Cesare Bissoli
(NPG 2001-02-38)
Dobbiamo dire che la prassi di pastorale giovanile antecede ed è più ampia di quello che la teoria riesce a imbrigliare e determinare. Ma è pur vero che la prassi ha bisogno quanto mai di teoria, cioè di riflessione, di progettualità, di condivisione, di collaborazione.
È proprio in questa bipolarità che va compresa la PG nella diocesi di Roma: un vissuto che c’è, magari abbondante e non di rado eccellente, e di tradizioni antiche e gloriose (si pensi anche solo a S. Filippo Neri e al suo oratorio!), ma anche dove l’esperienza è dispersa e disarticolata, in diverse comunità parrocchiali assai debole per non dire assente, in generale appare «diocesanamente» non omogenea nell’ordine degli obiettivi, dei contenuti, dei metodi. Oggi, più di ieri, ad essa è richiesto di rinnovarsi di fronte al rilevante cambio di ogni pastorale, segnatamente a riguardo dei giovani.
Entro questo orizzonte, da oltre un quinquennio, cioè dalla conclusione del Sinodo diocesano, si va manifestando - anche questo è un dato di fatto - un forte impegno per un progetto diocesano di PG. In queste pagine si cercherà di dirne i tratti essenziali, partendo da quelli che stimiamo i punti basilari di riferimento o linee ispirative.
Linee ispirative
Le raccogliamo in quattro più una:
- induttività, cioè badiamo a partire dalle esperienze positive in atto per maturarle ed integrarle, quindi evitando piani generali deduttivi che, mai come a Roma, restano sulla carta;
- (ri) motivazione, ossia miriamo a render chiare ed accolte le ragioni per cui fare, e come, PG, secondo gli orientamenti pastorali diocesani (non si dimentichi che Vescovo di questa città è il Papa), i migliori dati della ricerca, ma ancora in continua relazione al da farsi quotidiano;
- processo a rete, ossia coinvolgimento e collaborazione di tutte le forze che lavorano per i giovani (parrocchie, associazioni, istituti religiosi), curando una informazione estesa e una partecipazione condivisa. In questo modo si tende ad acquisire quel carattere di «diocesanità» o di comunione ecclesiale a livello locale che, come abbiamo notato e ancora noteremo, a Roma, per vari motivi, appare ancora fragile;
- missionarietà, ossia superamento di una concezione «parrocchia-centrica» della PG («parrocchia, sii te stessa uscendo da te stessa», è l’audace invito del Papa), ponendo l’attenzione sugli ambienti di vita (scuola, università, tempo libero…), luogo strategico di vita cristiana reale, ed insieme di testimonianza verso i tanti giovani ecclesialmente non appartenenti (sono i più!) che in tali ambienti si possono di fatto incontrare.
- L’ultima linea ispirativa va formulandosi adesso: è l’attenzione alla cultura. Si intende un annuncio di vangelo che si inculturi nella condizione giovanile di oggi, ossia tenga conto delle istanze di pensiero e di prassi circolanti, aprendo in particolare un confronto con la fede dentro la scuola e l’università, cui la quasi totalità dei giovani romani partecipano; ma insieme si vuole un annuncio di vangelo che esprima al meglio l’umanesimo cristiano, la sua capacità di rispondere a domande di senso, ed anzi di suscitarle, mostrando l’incidenza positiva della proposta cristiana nella realizzazione del (giovane) uomo.
Non ci illudiamo pensando che tutti gli animatori pastorali, a partire dai preti, siano giunti ad una convinzione salda di ciò. Ma è certo che sono i punti qualificanti che stimiamo ineludibili e su cui ci stiamo muovendo. Attorno ad essi, merita ora informare in termini essenziali su diversi aspetti della PG.
