La solitudine del mondo giovanile

Inserito in NPG annata 1995.

Rapporto CENSIS 1994

(NPG 1995-04-42)

Dietro alle apparenze fatte di consumi virtuali e benessere e al di là di una visione emergenziale da rotocalco, la realtà dell'universo giovanile appare tanto complessa, quanto distante ed autoreferente. Seppure l'immagine che le molte indagini sociologiche ci offrono è quella di una generazione mediamente appagata, dai forti toni individualistici, sufficientemente soddisfatta della propria condizione, che ha da tempo rinunciato tanto, alle radicalità ideologiche quanto al conflitto valoriale, non si può fare a meno di cogliere, tra le tante antinomie che presenta l'universo giovanile, una solitudine latente, valoriale, ancor più che sociale. Una solitudine che non necessariamente significa emarginazione, che non denota rifiuto ma che assume piuttosto il tono di una risposta, per certi versi evoluta e consapevole, di fronte al disimpegno e alla superficialità con la quale la Società adulta interpreta e risponde ai fabbisogni valoriali e sociali delle giovani generazioni.
La Tabella 1 fornisce un quadro fenomenologico di alcuni significativi comportamenti e consumi dei più giovani (14-19 anni), elaborati dall'ufficio studi analisi e ricerche della Rai. Tra le molte antinomie rilevate, la tendenza all'autoreferenza emerge in modo chiaro. Infatti:
- 1'89% dei giovani è molto o abbastanza soddisfatto degli anni o del periodo che sta vivendo, ma il 42% ha poca o per niente voglia di diventare adulto;
- il 92% è molto o abbastanza soddisfatto del rapporto con i genitori, ma il 70% afferma che solo con gli amici può parlare liberamente;
- il 44% discute qualche volta di politica, ma solo il 12% ha partecipato nell'ultimo anno ad attività di volontariato;
- il 30% partecipa alle attività di un'organizzazione giovanile, ma il 70% non ha mai partecipato ad iniziative e/o manifestazioni di carattere sociale.
Cresce, nel confronto con il '91, la sensibilità verso la politica e il sociale, ma si riduce la quota di coloro che leggono i quotidiani; aumentano le risorse disponibili (da 127 a 140 mila lire al mese), ma diminuiscono i tradizionali consumi culturali (visitare mostre e musei) e di abbigliamento rispetto a quelli più propriamente di socializzazione (discoteche, bar, birrerie) (Tabella 2). Segnali questi che sembrano indicare, proprio tra i più giovani, la crescita di un bisogno di socializzazione, soddisfatto tuttavia in termini autoreferenti («con noi e tra di noi»). Basti pensare che il 63% dei giovani intervistati afferma di esprimersi con gesti e linguaggi comprensibili solo dal gruppo di amici che frequenta.
Si potrebbe affermare che alla tradizionale immagine dei mondi giovanili si vada sostituendo quella dell'arcipelago, i cui abitanti, più o meno soddisfatti, hanno poca voglia di lasciarsi contaminare dal continente. Il problema dunque non è più quello di valutare il grado di condivisione valoriale tra giovani e generazione adulta. Forse la concordanza è solo parziale. L'aspetto che emerge è piuttosto quello di due realtà che tendono ad assumere sempre più traiettorie parallele, dentro universi sempre meno comunicanti.

