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    I Quaderni

    dell'animatore


     4. LA SPIRITUALITÀ

    DELL'ANIMATORE

    Antonio Martinelli

    INDICE

    1. INTRODUZIONE

    1. 1. Una prima riformulazione di spiritualità

    1.2. La spiritualità che si affaccia sul versante «cultura»

    1.3. La spiritualità che incontra le istanze dell’ «animazione»

    2. IL PANORAMA SPIRITUALE CONTEMPORANEO

    2. 1. Spiritualità degli intervalli

    2.2. Spiritualità dell’intenzione

    2.3. Spiritualità di consacrazione del mondo

    2.4. Spiritualità della liberazione

    2.5. Un primo bilancio e il «vero nodo»

    3. RIFORMULAZIONE DI ALCUNI TEMI TEOLOGICI

    3. 1. Una comprensione della chiesa che ispira una spiritualità dell’’animazione

    3.2. La «chiesa locale» è sulla misura dell’uomo quotidiano

    3.3. Evangelizzazione e animazione

    3.4 Una riformulazione del sacerdozio che faccia spazio ai laici

    4. INCARNAZIONE E SPIRITUALITÀ DELL’ ANIMAZIONE

    4. 1. L’incarnazione: la riconciliazione per eccellenza

    4.2. L’incarnazione testimonianza a sacramento della vocazione dei figli

    4.3. Aspetti di spiritualità legati all’incarnazione

    4.4. L’incarnazione criterio per la valutazione di una proposta di spiritualità

    5. LA SPIRITUALITÀ DELL’ANIMATORE

    5. 1. Premessa

    5.2. Gli atteggiamenti «speciali» di ogni animatore

    5.3. Gli atteggiamenti «credenti» dell'animatore

    ‑ Fede: capacità di reinterpretare gli eventi

    ‑ Speranza: capacità di «penetrare» l’invisibile

    ‑ Carità: spirito di servizio

    5.4. Espressioni tipiche della spiritualità dell’animatore

    6. UNA CONCLUSIONE CHE APRE AD ULTERIORI APPROFONDIMENTI


    Il difficile compito che i “quaderni dell'animatore” si sono assunti è ripensare dentro l'attuale trapasso culturale tutto ciò che riguarda l'animazione e la educazione delle nuove generazioni alla fede.
    Nel condurre avanti tale progetto si venuto progressivamente a mettere in luce il ruolo particolare dell'animatore in quanto testimone di una memoria culturale e religiosa che è il luogo decisivo in cui le nuove generazioni possono dare un nome a se stessi, alle cose, ed al mondo in cui vivono.
    Molto del nostro discorso sull'animazione passa allora nella riformulazione della “ testimonianza” culturale e religiosa che l’animatore è chiamato a dare e che richiede di vivere in prima persona la sofferenza di dare alla luce un uomo che sappia vivere in un tempo di “ vita quotidiana”.
    Dell'animatore come persona/testimone si è già parlato, dal punto di vista antropologico, nel Q2 “La maturità umana dell'animatore “. In questo quaderno si parla invece della sua spiritualità. Per spiritualità si intende quel modo di vivere la “vita quotidiana” che dal di dentro si schiude alla presenza del Signore della vita e, conquistato dalla causa del Regno di Dio come causa della pienezza di vita fra gli uomini, sente di dover inventare un nuovo stile di vita che sia segno della presenza dello Spirito nel nostro tempo.
    Come arrivare a delineare questo nuovo stile di vita?
    Il procedimento è ancora una volta di tipo ermeneutico:
    - alla luce delle istanze di oggi si ricerca nell’esperienza delle passate generazioni dei punti di riferimento e dei semi di spiritualità;
    - alla luce delle spiritualità del passato si giudica l'oggi e si rivendica il dovere di “cambiare” per vivere secondo lo Spirito dentro questo tempo.
    In questo “circolo ermeneutico” vengono dunque ad incontrarsi, reciprocamente, le domande di un animatore che vuole incontrare Dio «dentro» la sua attività e non ai margini; la memoria evangelica che è norma di ogni spiritualità dei secoli; gli stimoli delle generazioni cristiane che ci hanno preceduto e che hanno dato vita a originali modelli di spiritualità, incarnati in coloro che chiamiamo «i santi».
    Questo quaderno è cosi una sorta di crogiolo in cui vengono a macerare insieme i contributi di altri quaderni, riunificandoli attorno alla spiritualità dell'animatore.
    Ricordiamo in particolare i quaderni 5/6 dedicati all'animazione culturale, il Q3 dedicato ai temi teologici su cui costruire ogni attività di animazione, il Q 7 che pone le basi per un modo, di educare alla fede nella logica di fondo e nello stile operativo dell'animazione.
    Volutamente, nelle pagine che seguono, prima di offrire una descrizione della spiritualità in termini di atteggiamenti e comportamenti minimali, ci si preoccupa di educare il lettore ad un modo di procedere per dare corpo ad una parola cosi affascinante come «esperienza di Dio oggi». In questo, forse, sta il pregio maggiore del quaderno.
    Le stesse indicazioni dell'ultimo paragrafo, più che una serie di "regole", sono un forte invito ad andare oltre, a riscrivere, in situazione come l’animatore è chiamato a vi vere da credente.
    Non è questa una esaltazione dell'effimero, ma un invito alla fedeltà allo Spirito nel decifrare i messaggi delle cose e i segni dei tempi. La spiritualità rivela allora la sua vera natura dinamica, di movimento, di cammino, di faticoso ma affascinante riscrivere - come dice il titolo di un famoso libro di M. Pomilio il «quinto evangelio». Siamo di fronte ad un dato prezioso per passare dalla spiritualità dell'animatore a quella dei giovani oggi, i quali tutt'altro, che limitarsi a fare proprio lo stile di vita del loro animatore, sono chiamati a scrivere un vangelo che ancora non esiste.


    1. INTRODUZIONE

    Il tema della spiritualità può essere affrontato da vari angoli visuali. Tanti parlano di spiritualità. Nell’insieme del progetto dei “Quaderni dell'animatore” il discorso della spiritualità ha riferimenti necessari è indispensabili.
    Il primo è l’animazione.
    Si tratterà di parlare di spiritualità in modo coerente con tutta la presentazione offerta nei diversi quaderni.
    Il secondo è la cultura.
    L’animazione di cui i quaderni trattano è qualificata come “culturale”, sia perché costruisce cultura, sia perché si inserisce nel vivo del movimento culturale del tempo.
    C’è allora un trinomio inscindibile da tener continuamente presente: cultura, animazione, spiritualità.
    Mi muoverò perciò nell'ambito di una formulazione attenta alle istanze culturali e alla figura c compiti che sono propri di un animatore di gruppi giovanili ecclesiali.

    1.1. Una prima riformulazione di spiritualità

    La domanda iniziale che s'impone è: «che cosa è spiritualità?» ..
    Racconta Mario Pomilio nel suo Quinto evangelio: «Rideva un pagano dei cristiani perché osservavano un solo libro. Ma un santo Vescovo che l’aveva udito, gli contò questa novelletta.
    Una volta un dottore incontrò Cristo Gesù: 'Signore, io so bene che tu fosti il Messia e quel che pronunziasti è pieno di sapienza. Ma come può essere che un sol libro basti in eterno a tanta gente?' Gli rispose: 'Egli è vero quel che dici. Ma tu sai che il popolo mio lo riscrive ogni di'».
    Pomilio ha intuito una verità fondamentale del cristianesimo: ad esser cristiani s'impara. Ogni generazione ha da inventare, animata dallo Spirito, la sua fede riscrivendo l'unico evangelo che è lo stesso Gesù.
    Di colpo si fa giustizia di una quantità di scelte e di atteggiamenti che impropriamente vengono definiti «spirituali»: sono invece forme riduttive e devianti. Mi riferisco a quell'insieme di pratiche o di attività che pullulano accanto alla vita, senza minimamente toccarla nel vivo perciò senza condizionarla e cambiarla.
    Fare spiritualità è fare esperienza di Dio: un itinerario di spiritualità è una progressiva ricerca di identità cristiana, e un itinerario per educare alla fede.
    Spiritualità, identità cristiana, santità sono realtà che si intrecciano profondamente fino ad identificarsi.
    La spiritualità come esperienza di Dio nel contesto della propria vita, inserita nel più ampio orizzonte della storia, non divide in categorie, non crea separazioni, non innalza steccati, non discrimina in cristiani di serie A e cristiani di serie B: interessa ed impegna tutti, singolarmente e come gruppi.
    Spiritualità è ricomprensione e riorganizzazione dei personali sistemi di significato, operata a partire da una decisione esistenziale per Gesù Cristo e per il suo progetto di vita».
    Non c'è, dubbio: siamo di fronte ad una riformulazione, non verbale ma reale, della spiritualità.

    1.2. La spiritualità che si affaccia sul versante «cultura»

    Il momento in cui si trovano a vivere i nostri giovani, e tutti noi adulti, può essere chiamato con nomi diversi.
    È detto tempo di secolarizzazione, perché si vive prescindendo da ogni riferimento religioso; oppure epoca di apocalisse culturale, in quanto l’uomo, povero e disarmato, si trova a confrontarsi con un susseguirsi di problemi che sembrano togliergli il respiro; con una metafora potrà essere definito il tempo del pensiero debole: si esprime cosi un modo di dire provvisorio, forse anche contraddittorio in cui la debolezza è necessità, è limitazione, è resa incondizionata.
    Emerge sempre l’istanza di una nuova qualità di vita; e qui la spiritualità gioca tutte le sue possibilità.
    È evidente la riscoperta della vita: vita è l'amicizia che rinasce, vita è la felicità piccola e ingenua, vita è la consapevolezza della propria corporeità, vita è il quotidiano.
    L'affermazione della riscoperta della vita porta dentro di se due altre significative esigenze: la valorizzazione della propria soggettività e il bisogno di fare esperienza, perché ci si senta crescere e vivere. Quel «tu sai che il popolo mio lo riscrive ogni dì», riportato da Pomilio, esprime bene sia la centralità e la prevalenza della persona sulle norme, sui valori, sulle leggi; sia la centralità della vita quotidiana e l’esigenza di un approccio esperienziale.
    La spiritualità che si affaccia sul versante della cultura non resta minimamente inquinata, anzi e provocata a ripensare i suoi contenuti e a riformularsi continuamente, mentre offre orientamenti che la stessa cultura non potrà ignorare.
    La spiritualità che non perde i collegamenti con la vita aiuta a superare la tentazione continuamente ricorrente nella riflessione è nella pratica, di sentirsi estranea alla storia degli altri uomini è costretta perciò a vivere una doppia difficile appartenenza. Si può ricomporre l’unità.
    Nessuno ignora i rischi di una tale scelta, ma è necessario imparare ad assumere il rischio di costruire insieme a tutti gli altri uomini la storia comune.
    In fondo è un'operazione di vera ecologia spirituale.
    «L’ideale cristiano non è, la principessa inviata in esilio che aspira a tornare in patria; è Abramo che si mette in cammino verso un paese sconosciuto che Dio gli mostrerà» (J. Hézing).

    1.3. La spiritualità che incontra le istanze dell' «animazione»

    Il progetto di animazione come risulta dai quaderni di NPG è sostenuto e guidato da una serie di scommesse che lo qualificano e lo contraddistinguono da progetti nati in altri ambiti. Non ripercorro tutto il cammino dell'animazione, ma presento solo alcuni aspetti più significativi.