La svolta
È la parola giusta per mettere a fuoco la PG attuale a Roma, su testimonianza degli stessi Vescovi che formano il Consiglio episcopale, intorno al Card. Vicario, Camillo Ruini, che è anche presidente della CEI. Una svolta è maturata e queste sono le tappe del cambio. Sullosfondo sta l’ecclesiologia e pastorale del Vaticano II che in certo modo ha avuto il suo vitale ed ufficiale travaso romano nel grande Sinodo della diocesi di Roma. Vera esperienza di coinvolgimento ecclesiale di tutto il popolo di Dio (i lavori sono durati dal 1986 al 1993!), esso ha portato al ripensamento, sull’asse comunione-missione, di tutte le componenti costitutive della pastorale. Alla realtà giovanile è stata dedicata una coraggiosa ed ampia attenzione, capace di rilevare i tanti fermenti in atto, ma anche l’accresciuto distacco dei giovani dalla comunità, aprendo formalmente la via alla PG come priorità diocesana, entro la doppia connotazione di una PG unitaria ed aperta alla testimonianza missionaria. Da lì è partito subito il Servizio Diocesano di Pastorale Giovanile (SDPG), struttura centrale agile («servizio» appunto, non ufficio!), capace di mettere in movimento la base, come vedremo. Successivamente altri tre eventi entrano con un apporto significativo: la Missione cittadina (1997-1999) che ha sollecitato la tensione missionaria della PG; soprattutto la Giornata Mondiale della Gioventù dentro il Grande Giubileo (2000), che non ha solo rinnovato l’attenzione di tanti giovani romani alla scelta di fede, ma ha evidenziato in particolare la disponibilità generosa delle comunità (giovanili) al servizio dei giovani tramite le segreterie parrocchiali e di zona; infine, va considerato, nel prossimo futuro, il convegno diocesano del 2001 che porterà a compimento i frutti della Missione cittadina e della GMG, fissando il nuovo profilo di PG come bene di tutta la comunità locale e dando indicazioni per il progetto diocesano di PG. Infatti il momento attuale è pensato come fase costituente di una nuova PG.
Riteniamo provvidenziale questa serie di eventi ecclesiali, che sentiamo non come un sovrappiù al quotidiano impegno di PG, ma una vera, provvidenziale possibilità di fondare un nuovo impegno quotidiano. A questo proposito non dimentichiamo il singolare contributo che Giovanni Paolo II non lascia mancare ai giovani della sua diocesi, con l’annuale incontro di quaresima e stimolando lui stesso, con scritti appositi, le diverse iniziative generali. E con il Papa, il contributo del Card. Vicario e del Vicegerente Mons. Nosiglia, sempre sensibili ed attenti ai problemi giovanili.
Bisogni…
Cerchiamo di procedere rendendoci conto di chi siano gli attori della PG romana, per coglierne i problemi e dunque i bisogni e per rispondervi con delle iniziative, non dimenticando per altro le risorse di cui questi stessi attori sono portatori. In questo modo diamo consistenza alle linee ispirative enunciate all’inizio. Un testo programmatico finale permetterà di leggere concretamente quelli che sono i nostri nodi di PG, ossia quell’insieme di preoccupazioni e speranze che ci stimolano.
La PG romana vive oggi un suo travaglio attorno a tre poli: i giovani appartenenti, i giovani non appartenenti, i formatori. Notiamo subito che i giovani a Roma tra i 15 e i 25 anni sono circa 600.000.
* Per giovani appartenenti intendiamo quei giovani che non solo frequentano genericamente la chiesa, ma appartengono al gruppo giovanile della parrocchia. Si può calcolare che siano il 10% del totale. Di essi è stato rilevato il problema più acuto: la formazione. Figli del loro tempo, manifestano una fede vera, ma fragile, che sembra reggere quando si sta insieme, nella bambagia della parrocchia; esposta invece alla dimissione o alla omologazione negli ambienti di vita, incapace quindi di vivere vittoriosamente il confronto con un contesto scolastico, di tempo libero e non di rado anche familiare, che alla fede per lo più non sono vantaggiosi. Circola la battuta espressiva: come vivono molti di questi giovani il rapporto tra «il sabato sera e la domenica (non certamente mattina)»? Chiaramente tutto ciò chiama in causa la nostra offerta formativa, dato che si lavora con loro per tanto tempo. Non ne siamo soddisfatti. Avvertiamo acuto il bisogno di un lancio di evangelizzazione, che sia un vero laboratorio della fede, per dirla con il Papa a Tor Vergata.
