entrambe le cose.
Più che insegnare tecniche, l’educazione dei mezzi di comunicazione sociale contribuisce a suscitare nelle persone il buon gusto e un vero giudizio morale.
Si tratta di un aspetto fondamentale della formazione della coscienza. Attraverso le sue scuole e i suoi programmi di formazione, tutti i responsabili delle sorti delle nuove generazioni dovrebbero offrire un’educazione in materia di media.
“L’educazione e la formazione relative a Internet dovrebbero essere parte di programmi completi di educazione ai mezzi di comunicazione sociale, rivolti ai membri della Chiesa”. Per quanto possibile, “la programmazione pastorale delle comunicazioni sociali dovrebbe provvedere a questa formazione nell’istruzione dei seminaristi, dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici così come degli insegnanti, dei genitori e degli studenti”.
Ai giovani in particolare bisogna insegnare “non solo a essere buoni cristiani quando sono lettori, ascoltatori o spettatori, ma anche a utilizzare attivamente tutte le possibilità che offrono gli strumenti di comunicazione... Così i giovani diventeranno a pieno titolo cittadini dell’era delle comunicazioni sociali, che sembra aver preso inizio nel nostro tempo” [9], nel quale i mass-media sono considerati “piuttosto come parte di una cultura tuttora in evoluzione le cui piene implicazioni ancora non si avvertono con precisione”. [10]
Tra i suggerimenti più marcati di questi ultimi anni nei documenti ecclesiali a proposito dei media possiamo sintetizzare i seguenti:
– trasmettere nozioni relative a Internet e alla sua nuova tecnologia significa molto più che applicare tecniche di insegnamento. I giovani devono imparare come vivere bene nel mondo del ciberspazio, devono imparare a saper giudicare quanto vi trovano secondo sani criteri morali e utilizzare la nuova tecnologia per il proprio sviluppo integrale e per il bene degli altri;
– Internet pone agli educatori cristiani anche alcuni problemi particolari, oltre a quelli di natura generale che sono affrontati nel documento del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali dal titolo Etica in Internet. Perciò, pur enfatizzando gli aspetti positivi, è importante essere chiari su quelli negativi;
– a livello profondo “il mondo dei mezzi di comunicazione sociale può a volte sembrare indifferente e perfino ostile alla fede e alla morale cristiana. Questo è dovuto in parte al fatto che la cultura dei mezzi di comunicazione sociale è così profondamente imbevuta di un senso tipicamente post-moderno che la sola verità assoluta è che non esistono verità assolute o che, se esistessero, sarebbero inaccessibili alla ragione umana e quindi irrilevanti”; [11]
– fra i problemi specifici che Internet crea c’è la presenza di siti denigratori, volti a diffamare e ad attaccare i gruppi religiosi ed etnici. La Chiesa cattolica è spesso anche il bersaglio di alcuni di essi. Come vi impera anche la pornografia e la violenza. Così la proliferazione di siti web che si definiscono cattolici crea un problema di oggettività dottrinale;
– perciò i gruppi legati alla Chiesa dovrebbero essere presenti in modo creativo su internet. Parimenti, hanno diritto di esservi presenti anche individui e gruppi non ufficiali, ben motivati e ben informati, che agiscono di propria iniziativa. Tuttavia è motivo di confusione, come minimo, non distinguere dalle posizioni autentiche della Chiesa interpretazioni dottrinali eccentriche, pratiche devozionali stravaganti e proclami ideologici che recano l’etichetta di essere “cattolico”;
– un aspetto particolare di internet riguarda la proliferazione di proposte che a volte possono creare confusione, di siti web non ufficiali che si definiscono cattolici. A questo proposito potrebbe essere utile una certificazione volontaria “locale o nazionale” con la supervisione di rappresentanti del Magistero a proposito di materiale di natura specificatamente dottrinale o catechetica. Non si tratta di imporre la censura, ma di offrire agli utenti di internet una guida affidabile su quanto è in accordo con la posizione autentica della Chiesa;
– si è insinuato, inoltre, che la vasta gamma di scelta di prodotti e servizi su Internet abbia effetto propulsore anche sulla religione e promuova un approccio di tipo consumistico agli argomenti di fede. I dati fanno pensare che alcuni visitatori di siti web religiosi si trovino in una sorta di supermercato, individuino e scelgano gli elementi di confezioni religiose che meglio si adattano ai loro gusti.
La “tendenza da parte di alcuni cattolici a essere elettivi nella loro adesione” alla dottrina della Chiesa è un problema noto anche in altri contesti. Sono necessarie perciò maggiori informazioni sull’entità di questo problema;
– parimenti, la realtà virtuale del ciberspazio ha alcune preoccupanti implicazioni per la religione come anche per altri settori della vita. La realtà virtuale in realtà non può sostituire la reale presenza di Cristo nell’Eucaristia, la realtà sacramentale degli altri sacramenti e il culto partecipato in seno a una comunità umana in carne e ossa. Su Internet non ci sono sacramenti da celebrare;
– anche le esperienze religiose che vi sono possibili per grazia di Dio, sono insufficienti se separate dall’interazione del mondo reale con altri fedeli. Questo è un altro aspetto di internet che richiede studio e riflessione.
Al contempo, la programmazione pastorale dovrebbe riflettere su come condurre le persone dal ciberspazio alla comunità autentica e su come, mediante l’insegnamento e la catechesi, Internet possa essere utilizzato successivamente per sostenerle e arricchirle nel loro impegno cristiano.