    1.3.1. La scommessa dell'educazione

    La prima scommessa del progetto è sull'educazione. Una scommessa variamente motivata.
    C’è innanzitutto una situazione di reale difficoltà, oggi, per i giovani, per inserirsi nel contesto sociale attuale.
    Essere giovani significa per molti vivere nella precarietà, essere sottoposti a pesanti condizionamenti, non avere prospettive sufficienti di sviluppo armonico: in altre parole una vita non piena ma limitata.
    Mettersi a disposizione della loro educazione risulta essere perciò una necessità per tanti giovani.
    Ai condizionamenti esterni si aggiungono gli altri, interni alla loro storia e alla loro vita. Il contesto sociale non dà loro alcun aiuto. Il contesto psicologico non e capace di modificare i rapporti di forza in cui sono inseriti. Cosi soli non riescono a dar origine ad una nuova cultura: mancano di proposte originali. Da qui l’importanza che acquista per loro l'intervento educativo.
    Parlare di spiritualità con i giovani, partendo da questa situazione, è operare per una consapevolezza e responsabilità che faccia crescere in loro una più ricca soggettività.
    Una terza motivazione sostiene la scommessa educativa.
    Il rinnovamento della società e la esigenza di protagonismo, la ricerca della gioia di vivere e la possibilità di realizzarla, potrebbero ricorrere a diverse soluzioni: l'animazione ama credere che l’educazione è capace di rigenerare i singoli e i gruppi umani.
    Si tratta anche di una rigenerazione spirituale. Dalla vita riconquistata alla pienezza di vita e al Signore della vita il passaggio è possibile, proprio attraverso l'educazione.
    La scommessa sull'educazione non si ferma così prima della soglia del rapporto con Dio, ma ci entra con forza: ha un suo particolare contributo da offrire all'esperienza di fede. Entra a buon diritto in un progetto di spiritualità.
    In conclusione: la spiritualità di chi fa animazione non può fare a meno di rivestirsi della logica educativa.
    Questa affermazione, o meglio questa scommessa rilancia in una direzione precisa il discorso: la figura dell’animatore e la sua spiritualità.

    1.3.2. La scommessa dell'animatore

    L’animazione e l'animatore all’opera.
    Perché chiamato ad essere un militante, un tecnico, un testimone, dovrà curare alcune attenzioni interiori ed esprimere alcuni particolari servizi che investono pienamente l’esistenza di una persona e la vita di un credente.
    Definire l’animatore un militante significa richiedere da lui che si senta coinvolto in prima persona nell’attività che svolge; che non si senta un mestierante, ma sappia assumere la causa della crescita della vita presso i suoi destinatari.
    È tecnico: l'animatore è un conoscitore dei processi personali capaci di risvegliare la coscienza di sé e della propria responsabilità; un conoscitore dei processi di coinvolgimento comunitario perché ciascuno senta e viva l’appartenenza al gruppo di cui fa parte, evitando ogni forma di isolamento e di autosufficienza; conoscitore dello sviluppo di progetti, capace quindi di farli funzionare in vista degli obiettivi da raggiungere.
    In quanto testimone si vuole che la militanza sia vissuta come un fatto di testimonianza. Cioè sappia vivere con vigilanza interiore continua, per evitare cadute di speranze e di entusiasmo nelle difficoltà che ogni rapporto educativo non fa mancare; e sappia comunicare l’esperienza di vita cristiana, i valori culturali in modo che diventi segno per i giovani.
    Quale stile di vista cristiana avrà allora un animatore?


    2. IL PANORAMA SPIRITUALE CONTEMPORANEO

    Non si tratta di un'enciclopedia della spiritualità in miniatura. Intendo invece descrivere in forma rapida, ma sufficiente per la comprensione dei dati, le cosi dette scuole di spiritualità che sono pia facilmente rintracciabili nella prassi giovanile.
    Un'osservazione preliminare è necessaria: nella descrizione delle diverse o spiritualità» non mi pongo in modo neutrale, quasi che l'una scelta valga l'altra. Per questo osserverò di volta in volta quanto credo non risponda in modo coerente alla scelta di tener sempre unito il trinomio iniziale: spiritualità cultura animazione.
    La differenza tra le varie scuole di spiritualità trova un criterio di valutazione molto significative, nel modo di rapportarsi della proposta alla realtà di quella parte di mondo che amiamo definire profano.

    2.1. Spiritualità degli intervalli

    Alcuni principi orientano questa scelta.
    In primo luogo, il presupposto che il fulcro della preghiera sia unicamente il raccoglimento. Quest'ultimo inteso come separazione dalle attività, dalla concretezza, dalla preoccupazione quotidiana distraente. Si creano perciò nella giornata i tempi della preghiera contro e in difesa dai momenti di attività di lavoro, che allontanano dall’incontro con Dio.
    Un secondo principio: dobbiamo imparare a fare come i cammelli, che immagazzinano l’acqua necessaria per la traversata del deserto della vita quotidiana, se si vuole essere certi di arrivare in fondo alla propria strada è non rimanere nell'aridità.
    La vita si suddivide perciò in momenti di ricarica e in momenti di dispersione di energie e di forze accumulate altrove. E questo altrove accompagna continuamente, creando dentro di sé quella dannosa nostalgia dell’altrove che spezza l'esistenza in due blocchi, situando la persona dall'una o dall'altra parte della soglia del tempio. Posizione molto scomoda, perché produce un'ansia continua e una ricerca affannosa dell'equilibrio, mai raggiungibile.
    Si vive il momento del raccoglimento nella distrazione delle urgenze delle attività salvifiche. La carità che urge sembra vanificata dall'inazione e dall'intempestività. Si vive il momento dell'operosità nel disagio dell'autosufficienza e della mancanza di generosità nei confronti del Signore, avvertito come il grande dimenticato a vantaggio dei fratelli che hanno bisogno di presenza di solidarietà.
    La vitalità spirituale ha certamente bisogno di ritmi, di tempi forti, di intervalli consacrati a Dio solo, in modo del tutto speciale. Tutto ciò e indiscutibile, è possibile, è anche talvolta necessario.
    Ciò che è meno convincente è pensare questi intervalli come la realtà unica capace di dare significato alla totalità della vita.
    Questa invece deve avere valore nel suo insieme, per se stessa, e soprattutto nella parte profana che è la maggiore. Gli «intervalli» da soli non sono costitutivi del valore spirituale di una vita.
    Questo fa concludere che non è rispettoso della vita e della cultura in cui ci troviamo inseriti un orientamento spirituale che si arrabatti a trovare Dio solo negli intervalli.

    2.2. Spiritualità dell'intenzione

    «Ciò che più conta è la intenzione retta, la buona intenzione, la buona volontà!»: quante volte espressioni simili hanno guidato la vita e l’attività dei credenti.
    C’è nella spiritualità dell’intenzione una parte enorme di verità. Esalta con ragione la funzione iniziale e fondamentale dell'intenzione che è veramente - e non bisogna stancarsi di ripeterlo - la chiave d’oro che apre il nostro mondo interiore alla presenza di Dio.
    Ha avuto e continua ad avere un significativo valore dottrinale il riferimento ad essa.
    Spiega perché anche un'azione senza un motivo etico esplicito può avere valore etico o perché, nel cristianesimo, può essere soprannaturalmente meritoria, senza che si pensi al buon Dio.
    Tutto questo però non spiega perché si verifichi così: è il punto da chiarire e approfondire.
    Una teologia spirituale tradizionale affermava che elementi decisivi erano l'intenzione di servire Dio e il prossimo, e l'unione amorosa con lui, qualunque tipo di lavoro si compisse e qualunque condizione socio-economico-politica si vivesse nel concreto.
    Su quest'ultimo aspetto sono nate molte critiche.
    Non pare assolutamente accettabile una spiritualità che cerca di ricuperare tutto sul piano della purezza intenzionale, accettando senza ripensamenti c contestazioni qualunque situazione.
    Bisogna riconoscere che l'intenzione non può cambiare in oro il piombo. Una spiritualità dell'intenzione soggettiva pura non appare pia sufficiente sotto il profilo umano e cristiano, quando sia disgiunta dall'impegno effettivo, individuale e comunitario, di umanizzazione dell'ambiente di lavoro e di superamento delle matrici presso cui l'alienazione ingiusta si alimenta.
    Le ragioni di critica sono diverse. Le elenco, in modo rapido. Valorizzando l'attività umana con la sola intenzione che si immette dal di fuori, si rischia di ridurre l'attività, per esempio il lavoro professionale, ad una pura e semplice occasione per esercitare l'intenzione, e in questo caso l'intenzione religiosa.
    Inoltre significa tradire la vera struttura dell'attività lavorativa e in più correre il rischio di tremende ambiguità. Per esempio di credere che il valore dell'attività e in proporzione della fatica che si e chiamati a sopportare e che inevitabilmente implica. È una strada molto pericolosa.
    È implicito il non riconoscimento dell'attività in se stessa, del suo aspetto umano, del reale valore che l'azione ha con sé, senza bisogno di altre aggiunte.
    L’insistenza eccessiva sull’intenzione rischia di dare poca importanza alla professionalità nella vita del singolo c delle comunità.

    2.3. Spiritualità di consacrazione del mondo

    Partendo da un testo conciliare e soprattutto da alcune sensibilità emerse durante i lavori del Concilio e con riferimento agli studi del Congar, ha preso forma una spiritualità della consacrazione del mondo.
    Nella vita concreta ha assunto due particolari modalità, che descrivo brevemente.

    2.3.1. L'uomo sacerdote del creato

    L'uomo nel suo essere creaturale e nella sua realtà di credente è visto come il sacerdote della creazione. Stabilito al centro delle realtà profane e materiali, proprio, in qualità di sacerdote universale della creazione, si sente responsabile di offrirla a Dio, in gesto di adorazione e di omaggio, e di farla così ritornare alla sua prima sorgente.
    Facciamo un esempio. La natura, uno stupendo tramonto, la notte stellata sopra il proprio capo, perché sprovvisti di coscienza, da soli non potrebbero esprimere la lode e la gloria al loro Creatore. Contemplati dall'uomo e presenti alla sua coscienza e introdotti nel ritmo della sua esistenza, lo spingono ad esprimere quella lode che non è loro possibile. Sacerdote della creazione e fatto voce di ogni creatura, l'uomo esultante canta il suo Signore. La realtà e così sottratta alla profanità, è rivestita di religiosità.
    Il compito, perciò, dell'uomo credente sarebbe quello di trasformare la totalità del mondo dentro la propria vita, per offrirlo conseguentemente a Dio.
    Non si può negare una carica di spiritualità presente nella proposta così formulata.
    Si possono però presentare alcuni rilievi che impongono un ripensamento della proposta.
    Resta difficile pensarla al di fuori di quanto è stato affermato circa la spiritualità dell'intenzione. Ritornano perciò tutti gli interrogativi precedenti non risolti. C’è inoltre da dire che si ricava l'impressione di una subordinazione dell'uomo al creato, quasi che la sua finalità primaria sia quella di consacrare il mondo. Semmai è da fare un discorso totalmente capovolto: nel senso cioè che non è l’uomo chiamato a consacrare il mondo, bensì il mondo è dato perché l’uomo sia consacrato. Non è importante una consacretio mundi quanto una consacretio hominis. In parole più povere, c'è da dire che è indispensabile imparare a vedere il mondo e tutte le sue realtà con lo sguardo della fede, cioè con una teologia rinnovata delle realtà terrestri.