* Vi sono i giovani non appartenenti, che sono la stragrande maggioranza, dell’ordine del 90%. Non si dice che non siano credenti, si dice che non professano in maniera sufficientemente esplicita la religione di chiesa, mentre non pochi sono indifferenti. Anche a Roma la cresima significa non di rado il sacramento dell’addio.
Le motivazioni di questo distacco non sono difficili da riscontrare e si giocano spesso, su testimonianza loro e di tanti animatori, sulla non credibilità, non affidabilità, non accoglienza della comunità parrocchiale. Si sentono in essa un corpo estraneo. Ciò mette in primo piano la ristrettezza di visuale missionaria delle parrocchie e dunque della PG che lì si realizza. Sovente è una PG che tende senza accorgersene al restringimento élitario, non accorgendosi di fare il gioco illusorio del carciofo, per cui ciò che è più esterno è da sfogliare perché meno buono. Alla fine non vi è più nemmeno il carciofo.
Non sto ad insistere come questo rattrappimento ecclesiale-missionario sia quanto mai cosciente e dolorosamente avvertito tra gli operatori pastorali, per cui occorre passare da una PG parrocchia-centrata ad una PG degli ambienti di vita.
* Infine i formatori. Sono i giovani preti, più che i laici, dato che sono i primi, in un’ottica piuttosto clericale, che hanno in mano la PG. In mano, ma anche nella mente e nel cuore?
Mi spiego. Normalmente è al giovane prete, appena ordinato, che sono affidati i giovani della comunità in cui inizia il suo ministero. Li ha in mano, e vi dedica un servizio sovente assai generoso e dispendioso di energie, nel giorno e anche nelle ore notturne. L’incontro settimanale, la messa dei giovani, i vari gruppi di adolescenti, giovani, universitari, iniziative annuali invernali ed estive (campi scuola)…
Ma vi stanno sempre anche una «testa» e un «cuore» adeguati? Intendo porre due semplici affermazioni, sotto forma di interrogativi, che mi rifiuto di generalizzare, ma il cui contenuto vedo rischiosamente avvolgere la PG tra noi.
Primo: questi giovani preti sono preparati al lavoro con i giovani o, forse inconsciamente, si ritiene scontato che il carisma dell’ordinazione equivalga alla competenza educativa? È invece vero che educatori non si nasce, ma si diventa. Ma allora mi chiedo: nel periodo di formazione viene svolto un serio corso teoretico e pratico (tirocinio) di PG? Nelle comunità parrocchiali vi è un saggio accompagnamento per chi si trova alle prime armi? Lungo il tempo si realizza un aggiornamento permanente su problemi educativi?
Secondo: sapendo quanto l’educazione è «cosa di cuore» (Don Bosco), mi chiedo: questi giovani educatori sono formati a «volere bene» ai giovani, nel senso di attrezzarsi loro stessi di «spiritualità giovanile», cioè di atteggiamenti e comportamenti di fondo per cui si amano i giovani per quello che sono, li si incontra da educatori e non soltanto da amiconi, si diventa loro accompagnatori, uno ad uno, con tanta pazienza ed attesa, riprendendo il cammino da capo tutte le volte che occorra, andandoli a cercare quando si sono smarriti, aprendo ai giovani l’orizzonte del pensare il Vangelo in grande, per cui vocazione, missione, volontariato, scelta cristiana della professione, impegno socio-politico, aiuto ai paesi poveri… diventano i nodi del tessuto della fede quotidiana?
Via da me ogni sentimento di asprezza e sfiducia verso i giovani preti. Dio sa quanto li stimi e voglia loro bene, ed ancora di più il Signore, per quanto vanno facendo. Ma sul versante del cuore e della mente, cioè dell’anima interiore, il Signore chiede di più, perché vuol donare di più! Chiaramente nel giro dei desideri del buon Dio crediamo vada anche messo in risalto il doveroso obiettivo che sempre di più laici adulti diventino operatori di PG. Tra di noi essi non sono pochi, sono bene intenzionati e vogliono prepararsi, come hanno dimostrato i corsi formativi annuali. Occorre che i pastori li riconoscano come collaboratori di serie A.
