Sfide, problemi, provocazioni dell’ic alla pastorale dei preadolescenti

Inserito in NPG annata 2001.

Mario Delpiano

(NPG 2001-01-30)

Perché parliamo di iniziazione cristiana? Forse la linea della nostra redazione preadolescenti, quella dell’educazione alla fede intende cedere alle sirene di turno? Sono sorti nuovi interrogativi intorno al cammino di questi anni che ha tentato la comprensione della catechesi a partire dalla scelta dell’educazione? La catechesi nello stile di animazione si è rivelata un modello poco praticabile? Niente di tutto questo.
Quali allora le ragioni per un interesse e un dialogo tra pastorale dei preadolescenti e iniziazione cristiana e, in senso più allargato, tra educazione e iniziazione sociale?
Non è tanto il ritorno del tema dell’iniziazione cristiana e quello della verifica dei cammini di educazione alla fede che ci porta a confrontarci con l’iniziazione cristiana. È invece il tema dell’educazione che ci porta a riflettere con maggior serietà sul tema dell’iniziazione sociale.
Ci sembra interessante lasciarci stimolare da questa «istituzione sociale» tipica di altre culture passate e di un passato culturale, per provare a verificare come oggi possono avvenire quei «passaggi di consegna» che caratterizzano i passaggi di status verso l’età adulta entro un sistema sociale.
C’è stato anche un documento autorevole della chiesa italiana sull’iniziazione cristiana contenente gli orientamenti sull’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi. Un interessante convegno lo ha poi rilanciato con tanto di documentazione.
Occasioni utili per allargare una riflessione e rilanciare ipotesi più che sperimentate nella prassi educativo-pastorale.

Il ritorno dell’iniziazione cristiana

Il ritorno del discorso dell’iniziazione cristiana appare a chi opera nella pastorale dei ragazzi un po’ come il ritorno del passato. Un discorso che sembra ripiegarsi all’indietro, mentre le sfide e i problemi dell’evangelizzazione delle nuove generazioni urgono con maggior forza.
Alcune parole chiave, di segno e valenza riduttiva, vengono associate quasi per idiosincrasia quando torna in scena il discorso dell’iniziazione cristiana.
Iniziazione sembra collegarsi alla socializzazione religiosa o ai processi di inculturazione della fede. In tal caso riaprire il discorso di iniziazione cristiana equivarrebbe oggi ad una regressione, rispetto al discorso educativo. Un po’ poco per coloro che hanno immaginato in questi anni percorsi attraverso i quali accompagnare i ragazzi e le ragazze a riesprimere nel loro linguaggio e nel loro stile di vita la novità dell’incontro liberante con Gesù il Signore della vita

Il ritorno dell’iniziazione sul terreno dell’educazione

Ma il tema dell’iniziazione comincia a fare capolino anche dentro il discorso dell’educazione oggi. Sempre più frequentemente nascono occasioni di confronto tra il frantumarsi dei processi formativi attuali, tra diversificazione e compartimentazione, quando non dissoluzione nell’oceano della complessità, e la unitarietà e tipicità della iniziazione sociale nelle culture del passato.
La comprensione della funzione dell’iniziazione e dei riti di passaggio, la riscoperta della funzione dell’adulto, il farsi carico da parte del sistema sociale della acquisizione delle competenze per l’integrazione entro uno status di adulto delle nuove generazioni, il senso quasi sacro della «consegna del segreto» che dà senso e legittima ogni sistema cultuale e sociale, la messa alla prova attraverso il rischio calcolato… sono tutti elementi che provocano la prassi educativa di oggi nel verificarsi sulla sua efficacia.
È facile riconoscere che gli elementi della iniziazione sociale sono oggi non più concentrati attraverso un periodo breve di intensa formazione sociale, bensì diluiti nei decenni della formazione prolungata all’infinito della sociocultura attuale, stemperati in una sequenza indefinita di tappe e passaggi, scomposti in settori spesso a compartimento stagno.
Questo diluirsi e dilatarsi dell’iniziazione sociale si accompagna al dilatarsi dell’adolescenza. Essa però ha acquisito nuove caratteristiche, a mano a mano che la formazione si è coniugata attraverso i processi educativi, cioè a mano a mano che essa ha riconosciuto la centralità della persona in divenire, del suo protagonismo e della sua soggettività.
Ci interessa il confronto con la struttura culturale e sociale dell’iniziazione, anche di quella cristiana, ma a partire da una collocazione ben precisa, maturata attraverso la fatica di una condivisione progressiva sempre più ampia e legittimata intorno ad una prassi pastorale innovativa di evangelizzazione.
La nostra prospettiva: l’animazione all’incrocio dei processi tra formazione, socializzazione, inculturazione
Accettiamo la sfida del confronto con l’iniziazione, ma a partire del terreno dell’educazione; e dell’iniziazione cristiana a partire dall’educazione alla fede.
L’educazione è un processo particolare che va al di là dei processi di inculturazione e di socializzazione. L’educazione, proprio perché si colloca all’interno del sistema formativo, si specifica appunto per la sua intenzionalità, per il modo di porsi oltre e ricomprendere i processi suindicati; anzi si pone proprio all’incrocio di essi, e in un tempo di pluralismo di modelli si qualifica per noi attraverso la scelta dell’animazione culturale quale stile e modello educativo.
Guardiamo all’iniziazione cristiana e da essa ci lasciamo interpellare, proprio perché abbiamo maturato la scelta dell’animazione per fare l’evangelizzazione oggi del mondo dei preadolescenti.
Accettando di metterci in cammino di accompagnamento, di crescita insieme, da educatori e da educandi, nella consapevolezza dell’azione reciproca, scommettiamo che nella prospettiva dell’incarnazione la comunicazione vitale della fede si mette in circolo attraverso i processi educativi.
L’educazione diviene luogo della sacramentalità di una compagnia tra soggetti che apre al mistero di un incontro che supera tutti. Percorriamo dunque questo cammino all’incrocio tra esigenze serie di vita cristiana e del cammino di crescita del ragazzo.

L’INIZIAZIONE CRISTIANA: MODELLO FORMATIVO CULTURALMENTE COLLOCATO

Da queste prospettive dichiarate, l’iniziazione, e l’iniziazione cristiana in particolare, ci appare dunque un modello formativo che risente della sua precisa collocazione culturale nel tempo. Diviene allora importante quando se ne parla collocarlo storicamente e riferirsi alle diverse condizioni storico-culturali.