2. Educazione religiosa nei media e coi media. Criteri metodologici e agenti per un cambiamento

Vivendo in tempi di “ipercomunicatività” [12], dove tutto è comunicazione, anche l’educazione religiosa rischia di essere una comunicazione scontata, se fatta… con qualsiasi modalità e in forma moralistica. Ma proprio perché ovvia, l’esperienza insegna che essa rimane appannata, neutra, o addirittura osteggiata e ostracizzata dai media ufficiali, gestiti dagli Stati o dai grandi network commerciali.
Questo costituisce il motivo per cui, in molti stati, “gli organismi promotori dell’educazione ai media sono state le Chiese cristiane, i centri di ricerca delle comunicazioni, i centri di educazione popolare, le associazioni cattoliche operanti nel campo della comunicazione e dell’educazione, e altri organismi privati. Ecco perché le esperienze di educazione ai media sono più frequenti nelle scuole private confessionali e nei gruppi sociali legate ad iniziative cristiane e private”. [13]
Le varie esperienze realizzate in diverse parti, in genere, risultano legate a questi processi che sono più di ordine pratico che metodologico; ce se ne serve non solo come strumenti sofisticati, ma anche con mezzi molto modesti. Ad esempio, inquadrare, mascherare o porre una didascalia a delle foto, fotocopiate o ritagliate dalle riviste, può insegnare ad analizzare l’immagine con lucidità e intelligenza. Così come la scelta di una grafica e la produzione della copertina di un libro da destinare a dei pubblici diversi può costituire un’altra occasione eccellente per lavorare sul pubblico e sull’industria legata alle istituzioni mediatiche.
Questo approccio pratico (scelto a volte pragmaticamente per evitare la verbosità teorica o il moralismo nei confronti dei mass-media), pur partendo da obiettivi concettuali precisi, pur descritti in modo dettagliato, pur insistendo sui diversi modi di realizzazione, in genere non vanno molto al di là della conoscenza e della competenza degli educandi; ma i valori cristiani spesso rimangono fuori dai processi innestati.
La volontà di tanti educatori “di essere il più possibile pratici” si spiega senza dubbio anche con il fatto che ci si deve confrontare con un approccio al fenomeno mass-mediale che appare molto frammentato, complesso e in continua evoluzione, per cui senza una approfondita competenza non permette di averne una visione “globale”.
Perciò, sia nella dimensione pedagogica generale che nelle esperienze educative religiose più specifiche, gli educatori nei confronti dei media si sono formati ad alcuni atteggiamenti, che non sempre sono corretti. Ne descriviamo i principali per una cosciente presa di posizione:
– c’è chi assume una posizione difensiva e di protezione dei sistemi educativi tradizionali, quasi ignorando praticamente i media e la loro pervasività. Tale tipologia di educatore valorizza la letteratura scritta e spiegata, più che le altre forme mediatiche emergenti della cultura di massa. Si rischia così di essere evasivi dalla storia e si ha l’illusione che tale modo di educare è ancora efficace, pur comprendendo che la cultura cambia, trasformando usi e costumi;
– c’è chi si serve dei media come uso tecnologico nel processo educativo. In questo caso le attività di educazione ai media e coi media tendono ad essere definite in termini di strumenti e di macchine da far funzionare, eludendo del tutto la relazione tra lo strumento e la cultura mediale. Se è vero che nei mezzi si deve scoprire il messaggio, è altrettanto vero che tale scoperta non può avvenire senza una mediazione interpersonale;
– c’è chi educa favorendo l’espressione personale e la creatività individuale. In questo caso ci si serve dei media in modo particolare con soggetti in difficoltà esistenziali di comprensione, ma solo come ripiego in una particolare diversità dalla norma comune. La cultura mediale avvolge tutti, anche se certi media possono essere più utili per alcune categorie di persone, come i disabili e gli svantaggiati;