… ed iniziative
Fin dall’inizio, il SDPG ha focalizzato con semplicità, proponendole a tutti, certe esperienze positive diffuse nella base parrocchiale, secondo il criterio già nominato dell’induttività.
Con più ordine distinguiamo idee portanti e mezzi attuativi.
* Come idee, è esemplare la prima pubblicazione diocesana, nel 1995, chiamata modestamente «Linee programmatiche per fare pastorale giovanile a Roma». È un libriccino di otto pagine, quasi un pieghevole. In esso, dopo aver richiamato le maggiori indicazioni sinodali, sono enunciati i quattro orientamenti di fondo: incontrare i giovani nella loro realtà, secondo l’età e secondo l’ambiente di vita in cui crescono; ascoltare i loro bisogni ed attese cogliendone lo spessore culturale ed umano; proporre la verità della fede nel suo significato per la vita attraverso itinerari di educazione che si avvalgono della catechesi, della preghiera liturgica e personale, della direzione spirituale, del confronto con la Parola di Dio; sostenere la responsabilità apostolica dei giovani nella Chiesa e nel mondo. Sono poi richiamate quelle esperienze pastorali che fino ad oggi sono stimate importanti: le scuole di preghiera, una proposta catechistica per tutti, articolata in organico cammino di fede e sostenuta da un sussidio diocesano annuale, esperienze di volontariato e primo avvio all’incontro con i giovani del muretto…
* L’attuazione è lasciata alle singole comunità.
Ma perché si realizzi un cammino diocesano sono proposte delle tappe comuni con comuni strumenti di lavoro. Li richiamiamo perché fin dall’inizio del nuovo corso favoriscono quella comunione pastorale che abbiamo indicato quale «diocesanità» minima indispensabile. Altri fattori di comunione sono richiamati al punto successivo parlando di strutture.
- L’anno pastorale giovanile prende avvio verso metà ottobre con una riunione pubblica dei giovani e animatori, attraverso magari un pellegrinaggio ad un posto significativo (S. Giovanni in Laterano, Divino Amore…). Dal Card. Vicario viene presentato il programma pastorale elaborato in precedenza in un seminario di studio. È il tempo in cui viene proposto il Sussidio catechistico che sviluppa il tema dell’anno (in questi ultimi tempi sono state le tematiche di preparazione al Giubileo, per il 2000-2001 l’argomento è il Credo affrontato nel «laboratorio della fede»). Si distingue un testo per adolescenti e uno per giovani. Gli universitari hanno un sussidio proprio.
- In occasione della Giornata Mondiale della Gioventù annuale, precisamente il giovedì prima della Domenica delle Palme, avviene l’incontro diocesano di tutti i giovani con il Papa, incontro che ricorda e rilancia l’impegno formativo dell’anno, con un intervento del Papa sempre galvanizzante.
- Nel mese di giugno l’anno della PG sfocia all’interno dell’assemblea diocesana che riflette sul lavoro compiuto e dispone al nuovo piano pastorale, di cui il periodo estivo diventa per tante comunità un tempo qualitativo di PG.
- Entro questo cammino unitario sono predisposte esperienze forti, segnatamente il pellegrinaggio giovanile a Lourdes nell’agosto, e per il 2001 uno straordinario pellegrinaggio in Terra Santa a conclusione del ciclo «Missione cittadina-Giubileo-Giornata Mondiale della Gioventù».
Ho partecipato regolarmente a queste tappe annuali e posso dire che hanno un rilevante valore: è un convenire di giovani, che se anche sono minoranza, non sono mai pochi, e soprattutto assai coinvolti ed attivi. Per Roma sono probabilmente le esperienze di comunione più incisive e dunque irrinunciabili.
Si stanno profilando, alla luce soprattutto della GMG, altre proposte diocesane giovanili: di taglio religioso, come le esperienze comunitarie del sacramento del perdono; ma anche di taglio culturale, come incontri aperti a tutti giovani su temi di vita oggi rilevanti; infine iniziative di animazione, sempre cristianamente ispirata, collocate in certi punti della Città o in certi momenti dell’anno (a fine d’anno, di estate…). Per ogni caso non si vuole mai procedere senza un consenso maturato insieme con le comunità locali.