L’iniziazione sociale: una istituzione culturale datata

Dal punto di vista sociale e culturale l’iniziazione esprime l’intenzionalità di un gruppo, di una sociocultura o di un intero sistema sociale, di farsi carico dell’accompagnamento di un soggetto nel passaggio da uno status sociale ad un altro: sia essa l’inserimento dell’adolescente nello status sociale adulto attraverso la «messa a prova» accompagnata da consegna di competenze e conoscenza e da rispettive ritualizzazioni, sia invece l’accoglienza dell’adepto entro un gruppo esoterico o comunque accentuatamente selettivo, sia ancora il processo per riconoscere la superiorità di un individuo per i suoi poteri particolari (U. Galimberti). I tratti comuni di queste forme di iniziazione sociale sono da un lato il superamento di una serie di prove fisiche e psicologiche atte al verificare la nuova identità dell’iniziato, dall’altro un mutamento psicologico-esistenziale che, passando attraverso fasi di morte e di risurrezione simbolica, si consolida in una mutata condizione di vita.
Essa comunque così come configurata dall’antropologia è una modalità tipica della società a struttura semplice. Oggi non è difficile rintracciare nel sistema formativo della complessità gli elementi dell’iniziazione. Non sono scomparsi; e sono rintracciabili sia nella moltiplicazione delle funzioni e di compiti che richiede un inserimento nella sociocultura attuale, sia nel complessificarsi dei processi e nel dilatarsi all’infinito del sistema formativo: oggi parliamo di formazione permanente, ed appare sempre più difficile riconoscere l’avvenuto passaggio allo status adulto del giovane. I passaggi infatti sono tanti, distesi e ripetuti nel tempo. Forse anche alcune funzioni e percorsi dell’iniziazione sociale sono stati smarriti o abbandonati lungo la storia nel sistema di formazione attuale delle nuove generazioni.

L’iniziazione cristiana anch’essa collocata storicamente

Nata in un tempo di forte contrapposizione tra vangelo e cultura dominante (essendo ancora la scelta cristiana e la comunità una minoranza fortemente critica verso la cultura e il potere dominante), l’iniziazione cristiana aveva come suoi reali destinatari gli adulti e si poneva come tentativo di offrire loro un percorso iniziatico alla vita cristiana, dalla celebrazione dei misteri alla loro potenza plasmatrice dell’esistenza quotidiana dell’iniziato.
In questa prospettiva l’iniziazione veniva ad accentuare fortemente l’elemento di discontinuità e di rottura con la vita precedente dell’iniziato e con la cultura dominante.
Ma non è questo appena richiamato il modello al quale possiamo riferirci pensando oggi ai processi di iniziazione. C’è un modello storicamente molto più vicino e dal quale dipende l’idea corrente di iniziazione cristiana dei ragazzi: è l’iniziazione in tempo di cristianità. Qui non c’è più la preoccupazione della rottura e della discontinuità con la cultura e la vita sociale.
Qui il processo viene essenzialmente ridotto a processo di socializzazione religiosa; in esso è dominante la preoccupazione della integrazione sociale, culturale e istituzionale. Non c’è dunque grande attenzione alla «rottura e/o alla scelta»; prevalgono invece i processi di integrazione e di conformità sociale.
In contesto di cristianità, l’iniziazione cristiana si focalizza e si autolimita, riducendosi sempre più a formazione diffusa, sempre meno in conflitto con i tratti della cultura dominante.
Col tempo viene anche a cambiare il destinatario-fruitore del processo: non più l’adulto, già integrato nella società cristiana, ma le nuove generazioni e i minori che devono essere inseriti nella sociocultura religiosa divenuta cultura dominante. L’iniziazione viene sempre più a coincidere con la socializzazione religiosa.
Ed è il modello dominante che ha fatto la sua fortuna nel tempo della cristianità. Esso viene messo in crisi proprio con il frantumarsi del contesto culturale.
La complessità, la secolarizzazione, il pluralismo delle culture, dei modelli, delle religioni lo rendono desueto, inefficace, non più praticabile. Questo tipo di iniziazione cristiana, se rispondeva alle esigenze di trasmissione cultuale e di riproduzione del sistema sociale del tempo, oggi fa parte della storia delle istituzioni sociali.
L’iniziazione nei nuovi catechismi della chiesa italiana: un modello di comunicazione della fede per un epoca secolarizzata e post-cristiana?
Possiamo dire che il modello di iniziazione cristiana emergente dal progetto dei catechismi sia riscattato dal modello del tempo di cristianità? E ciò soprattutto se non guardiamo solo alla teoria, ma alle prassi consolidate?
Intanto ancora i minori, le nuove generazione, restano i destinatari privilegiati, anche se ci si apre progressivamente alla iniziazione cristiana degli adulti (’97). Resta la sua concentrazione attorno ai momenti della sacramentalizzazione: è ancora largamente pensata come un’iniziazione ai sacramenti della vita cristiana. Sembra prevalere la sua dimensione di inculturazione catechistica, spesso poco esperienziale, anche se nuove prassi e nuove vie si sono aperte.
Per questo nella nostra prospettiva sarà importante:
– prendere la distanza critica da modelli che appartengono ad altre epoche culturali (da qui la presa di distanza da modelli culturali di cristianità e della iniziazione come sacramentalizzazione) e che, nonostante tutto, si intende riproporre senza la fatica della ricomprensione nel nuovo contesto culturale;
– superare il modello di cristianità che pensa l’iniziazione come processo per le nuove generazioni più che per gli adulti (in effetti una priorità oggi ancora riconosciuta è proprio il cammino che la comunità degli adulti deve poter compiere proprio mentre si interroga sulla iniziazione delle nuove generazioni);
– mantenere ferma la consapevolezza che nella sociocultura attuale non è pensabile e tanto meno praticabile un qualsiasi processo sul piano della comunicazione culturale, iniziazione compresa, che non ponga al centro il processo educativo;
– consolidare la prospettiva e competenza ermeneutica, eredità preziosa della prima iniziazione, che si collocava in termini dialogici e critici con la sociocultura del tempo e con la situazione particolarissima dei preadolescenti.