    2.3.2. Il credente operatore di vangelo

    C’è una seconda modulazione della proposta. La formula usata è un po' diversa, perché nata in altro ambiente.
    Consacrazione del mondo è tradotto con: penetrare di principi cristiani e di forti virtù naturali e soprannaturali l’immensa sfera del mondo profano.
    Comporta in pratica due attenzioni: la prima è la creazione di un clima in cui si respira il Vangelo con le sue esigenze e prospettive; la seconda è immettere nel lavoro che si compie direttamente questi principi cristiani e forti virtù umane e soprannaturali.
    Se la prima esigenza è facile a compiersi, nonostante le reali difficoltà che si incontrano nella vita per esprimere compiutamente il Vangelo, e riguarda in effetti tutti i credenti, non si vede come sia possibile immettere in tutto i principi cristiani e le forti virtù umane e soprannaturali, dal momento che non tutto può essere recettivo di ciò. E non tanto per cattiva volontà, quanto perché sembrerebbe senza significato un discorso del genere riportato, per esempio, al campo della matematica. Che cosa significa praticamente penetrarla di principi cristiani e di forti virtù umane c soprannaturali?
    Mi sembra ancora una volta che il problema reale resti quello di cogliere il valore c il significato spirituale di tutte le nostre attività, anche di quelle cosi dette profane, indipendentemente da considerazioni esterne c supplementari, ma penetrando invece il loro tessuto profondo.

    2.4. Spiritualità della liberazione

    La spiritualità della liberazione nasce in un contesto di presa di coscienza delle molte oppressioni che l'uomo subisce nel mondo contemporaneo. Sono oppressioni di tipo politico, sociale, economico, di comunicazione di massa ecc. È diffusa nel nostro tempo una cultura del potere oppressivo e della violenza palese od occulta.
    L'unica reazione possibile è suscitare coscienza, offrire occasioni di libertà, allargare gli spazi in cui la persona possa esprimere il più profondo di se stessa e la ricchezza più consistente della propria vita, creare le condizioni per una reale liberazione di tutti gli uomini e di tutto l'uomo.
    La liberazione è il banco di prova di un'autentica spiritualità della libertà, della sua capacità o incapacità di farsi carico dei condizionamenti ad essa posti e di impegnarsi a farli superare.
    Il ricorso alla storia dell’uomo descritta nella Parola di Dio utilizza i grandi fatti dell’esodo, della costituzione del nuovo popolo di Dio, dell’ingiunzione a vivere pienamente il comandamento dell'amore, a saper tradurre nell'esistenza quotidiana l'indicazione paolina di comportarsi da persone libere con la libertà che Cristo ci ha conquistato.
    Qui soprattutto si rivela determinante la saldatura tra spiritualità e vita, tra liturgia e impegno nel mondo.
    Sono nate così le varie scuole di teologia della liberazione. «La forte, quasi irresistibile aspirazione dei popoli ad una liberazione costituisce uno dei principali segni dei tempi che la Chiesa deve scrutare e interpretare alla luce del Vangelo: (cf Istruzione della S. Congregazione della dottrina della fede su «Alcuni aspetti della teologia della liberazione»).

    2.4.1. Alcuni atteggiamenti di fondo

    La spiritualità della liberazione è costituita da alcuni atteggiamenti fondamentali:
    - conversione al prossimo oppresso: la liberazione è attenta a sradicare il male, il peccato dal cuore dell'uomo-fratello, ma è anche preoccupata di eliminare e di trasformare le strutture ingiuste, che sono il segno del peccato.
    La carità diventa impegno politico;
    - celebrazione storica del mistero pasquale: la finalità cui tendere è la realizzazione di una società nuova e migliore, anche se provvisoria. Il mistero della Pasqua unisce in uno la celebrazione del cuore nuovo dei figli di Dio e la costituzione del nuovo popolo di Dio;
    - gratitudine, gioia, speranza: le promesse del Signore Gesù, la forza e i doni dello Spirito, il sostegno della fraternità assicurano che l'impossibile diventerà possibile. Non solo nell’escatologia ma già ora in seme e nella speranza.
    Incentrare la propria vita su Cristo Salvatore e Liberatore implica necessariamente, prima o poi, anche la trasformazione della prassi di vita della comunità cristiana e delle varie sue strutture ed istituzioni. E un modo pratico di vivere l'ecclesia semper reformanda: non è solo una parola ma è un impegno costante.
    Un tema cosi ricco di stimoli e di conseguenze non va esente da rischi e pericoli reali.
    Un cenno rapido a due espressioni pratiche, di fronte alle quali non si può non essere critici.
    Dalla liberazione dell'uomo all'esaltazione dell'uomo, come criterio assoluto.
    Quando ci si orienta ad una rilettura essenzialmente politica della Scrittura è facile assolutizzare quest’aspetto. «Lo sbaglio non sta nel prestare attenzione ad una dimensione politica dei racconti biblici, sta nel fare di questa dimensione la dimensione principale ed esclusiva, che conduce ad una lettura riduttiva delta Scrittura» (cf. Istruzione, X/5), ma anche ad una visione riduttiva dell'antropologia. Le conseguenze negative si ripercuoteranno sull’uomo, singolo c collettivo.
    Anche un certo modo di considerare lo sviluppo tecnico e le prospettive che esso apre, quando sono assolutizzate portano inevitabilmente a visioni parziali dell’uomo, che non ritrova più la sua vera libertà, ma ritorna ad essere schiavo degli stessi prodotti delle sue mani.

    2.5. Un primo bilancio e il «vero nodo»

    Riprendendo il discorso iniziale delle prospettive delta spiritualità, va riaffermato che il trinomio spiritualità/cultura/animazione non va separato, ma costantemente tenuto unito.
    Il problema è di riuscire a comporre le esigenze diverse che derivano da ciascun elemento, facendole interagire tra loro.
    Viviamo un trapasso culturale.
    Molte evidenze precedenti sono state travolte. Nessuno può negare lo smarrimento. A livello religioso, Dio e stato scacciato dall'universo oggettivo desacralizzato, profano e autonomo. Nell’impossibilità di vivere senza Dio, si pensa di poterlo incontrare nel tabernacolo della propria interiorità.
    Nasce cosi una spiritualità dell'intimismo, perché sembra essere l'ultima spiaggia capace di ospitare la presenza di Dio.
    Se da una parte offre la certezza che nulla può private pia del proprio Signore, dall'altra espone a gravi rischi.
    Denuncio innanzitutto il pericolo di vivere una doppia esistenza. C’è un modo interiore di comportarsi che gode e si adatta a Dio e a tutte le sue esigenze, che ciascuno impara a ritrovare in sé e da se solo; e accanto e fuori dell'interiorità vive un mondo completamente diverso e non sottoposto alle esigenze di Dio.
    Abituarsi a vivere così conduce, lentamente e inesorabilmente, ad una forma di «ateismo» pratico, tanto a livello personale, quanto a livello collettivo. Non e difficile che lo sdoppiamento si trasformi in negazione pratica delta presenza e dell'opera di Dio, al di fuori delta propria intimità.
    Senza condannare nessuno, senza vivere complessi di superiorità, i credenti hanno oggi un compito particolare, nel contesto religioso contemporaneo: ricercare una nuova sintesi.
    «Il più grande ostacolo che gli uomini d'oggi incontrano sul cammino della fede è la mancanza di nesso che credono di costatare tra la fede in Dio, ossia la prospettiva del suo regno, da una parte, e l'uomo e l'opera terrena dall’altra. È urgente vedere e mostrare il rapporto intimo che queste realtà hanno l'una con l'altra. In questo può consistere la risposta positiva più efficace ai motivi di incredulità moderna» (Y. Congar).
    Su un altro versante, motivato ancora dalla crisi da trapasso culturale, si è dato vita ad una spiritualità di salvataggio e di aggressività, perché non andassero perduti il sacro e la religione nel mondo moderno.
    Fino ad oggi la presenza operativa ed efficace del sacro e della religione ha potuto contare su due mediazioni: la società cristiana e la mentalità religiosa. Una serie di strumenti e di strutture di tipo civile servivano per custodire e per esprimere, all'estremo, le ricchezze del sacro e le esigenze delta religione. Venute meno queste mediazioni per un diffuso pluralismo e per una desacralizzazione delta vita e delle attività, non rimaneva altra possibilità, in difesa dei nuclei di cristianità ancora presenti nella società civile, che la utilizzazione delle risorse stesse del mondo moderno c delle sue strutture, oppure la rifondazione di istituzioni e di attività qualificate con l’esplicita denominazione di cattoliche.
    Una guerra destinata a salvare la cristianità dall'invasione profana e a mantenere a ogni costo schemi sociologici e culturali ritenuti indispensabili alla conservazione delta fede non può assolutamente essere chiamata guerra santa, anche se si invoca la fede per suscitare, all’occasione, autentici martiri. Si ricava l’impressione che in questo genere di guerra di difesa, la fede sia invocata per interessi non sempre evangelici ed autentici.
    Ricercare una nuova sintesi è il compito che il mondo contemporaneo affida ai credenti.
    L’animatore in quanto uomo di azione è interessato direttamente c in modo personale al problema.
    Dove ritroverà le coordinate che rispetteranno le esigenze delta spiritualità-cultura-animazione?


    3. RIFORMULAZIONE DI ALCUNI TEMI TEOLOGICI

    Non si tratta di fare ad ogni costo una teologia dell'animazione: abbiamo vissuto un momento in cui sono state inflazionate le cosi dette teologie del genitivo. Non c'e bisogno di teologizzare ogni cosa. Ma rimane il problema di dare fondamento alle intuizioni c alle istanze dell'animazione: dare fondamento attraverso una rilettura di temi squisitamente teologici, illuminati però dalla realtà dell'animazione. Un'operazione del genere risulta vantaggiosa ai due concorrenti: teologia e animazione.
    Ne avvantaggia la teologia perché rivisita temi tradizionali con Cocchio rivolto a situazioni nuove e ad esigenze che la teologia non saprebbe altrimenti come inserire nel proprio orizzonte.
    Ne avvantaggia anche l’animazione perché rivede alla luce del procedimento teologico l’orizzonte e gli impegni che la definiscono.

    3.1. Una comprensione della chiesa che ispira una spiritualità dell'animazione

    Il Q3 di Luis Gallo: L'orizzonte ultimo dell'animazione: l’amore alla vita e la causa del regno, offre già sufficienti spunti di considerazione.

    3.1.1. Tra il già e il non ancora

    Richiamo qui, però, altri aspetti: particolarmente tre.
    Il primo: La chiesa tra il già e il non ancora.
    Un modo tradizionale di parlare della Chiesa la equiparava a Regno di Dio già pienamente compiuto, riferendosi così all’opera salvifica del Cristo.
    Oggi si insiste, e giustamente, sul cammino da percorrere e sull'ancora che attende c ricerca il suo compimento attraverso la vita degli uomini e l’insieme della storia.
    La chiesa è in cammino, è in costruzione, è avviata alla realizzazione totale e definitiva.
    In questo c'è la radice di ogni intervento di animazione.
    Una chiesa già Regno compiuto qui, o tutto da compiere nell'aldilà, assumerebbe subito un atteggiamento rinunciatario e dimissionario nei confronti del compito che ha tra gli uomini, e non per sua scelta, ma per mandato del Cristo.
    Sarebbe una chiesa senza spinta e senza ragioni sufficienti per superarsi.
    Sarebbe una chiesa con la preoccupazione fondamentale di far entrare gli altri nel suo seno, di salvarli, di intervenire perché si adeguino alle sue prospettive.
    Una chiesa estatica nella contemplazione di sé non sarebbe portata a sentire come suo il compito di animazione.
    Una chiesa invece che si va costruendo e riconosce la sua provvisorietà assume atteggiamenti che riempiono una spiritualità, qualificandola con aspetti impegnativi e significativi, coerenti con la sostanza dell'animazione.
    Avremo cosi una spiritualità del seme, della ricerca, della missione, dell'azione.
    Non determino ulteriormente questi aspetti che saranno ripresi in seguito.