Elementi di organizzazione
Abbiamo messo all’inizio come linea ispirativa il procedimento a rete, ossia un fare PG che coinvolga realmente tutte le forze in campo. Il contrario è la separatezza. È un male che soffriamo, di cui però siamo arrivati ad essere consapevoli in misura tale che abbiamo iniziato a prendere gli opportuni e condivisi rimedi. Sicché per noi l’organizzazione è un segno efficace di comunione. Tale separatezza si manifesta a diversi livelli.
* Tra le stesse comunità parrocchiali, concepite in maniera così autosufficiente da apparire isolate, quando invece si toccano gomito a gomito e soprattutto l’elemento giovanile di sua natura «attraversa» di continuo la Città con le diverse appartenenze (scolastiche, professionali, culturali, ricreative ed anche associazionistiche ecclesiali). Per correggere questa situazione ci siamo dati «due fili rossi» che stimiamo indispensabili.
Ciascuna delle 37 prefetture (dette altrove vicarie o foranie) dispone di un presbitero responsabile di PG che tiene il raccordo, finalmente reso possibile, con 7-10 parrocchie (viceparroci). A loro volta i rappresentanti di prefettura confluiscono nei cinque settori in cui è divisa la diocesi (centro, nord, sud, est, ovest), ciascuno con un responsabile che fa da fondamentale mediazione tra le prefetture e il servizio diocesano.
Forse l’impianto potrà sembrare macchinoso e burocratico. Direi di no. È mantenuto agile, perché solo così il rapporto tra centro e periferia funziona pienamente. Di fatto i responsabili centrali, che sono il delegato del Card. Vicario per la PG e il direttore esecutivo, cercano continuamente il contatto con gli operatori di PG a livello di prefettura e di settore, andando di persona all’incontro, cercando la collaborazione con i Vescovi di settore.
* In questo modo il secondo livello di separatezza tra comunità locali e centro diocesano viene colmato. Va detto che tale gap a Roma è sentito forse più che altrove, secondo l’antico detto, ma vero, «parochus in urbe, episcopus in orbe». Si nota infatti ancora la tendenza di fare PG per conto proprio, secondo un proprio ordine di idee e motivazioni e con proprie iniziative, con l’esito di un certo anarchismo e una qualche sfiducia, se non diffidenza, di fronte a determinazioni diocesane di PG. Qui interviene il già citato e prezioso motorino di avviamento, ma non macchina sostituiva, che è costituito dal Servizio Diocesano di Pastorale Giovanile (SDPG), composto dal delegato, il direttore, i responsabili di settore, rappresentanti di pastorali specifiche (scuola, università, catechesi, caritas, comunicazione sociale, religiosi), una quindicina di persone, di cui vari sono laici. Ogni mese si fa puntualmente un incontro, con il triplice obiettivo di informazione, progettazione, raccordo. Sono incontri vivi, preparati, partecipati, con spirito democratico, con una puntuale sintesi del lavoro compiuto. Rappresenta il laboratorio della PG diocesana, con una attenzione vigile a non sovrapporsi alle iniziative locali, ma piuttosto stimolandole, persuadendole, aiutandole e ovviamente coordinandole secondo il programma comune. Questo organismo, che è il pilastro strutturale, avrà un aggiornamento rapportato al rinnovamento previsto.
* Vi è un altro doppio livello di separatezza da considerare: tra la PG nelle parrocchie e il servizio ai giovani portato avanti da istituti religiosi, maschili e femminili, e da associazioni, gruppi e movimenti. A Roma queste entità ecclesiali sono numerose più che altrove, dotate di risorse speciali come è proprio di istituzioni ben definite e strutturate. Ora avviene che ciascuno di questi organismi (parrocchia, istituto, associazione) va sovente per conto proprio, senza conoscersi e senza una effettiva collaborazione nel territorio. In questi ultimi tempi, ed oggi ancora più alla luce della GMG vissuta in buona cooperazione, è ripreso un dialogo esplicito, coordinato dal SDPG, sia attraverso rappresentanti di ognuna di tali entità presso il Servizio, sia attraverso forme di consulta, sia soprattutto stimolando il coordinamento e la compartecipazione a livello di prefettura e di parrocchia. Si è messo in moto qualcosa. Ma è certo che occorre un cambio di mentalità, una conversione ecclesiale degli uni verso gli altri, senza pretendere uniformità di carismi né egemonia di servizi.