UN CONFRONTO TRA MODELLI TEOLOGICI

La difficoltà di accogliere le provocazioni e le istanze che il discorso dell’iniziazione cristiana oggi può portare a chi opera nell’educazione alla fede delle nuove generazioni non è solo dovuto alla distanza culturale del modello, nato e consolidato lungo la storia come risposta della comunità cristiana alle sfide provenienti dal contesto socioculturale.
La difficoltà e la resistenza si complicano a motivo anche di modelli teologici che attraversano la storia dell’iniziazione cristiana.
Soggiace spesso al modello corrente di iniziazione cristiana un modello teologico di tipo kerigmatico, che diventa manifesto laddove viene esaltata la separatezza, la frattura, la delimitazione dei confini, l’alternatività rispetto ai processi culturali. E questo rischia di diventare una introduzione forzata di «discontinuità» tra i processi di umanizzazione e di inculturazione e quelli dell’evangelizzazione.
E infatti viene spesso sottolineata fortemente la necessità e attribuita somma importanza al momento della scelta personale e della rottura con la vita precedente, con il sistema culturale in cui si vive. Se questo poi viene anche concepito come presa di distanza dal sistema e dei percorsi educativi della sociocultura in cui il preadolescente vive, la frattura è completa.
Questo modello appare fortemente in contrasto con quel modello dell’incarnazione che ci ha accompagnato e ha ispirato le scelte della pastorale dei preadolescenti e dell’itinerario di educazione alla fede che siamo venuti elaborando in questi anni.
Nella prospettiva educativa siamo portati a sottolineare la forte continuità tra i processi di umanizzazione attivati dall’educativo (naturalmente conservando e consolidando naturalmente una componente imprescindibile di criticità) e i processi di evangelizzazione. La molteplicità dei processi formativi che la società oggi mette in atto verso i preadolescenti non è segnata dalla discontinuità bensì dalla continuità con quelli di educazione alla fede. Oggi sottolineiamo maggiormente il sostegno reciproco, più che la rottura.
Viene allora da chiedersi: assumere l’iniziazione e reintrodurre il tema della iniziazione cristiana non ci porta ad una contaminazione dei modelli, ad un ibrido pericoloso che ci fa regredire rispetto alla ricerca e alle conquiste di questi anni, attraverso quello che abbiamo conquistato intorno alla sacramentalità e simbolicità dei processi educativi? Accettare la sfida dell’iniziazione non può essere un principio di messa in questione delle scelte del modello teologico, quello dell’incarnazione, che finora ci ha ispirato e guidato?
Se le cose stanno così, non resta che identificare e prendere sul serio le sfide che il modello kerigmatico pone, per rielaborarle dalla prospettiva dell’incarnazione. Esse potrebbero essere così individuate:
– il ricupero nei percorsi formativi della funzione critica e liberatrice della fede rispetto alla cultura e al processo di umanizzazione in atto nella persona;
– l’importanza di prendere sul serio l’elemento della discontinuità all’interno della continuità dei processi formativi.

Un conflitto tra modelli culturali

Un altro livello del conflitto è quello tra orizzonti culturali diversi. Il processo di iniziazione cristiana appare schiacciato su alcuni processi formativi, quelli di socializzazione e di inculturazione, e poco attenta ai processi educativi.
La scelta dell’educazione alla fede invece si colloca in termini critici rispetto ai processi formativi tout court e a quelli di mera socializzazione e inculturazione.
Essa, proprio perché prende le distanze critiche da questi processi, si ripensa come processo di comunicazione in termini educativi, quindi di esperienzialità, di comunicazione vitale, di relazionalità profonda intorno alla vita e al suo senso che le viene in dono, di identificazione ma anche di presa di distanza critica.
Ci rendiamo conto allora che, reintroducendo il concetto di iniziazione cristiana, mettiamo in gioco modelli differenti non solo di tipo teologico pastorale, ma anche modelli culturali differenti nel ripensare la formazione in genere.
Il confronto intorno all’iniziazione diviene dunque anche confronto sui modelli formativi e sulla qualità della comunicazione culturale e intergenerazionale.

PREADOLESCENTI E INIZIAZIONE: QUALCOSA IN COMUNE?