– c’è chi insegna favorendo la cittadinanza democratica e l’inserimento critico nella società, entrando in pieno in questa realtà culturale mediatica. Allora l’educazione ai media e coi media, fatta in un certo modo, fa entrare criticamente nella cultura insegnando ad essere e diventare “onesti cittadini” e “buoni cristiani”.
Come si può notare, si tratta di tipologie che evidenziano diversi atteggiamenti educativi, da cui non sono immuni gli stessi educatori cristiani. Allora, come fare perché questi diversi frammenti vengano composti in una visione globale che autorizzi un approccio meno diviso e più unitario nella realtà della comunicazione di massa e nei processi di educazione umana e religiosa?
Spesso, immersi in questa cultura frammentata e presentistica, ci si trova dinanzi a disagi e reticenze di genitori, di insegnanti, di animatori cristiani, di catechisti… che, pur comprendendone l’esigenza, rimangono paralizzati davanti ad un nuovo compito.
Essi avvertono una sensazione di disagio: sembra loro di perdere qualcosa di importante, di essere in una situazione di decadenza culturale.
Provano una grande paura, quella di passare da “insegnamenti nobili” tradizionalmente tramandati ad una forma di emarginazione dei valori di una volta. [14]
Avvertono una sensazione di perdere terreno sotto i piedi, perché da una posizione di potere, giustificata dalla padronanza di quella scienza privilegiata che è la scrittura e la parola detta (la dottrina), sono chiamati ad identificarsi con campi culturali per loro di certo più marginali nella gerarchia dei poteri.
Come dare “nuova forma educativa” a questi educatori? Quale può essere la loro aspettativa di formazione?
L’esperienza insegna che mentre da una parte si trovano educatori che innovano il loro servizio servendosi anche di nuove tecnologia, senza preoccuparsi di fare una qualsiasi valutazione di quanto vanno sperimentando, con i rischi di gravi distorsioni che ne seguono; dall’altra ve ne sono di quelli che non sanno come integrare anche la più banale innovazione tecnologica se prima non vengono formati, se non sono espressamente invitati a farlo.
Il motivo principale è che essi percepiscono l’uso dei media come qualcosa di culturalmente inferiore, legati più al piacere e all’evasione, che non a ciò che è seriamente impegnativo. Spesso essi vedono il loro stesso consumo di media come una perdita di tempo, come una contraddizione con la loro posizione intellettuale...
Può essere questo il motivo per cui la vasta pervasività dei media, anche in ambito educativo religioso, rischia di scontrarsi con altri ostacoli comportamentali, che possono compromettere non solo la trasmissione del messaggio, ma addirittura arrivano a dare l’illusione che si è “moderni” se si usano comunque i media, ingenerando così almeno alcune illusioni o rischi:
– la prima illusione può essere quella di considerare la comunicazione nell’ambito educativo religioso solo come fatto puramente strumentale; questo significa arrendersi davanti all’annuncio evangelico, dimenticando che esso è già “novità” di comunicazione intrinseca. Perciò ogni forma di educazione religiosa e di fede è già forma di novità comunicativa; anche se questa comunicazione si serve dei mezzi tecnologici più moderni;
– la seconda illusione è più rischiosa, perché considera la stessa comunicazione religiosa come puro e semplice uso di strumenti mediali, non facendoli apparire primariamente “come un insieme di strumenti atti a veicolare messaggi tra diversi attori, ma elemento di condivisione cognitiva, di relazione complessa tra chi intende stabilirsi nella comunicazione più che stabilire una comunicazione”. [15]
Appare allora necessario affrontare le importanti sfide dei media per una riappropriazione di un corretto canone comunicativo, quello di dare una nuova valenza concettuale della comunicazione nelle sue implicanze sociologiche, antropologiche, psicologiche… È vero che tale processo rimane un’azione complessa perché chiede di rimodellare il concetto di comunicazione, restituendole l’originaria connotazione “relazionale”, ma essa premia lo sforzo educativo aiutando a superare la concezione tecnicistica e strumentale dei media.