* Collochiamo infine sotto la categoria di separatezza da superare il distacco che si avverte tra parrocchia ed ambienti di vita, per cui la PG che ha riferimento unico nelle parrocchie non riesce ad avere presa sui reali ambienti in cui giovani vivono: la scuola e il tempo libero anzitutto. Ne abbiamo fatto cenno parlando della linea ispirativa della missionarietà. È necessario pensare che l’attività parrocchiale in relazione agli ambienti di vita debba ancora di più incrementare, mantenendo un vincolo di unità, le cosiddette pastorali di ambiente che in Roma hanno notevole risalto: la pastorale scolastica con annesso ufficio, la pastorale universitaria (di esse si dirà qui sotto una parola), la pastorale dei giovani al lavoro, la pastorale dello sport e tempo libero, la caritas con il forte radicamento sul territorio grazie anche all’eredità del compianto don Luigi Di Liegro.
È uno degli obiettivi nevralgici che ci stanno davanti.
La pastorale per l’ambito scolastico
A Roma essa ha una sua rilevanza.
* Anzitutto la pastorale universitaria, probabilmente tra le più organizzate in Italia. Fa i conti con una popolazione studentesca quanto mai estesa (Roma ha tre Università statali, altre libere, altre ecclesiastiche). Ha il pregio di una strutturazione capillare attraverso le cappellanie universitarie, incontri periodici a diversi livelli ed intenti (formativo, celebrativo, culturale), una formazione bene impostata culturalmente e aperta al dialogo, il coinvolgimento del corpo professorale cattolico in iniziative promozionali della cultura in chiave cristiana, agganci internazionali con altre équipe pastorali universitarie europee e mondiali. Questa pastorale usufruisce di un percorso autonomo dal resto della PG, ma con uno sforzo crescente di convergenza programmatica ed operativa, onde evitare parallelismi e doppioni.
* Quanto alla pastorale scolastica (per la fascia pre-universitaria), abbraccia pressoché tutta la gioventù romana, perciò anche quel 90% che, come si diceva, non frequenta visibilmente la comunità ecclesiale. Metto subito le mani avanti nel dire che il punto positivo raggiunto non sta in chissà quali manifestazioni religiose perseguite, tanto più quanto si sa la condizione di chiara autonomia della scuola nei confronti della comunità parrocchiale. Sta piuttosto nell’accresciuta sensibilità e consapevolezza, alla luce anche della nuova riforma della scuola, che i giovani della scuola costituiscono il «bene comune» maggiore di tutto il Paese, società civile e chiesa. Per questo si lavora perché la parrocchia (pastori, organi pastorali, comunità cristiana, famiglie) si interessi di più del compito, dei diritti, delle risorse educative della scuola, e dunque delle persone dei docenti anzitutto, cattolici e altri di buona volontà. Si insiste per una formazione dei giovani in relazione all’ambiente culturale ed umano della scuola, chiedendo agli alunni credenti di fare da ponte tra scuola e comunità per interessi umani e spirituali comuni, superando la reciproca indifferenza. Alla figura del docente di religione, il cui numero a Roma è rilevante, si intende dare un senso e un ruolo educativo scolastico più rimarcato e di convergenza fra le diverse agenzie educative, nel rispetto ovviamente dei loro diversi profili. La Missione cittadina e il Grande Giubileo hanno fatto sperimentare i primi passi di un dialogo fecondo per un cammino interattivo fra scuola e società, tra cui la chiesa. Un orizzonte nuovo dunque di PG, per un processo che ci vede agli inizi. Ma una cosa è certa: una PG senza aggancio alla scuola rimane fatalmente anacronistica e svuotata.
Altri aspetti qualificanti
Rientrano per sé nell’ambito detto sopra delle iniziative e della struttura, ma la loro connotazione chiede una parola specifica. Ne ricordo due.