Che rapporto c’è tra preadolescenti e iniziazione, e iniziazione cristiana in particolare?
Il tema della transizione, del passaggio, del cambio di status e di «mondo simbolico» entro cui imparare ad abitare, credo sia il grande punto di incontro tra preadolescenti e iniziazione.
Solo che nella nostra sociocultura questo compito della transizione è di fatto dilatato oltre la preadolescenza e l’ingresso nella società adulta è dilazionato nella tarda giovinezza. Il preadolescente si trova così collocato in un limbo protratto e poco sostenuto nella decisione del cambiamento. Egli vuole tentare e provare il passaggio, ma esso è diventato un labirinto che non lascia intravedere vie di uscita e tempi ragionevoli di verifica.Inoltre una serie di compiti tipici dell’iniziazione sono tout court abbandonati dal sistema sociale, cosicché a volte i nostri adolescenti fanno ingressi liberi, quasi incursioni in alcuni ambiti dello status adulto, ma in maniera impropria e soprattutto deresponsabilizzata. Basta osservare i percorsi individuali degli adolescenti nella gestione della sessualità adulta e riconoscere lo stato di abbandono in cui la società li ha lasciati. Se la preadolescenza è un momento quanto mai opportuno per l’avvio di processi di iniziazione, essa però si è frantumata e moltiplicata all’infinito.
Allora lo sport diventa un ambito entro il quale può cimentarsi nella prove fisiche, senza che tuttavia questo porti ad alcun cambiamento di status sociale verificabile. La scuola dilata all’infinito il cimentarsi con le prove mentali, e per esse il preadolescente deve accontentarsi di un riconoscimento insignificante quale il diploma scolastico. I tatuaggi sul corpo divengono oggi per tanti ragazzi la ricerca simbolica di un segno sul proprio corpo di conquista e verifiche solo immaginarie; esse raccontano la storia di nient’altro che di un bisogno a cui il sistema sociale non dà più risposta. Il bisogno di ritualizzazione anche socialmente visibile si incontra con una risposta di consumo quale i riti del corpo del sabato sera o della festa di compleanno, che non offrono più nessun segreto da custodire e di cui riappropriarsi nel corso della vita.
Sull’altro versante sta l’iniziazione cristiana: le sue sorti non appaiono migliori di quella sociale.
L’iniziazione cristiana nasce come processo di formazione degli adulti. Il suo adattamento alla condizione dei minori in età in cui deve avvenire la transizione è quanto mai inadeguato.
La riserva maggiore appare quella emergente da un tentativo di comprensione a partire dalle sue origini e ragioni vere: ben a ragione un percorso di formazione degli adulti prende le mosse da una decisione, da una «scelta personale» che sviluppa una rottura nello schema di vita e nell’identificazione con la cultura dominante. Tutto ciò sembra fare a pugni con la realtà del preadolescente e la sua condizione oggi.
Il modello dell’iniziazione cristiana, ribaltato sulla preadolescenza, comporta un processo di violenza e di rottura con la essenziale continuità dei processi evolutivi, e dei processi educativi in particolare. Esso suppone una «decisione», una scelta ( e ancora oggi si continua a ripeterlo) che non può darsi in questo periodo della vita.
Occorre comunque anche riconoscere che sono sempre più numerosi i soggetti preadolescenti che risultano lontani da qualsiasi esperienza di educazione cristiana, ed è un dato crescente quello di soggetti che non vivono di fatto alcun rapporto di appartenenza alla comunità ecclesiale e perciò non hanno ricevuto i sacramenti cosiddetti della iniziazione cristiana. Sorprende di incontrare sempre più spesso preadolescenti che hanno ricevuto soltanto il battesimo nella loro infanzia, e che nemmeno in famiglia vivono un minimo di socializzazione religiosa.
Guardando le cose a partire dalla prassi pastorale con i preadolescenti, nasce il sospetto che tutto questo disquisire e rilanciare l’iniziazione cristiana dei ragazzi e ragazze di oggi sia più che altro una strategia per divincolarsi da una prassi pastorale di corto respiro: quella della sacramentalizzazione dell’obbligo o di una prassi catechistica che ricerca affannosamente un contesto vitale per divenire catecumenale, cioè esercizio e pratica quotidiana di vita, tirocinio di vita illuminata dalla compagnia della fede, laboratorio di educazione alla fede.
Essa esprime la percezione di una strategia pastorale ormai inadeguata, che non raggiunge più l’obiettivo che intendeva prefiggersi, né riesce a raggiungere vitalmente i preadolescenti stessi e ad accompagnarli nel loro divenire «altri».
In questo senso il riaprirsi del dibattito sull’iniziazione cristiana diventa un’opportunità preziosa di ragionare sui processi di comunicazione culturale; un bisogno del «fermate le macchine!» e ripensare con distacco i processi che la comunità ecclesiale intende attivare.