Questo processo suppone che la comunicazione religiosa e dell’esperienza di fede deve ristabilire un duplice equilibrio dialettico:
– far dialogare ciò che è oggetto di comunicazione con le sue dinamiche relazionali. Occorre dunque rimodellare il modello della comunicazione, mettendo in dialettica tra loro l’aspetto dei contenuti e degli strumenti con quello della relazione esistenziale nella quale i contenuti vengono trasmessi. “Lo spessore esistenziale [...] non è frutto di un rafforzamento strategico: è il dottrinale stesso che deve apparire esistenziale, per la sua stessa forza significativa. Ciò risponde al carattere proprio della Rivelazione cristiana, il cui linguaggio non è solo di tipo constatativo, ma relazionale. La valenza esistenziale, quindi, non si aggiunge a quella dottrinale dall’esterno, per via di faticosa attualizzazione, ma è data dalla sua forza intrinseca e perenne. [16]Si mantiene così il più ampio spettro di valore a ciò che rientra nella categoria del “metodo”; esso si troverà a riacquistare lo spessore relazionale che gli è proprio, non riducendolo a semplice regola per l’utilizzo degli strumenti della comunicazione;
– sarà poi necessario rendere significativo il rapporto diretto della comunicazione del messaggio con l’individuazione, nella catechesi, della dinamica intrinseca tra i contenuti della proposta e il metodo per farla accogliere. E questo può avvenire attraverso la focalizzazione della valenza esperienziale della fede, facendola dialogare con la prassi della comunicazione stessa. Le esperienze personali si possono comunicare… in molti modi!
Metodologicamente, appare dunque importante che il ripristino di questi equilibri consentirà di ricondurre la comunicazione nel suo giusto ambito esistenziale-relazionale, ritrasformandola da strumento d’uso a luogo di esperienza relazionale di fede.
Ma nello stesso tempo questo equilibrio acquisito permetterà di fornirci gli strumenti atti a valutare l’effettiva sussistenza del nostro annuncio come luogo di esperienza comunicativa, prima ancora che come “luogo e mezzo” di trasmissione di contenuti.
Per precisare meglio il concetto: cioè come luogo nel quale i contenuti della proposta religiosa e di fede, che necessariamente devono essere comunicati, siano trasmessi nell’ottica di una vera intelligenza esistenziale della stessa fede, e non già in quella della pura trasmissione di conoscenze (sempre se sia possibile realizzare una trasmissione realmente pura!).
Solo così diventa possibile una comunicazione dell’annuncio e della proposta di fede, e la catechesi e l’educazione religiosa riacquisteranno la loro caratteristica di incontro con il Cristo, comunicato nella dimensione storica ed esperienziale. Solo se viene collocata dentro queste istanze esistenziali, la relazione comunicativa della fede potrà assumere i caratteri evangelici che le sono propri, riuscendo a diventare quello che essa veramente è: esperienza vitale della fede cristiana, luogo di comunicazione-comunione, relazione personale profonda.
Da un punto di vista metodologico sarà necessario risolvere una serie di problemi che non devono sfuggire ai vari educatori:
– ogni argomento religioso da comunicare mediaticamente suppone sia un approfondimento del messaggio che della modalità comunicativa, facendo interagire in dialogo i diversi agenti della comunicazione;
– per le conoscenze specifiche dei vari argomenti di valore religioso bisognerà studiare le fonti, vederne le possibilità, guidare nella ricerca, non lasciare solo col mezzo il ricercatore non adulto, o alle prime esperienze religiose…;
– le conoscenze religiose acquisite e le esperienze di fede vissute vanno verificate insieme nella prassi, per indicarne i valori oggettivi oltre le emotività soggettive e immediate, perché da queste esperienze si possa acquisire crescita e maturazione;
– le dimensioni dell’esperienza religiosa vanno vissute in contestì interpersonali e comunitari per superare il pericolo del soggettivismo e della frammentazione.