1995-4-43

La famiglia ha rappresentato indubbiamente il soggetto che più è apparso in grado di mantenere aperto un canale di comunicazione. Tuttavia i ritmi del sociale (tra cui l'ingresso delle donne nel mercato del lavoro), la tendenza ad inibire ogni tensione conflittuale con comportamenti negoziali, la crescente funzione di agenzia di servizi attribuita alla famiglia, ne hanno ridotto la capacità educativa, riducendo gli spazi di comunicazione e di confronto sulle questioni valoriali.
La risposta della società di fronte a tale progressiva tendenza all'autoreferenza dell'universo giovanile, è stata di disimpegno e di contrazione degli investimenti sociali destinati a sostenere il processo di transizione dei giovani alla vita adulta e professionale.
I principali strumenti di sostegno formativo all'inserimento dei giovani sul mercato del lavoro, ad esempio, hanno subito un drastico ridimensionamento, in quanto contratti di formazione lavoro sono diminuiti di circa 274 mila unità tra il '90 ed il '93; e l'apprendistato ha avuto un declino meno rapido ma altrettanto significativo, passando dai 529 mila apprendisti del 1990 ai 449 del 1993.
D'altronde, l'entità del disimpegno della collettività è ulteriormente confermata dai dati relativi alle politiche per i giovani in senso lato.
Se si escludono le politiche educative e per la formazione, rispetto alle quali, peraltro, il volume complessivo di risorse investite è rimasto, negli ultimi due anni, quantomeno costante (non m dimentichi che circa il 98% del bilancio del Ministero della Pubblica Istruzione è assorbito dalla voce «personale», e quote altrettanto patologiche si registrano nel sistema universitario e in quello di formazione professionale), anche gli investimenti sociali destinati a sviluppare, soprattutto a livello locale, le politiche integrate per la gioventù (quelle che gli anglosassoni chiamano «informal education policies»), hanno subito una altrettanto significativa riduzione.

1995-4-44


Le principali fonti di finanziamento delle politiche per la gioventù derivano dai progetti di prevenzione relativi al Dpr 309/90 (Testo unico in materia di droga e tossicodipendenza) e alla legge 216/91 (Primi interventi a favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose), e anche l'attività sviluppata dagli Enti Locali viene sostenuta in gran parte da tali fonti. Complessivamente il volume delle risorse disponibili relative alle sole attività di prevenzione, a carattere generale, rivolte ai giovani ha subito decremento (si può stimare per il 1993 una quota di circa 150 miliardi all'anno, complessivamente insufficiente, se la si pensa destinata a sostenere tutti gli interventi a favore dei giovani). Si è, in particolare, sensibilmente ridotto il finanziamento diretto, da parte degli enti locali, a pro- getti giovani e adolescenti; e ciò nonostante il numero delle iniziative sia notevolmente cresciuto: si pensi che i centri Informagiovani sono passati dai 120 del '90 ai 313 del '94. Va inoltre tenuto presente che nella scuola, per quanto riguarda i Progetti Giovani e Ragazzi 2000 (anch'essi finanziati esclusivamente dal Fondo Nazionale per la Lotta alla Droga) diminuisce la quota pro capite destinata ai giovani a causa dell'aumento del numero di progetti e partecipanti, a fronte di una quota di risorse sostanzialmente costante.
Si tratta, in buona sostanza, di una molteplicità di segnali che evidenziano alcuni aspetti qualitativi del disimpegno della società nei confronti delle giovani generazioni:
- si conferma e, per certi versi si amplifica, il carattere emergenziale degli interventi rivolti all'universo giovanile, come evidenzia la natura delle fonti di finanziamento;
- si riduce il volume degli investimenti degli enti locali e la spesa media per progetto, impoverendo così sistematicamente la delicata rete di iniziative, servizi e progetti, che negli ultimi anni sono venuti maturando in ambito locale.
Alla base di tutto ciò stanno sicuramente alcune lunghe derive di trasformazione che interessano non solo il nostro paese:
- la diminuzione progressiva del peso demografico della componente giovanile all'interno del corpo sociale, che sposta l'attenzione verso i segmenti adulti ed anziani, elettoralmente più premianti;
- la riduzione del conflitto intergenerazionale e la sua progressiva industrializzazione, che riduce la visibilità dei giovani in quanto massa socialmente antagonista;
- l'instabilità elettorale e politica che rende i giovani una categoria assai poco permeabile al marketing elettorale.
In altre parole, i giovani non costituiscono più un problema, né in termini quantitativi (mentre non è possibile eludere la questione anziani), né dal punto di vista dell'ordine sociale, tanto meno quali portatori di valori conflittuali, ed una società distratta e superficiale sembra sempre più orientata a rimuovere le proprie responsabilità verso le giovani generazioni.