INIZIAZIONE: UNA SFIDA ALL’EDUCATIVO

Alcune riflessioni dal punto di vista antropologico intorno all’iniziazione appaiono estremamente interessanti per il discorso educativo, oltre che per il ripensamento dell’iniziazione cristiana.
L’iniziazione sociale è un processo che instaura alcune discontinuità nella vita del soggetto e nel suo gruppo sociale, secondo la logica di un prima e di un dopo rispetto ad un determinato tempo della vita. Essa introduce, in quanto strumento formativo di una determinata cultura, nella vita dei soggetti cui si riferisce dei «punti di rottura», delle esigenze di cambiamento che rispondono sia ai nuovi bisogni dei soggetti che alle aspettative del sistema sociale. L’iniziazione fa capire che in certi momenti della vita di ciascuna persona ci sono dei salti, alcuni fondamentali e miliari nel corso della vita, altri piccoli e quotidiani.
Infatti, pur nella continuità del flusso vitale e nella continuità della vita biologica, la vita sociale e quella culturale portano in sé delle discontinuità.
Il nuovo status riconosciuto rappresenta la discontinuità rispetto allo status passato, come lo status adulto rispetto allo status dell’infanzia.
Proprio per quelle età della vita che si chiamano preadolescenza e adolescenza, le culture programmano la gestione di alcuni tempi sociali della vita dell’individuo speciali e unici, i «tempi del passaggio». Prima di quel momento i soggetti chiamati all’iniziazione venivano collocati e vivevano in «un certo tipo di mondo», con le sue regole e i suoi simboli. Attraverso l’iniziazione essi venivano introdotti «in un altro mondo», un mondo nuovo, diverso, segnato dalla delimitazione di tempi, spazi, ruoli e funzioni diverse.
L’iniziazione sociale e culturale del soggetto in età puberale era un’esperienza simbolica che illuminava due modi diversi di vivere la vita.
Il «prima» comprendeva la vita vissuta liberamente nella spontaneità, nell’immediatezza, nella flessibilità delle regole e nella indefinitezza dei simboli, ma anche nella inconsapevole dipendenza dal clan familiare.
Il «dopo» dischiudeva la vita come possibilità di conquista, di superamento della prova, di vincolo obbligante, di responsabilità verso gli altri, di appartenenza e legame consapevole ad una comunità, di appropriazione dei simboli, perciò una dipendenza elaborata autonomamente nei confronti di una comunità, attraverso ruoli riconosciuti e mansioni fondate su competenze acquisite e verificate dal gruppo sociale. Poi nella vita adulta ognuno si ritagliava i propri angoli di vita regolata dal principio della libertà e del piacere attraverso gli spazi simbolici del gioco e della festa. Questi elementi sfidano oggi il dirsi e l’autocomprendersi dell’educazione. In che modo gli elementi dell’iniziazione sono ricuperati e pensati dentro i processi educativi?
Il tema dell’iniziazione sociale porta dentro i processi educativi la consapevolezza del «salto necessario» perché la vita del soggetto possa essere completa, cioè divenire vita sociale e culturale. In che cosa consiste questo «salto», questa discontinuità nei processi educativi messi in atto oggi nella preadolescenza? Quali sono i segni che la sociocultura pone per riconoscere ed esprimere la discontinuità e l’ingresso in un mondo nuovo nel tempo della preadolescenza? Qual è insomma lo status riconosciuto dell’essere preadolescente? In effetti la preadolescenza non è più riconosciuta tempo dell’iniziazione sociale. Soprattutto non la conclude. E il soggetto resta in una specie di limbo sociale dove non si è riconosciuti.
La preadolescenza resta oggi senza identità sociale. Inoltre sono scomparse quelle forme di ritualizzazione, proprie dei riti collettivi, che erano in grado di assicurare la consegna vitale dei valori e degli ideali, depositati nella memoria del gruppo. Non è che venga a mancare la ritualizzazione nella vita quotidiana e collettiva del preadolescente oggi. La ritualità individuale sembra moltiplicarsi all’infinito. Ma la ritualità collettiva non segna più l’ambito dell’educativo. Soprattutto essa appare vuota e incapace di tramandare gli ideali vitali del gruppo. Essa va ripensata.
La sfida all’educazione sul versante dei preadolescenti: continuità/discontinuità, identità/differenziazioni
I preadolescenti sono soggetti che vivono un particolare momento dell’età evolutiva, un momento della crescita e del cambiamento che appare estremamente interessante anche in relazione all’iniziazione.
Mentre il modello kerigmatico per l’iniziazione cristiana degli adulti aveva a che fare con soggetti formati e strutturati, e dunque il problema era quello della «crisis» e della induzione, nella consapevolezza e nella vita quotidiana di questi adulti, di una discontinuità rispetto a modelli culturali interiorizzati e diventati stili di vita, per il preadolescente le cose sono diverse. Egli infatti è un soggetto in formazione, il cui processo di elaborazione personale dell’identità è in fieri, se ne pongono solo le premesse, mentre il radicamento culturale in tempo di pluralismo è tutto un compito aperto.
Per questo diventa importante per la preadolescenza affermare e valorizzare la continuità del processo in quanto processo di umanizzazione all’interno di una cultura. È il grande compito dell’inculturazione del preadolescente in un regime di pluralismo culturale.
Tuttavia proprio perché «processo educativo», esso non viene a porsi in termini di integrazione e di conformità soltanto, ma in termini critici e di scelta personale, cioè di «differenziazione», di collocazione in termini di «identità/differenza» rispetto agli altri, alla cultura e al sistema sociale, ed anche come apertura all’alterità degli altri, delle culture.
È anche vero che proprio in preadolescenza il processo di differenziazione si accentua (si accentua la «crisis» e la conflittualità), e dunque vi appare già al suo interno una esigenza di discontinuità. La preadolescenza è un tempo privilegiato per coltivare le discontinuità. È proprio in questa prospettiva che si comprende anche l’abbandono della religiosità acquisita.
Tale discontinuità è riferita anzitutto al passato infantile, alla rappresentazione del mondo degli adulti interiorizzato, più che una conflittualità permanente con i molteplici modelli culturali del presente.
In questo senso i processi di iniziazione venivano a sostenere fortemente queste esigenze di differenziazione e di discontinuità con l’infanzia.
Anche i processi educativi di oggi devono poter reperire proprio questa esigenza della preadolescenza così come l’iniziazione le ha recepite nel passato.
L’educazione per i preadolescenti è sfidata a porsi in termini di elaborazione della discontinuità con il passato infantile e di apertura nella direzione della assunzione di nuova responsabilità sociale, e quale sostegno all’avvio della elaborazione dell’identità personale, attraverso i percorsi dell’incontro con la differenza, da quella di genere anzitutto e quella culturale fino alla differenza generazionale nella comunicazione educativa.
L’educazione deve anche poter rendere socialmente visibile e riconosciuto il nuovo status sociale del preadolescente quale «soggetto in transizione» e in fase di «messa alla prova». Per i momenti di questa transizione deve poter riscoprire le ritualità collettive e i simboli culturali.

L’INIZIAZIONE CRISTIANA: UNA SFIDA ALL’EDUCAZIONE ALLA FEDE

L’iniziazione cristiana è un tentativo di attivazione dei processi formativi dentro l’orizzonte culturale del tempo per comunicare e approfondire uno stile di vita orientato dalla fede e consolidare l’esistenza credente.
Si tratta di processi formativi condizionati da modelli culturali, siano essi educativo-comunicativi che teologico-pastorali del tempo. Occorre verificare quanto essi siano trasferibili e compatibili con la sociocultura del momento, in particolare con il pluralismo culturale e teologico di oggi.
Ciò che l’iniziazione cristiana ha tentato di operare, soprattutto nel suo inventarsi come processo specifico rispondente a determinate esigenze culturali, è riconducibile ad un coraggioso tentativo di ermeneutica culturale: di approccio dialogico e critico tra culture diverse e tra vita e fede.
Oggi noi possediamo consapevolmente e criticamente questo strumento: l’approccio ermeneutico. È ad esso che abbiamo bisogno di ricorrere per un ripensamento radicale, per un tentativo di mettere in circuito ermeneutico processi educativi, formativi, evangelizzazione e processi di iniziazione.
L’attualità della iniziazione cristiana: l’interrogativo radicale che essa pone
Che cosa può significare oggi l’iniziazione cristiana? Essenzialmente il tentativo di risposta ad un interrogativo della comunità cristiana che attraverso le culture giunge a noi: come possiano aiutare le nuove generazioni a diventare cristiane nel presente contesto socioculturale?Questo è l’interrogativo che evidenzia l’attualità del problema.
Dobbiamo riconoscere come il contesto culturale sia radicalmente diverso da quando la comunità cristiana ha tentato di offrire una risposta operativa all’interrogativo; così come il rapporto tra processi di formazione, socializzazione, inculturazione è profondamente mutato. Oggi li ripensiamo diversamente nel loro reciproco rapportarsi. Riconosciamo la centralità dell’educazione: il che vuol dire che non è più possibile ripensare l’iniziazione, sociale o cristiana che sia, quale processo formativo, senza ripensare profondamente i processi formativi a partire dal filtro dell’educazione; così come non è possibile ripensare la trasmissione culturale verso le nuove generazioni al di fuori della prospettiva di una comunicazione educativa. È la conquista culturale operata da quella rivoluzione copernicana che ha affermato la centralità della persona rispetto al suo sistema sociale. Anche l’iniziazione cristiana va assunta perciò dentro un modello ermeneutico.
La chiesa italiana ha fatto come scelta prioritaria quella dell’iniziazione cristiana per l’età evolutiva. L’interrogativo è: quale è il modello soggiacente la scelta dell’iniziazione cristiana collocata e conclusa con il tempo della preadolescenza?
In essa è fondamentalmente il catecumenato finalizzato alla sacramentalità (crismale). Esso sembra aver perso per strada molti degli elementi che definivano l’iniziazione cristiana e l’iniziazione in sé.