    3.1.2. Nel segno del servizio

    Il secondo: una chiesa a servizio del mondo nella logica del «dare-ricevere»..
    Un vecchio modo di parlare della Chiesa evidenziava i suoi «diritti» di fronte agli uomini, anche perché si presentava come tutelatrice dei «diritti di Dio».
    Oggi tutta la tematica dell'autorità è posta sotto il segno del servizio.
    Parlare della Chiesa come «serva» è ormai, a livello verbale, un fatto acquisito.
    Non sempre si riesce a vedere chiaramente le conseguenze operative che derivano e gli atteggiamenti esistenziali che sono richiesti.
    Chiesa-serva comporta mettere in evidenza due atteggiamenti determinanti ai fini dell'animazione: la capacità della Chiesa di mettersi in ascolto degli altri, e la scelta di occupare il secondo posto.
    È la rinuncia ad ogni forma di potere; è l'abbandono della certezza di essere un assoluto per radicare l'altra di essere strumento e inizio, cioè sacramento. Il concilio ha percepito tutto ciò e lo ha espresso nella maniera più semplice ed immediata. Nella costituzione pastorale Gaudium et Spes (n. 40-44).
    L'interesse non è volto unicamente a quanto la Chiesa dà, ma anche a quanto la Chiesa riceve.
    Si pongono così le basi per una spiritualità della fiducia, dell'accettazione dei dono degli altri, della valorizzazione dell'umano e della vita ovunque si trovi, della responsabilità vicendevole, della capacità educativa come espressione del proprio essere sacramento di altra realtà.
    L'animazione coglie i valori presentati come esigenza ed impegno in tutti i suoi interventi e ad essi si ispira.

    3.1.3. Quali segni dello Spirito?

    Il terzo: alla ricerca dei «segni dello Spirito» antecedenti il Cristo. Un modo tradizionale di parlare della Chiesa metteva in evidenza unicamente il suo rapporto con il Cristo Signore, trascurando o almeno sottacendo tutta un'altra serie di rapporti che la Chiesa ha con il Padre e lo Spirito Santo. Il concilio ancora una volta ha saputo guardare lontano e ha parlato della Chiesa riportando una parola espressiva di san Cipriano: «La Chiesa universale si presenta come un popolo che deriva la sua unità dall'unità dei Padre, dei Figlio e dello Spirito Santo» (LG 4). L'Ecclesia de Trinitate è in un certo senso più ampia e più ricca, perché la apre ad una molteplicità di relazioni che non restano senza conseguenze anche su piano della pratica quotidiana.
    Tutto ciò significa che per la comprensione della Chiesa non ci si può fermare a cogliere il rapporto Chiesa-Cristo. Conseguentemente neppure il rapporto Chiesa-mondo va considerato su un solo livello, ma bisogna farlo allargare ai tre livelli del Padre, del Figlio e dello Spirito. Cioè il discorso della salvezza si allarga a raggiera e obbliga la Chiesa a confrontarsi con tutti i segni salvifici che si trovano nella storia e nel mondo. Segni che sono anche precedenti alla presenza del Cristo Salvatore e che vivono per opera dello Spirito anche nelle profondità più nascoste.
    Parlando della spiritualità queste sottolineature diventano esigenze di pluralità, di accoglienza di tutto quanto esprime vita anche appena iniziale, di attenzione alla storia che si va facendo, al confronto con tutti gli altri, di sostegno per riuscire ad esprimere quanto si ha dentro ma che non si è riusciti ancora a manifestare.

    3.2. La «chiesa locale» è sulla misura dell'uomo quotidiano

    Parto da due premesse:
    - il Concilio Vaticano Il ha presentato la realtà della Chiesa come realtà analogica. Ciò significa che la realtà della Chiesa si può realizzare in gradi e in modi diversi.
    Si tratterà allora di precisare la radice e le modalità di queste diverse maniere di essere Chiesa.
    La «localizzazione» della Chiesa non avverrà quindi secondo un cliché fisso, ma in modi e per ragioni diverse;
    - il Concilio Vaticano Il ha posto al centro dell'ecclesiologia la Chiesa come mistero, appunto il mysterium ecclesiae. Ciò significa che come centro della Chiesa non si può porre un unico soggetto concreto, capace in se stesso di polarizzare tutto ciò che costituisce la chiesa, al punto da rendere secondari e superflui tutti gli altri soggetti. Ogni soggetto concreto ha sempre i suoi limiti: si parli del singolo cristiano o della gerarchia, di Maria o dei sacramenti. La considerazione misterica della Chiesa genera l'attenzione all'analogia delle realtà ecclesiali, al valore delle singole realtà di chiesa nei confronti del piano di Dio.
    Se la Chiesa è realtà analogica, e se tanto vari sono i modi di realizzare l'ecclesialità, una prima ipotesi potrà essere che dovunque due o tre sono radunati nel nome di Cristo, lì c'è chiesa, lì si realizza il mysterium ecclesiae, qualsiasi forma esterna abbia il radunarsi, qualsiasi precisa modalità assuma il riferimento al nome di Cristo. L'affermazione comporta il riconoscimento del mysterium ecclesiae al di là di quei confini entro i quali conteniamo la realtà chiesa, nel comune nostro linguaggio. Inoltre, il radunarsi in nome di Cristo potrebbe non esigere necessariamente di assumere come criterio adunante ciò che è più specificamente cristiano (la sacralità cristiana, tanto per dire), ma potrebbe avvenire anche in nome di valori culturali assunti nella tradizione e nella chiesa. Si pensi in concreto ai gruppi giovanili. Quale significato avranno nei confronti di una spiritualità?
    L'ecclesialità dei gruppi potrà essere ricercata utilizzando criteri che potremmo definire di tipo giuridico, un po' statici e astratti. In questo caso ci si riferirà:
    - al rapporto con i pastori delle singole chiese locali;
    - all'ascolto della Parola di Dio e alla vita liturgico-sacramentale, che assicuri una dimensione teologale alla vita di gruppo;
    - all'ortodossia dottrinale e alla coerenza della vita-
    - al riconoscimento formale da parte dell'autorità ecclesiastica.
    Oppure ci si potrà confrontare con criteri che diano spazio al mysterium ecclesiae, che si realizza in modo imperfetto e provvisorio in quei valori che anticipano, significano e concretizzano il Regno di Dio. Per esempio la pace, la giustizia, la libertà, il rispetto della persona, ecc.
    Coerentemente si può concludere che la ecclesialità non è da cogliere unicamente nel fare le cose ecclesiali, ma nella capacità di inserirsi in un lento e progressivo processo di maturazione, che dalla iniziale accoglienza della propria vita porta alla confessione gioiosa del Signore di questa vita. Tutto ciò è pane quotidiano per l'animazione. La contestualizza e le offre mille occasioni d'intervento.

    3.3. Evangelizzazione ed animazione

    Un elemento che ha bisogno di ulteriore approfondimento e di una riformulazione alla luce delle istanze tipiche dell'animazione è la evangelizzazione.
    Non si tratta di fare una riflessione completa: è importante però cogliere il senso del rapporto.
    Evangelizzare certamente non è portare alla luce potenzialità latenti, esigenze già presenti anche se in modo solamente confuso, aiutare ad esprimere ciò che è già qui. L'evangelizzazione va oltre.
    È proposta di un messaggio nuovo, inaspettato, che desta meraviglia per il suo contenuto e per il destinatario a cui si rivolge.
    L'evangelizzazione è novità, è dono, è Cristo stesso offerto.

    3.3.1. L'azione dello Spirito come animazione

    Tutto ciò comporta che l'evangelizzazione abbia possibilità reale di convivere con le esigenze e lo stile dell'animazione.
    Lo Spirito Santo ha nella storia della salvezza alcuni compiti e alcuni interventi che si possono far rientrare nella categoria dell'educazione. Basti riferirsi a quel che il Signore Gesù esprime dei compiti dello Spirito nel vangelo di Giovanni. Ha la funzione di ricordare, di spiegare, di aiutare a capire, ad approfondire, a collegare le diverse situazioni: a sviluppare in altre parole tutte le potenzialità che sono nascoste nel cuore dell'uomo: opera eminente di animazione. Suscita dal di dentro, in un adattamento costante ai bisogni universali e personali, l'adesione al suo annuncio.
    Così ogni nuovo credente è una nuova impostazione della fede. Ogni nuovo credente rappresenta la nascita di un uomo nuovo.
    L'evangelizzazione riuscita è l'uomo nuovo che prende corpo in un uomo.
    Ho già avuto modo di richiamare l'espressione di Mario Pomilio: «Tu sai che il popolo mio lo riscrive ogni dì».
    Non solo il Vangelo. Riscrive la vita: quella piccola e semplice di tutti i giorni, quella grande e completa raccolta nel Signore della vita. L'espressione comune evangelizzare educando necessita di chiarimenti per non confondere o ridurre in modo semplicistico le esigenze dell'evangelizzazione e dell'educazione-animazione.
    Il problema va risolto tenendo presente che se si insiste eccessivamente sull'aspetto educazione-animazione si corre il rischio di far saltare la novità e la gratuità della fede; se invece si porta l'accento unicamente sull'aspetto evangelizzazione-fede il rischio a cui ci si espone è quello di svuotare l'educazione della sua carica di competenza umana e di progettualità e responsabilità personali. Che fare?
    Nulla autorizza a rompere il dialogo tra i due interlocutori: evangelizzazione ed educazione, fede e sforzo, dono e impegno, Dio e uomo.
    Il dialogo è distorto quando si pongono in relazione funzionale: non si rispetta cioè l'autonomia degli aspetti umani, strumentalizzandoli ai fini religiosi. Si fa educazione solo per poter evangelizzare.
    Ci si riduce ad un monologo quando si fa coincidere tout-court l'umano con il cristiano e si richiede alla comunità della chiesa che assuma come suo specifico compito unicamente la promozione sociale e politica dell'uomo, rinunciando ad interventi esplicitamente evangelizzatori.
    Si crea una sorta di incomunicabilità se si domanda all'evangelizzazione di badare unicamente all'evangelizzazione, e all'educazione di interessarsi solo di educazione. Manca lo scontro, perché si evito l'incontro.
    C'è infine una forma di dialogo dei grandi sistemi che volendo restare al di fuori di ogni mischia, credendo di poter parlare sempre dall'alto, si riduce ad essere un discorso insignificante e senza senso, perché non incrocia mai la realtà e la storia. Vive di un soprannaturalismo che non convince e non converte.
    Come fare?
    Il Q8 Un itinerario di educazione dei giovani alla fede descrive le tappe, le aree, i processi e le modalità che sostengono una spiritualità per un animatore, mettendolo al sicuro da soluzioni di tipo «carismatico» oppure di tipo «integralista».