GLI “AGENTI ATTIVI” DELLA NUOVA MENTALITÀ MEDIALE

In conclusione, ai pastori delle comunità ecclesiali, ai catechisti e agli educatori cristiani, agli insegnanti di religione nella scuola, ai genitori delle giovani generazioni oggi si deve offrire un ampio spettro di possibilità formative in questo settore della vita e della cultura che oggi costituisce parte fondamentale dell’esperienza umana.

I responsabili delle comunità ecclesiali

Chi svolge funzioni direttive (in ogni settore della vita della Chiesa) deve mediare ed entrare nell’ottica della comprensione dei mezzi di comunicazione sociale, per imparare ad applicare tali acquisizioni all’elaborazione dei piani pastorali nella cultura della comunicazione sociale (Aetatis novae, nn. 23-33) con politiche e programmi concreti, col fare un uso appropriato di questi media... per rendere più efficace l’opera di mediazione e di comunicazione del messaggio.
Ma una competenza nuova non si inventa. “La Chiesa riceverebbe un servizio migliore se quanti detengono cariche e svolgono funzioni a suo nome venissero formati nella comunicazione” (Etica nelle Comunicazioni Sociali, n. 26).
Questo comporta una certa conseguenza: imparare ad utilizzare le potenzialità dei media al servizio della vocazione umana e trascendente dell’uomo, così da glorificare il Padre dal quale hanno origine tutte le “cose buone”. Dovrebbero impiegare questa notevole tecnologia per molti aspetti diversi della missione ecclesiale, esplorando anche opportunità di cooperazione ecumenica e interreligiosa.
A questo riguardo sembra che ci siano quasi solo indicazioni di principio e poche applicazioni!

Gli agenti pastorali

I sacerdoti, i diaconi, i religiosi e gli operatori laici di pastorale dovrebbero studiare i mezzi di comunicazione sociale per comprenderne meglio l’impatto sulle persone e sulla società e aiutarle ad acquisire metodi di comunicazione adatti alla sensibilità e agli interessi delle persone.
Oggi tutto ciò implica ovviamente uno studio serio dei mass-media, al fine di utilizzarli anche nello svolgimento del proprio lavoro. Ad esempio, i siti web possono anche essere utilizzati per offrire aggiornamenti teologici e suggerimenti pastorali.
In diversi modi poi il magistero ecclesiale, sia quello pontificio che quello della CEI, ha confermato il principio, del resto ovvio, che il personale ecclesiale coinvolto direttamente nei mezzi di comunicazione sociale dovrebbe possedere una specifica formazione professionale; ma anche aver acquisito una formazione dottrinale e spirituale di alto profilo, perché “per testimoniare Cristo è necessario incontrarlo personalmente, e coltivare questa relazione con Lui attraverso la preghiera, l’Eucaristia e il sacramento della Riconciliazione, la lettura e la meditazione della Parola di Dio, lo studio della Dottrina cristiana, il servizio agli altri”. [17]
L’esperienza dimostra che non appare ancora chiaro, nelle varie realtà ecclesiali, come si passa dalle affermazioni di principio alla prassi applicata.