PASTORALE DEI PREADOLESCENTI E INIZIAZIONE CRISTIANA?

Come possiamo immaginare il rapporto tra pastorale dei preadolescenti e iniziazione cristiana? Tale rapporto può essere pensato secondo questi modelli:
– il primo: la pastorale dei preadolescenti e l’iniziazione cristiana. In tal caso si cerca di capire fino dove arriva l’una e dove comincia l’altra, e di conseguenza si delimitano i confini e le rispettive competenze;
– il secondo: la pastorale dei preadolescenti come iniziazione cristiana, cioè la pastorale dei preadolescenti è il modo di pensare oggi, in tempo di complessità e di società post-cristiana e multireligiosa, l’iniziazione cristiana.
Questa è la nostra prospettiva e collocazione. In questa ottica, come l’iniziazione oggi è il concreto articolarsi dell’educazione attraverso gli itinerari educativi, così l’iniziazione cristiana dei preadolescenti si declina oggi nella scelta di evangelizzare i preadolescenti attraverso i processi educativi. L’itinerario di educazione alla fede dei preadolescenti è oggi per noi lo strumento equivalente dell’iniziazione cristiana con i preadolescenti.

Iniziazione cristiana è oggi l’itinerario di educazione alla fede

L’itinerario di educazione alla fede è quel cammino aperto a tutti, socializzati o non all’esperienza religiosa cristiana, dove – attraverso le risorse dell’educazione in stile di animazione e la capacità della comunità cristiana di farsi compagna di strada dei preadolescenti – si attiva la comunicazione intorno allo scambio di vita e delle sue ragioni di fede, narrando e celebrando insieme la scoperta sorprendente di un Incontro con Gesù, il grande Amico che può essere accolto come Signore della vita anche dai preadolescenti di oggi.
Una pastorale dei preadolescenti che si incarna attraverso la quotidianità della comunicazione educativa è oggi quel laboratorio in cui la vita stessa si apre alla fede, fino ad autocomprendersi profondamente compenetrata con essa. Nell’itinerario di educazione alla fede della comunità cristiana si gestisce oggi quello che nel passato veniva gestito dall’iniziazione cristiana, per gli adulti prima e per i ragazzi poi. Lì avviene la consegna e la riconsegna vitale: quello scambio di vita e di esperienza illuminata dallo sguardo di fede che esplode nella festa e in nuove narrazioni. L’itinerario di educazione alla fede, dunque, come tentativo di ripensare lo stretto rapporto tra processo di evangelizzazione e processi educativi, tra comunicazione culturale e comunicazione vitale. Questo è il modo attraverso cui oggi la fede è testimoniata nei gesti quotidiani dell’educazione che diventano «simbolici», cioè sacramentali, e perciò capaci di rivelare la presenza nascosta e liberatrice che attraversa ciascuna relazione educativa. È il processo attraverso cui sia con la parola di chi racconta e celebra festosamente la propria storia dell’incontro con Gesù il Signore, sia attraverso i gesti di una prassi liberatrice che restituisce le persone a se stesse, si riallaccia quella difficile comunicazione tra le generazioni sul terreno della vita e della speranza.
Questa ordinarietà quotidiana di incontro e di dialogo educativo da parte di chi, proprio per comunicare vita, offre ragioni di speranza e di fiducia nella vita radicate nell’evento dell’incarnazione, costituisce oggi l’unico «laboratorio di vita e di fede» possibile con i ragazzi e le ragazze del nostro tempo. L’itinerario allora, lungi dall’introdurre discontinuità, garantisce quella continuità e progressività che la vita richiede, e accompagna quella sollecitazione al cambiamento che percorre la vita del preadolescente (discontinuità e differenziazione) fino a favorire e produrre la risignificazione della vita del preadolescente.
Questa scelta ci permette di riconoscere e rispettare la priorità della scelta evangelizzatrice secondo il modello dell’incarnazione, cioè del farsi compagnia e azione-relazione liberatrice nel quotidiano. Non dunque «sezioni speciali» di formazione e di evangelizzazione, ma quotidianità come fedeltà ai soggetti in crescita che si aprono progressivamente alla vita e si appassionano ad essa; che imparano a custodire il mistero che la loro vita si porta dentro e si aprono al suo disvelarsi attraverso la vicinanza di testimoni credibili, sperimentati vicini e significativi.

La centralità della vita

L’itinerario di educazione alla fede riscatta, proprio all’interno anche dei processi di evangelizzazione, quella centralità della vita, e della vita del soggetto in particolare che è il preadolescente; una esigenza che costituisce anche, oltre che dell’educazione e di ogni processo comunicativo, il cuore dell’annuncio del Regno di Dio. In questo senso, tra fede e vita, noi assicuriamo la centralità della vita anche rispetto alla fede; cosa è la fede infatti se non la accoglienza di questa vita e la sua risignificazione e ricomprensione vitale, che diventa poi anche interpretazione e riepressione linguistica?
È la vita che viene posta al centro dei processi, pur nella progressività di atteggiamenti che crescono nella accoglienza e nella responsabilità verso di essa. Questo è al centro del nostro itinerario in quanto laboratorio di fede.
D’altra parte, non era proprio la vita al centro dei processi di iniziazione sociale? In questa prospettiva poi acquista un significato del tutto particolare anche la «scelta di fede»: cioè l’accoglienza del dono di vivere la vita nella compagnia del Signore Gesù, il Signore della vita.
Se dunque la logica vitale accompagna la crescita in responsabilità e in consapevolezza l’itinerario, essa è quella del seme e non quella della discontinuità.

