Virginia Di Cicco
(NPG 2004-04-2)
Qualche mese fa ho vissuto un incubo: più o meno quaranta giorni immobilizzata da una acuta e insistente ernia cervicale. All’inizio l’unica posizione che ero in grado di sostenere era quella supina con la testa reclinata sulla spalla sinistra. Non ero in grado di tollerare nessun altro micromovimento. Quando dico nessun altro, intendo proprio nessun altro. È stato complicatissimo mangiare e non vi dico alzarsi per esigenze primarie impossibili da rimandare. Una situazione che non avrei mai creduto potesse verificarsi anche per una cosa seria come l’ernia cervicale. Oltre la sopportazione del dolore, la cosa difficilissima è stata sopportare quell’assurda immobilità, perdere qualunque tipo di autonomia fino alle sue forme più elementari, vedere i propri cari affaticarsi in modo incredibile per gestire 56 chilogrammi abbandonati a se stessi.
Ho avuto moltissimo tempo per pensare e nel tentativo di metabolizzare la situazione mi dicevo che prima o poi saremmo giunti alla fine. Ed è stata una folgorazione: questa situazione indescrivibile e faticosa per me avrebbe avuto una fine, io sarei diventata di nuovo padrona del mio corpo e del mio collo, il dolore sarebbe scomparso con della buona fisioterapia, e usando diligenza e attenzione sarei anche riuscita a farlo restare caso isolato, avrei mangiato di nuovo seduta dritta sulla mia schiena e sarei andata camminando forte sulle mie gambe. Era questione di tempo, solo di tempo.
Allora ho cominciato a pensare che cosa sarebbe accaduto se la situazione non avesse mai avuto una fine, se l’immobilità fosse divenuta definitiva. La prima immagine che mi si è imposta davanti agli occhi sono state le quattro rampe di scale che portano alla mia porta in un palazzo senza ascensore. Chi avrebbe potuto portarmi in braccio per quattro piani se avessi voluto prendere un po’ d’aria? Quattro piani di scale sono sufficienti per inchiodarti a casa.
Questi pensieri non mi fanno di certo onore. Scoperte di questo genere sono come la scoperta dell’acqua calda. Ma è la verità perché questa volta l’immobile ero io. Meschino ma è andata proprio così.
Nel momento in cui scrivo sono ovviamente guarita, guarita perfettamente, ma non dimenticherò mai questa lezione: guardare una cosa con gli occhi degli altri. È una promessa che ho fatto a me stessa.
Ho cominciato a cercare e ho incontrato CITTADINANZATTIVA. Lo spunto è l’articolo 118 della Costituzione dove viene sancita “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale” e dove le autorità pubbliche sono vincolate a favorirne lo sviluppo.
L’intenzione è quella di affermare il ruolo del cittadino non solo come elettore o contribuente ma come soggetto attivo della vita quotidiana della democrazia.
Il principio è straordinario perché i cittadini insieme non devono lamentarsi delle ingiustizie di cui si sentono vittime, ma cominciare ad agire per cambiare le cose. Troppo spesso fugge al popolo che il potere è messo nelle sue mani e non nelle mani di chi lo governa. È uno sciocco equivoco nel quale ci hanno fatto cadere. Il bene della collettività non potrà mai avere custode migliore della collettività stessa. Se andate a dare un’occhiata alle loro battaglie, sono davvero le più diverse: le assicurazioni sulle auto, la legge sulla procreazione assistita, gli scioperi selvaggi, gli scandali Cirio e Parmalat, il Tribunale dei diritti del malato e naturalmente anche l’handicap. La campagna “Obiettivo barriere 2004” ha come simbolo una porta di calcio murata e la scritta “segna se ci riesci”. L’obiettivo è il superamento delle barriere architettoniche che impediscono l’accesso ai luoghi dello sport alle persone con disabilità motorie o sensoriali, permanenti o temporanee, sia come spettatore sia come atleta.
Il messaggio è chiaro: ovunque un diritto è calpestato o disatteso noi ci saremo a farlo presente. Noi ci saremo. E voi?