Gli educatori e i catechisti

Si esige per loro una formazione specifica che non può essere procrastinata. Viene detto in tante forme e con responsabilità diverse. Ad esempio, l’Istruzione Pastorale Communio et progressio ha affrontato il dovere urgente delle scuole cattoliche di formare dei comunicatori e dei recettori delle comunicazioni sociali sulla base dei principi cristiani pertinenti (v. n.107).
Questo messaggio è stato ripetuto molte volte. Nell’era dei media, con la loro enorme diffusione e il loro forte impatto, questa necessità è più urgente che mai.
Le università, i collegi, le scuole e i programmi educativi cattolici a tutti i livelli dovrebbero offrire corsi a vari gruppi, “seminaristi, sacerdoti, religiosi e religiose o animatori laici... insegnanti, genitori, studenti” (Aetatis novae, n. 28), così come una formazione più avanzata in tecnologia, gestione, etica e politica delle comunicazioni a coloro che si preparano a operare nell’ambito dei mezzi di comunicazione sociale o a svolgere ruoli decisionali, inclusi quanti operano nel campo delle comunicazioni sociali della Chiesa.
I piani di formazione dei catechisti e degli operatori pastorali dovrebbero contenere proposte e attualizzare esperienze in questo settore della pedagogia della comunicazione in vista dell’esperienza religiosa da far vivere…
Gli studiosi e i ricercatori che si occupano di discipline pertinenti nelle istituzioni cattoliche di istruzione superiore dovrebbero moltiplicare i loro sforzi per formare personale preparato ad ogni livello di educazione e di educazione religiosa.

I genitori cristiani

Per il bene dei loro figli e proprio, i genitori devono “imparare a essere spettatori, ascoltatori e lettori consapevoli, agendo da modello di uso prudente dei media in casa” (è detto in Etica nelle Comunicazioni Sociali, n. 25).
Per quanto riguarda l’educazione ai media, i bambini e i giovani hanno spesso più familiarità con questo mezzo che i propri genitori. Ciononostante, essi hanno l’obbligo di guidare e sorvegliare i loro figli mentre lo utilizzano. Anche se questo significa il dover imparare di più, anche insieme ai figli, di quanto non abbiano fatto finora… per non creare un ulteriore distacco intergenerazionale, che renderebbe più vano il rapporto educativo familiare.
Si consiglia ai genitori di accertarsi del fatto che i computer dei loro figli siano provvisti di filtri, quando ciò è possibile tecnicamente ed economicamente, in modo da proteggerli il più possibile dalla pornografia, dai maniaci sessuali e da altri pericoli. Ad esempio, l’utilizzo senza un controllo di Internet non dovrebbe essere consentito, almeno per coloro che si dicono cristiani.
Genitori e figli dovrebbero discutere insieme di cosa hanno visto e vissuto nel ciberspazio. Sarà anche utile scambiare opinioni con altre famiglie che condividono gli stessi valori e gli stessi interessi. Il dovere fondamentale dei genitori consiste nell’aiutare i figli a divenire utenti dei vari media con l’educarli alla responsabilità delle scelte e alla capacità di discernimento. [18]
Quanto sarebbe utile in parrocchia una scuola per genitori, per aiutarli ad essere educatori e trasmettitori di autentici valori cristiani alle nuove generazioni! Esempi ne esistono, ma andrebbero moltiplicati per l’urgenza dell’ora presente.
Tra le scelte pastorali, anche per l’educazione cristiana, questa oggi costituisce una priorità pastorale, prima ancora di preparare ai sacramenti!

Fanciulli e giovani delle comunità parrocchiali

I nuovi media e soprattutto Internet sono una porta aperta su un mondo affascinante ed eccitante con una grande influenza formativa. I ragazzi dovrebbero essere aiutati a comprendere che non tutto ciò che esiste al di là di questa porta è sano, sicuro e vero.
“Secondo l’età e le circostanze bambini e giovani dovrebbero essere avviati alla formazione circa i mezzi di comunicazione sociale, resistendo alla tentazione semplificatoria della passività acritica, alle pressioni esercitate dai loro compagni e allo sfruttamento commerciale” (Etica nelle Comunicazioni Sociali, n. 25).
I giovani vanno messi in guardia: essi hanno il dovere di utilizzare bene tutti i media, prima di tutto per riguardo a se stessi e ai valori in cui sono educati a credere. E poi anche per rispetto ai loro genitori, ai parenti e agli amici, agli educatori e agli insegnanti, e infine per rimanere nel piano di Dio, se vogliono essere e diventare veri credenti.
Le persone giovanissime vanno aiutate a prendere coscienza che i media offrono loro la possibilità immensa di fare il bene e il male, a se stessi e agli altri. Ma soprattutto possono arricchire la loro vita in un modo che le generazioni precedenti non avrebbero mai potuto immaginare, e dare loro la facoltà di arricchire quella degli altri.
Ma purtroppo si verifica spesso che i media li spingono inconsciamente al consumismo, suscitano in loro fantasie incentrate sulla pornografia e sulla violenza e spesso li relegano in una specie di gabbia dorata che purtroppo provoca un isolamento patologico. Se ben educati ad un buon uso dei media possono acquisire responsabilità per entrare a pieno diritto nella vita della società e della Chiesa.
Tuttavia ciò non accadrà automaticamente. I mezzi di comunicazione e molto di più Internet non sono soltanto strumenti di svago e di gratificazione consumistica, ma mezzi che possono aiutare a svolgere delle attività umane utili, e i giovani devono imparare a considerarli e usarli in queste dimensioni. Nel ciberspazio, come in ogni altro luogo mediatico, possono essere chiamati ad andare controcorrente, a esercitare controcultura, perfino a subire violenze fisiche e morali per salvare il vero e il buono che si può sperimentare in essi.