LE PROVOCAZIONI DELL’INIZIAZIONE IN ORDINE ALL’ITINERARIO DI EDUCAZIONE ALLA FEDE

Raccogliamo ora, in una prospettiva ermeneutica, le provocazioni che dall’iniziazione cristiana giungono all’itinerario di educazione alla fede. Abbiamo provato in questi anni a verificarlo e a svolgere la prassi pastorale con questo strumento. Ci rendiamo conto che esso va affinato e in esso vanno ricuperati elementi che l’iniziazione ha saputo valorizzare al suo interno. Ecco alcune di queste provocazioni.
L’iniziazione ha sempre un secondo soggetto che è il nuovo mondo vitale
Il processo dell’iniziazione richiede il passaggio attraverso l’abbandono di un mondo, quello dell’infanzia, e l’ingresso temporaneo in un mondo diverso, nuovo, all’interno del quale sono contrattate le regole e stabilite le relazioni.
Anche l’itinerario dei preadolescenti prevede questo ricupero di un mondo vitale nuovo nel quale i soggetti sono immersi, e che li separa proprio dalla vita familiare. È la scelta del gruppo come mondo vitale, piccola esperienza di chiesa, nel quale si apprendono le competenza per l’ingresso nel mondo adulto. È il luogo dove sperimentare ancora «in messa a prova» il nuovo status e ricevere conferme sulla nuova identità. È allora importante anche per il preadolescente che sia assicurata nei processi di educazione alla fede questa «separazione quasi forzata» e alternativa al clan familiare.
Un nuovo mondo vitale che non è fatto solo dai coetanei, ma nel quale è forte e orientante la presenza del maestro, che ha una funzione propria, sia rispetto al gruppo che ai singoli. L’animatore nel gruppo di educazione alla fede porta in sé anche la funzione iniziatica che è quella comunicativa dell’adulto.

Corporeità e sessualità per una comunicativa sociale

Il rapporto del preadolescente con il proprio corpo è ambivalente e problematico. Nello stesso tempo l’iniziazione è un percorso che appare quanto mai collegato con il possesso della propria corporeità, con l’acquisizione delle regole che orientano lo star bene nel proprio corpo e l’esorcizzazione delle paure e dei tabù. Le prove iniziatiche lo mettono alla prova, e sviluppano nell’individuo la sicurezza di sé e la capacità di dominio e di custodia.
Al punto che il corpo dell’iniziato porta spesso i segni (tatuaggi, cicatrici…) della lotta e della conquista. Forse i nostri itinerari di educazione alla fede sono spesso disincarnati. Occorre ricollocare la centralità del corpo e delle competenze che lo riguardano.
In questo senso va ricuperato il cammino di elaborazione e di integrazione della nuova immagine corporea segnata dalla differenza di genere, e va dato molto più spazio alla presa di coscienza del corpo e della sua potenza comunicativa. Va fatto spazio maggiore al linguaggio del corpo, alla sua gestualità e capacità espressiva, al suo linguaggio globale, all’emozione e al sentimento. Qui si apre un capitolo del tutto particolare con i momenti celebrativi.

Ogni tappa deve essere celebrata, perciò simbolizzata e ritualizzata

L’introduzione del tema del corpo nell’iniziazione provoca anche il nostro itinerario intorno al momento di ritualizzazione delle sue tappe.
Nell’educazione e nell’educazione alla fede abbiamo bisogno di riscoprire il senso, la funzione e il valore dei riti. Essi si collocano sempre come porte di ingresso nel mondo nuovo che si è dischiuso dopo un cambiamento avvenuto e che viene richiesto al soggetto.
Abbiamo perso i riti comunitari e collettivi e troviamo oggi in educazione difficoltà a ricostruirli. Non si tratta certo di abitare simulacri. Occorre ripensarli e reinventarli con i preadolescenti e con il gruppo; quando è necessario anche con la comunità.
Trovare il tempo in educazione per mettere in figura e in azione simbolica (ritualizzazione) il senso di quanto conquistato per sé e per tutti, trasformarlo in un racconto, metterlo in musica, farlo diventare una canzone, gestualizzarlo dentro una danza è un bisogno profondo dell’uomo, ma ancora di più per il preadolescente. È anche il modo per ricucire l’unità tra corpo, sentimento, mente e interiorità. Su questo fronte l’itinerario va rivisto e ripensato.
È allora possibile, lungo questa traiettoria, ricuperare anche il senso di quelle azioni rituali simboliche che sono i sacramenti dell’iniziazione. Lungo il corso della preadolescenza, in stretto rapporto con le tappe dell’itinerario, è possibile la riscoperta, quando non la prima scoperta, del significato dei sacramenti dell’iniziazione cristiana; anche in questa prospettiva il sacramento della confermazione, qualora risignificato e riscattato da simbologie militaresche o d’altri tempi, può venire a rappresentare un evento rituale e simbolico davvero rispondente al «bisogno di conferma», di riconoscimento e di rassicurazione del preadolescente rispetto al nuovo che sta conquistando.