    3.4 Una riformulazione del sacerdozio che faccia spazio ai laici

    Un vecchio modo di parlare dei sacerdozio fa riferimento in modo esclusivo ad alcune strutture di mediazione fra il popolo e il suo Dio, fra una realtà chiamata e considerata profana che non ha la capacità di portare e di collegare con Dio, e Dio stesso.
    In questo contesto, chiunque intende avvicinarsi a Dio non ha altra strada a lui possibile che utilizzare queste strutture di mediazione.
    L'Antico Testamento conosce praticamente solo questa struttura sacerdotale e la presenta come l'unica e l'indispensabile.
    Il Nuovo Testamento concepisce il sacerdozio in maniera molto più personalizzata e personale, in quanto tutta l'opera sacerdotale si concentra nella persona del Signore Gesù. L lui il sommo ed unico sacerdote: in lui tutti gli altri partecipano e continuano la sua opera sacerdotale.
    La vita e le azioni, le parole di annuncio e i gesti che salvano, la morte e la risurrezione, tutta la storia di Gesù dal fiat dell'incarnazione al fiat della morte e risurrezione: questa è la nuova struttura sacerdotale.
    Il sacerdozio è il corpo di Cristo.
    Quindi la comunità cristiana che esiste solo per la fede in Cristo è tutto corpo sacerdotale. E i credenti realizzano il sacerdozio dei loro Signore, lo esprimono in tutto il vivere in Cristo. Vivere in Cristo è vivere il sacerdozio nuovo.
    La formulazione conciliare ancora una volta esprime chiaramente questa realtà.
    «Nostro Signore Gesù Cristo, che il Padre santificò e inviò nel mondo, ha reso partecipe tutto il suo corpo mistico di quella unzione dello Spirito che egli ha ricevuto: in esso, infatti, tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale, offrono a Dio ostie spirituali per mezzo di Gesù Cristo, e annunziano le grandezze di colui che li ha chiamati dalle tenebre nella sua luce meravigliosa. Non vi è dunque nessun membro che noti abbia parte nella missione di tutto il corpo, ma ciascuno di essi deve santificare Gesù nel suo cuore e rendere testimonianza di Gesù con spirito di profezia» (dal decreto Il ministero e la vita sacerdotale, n. 2).
    È importante e ricca l'affermazione dei concilio; da un punto di vista spirituale orienta in concreto, allargando gli orizzonti della vita. Ecco alcune conseguenze.
    Tutta la realtà del mondo è sacerdozio in Cristo, è offerta della vita al Padre, per quello che è, e in quanto è vissuta in Cristo. Nulla viene perciò escluso dall'ambito sacerdotale di un credente.
    Insisto sul tema, perché affermare che tutta la realtà del mondo è sacerdozio in Cristo, comporta riconoscere che tutto ciò che il cristiano e la comunità cristiana vivono nella loro secolarità, in quanto è vissuto in Cristo è sacerdozio, è offerta gradita al Padre, è compimento della missione di salvezza.
    Non credo necessario sia esplicitato tutto quello che la presente riflessione contiene di orientamento spirituale. Abbiamo avuto modo, nei paragrafi precedenti, di considerare come problema la consacrazione del mondo: qui abbiamo una pista per risolvere l'interrogativo e percorrere una strada di spiritualità che, impegnando pienamente, non costringe ad abbandonare la propria vita quotidiana per essere certi di poter incontrare il Signore della vita.
    Ancora un'osservazione.
    La secolarità non è perciò un elemento di appendice della Chiesa, un fattore che si è costretti ad accogliere non avendo di meglio, una parte di cui disfarsi, ma è la condizione normale della vita della Chiesa, dal momento in cui essa non ha bisogno di raggiungere luoghi particolari per vivere il suo sacerdozio, perché lo vive nella vita, nei fatti, nelle fatiche continue, nelle gioie feriali.


    4. INCARNAZIONE E SPIRITUALITÀ DELL'ANIMAZIONE

    Riprendo il problema così come è emerso dalla presentazione dei panorama spirituale contemporaneo: la ricerca dell'unificazione della vita di un credente. Si tratta di superare il rischio della dicotomia, della difficile doppia appartenenza a due mondi lontani e contrapposti tra loro, per sentirsi a proprio agio in questo mondo e nello stesso tempo viverci animati dallo Spirito dei Signore che conduce incontro a lui.
    È un problema di unità. È un problema di identità.
    Questa si gioca in un contesto di storia e di cultura. In altre parole non è possibile costruire la propria identità al di fuori di quanto circonda la nostra vita, al di fuori della cultura. Di una cultura individuale e collettiva. Nessuno vive senza affondare le proprie radici in un passato; non è poi completamente passato, perché rivive sotto varie forme di comportamenti e di organizzazione pratica degli strumenti per crescere insieme agli altri.
    Nessuno può vivere senza inserirsi in un contesto di relazioni e di comunicazioni: si ricevono delle offerte dagli altri, mentre si presentano loro delle istanze.
    È nello scambio di un dare e di un ricevere che ciascuno trova l'equilibrio della propria esistenza.
    Nessuno può vivere senza proiettarsi in qualche modo in un futuro; lo prepara utilizzando tutte le risorse che ha a disposizione, nella prospettiva di una continuità della propria persona, del rafforzamento della propria identità.
    Se questa è la situazione di tutti, è anche la situazione di sempre. A guardare attentamente dentro ogni tradizione, ci si imbatte in elementi originali e forse permanenti ed in elementi particolari culturali che possono essere caduchi. In quanto tali, questi ultimi non possono essere trasferiti di peso in poche e culture diverse.
    Benché questo tipo di ragionamento qualcuno si domanderà.
    La risposta è semplice: tutto ciò interessa direttamente il discorso della spiritualità e il problema che abbiamo descritto.
    Nasce il dubbio che la difficoltà di comporre vita e spiritualità non sia tanto dovuta all'impossibilità di unificare le due realtà, quanto al fatto che i due termini si trascinano con loro un insieme di elementi di tipo culturale, perciò caduco e non essenziale, ostacolando così la soluzione del problema.
    Dove rivolgere la propria attenzione? Per superare il conflitto, quali spazi di manovra restano?
    La Chiesa nella sua esperienza lunga e concreta, guidata dal suo Signore e dallo Spirito della vita, negli anni del concilio e del dopoconcilio ha riflettuto ripetutamente sul mistero fondamentale della fede, il mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio. li riferimento l'ha sostenuta nel difficile processo di rinnovamento interno e di annuncio esterno.
    Rimandando agli altri quaderni per la parte che stiamo approfondendo, presento la ricchezza del mistero nella sua applicazione ad una proposta di spiritualità.

    4.1. L'incarnazione: la riconciliazione per eccellenza

    Il primo aspetto che si evidenzia accostando il mistero dell'incarnazione è l'unità ricondotta nella storia e nella vita. È il mistero della pacificazione. Ciò che prima sembrava incomunicabile ha trovato la via della comunicazione; ciò che sembrava contrapposto è divenuto compagno; ciò che era lontano si è fatto vicinissimo.
    Anche una minima conoscenza del mistero cristiano rende già conto della verità delle affermazioni precedenti.
    Quello però che qui mi interessa richiamare non è tanto il nudo fatto dell'incarnazione che realizza questa reale unità degli opposti, quanto la particolare ed importante circostanza, restando nella linea di una proposta di spiritualità, che l'incarnazione assurge a metodo di comprensione e di comportamento.

    4.1.1. L'incarnazione come «evento»

    Spiego prima di tutto il termine. Indico tre modi.
    Il primo. L'incarnazione può essere accostata come un avvenimento di tipo storico, per cui si possono dare le coordinate del tempo e dello spazio nelle quali si è verificato e che tutti possono, con onestà intellettuale ed esistenziale, verificare, anche senza per questo sentirsi impegnati nell'accettare ciò che la fede cristiana afferma oltre il dato storico.
    C'è un secondo modo di avvicinare la realtà dell'incarnazione. Si realizza quando non ci si ferma al dato storico, ma si tende a leggere oltre e a raggiungere il significato più completo che il fatto si porta inscritto in se stesso. In questo caso specifico la realtà umana che chiamiamo Gesù di Nazareth manifesta gli aspetti invisibili del Dio vivente. Nessuno in altre parole avrebbe potuto dirci come è Dio, avrebbe potuto esprimerci in modo sensibile il Dio non sensibile.
    Il terzo. Ma c'è ancora un'altra modalità nell'avvicinarsi alla sostanza dell'incarnazione, ed è misurare la portata nei nostri confronti oltre quella in sé.
    In altre parole, cogliere che cosa significa e comporta per l'uomo il fatto stesso che Dio è divenuto uomo. E cioè prendere coscienza che l'incarnazione definisce chi è l'uomo, mentre manifesta chi è Dio.
    Dice dell'uomo la sua capacità radicale di manifestare Dio, se nella espressione più alta, qual è l'umanità di Gesù di Nazareth, è il volto di Dio in mezzo a noi; dice ancora dell'uomo la sua potenzialità di essere l'autoespressione di Dio.
    Tutto questo chiamiamo < evento».
    La vita umana nella sua concretezza e nella sua espressione quotidiana è quindi questo sensibile che rivela, che contiene, che conduce all'invisibile. È in altre parole, sacramento dell'incontro con Dio.

    4.1.2. L'incarnazione come «orizzonte»

    L'incarnazione è un evento capace di catalizzare e orientare tutta la riflessione seguente sul mistero della vita cristiana. In questa linea si giunge all'affermazione importante e significativa che l'umano, la vita concreta di ciascun uomo è luogo di esperienza di Dio. In questo senso l'incarnazione diventa «orizzonte».
    Cerco di commentare i vari passaggi necessari per giungere ad una affermazione così capitale.
    Per esprimere adeguatamente una spiritualità dell'incarnazione sono richiesti due interventi e lavori di reinterpretazione. Mi spiego.
    La spiritualità, abbiamo affermato fin dall'inizio, è capacità di vivere il contesto culturale in cui si è chiamati ad operare ed insieme fare della presenza del Signore l'elemento determinante della propria vita, il sentirsi cioè suoi discepoli e alla sua sequela: un compito primordiale è riformulare i dati teologici attorno all'identità personale, una ripresentazione dei temi fondamentali che interessano il mistero cristiano in nuovi orizzonti culturali teologici e antropologici alla luce dell'incarnazione.
    È primariamente il tentativo di conciliare dogmatica e storia vissuta, sistema teologico ed esperienza religiosa, riflessione e narrazione. Cioè la spiritualità ha anche bisogno urgente di modelli spirituali nuovi viventi.
    L'incarnazione come orizzonte si concretizza perciò nell'esistenza concreta di credenti che diventa punto di partenza per un'ulteriore riflessione e comprensione degli stessi contenuti.
    Invito a ripercorrere quanto Romano Guardini ha intuito nel suo volume «Il santo del nostro mondo».
    Nei santi egli vede dei modelli per nuovi stili di esistenze cristiane; essi aprono sentieri che altri possono seguire.
    Guardini auspica un nuovo genere di santi, che possa incarnare la santità di questa generazione. La vita non è oggi quella del distacco e dell'ascetismo; si deve compiere mediante un abbandono obbediente alle direttive di Dio, così come queste sono mediate dalla situazione secolare nella quale uno si trova. La via del santo non sarà perciò straordinaria, e nessuno potrà identificare facilmente un santo moderno.
    Una spiritualità che, privilegiando l'offerta di modelli, riuscisse a riconciliare riflessione e storia vissuta, diventerebbe estremamente significativa per il cristiano odierno.