BIBLIOGRAFIA

* Caturegli D., Tutti in rete. Internet e computer nella pastorale giovanile e nella catechesi parrocchiale, Paoline, Milano, 2002.

* Consonni C., Religione e internet. 30 schede di lavoro per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola, EDB, Bologna 2001.

* Gonnet J., Educazione, formazione e media, Roma, Armando Editore, 2001.

* Aroldi P., La tv risorsa educativa. Uno sguardo familiare sulla televisione, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 2004.

* Cappello G., - D’Ambrosio L., I media per l’animazione, Leumann (To), Elledici, 2002.

* Paccagnella L., La comunicazione al computer, Bologna, Il Mulino, 2000.

* AA.VV., Bambino e società del computer: quale educazione?, Brescia, La Scuola, 1987.

* Gamaleri G., Televisione e diritti della persona. Il “buono TV”, Torino, SEI, 1996.

* Tibaldi M. (ed.), Comunicazione e catechesi. Come parlare dei novissimi attraverso i mass-media, Pardes Edizioni, Bologna, 2003.

* Padrini P., (a cura), Catechesi e comunicazione. Percorsi cinematografici, Cantalupa (To), Effatà Editrice, 2004.

 
NOTE

[1] Cf le “voci” tra virgolette, in Lever F. - Rivoltella P.C. – Zanacchi A., La comunicazione. Il Dizionario di scienze e tecniche, Elledici (Leumann To), Rai-Eri (Roma), LAS (Roma), 2002.

[2] Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno ecclesiale di Palermo, 23 novembre 1995.

[3] Giovanni Paolo II, Messaggio in occasione della XXIV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 1990.

[4] Cf voce in Lever F. - Rivoltella P. C. – Zanacchi A., La comunicazione. Il Dizionario di scienze e tecniche, Elledici (Leumann To), RAI-ERI (Roma), LAS (Roma), 2002.

[5] Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Etica in internet, Roma Libreria Editrice Vaticana, 2002, p. 13.

[6] Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione: una risposta pastorale, n. 20.

[7] Giovanni Paolo II, Messaggio per la la Celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, 2001.

[8] Cf Etica in internet, n. 9.

[9] Communio et progressio, n. 107.

[10] Giovanni Paolo II, Messaggio in occasione della XXIV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 1990.

[11] Giovanni Paolo II, Messaggio in occasione della XXXV Giornata Mondiale delle Comunicazioni, n. 3, 2001.

[12] Viganò D., I sentieri della comunicazione, Rubettino, Saveria Mannelli (Cz), 2003.

[13] Bazelgett C.– Bévort É. – Savino J., L’education aux médias dans le monde: nouvelle orientations, Edizioni BFI-CLEMI, 1992, p. 1119.

[14] Cf la favola moderna di Spencer Johnson, Chi ha spostato il formaggio. Cambiare se stessi in un mondo che cambia, Sperling & Kupfer Editori, Torino, 1998.

[15] Padrini P., (a cura), Catechesi e comunicazione. Percorsi cinematografici, Cantalupa (To), Effatà Editrice, 2004, p. 7.

[16] Lanza S., La parrocchia in un mondo che cambia, Modena, Ed. OCD, 2003, pp. 344.

[17] Giovanni Paolo II, Messaggio della XXXIV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2000.

[18] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale “Familiaris consortio”, n. 76.