Iniziazione e discontinità nei processi di crescita

Il contenuto di conflittualità, di rottura, di crisi che proviene dall’iniziazione appare inoltre un elemento che provoca il discorso metodologico della pastorale e dell’itinerario in particolare. L’itinerario parla di progressività e di continuità. L’iniziazione cristiana di discontinuità e di rottura.
È l’opportunità di ripensare la discontinuità all’interno dei processi formativi segnati dalla continuità: il tema della rottura e della conflittualità porta all’interno dei processi educativi il richiamo a che davvero la funzione critica della fede sia mantenuta all’interno del processo di inculturazione individuale; a che ci si faccia carico che i soggetti siano capaci di collocarsi sempre in modo critico e innovativo, in termini di qualità della vita, rispetto agli stili di vita e ai modelli dominanti.
Esso ci ricorda insomma che la discontinuità è da ricollocarsi e va riscoperta all’interno dei processi educativi, quale capacità del soggetto di trascendere ed emergere al di sopra della propria condizione culturale del momento.
Non si tratta di pensare la discontinuità dell’educazione e dei processi, bensì la discontinuità nei processi. La discontinuità non significa che i processi educativi non debbano essere pensati con quella logica di progressività e di continuità che li caratterizza. Ma che la vita e il suo sviluppo al loro interno richiede che siano contemplati certi momenti di vera discontinuità con processi di crescita lineare. Che ci si curi di gestire educativamente la conflittualità che attraversa ogni processo vitale segnato sempre dall’abbandono e dalla perdita; che si coltivi la capacità del soggetto di operare delle scelte che a volte egli vive come rottura e che rappresentano invece dei salti di qualità (vere e proprie conversioni) nella gestione responsabile e consapevole della vita e della sua logica un po’ misteriosa. Perché la vita porta con sé anche la morte, il conflitto con essa e il suo superamento. È la storia di Gesù: uno svelamento di come la morte può essere sconfitta e superata, perché si dilati il regno della vita in abbondanza per tutti.
Ogni processo educativo porta con sé momenti in cui è importante distanziarsi, congedarsi, invertire la rotta, abbandonare soluzioni sicure e facili per intraprenderne altre meno sicure e più impegnative. Pensiamo il passaggio dal noi all’io, e dall’io-noi all’altro!
È la vita stessa che ha dei salti nel suo procedere, sia a livello culturale che vitale ed esistenziale. È soprattutto la vita culturale e sociale che appare dal punto di vista antropologico qualcosa che esige dei salti rispetto alla continuità del flusso biologico.
C’è però un elemento nella «conflittualità introdotta dalla fede» che è troppo prezioso in educazione e dal quale vogliamo lasciarci provocare nel nostro itinerario. Qui occorre ribadire che la nostra scelta prende le distanze da un modello teologico dialettico per qualificare sempre più la scelta del modello teologico dell’incarnazione.
Allora la scelta e la sequela di Gesù di Nazareth (l’accoglienza della vita come Egli l’ha accolta e nello stile con cui ha espresso questa accoglienza radicale dinanzi alla morte violenta) implicano che Gesù, per il preadolescente, proprio nel processo di elaborazione dell’identità personale, diventi il «determinante nell’orientare la propria visione della vita e nell’orientare le scelte e la responsabilità». In questo senso la discontinuità nei processi di educazione alla fede non viene annullata, bensì recepita nei termini di una fede (e di una sequela) che si fa principio critico profetico della visione e della prassi personale.
L’elemento di discontinuità nei processi di educazione alla fede non è più tra fede e non fede, ma tra vita e non vita, tra vita indefinita e qualità della vita. Il discriminante diventa la vita e la sua qualità nella logica della passione per la vita espressa e vissuta dall’uomo Gesù di Nazareth, nella radicalità di un amore alla vita che abbraccia anche la croce liberandosi dalla violenza che essa porta con sé.
Allora la rottura e la presa di distanza non sarà mai con la vita quotidiana, ma con le logiche disumane e mortifere che l’attraversano e che solamente alla luce della vita-morte-vita del Signore Gesù diventano pienamente svelate e smascherate.
L’iniziazione ci sollecita a pensare che in educazione (come nell’educazione alla fede) accogliere la vita non può ridursi mai ad un gesto di assunzione spontanea e spensierata, quasi un continuare a giocare con essa (atteggiamento tipico dell’infanzia! «Il tempo del gioco è finito, assumi le tue responsabilità, ragazzo!»). Accogliere la vita come l’ha accolta Gesù o in modo tale da poter accoglierlo come il Signore della vita comporta sempre un «sapiente interrogarsi» (coscienza e cultura) circa la sua qualità, al di là della superficialità spontanea, un saper prendere le distanze da tante forme e figure culturali che non esprimono la sua qualità e un «impegno di conquista» per produrre vita in qualità.
Allora iniziazione ci ricorda che il cammino di educazione alla fede è un cammino anche di fatica e di lotta, che fa prendere sul serio tutta la vita a cominciare da quella che si ha in dono.

Il forziere e lo svelamento dei segreti

Ogni storia di iniziazione porta sempre nell’immaginario il simbolo del forziere nascosto in qualche antro della terra, o del tesoro nascosto.
L’iniziazione custodisce e assicura un compito importante: quello della rivelazione dell’arcano, dello svelamento dei segreti. Bisogna passare allora dall’indottrinamento alla consegna-scoperta del tesoro: il segreto delle cose e della vita. L’itinerario deve tenerne conto. Il segreto è proprio la qualità della vita (la vita nuova, quella modulata sull’esperienza culturale e sociale): da qui l’esercizio a saper coglierne i segreti nascosti nella vita, saper ascoltare la vita che parla al preadolescente.
Da questo ascolto e svelamento nasce nei soggetti iniziatici e nel gruppo medesimo una parola nuova, una parola segreta da custodire.
Il legame tra svelamento dei segreti e parola-linguaggio appare essenziale.
Dunque l’itinerario deve contemplare lo spazio di riappropriazione della parola, una «parola diversa» sulla vita, perché è la parola che è consapevole dei segreti disvelati. Si tratta di una parola tramandata, di una parola diversa perché da un lato intessuta di racconti mitici, quelli che narrano dell’ordine del mondo (del segreto delle cose, della natura, delle persone, della vita, del mistero del mondo, il cosmos per non rimanere prigionieri del caos) ed insieme narrano del nuovo ordine soggettivo e collettivo che si viene instaurando.
Per accedere a questa parola che svela i segreti l’iniziato necessita di un codice, di un alfabeto nuovo che non possiede ancora e al quale ha accesso solo grazie al ruolo del sapiente, al depositario di tali segreti che rappresenta la generazione che ha la consegna. Ecco qui nuovamente instaurato il legame necessario tra narratori adulti e nuovi soggetti narratori.

Consegna – restituzione

Un altro elemento di provocazione da ricuperare è quello della traditio-redditio. Troppa preoccupazione di «consegna» attraversa la nostra pastorale ecclesiale. Certo, si danno anche situazioni e prassi che si votano all’insignificanza della consegna, perché rinunciatarie. Ma l’elemento più innovativo della diade è quello della riconsegna.
Non possiamo solo preoccuparci di narrare la storia di Gesù e del Dio che egli rivela ai ragazzi e alle ragazze di oggi. Dobbiamo, come adulti, restare in silenzio, in atteggiamento di ascolto, per accogliere il dono della loro narrazione. I preadolescenti sono davvero capaci di offrire oggi il loro «evangelo». Occorre sollecitare e promuovere, naturalmente favorendo l’espressione attraverso i loro linguaggi, la loro fede nel grande amico della vita. Gli adulti sono preoccupati di mettere al loro posto le parole, e per di più quelle precise e corrette.
I preadolescenti no. Essi mettono avanti il corpo, la sua espressività erompente, la loro voglia e capacità di narrare e di raccontarsi. A quando un catechismo scritto dai preadolescenti che sia il racconto del loro incontro con Dio nella persona di Gesù di Nazareth?