Pranzo di Natale


Virginia Di Cicco

(NPG 2004-09-2)


Io adoro il Natale. Adoro la mia gente intorno al tavolo, con la luce delle candele che balla e le voci che si rincorrono, i piatti che suonano e i piccoli, curiosi, davanti alla capanna del Presepe.
Adoro questa famiglia all’antica piena di gente moderna che parla e lavora già per il mondo di domani, ma si commuove ogni anno nell’attesa di cerimonie imparate da sempre e tramandate ai loro cuccioli.
La tavola imbandita dove le donne della casa rovesciano il loro straordinario amore fattosi leccornia.
Prima di diventare luogo di perdizione per le papille gustative di tutti noi, la tavola imbandita si fa cosa seria, molto seria.
Da quando sono nata, il più anziano della famiglia prende la mano di chi gli siede accanto e quando vede tutti così legati prega, in un silenzio che è lo stesso dai tempi dei tempi.
Questo anno ha deciso diversamente e ci ha avvertito per tempo. Questo anno ci saranno tante brevi preghiere quanti saremo intorno alla tavola. Ognuno dirà la sua, non tanto per un’improvvisa ventata di democrazia quanto perché troppi orrori spingono a pregare ancora di più e giustamente: vecchio e saggio, ha immaginato che ognuno di noi sentisse questo bisogno.
Così nel silenzio delle mani strette, ti preghiamo Signore:
– per gli uomini messi in catena dentro una gabbia e ripresi mentre supplicano pietà e per i loro cari perché non so davvero come si possa sopravvivere a tanto;
– per la nostra tavola, perché non ci induca a dimenticare che c’è troppa gente che ha fame, troppa fame;
– per il dolore, che sembra nebbia densa e appiccicosa dentro la quale perdersi è facile;
– per le città distrutte e le case martoriate, i ponti abbattuti e i giardini come lugubri cimiteri improvvisati e la gente per le strade con gli occhi vuoti;
– per la disperazione, quando il mondo ci ha offeso senza colpe e quando la menzogna sembra vincere sulle nostre verità;
– per gli uomini che smettano di vedere come lupi gli altri uomini non solo nelle guerre ma anche nel traffico, nei mezzi di trasporto stracolmi, nei parcheggi e nelle file agli uffici pubblici;
– perché i vecchi tornino a suscitare rispetto, i bambini tenerezza e le donne protezione, perché le cose più importanti della vita raramente sono cose.
E così via, lentamente fino all’ultimo di noi. A chiudere è il nonno:
– per chi mette gli uomini in catene e li riprende mentre supplicano pietà;
– per chi non sente il grido della fame tanto il suo stomaco è pieno;
– per chi induce sofferenza e distrugge le case, martorizza le città, abbatte i
i ponti;
– per chi offende l’altro senza colpe e mente contro di noi;
– per chi non rispetta i vecchi, non prova tenerezza per i bimbi e protezione
per le donne.
Quando si dice il miracolo dell’amore: pregare per il proprio nemico.
Le preghiere sembrano terminate ma le mani non si lasciano e il silenzio non si smorza. Ci sediamo e nessuno comincia a mangiare.
Fuori questa casa, con i suoi regali colorati, l’albero ricco e il cibo caldo sembra esserci solo freddo. Nessuno si muove perché pregare non basta mai.