    4.2. L'incarnazione testimonianza e sacramento della vocazione a figli

    Il riferimento al l'incarnazione, doveroso per collocarsi nella prospettiva dell'animazione e della spiritualità, non può essere ingenuamente ottimistico.
    C'è da riconoscere nell'incarnazione il dono straordinario fatto all'uomo di accedere a Dio. Ma ogni dono è sempre chiamata alla responsabilità, alla libertà, alla cooperazione.
    Come fin dall'inizio l'offerta è rimasta senza accettazione, così oggi siamo posti nella tentazione di rifiutare Dio, la sua presenza, il suo dono.
    È il peccato che come ombra continuamente ci insegue.
    Un peccato che si configura come non riconoscimento dei legame che la vita ha con l'autore della vita; come opzione di un cammino che si distacca in modo sufficiente ed autonomo dalle indicazioni che strutturalmente sono segnate nelle cose e nelle persone, servendosi in modo strumentale ed egoistico delle prime e delle seconde; come organizzazione dell'esistenza sul piano personale e sul piano comunitario in dissonanza con il piano espresso da Dio nel suo Figlio, Gesù di Nazareth.
    Il credente riconosce nella Croce del Signore la risposta di Dio al peccato dell'uomo e del mondo.
    L'animatore sa che dovrà continuamente confrontarsi nel suo lavoro con la realistica possibilità di rifiuto della liberazione e dei compimento dell'alienazione che albergano nella storia di tutti.
    La teologia della croce, penultima espressione della teologia dell'incarnazione, esprime l'esigenza di
    - commisurarsi con la creaturalità del mondo e dell'uomo, e perciò dei personale limite e dell'incompiutezza della storia e del mondo;
    - accettare in modo critico e da adulti, in umanità e nella fede, il negativo presente nella vita e che si manifesta come incapacità e sofferenza;
    - valorizzare la finitudine, quella temporale che chiamiamo transitorietà, e quella sostanziale che definiamo povertà interiore e di azione.
    La teologia della croce ci pone in modo duro e senza possibilità di scappatoie di fronte al peccato, al fallimento, alla morte.
    Ma la croce è insieme il gesto complessivo e più alto dell'accoglienza, e la prima rivincita della pasqua.

    4.3. Aspetti di spiritualità legati all'incarnazione

    Mi interessa presentare ora un modo concreto di riformulazione di elementi teologici in vista di una loro applicazione alla spiritualità, partendo dalle esigenze della incarnazione come evento e come orizzonte.
    Riprendo tre interrogativi che tornano continuamente ogni qual volta si verifica un cambio culturale: «dove» si incontra Dio?, «come» si incontra Dio?, «quali condizioni» sono richieste?

    4.3.1. Dove si incontra Dio?

    Credo si possa dire di una persona che è uomo spirituale quando sa cogliere nel fragore delle cose di tutti i giorni la presenza intima e misteriosa di Dio che opera.
    Dove vedere Dio che è presente, che è all'azione, che si comunica? Una riflessione teologica tradizionale ha utilizzato prevalentemente le categorie dei tempo e dello spazio per ritrovare l'intervento di Dio.
    Alcuni tempi e alcuni spazi sono riservati alla presenza e all'azione di Dio, mentre altri sono lontani e impenetrabili.
    Con riferimento ad una concezione di Dio altro totalmente e lontano infinitamente, era indispensabile ritagliare tempi e spazi particolari che assicurassero la presenza e l'opera di Dio.
    In modo esagerato, si potrebbe dire che c'erano dei confini netti tra l'ambito riservato a lui, il Signore, e il campo riservato a noi, sue creature. Questo modo di ragionare mentre rende sicuri in alcuni spazi e in alcuni tempi, lascia però completamente scoperti al di fuori dei confini segnati. Non è difficile convincersi in questa situazione di vivere in un mondo diviso tra due principi.
    A partire dall'incarnazione la riflessione odierna supera lo schema dei tempi e degli spazi, richiamando invece come tutto il mondo, nella sua estensione e nella complessità, è avvolto dalla misericordia di Dio, dalla sua presenza e dal suo intervento.
    Ancora una volta il concilio ha intuito la ricchezza di un cammino nuovo.
    La costituzione pastorale Gaudium et Spes, al n. 22, riporta: «Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo».
    In un altro passo, riprendendo lo stesso concetto, si esprime così: «Ha rivelato l'amore del Padre e la magnifica vocazione degli uomini ricordando gli aspetti più ordinari della vita sociale e adoperando linguaggio e immagini della vita d'ogni giorno» (cf Gaudium et Spes n. 32).
    Risponde pienamente ad un principio di teologia che assicura che tutto ciò che è stato assunto dal Verbo di Dio è stato salvato.

    4.3.2. Come avviene l'incontro con Dio?

    In questo senso ogni realtà è sacramentale nei confronti dell'incontro con Dio: in quanto rivela la sua presenza e la sua azione e contemporaneamente le vela.
    Parlare in questi termini comporta necessariamente approfondire il significato di sacramentalità, in quanto rivelatrice di presenza e di azione.
    La presenza che noi realizziamo e di cui viviamo può collocarsi a livelli diversi, senza nulla perdere del fatto che è vera presenza.
    C'è un primo livello, immediato a tutti: la presenza fisica; l'oggetto è materialmente presente, visibile e palpabile. Il non aver coscienza della sua presenza è causato dalla distrazione.
    C'è poi ima presenza chiamala intenzionale, perché denota che l'oggetto non è materialmente presente, ma lo è interiormente al proprio pensiero e al proprio sentimento. È veramente presente, ma non visibile, non palpabile. La presenza è legata solo alla mia attenzione e al mio affetto: venuti meno l'una e l'altro, scompare dal mio orizzonte di percezione.
    C'è infine una terza modalità di presenza che abitualmente chiamiamo sacramentale. È questa pure una presenza reale, ma insieme reale-nascosta.
    Nascosta nel segno che utilizza per arrivare fino alla mia percezione e alla mia coscienza.
    Se io non arrivo alla comprensione del segno, non si può dedurre che la presenza non ci sia. C'è, ma non è percepita. Opera, ma non ne ho coscienza.
    Di fronte ad una presenza sacramentale siamo chiamati a riconoscere non solo il fatto che è collocato sul piano della storia, ma ad arrivare anche al piano della salvezza. Saper passare dall'avvenimento all'evento: dagli aspetti visibili alla realtà più profonda, perciò invisibile.
    Una presenza sacramentale conseguentemente non diventa mai una presenza abbagliante. È un'invocazione alla nostra libertà e alla nostra responsabilità.
    Dio con l'incarnazione si fa presente nella storia dell'uomo, in tutta la sua vita, quella semplice e quotidiana: abbiamo concluso così il precedente interrogativo.
    Dio lo incontriamo nella vita. La vita è il luogo privilegiato dell'incontro con Dio.
    Perciò non quando ci si allontana dalla vita, ma quando si cerca di viverla fino in fondo, in tutta la sua ricchezza visibile ed invisibile, nella sua sacramentalità, ci troviamo facilitati nell'incontro con Lui.
    In conclusione, la vita quotidiana è il grande sacramento di Dio nella nostra storia. La verità più profonda dell'umano è data dalla sua costitutiva capacità di far trasparire il mistero di Dio. Per usare un'immagine, siamo chiamati in tutta la vita a far trasparire la luce che essa stessa si porta dentro, come alabastro che quanto più è alabastro tanto più lascia alla luce la possibilità di diffondersi. Così la vita, quanto più è vita, in tutte le sue manifestazioni e ricchezze, tanto più è sacramento dì Dio.

    4.3.3. Quali condizioni sono richieste?

    La presenza sacramentale assicura che l'evento è insieme e dentro l'avvenimento. In altre parole il quotidiano che viviamo bisogna saperlo vivere come mistero: cioè siamo chiamati a svelarne la ricchezza che ha, per fare la nostra salvezza da uomini coscienti e responsabili. Non bisognerà accontentarsi di toccare l'esteriore della vita, ma sarà necessario penetrarla. Forare il quotidiano è una formula che cerca di descrivere il compito che ci è demandato. Dio è sempre vicino e possiamo incontrarlo in quello che facciamo. Lo incontriamo, è importante ricordarlo, non perché lo desideriamo noi, ma perché lo ha deciso lui, e non perché ogni tanto ci ricordiamo di lui, ma perché ha deciso che le situazioni umane, per suo dono, fossero luogo di incontro con lui.
    Se è così per tutti gli uomini, ed è una realtà esaltante ed impegnativa, per un credente che cosa si aggiunge? che cosa si verifica? che cosa è a lui richiesto?
    Il cristiano è colui che è consapevole di questo grande e sconvolgente fatto. Egli è chiamato a compiere un'operazione originale di perforazione del quotidiano, della vita, per cogliere tutta la valenza e la profondità, per captare il mistero che racchiude: la presenza di Cristo Signore della vita. Si può chiamare questa capacità di perforazione della vita con la parola mistagogia della vita quotidiana. Ci si attrezza ad essere contemplativi nel quotidiano e del quotidiano.
    Non è un gioco di parole, ma è l'espressione più compiuta della capacità non solo di raccogliersi per incontrare Dio nei momenti di preghiera esplicita, che non dovranno mancare nella vita di un credente, ma anche di incontrarlo nell'esistenza. I tecnici chiamano questa capacità estasi dell'azione.
    Chi si accosta con rassegnazione, con pessimismo, con rancore ai segni della vita cresciuta o appena ai primi germogli, non avrà mai la possibilità di avvertire Dio presente ed operante nell'esistenza.
    Alla luce dell'incarnazione, passione per la vita è il vivere in modo nuovo e diverso il rapporto tra le cose dei mondo e dei cielo, della vita terrena e della vita eterna. Non sono realtà avvertite come in contrapposizione, in competitività, in alternativa, ma realtà che si richiamano vicendevolmente tra loro, come il segno richiama la realtà. Non è più problema di immanenza e di trascendenza, ma di trasparenza. È la nuova categoria in cui leggere il rapporto: la vita quotidiana resta sempre un fatto molto umano e legato per questo all'immanenza, alla dimensione che chiamiamo profana. Eppure non fa velo all'incontro con Dio, né è semplice mezzo e strumento per arrivare al trascendente. È invece luogo in cui già si sperimenta l'incontro con lui e la trascendenza, per via di trasparenza.

    4.4. L'incarnazione criterio per la valutazione di una proposta di spiritualità

    L'incarnazione oltre che evento e orizzonte è anche criterio per giudicare le proposte di spiritualità che vengono offerte dai vari movimenti e dalle varie scuole spirituali contemporanee.
    Se una proposta di spiritualità non salva le esigenze che emergono dall'incarnazione, non può essere accolta, solo pensando che farà del bene o comunque non farà del male.
    Non è possibile accogliere indifferentemente tutte le proposte. L'eclettismo spirituale non è vantaggioso per nessuno: né per i singoli, né per i gruppi, né per la stessa proposta.
    È necessario avere un punto dal quale valutare tutto il resto. Per noi è l'incarnazione.
    Mi è sufficiente aver annunciato il metodo come procedere: non faccio un'analisi dei diversi elementi e delle spiritualità presentati precedentemente.


    5. LA SPIRITUALITÀ DELL'ANIMATORE

    5.1. Premessa

    Dopo aver raccolto le varie istanze che emergono da un modo di pensare e di parlare della spiritualità, quelle che si ricavano dal rapporto con la cultura, e infine le istanze legate all'animazione, è giunto il momento di cercare un'articolazione in vista di una proposta e di un progetto più concreto di spiritualità dell'animatore.
    Dalle affermazioni prodotte fin qui è chiara la conclusione: il santo non è né un mestiere di pochi, né un pezzo da museo. La santità va vista in ogni tempo come la stoffa della vita cristiana. Perciò l'uomo spirituale non può essere considerato una specie estinta tra i credenti: anzi è la sostanza della comunità di fede.
    Ci troviamo allora di fronte ad un uomo che è uomo vero, in quanto ha saputo realizzare il proprio significato di credente e di animatore alla luce e alla sequela del Signore, uomo perfetto (cf Gaudium et Spes n. 42).
    Spiritualità comporta come necessaria conseguenza una visione di vita unificata e semplificata.