* La scuola di formazione per animatori di PG. È in essere da tre anni. Comprende un ciclo di base e un secondo ciclo su temi speciali (educazione alla preghiera, all’amore, alla preghiera). I contenuti sono teologici, antropologici e metodologici. Docenti sono esperti di alto livello. Sono previsti un incontro mensile il lunedì sera da ottobre a giugno. Sono proposte anche ricerche sul campo ed esercizi di animazione. La sede è nel Vicariato. Quello che colpisce in questi minicorsi è il forte interesse dei partecipanti (tra 50 e 80 persone), la maggior parte laici, diverse religiose; la fedeltà agli incontri (cosa non facile per gente che proviene da tutte le parti della città dopo una giornata di lavoro); il bisogno assoluto e il desiderio vivo di formazione, il ruolo determinante del prete nel mandare e valorizzare le persone formate. Su questo punto in verità vi è strada da fare, in coerenza alla situazione definita sopra.
* Il seminario annuale di studio. È organizzato dal SDPG, a settembre in un luogo vicino a Roma per responsabili di PG, delle parrocchie e delle altre agenzie, presbiteri, religiosi, laici. Dura due giorni. Ha per obiettivo di elaborare insieme il piano annuale diocesano in funzione dei giovani. È un nodo strategico di comunione e collaborazione pastorale. Sempre di più avvertiamo la necessità dello studio, della riflessione e della preghiera per una buona organizzazione.
Davanti a noi
Tutto quello che abbiamo fatto fin qui è anche quello che ci sta davanti. Riveste infatti i tratti di una germinalità promettente, tipica dello «stato nascente». In modo specifico ci troviamo coinvolti a maturare alcune scelte, che raduniamo in due gruppi: di tipo contenutistico e di tipo strutturale.
* A livello di contenuto.
Urgono quattro attenzioni:
- Una formazione cristiana dei giovani tale da essere vera evangelizzazione secondo il laboratorio della fede proposto dal Papa, quindi secondo itinerari ispirati all’iniziazione cristiana. Meno di ciò vorrebbe dire non realizzare una catechesi adeguata. È uno degli obiettivi ancora poco avvertiti nella catechesi giovanile corrente, ma per questo tra i più importanti e radicali. Chiaramente il discorso riguarda prima gli animatori (preti).
- Una formazione cristiana in relazione agli ambienti di vita, oltre il perimetro della vita parrocchiale non di rado così monotona e ripetitiva e per tanta parte estrinseca alla vita reale dei giovani. Ciò comporta quella integrazione tra fede e vita e l’educazione alla testimonianza missionaria che avvertiamo come obiettivi ineludibili.
- Una componente che attraversa questa evangelizzazione missionaria è la componente culturale, per cui si evidenza il dono del Vangelo come dono di senso e di crescita umana, affrontando le grandi domande e confrontandosi criticamente con le diverse risposte oggi in circolazione, con l’ottimismo realistico di chi sa cogliere segni della presenza del Signore e li coltiva nella speranza.
- Tutto ciò comporta mettere il rilievo una educazione alla vita come progetto, come assunzione di responsabilità, e dunque valutare la pertinenza, la bontà e perciò la necessità decisiva del discorso vocazionale.
* A livello di strutturazione.
Diverse urgenze ci interpellano. Radunandole insieme solo per cenni, ricordiamo: accogliere l’eredità della GMG come esperienza di comunione attraverso il rafforzamento, l’abbiamo accennato, delle segreterie di parrocchia e di prefettura capaci di elaborare impegni comuni altrimenti frazionati, per approdare ad organi di partecipazione come la consulta diocesana giovanile, la consulta delle associazioni e quella degli Istituti religiosi dediti alla gioventù; il rilancio dell’oratorio romano, e della pastorale oratoriana in generale, tanto benemerita, ma anche bisognosa di rinnovamento; l’investimento in formazione, come il migliore investimento pastorale, a livello di animatori preti, laici e dei giovani stessi, ma anche di strumenti di comunicazione, come internet; finalmente l’avvio ad un progetto diocesano di PG venuto a maturazione in questi anni, ma da conseguire attraverso una sorta di «sinodo» giovanile in tempi prossimi.