    5.1.1. Saper leggere la parola di Dio dentro la vita quotidiana

    Che cosa nasce e che cosa deriva dal rapporto parola-vita quotidiana?
    In breve: l'esplosione della novità, la pienezza della vita.
    Spiego con più calma.
    Una condizione necessaria per una spiritualità dell'animazione, oggi in particolare, è l'inserzione dei valori permanenti nella novità emergente.
    L'animazione ha tra i suoi compiti quello di insistere sui valori permanenti della tradizione, perché vuoi essere animazione culturale. Sono questi valori la grande manifestazione delle iniziative di Dio nella storia dei singoli e dell'umanità. L'animazione, però, centra la sua attenzione anche sulla comunicazione, e conseguentemente sugli aspetti non solo di linguaggio ma anche di novità che la vita presenta. Non è solo questione di tradurre brillantemente la parola di Dio, ma di presentarla ancora oggi come messaggio capace di aiutare la vita ad esprimersi. Da questo punto di vista l'animazione è ricerca profetica della novità.
    Bisogna sgomberare il terreno da un equivoco. Ricerca profetica della novità non può significare ricerca della novità per la novità, inseguire l'estro e l'originalità incontrollata, confondendo novità con validità.
    Il compito che l'animazione ha da svolgere non è perciò ricercare la novità come un assoluto, bensì ricercare la novità come espressione attuale più comprensibile della proclamazione dei grandi valori evangelici. La parola di Dio, nata dalla vita, ritornando alla vita si offre come seme capace di fruttificare ancora in novità e in pienezza di vita. È questo il significato più vero dell'espressione ricerca profetica della verità.
    L'animazione richiede che si coltivi con costanza e con impegno un atteggiamento che si apra contemporaneamente alla novità culturale e al suo radicamento nella tradizione culturale di un popolo. La giustezza dei l'atteggiamento non è nell'equilibrio mediano, ma nella disponibilità a non farsi sopraffare dalla paura di ciò che emerge, oppure dalla fatica di abbandonare ciò a cui ci si è assuefatti.
    I valori intramontabili dell'evangelo sono tali perché rispondono continuamente alla vita che riprende.
    Che anzi, se un'accentuazione è oggi raccomandabile ed urgente è di esser nuovi, perché nuova è la cultura, nuova è l'epoca che viviamo, nuovi sono i bisogni degli uomini.
    La novità importa studio e approfondimento intellettuale: non è possibile affrontare la svolta antropologica e teologica credendo di poter utilizzare i vecchi schemi ideali. Sono otri vecchi per vino nuovo: non sono capaci e sicuri. Le sfide che l'antropologia contemporanea e la teologia rinnovata dal concilio lanciano hanno bisogno di applicazione seria, per evitare che la pigrizia condizioni il cammino e lo sviluppo dei doni e dei semi della parola di Dio.
    La novità profetica richiede molta umiltà esistenziale. Non è la vanagloria dell'originalità e della popolarità al centro delle preoccupazioni bensì la salvezza dell'uomo. E la salvezza vale la spesa e la fatica di rendersi aperti e dichiararsi impegnati nel concreto, per realizzare l'utopia costitutiva d'Israele. «I contenuti che riempiono quest'utopia non hanno nulla di esilarante e di sbalorditivo: sono i beni che garantiscono e gratificano la vita di ogni giorno: salute, sufficienza, fecondità, integrazione nella comunità; insomma un rapporto positivo con la realtà che circonda l'individuo: con uomini e cose» (Q10, p, 15).
    Le parole del linguaggio ordinario per un israelita, come vita pace benedizione, cercano un corrispettivo oggi. I criteri operativi definiti da un israelita come legge giustizia cuore abbisognano di essere riprodotti nei contesti contemporanei.
    Qui la vita si misura. La forza della realtà ritrova nella parola di Dio un modo per riformularsi.
    È necessario calarla dentro la vita. Saper evitare la tentazione ricorrente, soprattutto nei momenti di cambio e di trapasso culturale, della fuga: dal quotidiano rivestito di semplicità, di ripetizione, di routine quasi, sognando i cieli nuovi e la terra nuova lontani e diversi; dal quotidiano sacramentale, perciò spesso opaco, difficile, pesante, per ricercare le consolazioni di Dio, più che il Dio delle consolazioni, nei presunti doni straordinari dello Spirito.
    L'animatore resti saldo alla terra, all'impegno, alla donazione di sé.

    5.1.2. Saper leggere i segni dei tempi «attraverso» la parola di Dio

    Che cosa sono, innanzitutto, i segni dei tempi?
    Sono i fenomeni che, per la loro generalizzazione e la loro frequenza, caratterizzano un'epoca, e attraverso i quali si esprimono i bisogni e le aspirazioni dell'umanità presente.
    Volendoli chiamare per nome, forse ci sarebbe da riportare una lunga lista: dalla socializzazione, secolarizzazione, promozione della donna e dalla civilizzazione dei lavoro (già contemplati ed enumerati dalla Pacem in Terris di Giovanni XXIII) fino all'esigenza dei nuovi linguaggi e alla crisi numerica delle vocazioni sacerdotali e religiose.
    Il Concilio e il dopoconcilio hanno dato importanza alla concretezza della salvezza: per questo si collegano ai segni dei tempi.
    Un seme fecondo in molti campi: mi soffermo sugli aspetti della spiritualità.
    Il tempo entra pienamente nella vita dello spirito umano e costituisce una caratteristica essenziale di ogni esperienza umana, anche dell'esperienza della fede, che ha come oggetto permanente e come luogo di realizzazione una economia di salvezza realizzata nella storia stessa. In questo senso non c'è fede senza storia, non c'è salvezza senza storia, non c'è teologia senza storia, perché la fede è risposta ad un evento, la salvezza è evento essa stessa, la teologia può esistere solo prendendo le mosse dai fatti, da Abramo a Cristo e alla chiesa viva nel tempo e nello spazio.
    La salvezza dunque viene nella storia e attraverso la storia, sicché, nella visione compiutamente cristiana, tutta la storia diventa in qualche modo segno possibile della venuta salvifica, segno del tempo prezioso della salvezza.
    La comprensione dei segni dei tempi ci discrimina.
    - Una posizione da radicale soddisfatto di fronte alle cose.
    Denota il rifiuto di qualunque segno come indicatore di altro rispetto al presente: quest'ultimo è già il tutto che si ricerca e si desidera.
    Per quest'uomo, la cui vita è idolatra del presente accettato così com'è, non ha senso parlare dei fatti come segno. Il fatto, per lui, è segno di sé stesso, cioè non è segno di alcunché.
    - Una scelta da ribelle disperato di fronte agli avvenimenti.
    È il rifiuto di qualunque segno, perché il mondo, la vita, la storia è totalmente rifiutata come negativa, cattiva, impossibile.
    Quest'uomo percepisce il nonsenso del mondo e perciò non riesce ad andare oltre questo atteggiamento negativo, perché pensa che non ci sia proprio nulla da fare per migliorare la situazione, e cambiare in meglio le cose.
    - Un'accettazione da credente impegnato di fronte alla storia, perché sia una storia di salvezza.
    È l'accoglienza dei segno che apre la strada verso il compimento di un progetto presente ed inscritto nelle cose.
    Quest'uomo credente legge i segni dei tempi, i segni nel tempo, i segni della realizzazione di un progetto che germoglia nella storia sua e del mondo intero. Dal segno passa all'avvenimento, nella logica dell'incarnazione.
    Il credente non è un sognatore capace di vedere quello che non c'è e di immettere nelle cose e nelle persone quello che è frutto dei suo desiderio o della sua ideologia. È invece colui che legge un progetto in compimento. Il credente non è un bibliotecario dei futuro possibile, conservatore accanito di tutto ciò che è stato ma incapace di cogliere l'alba di ciò che verrà.
    Il credente è un lettore della realtà.

    5.2. Gli atteggiamenti spirituali di ogni animatore

    5.2.1. L'accettazione di sé

    Inizio con un elemento apparentemente facile: è il primordiale, senza di cui non è possibile procedere nell'analisi di ciò che costituisce una spiritualità dell'animazione.
    L'accettazione di sé è prima di tutto prendere coscienza dei proprio essere e della propria esistenza. In positivo, primariamente. Poi anche negli aspetti duri. Una coscienza che si fa acuta e drammatica nella percezione della debolezza, della fragilità e dei peccato, senza esagerazioni e ansietà fuori posto. Argutamente, come era suo solito, san Francesco di Sales affermava: < Che meraviglia è se la debolezza è debole?». Ma questa coscienza ha un sano sviluppo solo in una sintesi dialettica con lo sviluppo della coscienza del proprio valore.
    L'accettazione di sé è l'unico cammino per la identità di sé.
    Siamo frequentemente tentati dalla frustrazione, dalla ribellione, dal rifiuto, dalla rivendicazione di indipendenza o di autonomia senza solidità e senza appigli: perché sensibile è lo scarto tra la rappresentazione di sé e la propria realtà.
    L'accettazione di sé qualifica l'uomo in sé e nei rapporti, in quanto scaturisce dall'amore consapevole e costruttivo di vita, ed è capace perciò di dimensionare la realtà in cui si è immersi senza perdersi e senza lasciarsi abbagliare. Il contesto totale diventa la personale percezione di essere continuamente creati all'interno e dall'esterno; è il riconoscere come il vivere è nient'altro che essere instancabilmente ripresi e rifatti.
    L'accettazione di sé è un esercizio non facile di revisione delle relazioni. In realtà l'uomo è chi è, non chi ritiene di essere; e il sé di ciascuno vive e diviene in osmosi con gli altri. L'accettazione di sé è alla base di ogni forma di collaborazione e di partecipazione. In questo senso diventa la prima scelta per chi si pone al servizio degli altri.
    La prima pedagogia scelta da Dio a cui l'uomo deve conformarsi per il suo cammino di identità, la via maestra su cui procedere spediti è l'accettazione di sé. Solo dopo e dentro questa è possibile accettare la vita.

    5.2.2. La passione per la vita

    Riprendiamo il discorso sull'animazione, per una puntualizzazione utile nel contesto della passione per la vita.
    «L'animazione, in quanto legata, interrelata ai significati più genuini dell'esistenza, pone come estranee al proprio orizzonte di senso, le forme della vita segnate dall'alienazione, dalla schiavitù, dall'oppressione dell'uomo sull'uomo o su se stesso e che quindi impediscono alla singola vita umana di svolgersi in tutta la potenza che in essa è contenuta» (Q5, p. 7).
    Il riferimento è funzionale a due conclusioni.
    La prima: non ci può essere animazione senza passione per la vita; la seconda: la vita ha una maniera d'essere analogica, sia nella sua totalità come nella sua singolarità. Va amata e aiutata in tutte le sue manifestazioni.
    Un tratto essenziale della spiritualità dell'animazione sarà quindi scegliere la cultura della vita, che è accoglierla, riconoscendola ovunque si manifesti, e aiutarla a crescere, ponendo dei gesti concreti ed efficaci. Ne segnalo particolarmente tre.
    - Lotta senza ripensamenti contro la morte.
    Una ideologia della morte diffusa in tutti gli ambienti, e che assume mille volti, spinge alla rassegnazione e all'apatia.
    Cultura della vita vuoi dire «non essere mai rassegnati, né concedere mai rabbiosamente spazio alla morte e alla distruzione» (j. Moltmann).
    Spinge perciò ad assumere un impegno preciso: a non volersi abituare alla morte prima che venga, ed appassionarsi tanto alla vita da voler consapevolmente vivere.
    - Accoglienza della legge del seme.
    Significa essere aperti a tutto ciò che introduce nella vita. Ogni inizio, ogni desiderio, ogni attesa sono carichi di futuro. Portano con loro la certezza di un dinamismo, anche se nascosto.
    Accoglierlo comporta aiutarlo a crescere e ad esprimersi.
    Non mortificare la vita. Ovunque si trovi.
    - Apertura alla memoria e al futuro.
    Non c'è vita se non c'è futuro. Non ci potrà essere cultura della vita senza l'apertura al futuro.
    D'altra parte quest'ultima è possibile solo quando si ha la forza di riconoscere onestamente il passato e di accettarlo come parte di sé, senza bisogno di autogiustificarsi. Nel l'accettazione dei passato e nella prospettiva dei futuro si trovano le radici di ogni cambiamento.

    5.2.3. La passione educativa

    Chiarisco innanzitutto il significato dell'espressione.

    Cos'è la passione educativa

    Passione educativa significa vivere l'animazione non come pura tecnica, come un capitolo della dinamica di gruppo, ma come realtà caratterizzata e commisurata dalla dimensione educativa.
    Passione educativa significa saper leggere la realtà in un certo modo specifico e concreto: con logica così detta educativa.
    Il nostro è stato definito il «secolo pedagogico» per eccellenza: ma non sempre la logica educativa ha avuto il sopravvento su altri approcci alla realtà e alle persone. Inoltre passione educativa vuole saper rileggere da credente il fatto educativo. Quest'ultima indicazione ha bisogno di qualche commento per risultare chiara e operabile.
    L'educazione va sentita come una scommessa nei confronti di altre attività formative. Certamente l'educazione non è il tutto per la formazione e la crescita delle persone, Però farla diventare una scommessa significa che si dà fiducia all'umanità presente in ogni uomo e in ogni giovane; si dà fiducia all'azione dello Spirito di Dio che opera sia nell'insieme della storia e della vita, come nel singolo uomo e nella singola vita. Non si nutrono dubbi perciò sul valore dell'educazione a confronto dei resto.
    L'educazione va colta, poi, nella sua realtà centrale.
    Se è vero che tutto concorre per il cambiamento della vita, nei suoi vari aspetti, l'educazione si orienta al cambiamento, in forma diretta e immediata, non di tipo puramente strutturale, ma personale. Saranno le persone con il loro peso e la loro efficacia a far camminare il cambio fino alle strutture e alle istituzioni.
    L'educazione punta cioè alla crescita della persona.
    Rileggere da credente il fatto educativo significa ancora cercare di sfuggire a quella che può essere chiamata la trappola dell'antropocentrismo, per tentare una integrazione tra la logica educativa e lo sguardo che deriva dalla fede il suo orientamento e la sua certezza.
    In che cosa consiste questa integrazione?
    Anche qui tappe successive di riflessione aiutano a comprendere il senso delle cose.
    L'evento educativo non ha solo la dimensione di rapporto che si stabilisce tra due persone e nel gruppo, ma ha il valore di evento salvifico, dal momento che l'umanità da educare è rapportata all'umanità del Cristo risorto. Il processo educativo, in altre parole, non è solo un momento preparatorio alla spiritualità, ma è il luogo privilegiato della spiritualità per un giovane, in quanto rappresenta l'ambito più naturale della ricerca e della costruzione della propria identità.

    Quali attenzioni sono richieste

    L'attenzione educativa richiede sul piano concreto dell'impegno il senso del tempo e della semina.
    Quando non si vogliono violare i processi educativi è necessario prendere coscienza del fatto tempo come concorrente di formazione. C'è nella storia di ciascuno, come nel cammino di una proposta, di un'idea, di una realizzazione, un tempo di annuncio, un tempo di diffusione, un tempo di comprensione e un tempo della fecondità a livello comunitario. Si tratta di momenti diversi e tutti indispensabili. Vanno considerati e trattati in modo diverso, perché i problemi che pongono sono diversificati. E non ci si trova di fronte a passaggi automatici e cronometrabili.
    Ciò che costituisce ostacolo per l'educatore è l'impressione dì vuoto che generano i momenti di attesa: eppure si tratta di tempi pieni di azione e di interventi e di reazioni. La maturazione ha sempre bisogno di tempi abbastanza lunghi. Anche nella Parola di Dio uno è il tempo della semina ed un altro, distanziato cronologicamente, quello della raccolta. Perché ogni trasformazione non può essere richiesta in breve tempo. Una conversione troppo rapida rischia di essere molto breve!
    Il senso del tempo aiuta a non trasformare l'efficacia di un intervento nell'immediatezza della risposta e del risultato. li vero risultato è, fin dall'inizio, nella qualità dei senti che si spargono. Come la radice della quantità è nella qualità. li buon seme ha già dentro di sé il germe della fecondità.
    L'animazione puntando sulla libertà responsabile di fronte alla vita si qualifica come stimolo dall'interno, convincimento profondo e motivato, crescita non per puro accostamento ma per sviluppo, maturazione delle coscienze.
    In altre parole è lasciare lo spazio necessario a Dio che interviene e illumina sull'ulteriore cammino da percorrere, e all'uomo perché si riconosca nelle scelte che è chiamato a compiere.
    Il senso del tempo e delle semina convince che parlando di persone e di educazione non è possibile .ma produzione in serie, una robotizzazione degli interventi. Conseguentemente non è possibile stabilire e calcolare i tempi di produzione. Le persone e le idee, i convincimenti e le strutturazioni della vita, seguono il ritmo della natura non dei calcolatori.
    La personalizzazione dell'intervento educativo riporta in primo piano un altro elemento significativo: ci vuole buon senso nell'adattare a ciascuno ciò che va offerto a tutti. Al buon senso si deve aggiungere la legge della gradualità, che indica i gradini diversi e i tempi diversi che ciascuno è capace di vivere nella medesima proposta. Quando si pone al centro la persona, sono logiche tutte queste applicazioni, che domandano all'educatore molta capacità di adattamento, non puramente funzionale ma sostanziale al servizio che deve dare a ciascuno.
    La pedagogia di Dio è stata sempre molto attenta alle capacità e alle possibilità dei singoli.
    Il senso della semina richiede infine la sensibilità alle singole vocazioni e all'impegno nel fare proposte adeguate ai singoli.

    5.3. Gli atteggiamenti «credenti» dell'animatore

    L'esistenza cristiana è esistenza di fede, di speranza e di carità.
    È innanzitutto esistenza di fede.
    Perché è «accettazione» fiduciosa, incondizionata, decisiva sul piano del comportamento concreto, della salvezza di Dio che si manifesta non materialmente ma «sacramentalmente».
    L'esistenza cristiana è poi esistenza di speranza.
    Perché è «attesa» faticosa, operosa e serena, in quanto convinta dei definitivo risultato, della salvezza di Dio, che si promette ad ogni uomo non in modo cieco e automatico, ma in forma responsabile ed impegnativa. L'impegno fa parte della speranza di un credente.
    L'esistenza cristiana è infine esistenza di carità. Perché è «donazione» personale ed effettiva, universale e concreta, della salvezza di Dio, che si compie nelle esigenze dei fratelli che sono l'unico volto contemporaneo di Dio. Scoprirlo e affidarsi sono l'atto più alto e significativo di offerta e di amore.
    La fede, la speranza e la carità sono le dimensioni costitutive della risposta che l'uomo dà al suo Signore, la scelta radicale che l'uomo compie di fronte al Cristo, l'autentico esistere del cristiano nella storia che vive e costruisce.
    Le tre virtù vanno collocate nel contesto dell'animazione. I destinatari dell'animazione sono i gruppi-comunità, le persone e i progetti che s'intendono realizzare. È allora nei confronti dei tre ambiti che vanno considerate la fede, la speranza e la carità. Quest'ultima osservazione non avrà ampio spazio di applicazione nel seguito delle note che sto presentando. Mi è sufficiente però aver richiamata l'esigenza per procedere oltre,. considerando un po' più distintamente l'importanza, il significato e gli atteggiamenti che derivano nell'animazione parlando delle virtù teologali.

    5.3.1. Fede: capacità di reinterpretare gli eventi

    Un'altra espressione che dice il medesimo contenuto può essere la seguente: lettura pastorale della vita e della storia.
    Che cosa è?
    Mi esprimo attraverso tre riferimenti di tipo biblico: interessa più l'immagine utilizzata che la precisione... esegetica.

    Primo: avere lo sguardo primordiale della creazione
    Saper cogliere la bontà delle cose e rivivere lo stupore di fronte alle persone. È un'operazione che ripete continuamente il gesto iniziale della vita, portando il caos verso il cosmo, la povertà verso la pienezza.
    Saper dare giusto rilievo alla coscienza, che si trova sul versante di Dio. Non si ripeterà mai a sufficienza l'insegnamento della Chiesa in merito: «Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve obbedire. Questa voce che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità dei cuore: fa' questo, evita quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato.
    La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità» (Gaudium et Spes n. 16).

    Secondo: avere lo sguardo rinnovatore della pentecoste
    Secondo la descrizione degli Atti è la pentecoste a costringere, dall'interno, gli Apostoli a uscir fuori dal loro mondo, dalla propria sicurezza nel nascondimento, ad inserirsi con forza nel mondo «altro», quello giudaico e pagano. Credere comporta sempre un esodo, spesso duro e faticoso.
    Il dono ricevuto, la grazia dello Spirito, è sempre un'interpellanza che Dio muove all'uomo. Non può disinteressarsi dei fratelli. Urge l'amore dentro, e non può restare nascosto. Donarlo comporta credere nel dono, non sottovalutarlo, non costringerlo all'infecondità.

    Terzo: avere lo sguardo universale della comunità ecclesiale delle origini
    Sa ricordare profetizzando. Giovanni Evangelista che ripensa alla risurrezione del Signore e coglie il frutto nello Spirito donato, richiama queste due modalità dell'azione che oggi lo Spirito compie nella storia della Chiesa: la memoria e la profezia. Lo Spirito dei Cristo suggerisce quanto è stato fondato dal Signore Gesù, e induce a «non pensare cosa è da dire» nelle diverse circostanze perché sarà egli stesso a dare voce e prospettiva, senza chiusure indebite e selezioni fuorvianti dalla via tracciata dal Cristo.
    Inoltre la comunità ecclesiale delle origini sa ubbidire creando segni e funzioni nuove, adeguati alle risposte salvifiche che il mondo attende. Il seme dello Spirito effuso nei cuori dei credenti costruisce la figliolanza, suggerisce parole di figliolanza, crea la mentalità propria di figli, dà la forza di esprimersi nella novità della vita con la novità derivata dalla certezza di essere figli.
    La lettura pastorale della vita e della storia che cosa comporta? quali atteggiamenti richiede? come si esprime nella esistenza di un animatore?
    Senza soffermarmi su una presentazione molto dettagliata, ricordo le seguenti esigenze:
    - sviluppare la fiducia contro l'insorgente sfiducia, la certezza del cammino positivo anche se lento e a piccoli passi, la convinzione fondata che il bene è come la parola di Dio, cioè un piccolo seme che rompe la zolla e fruttifica, con tempi che non coincidono sempre con le personali aspettative.
    Gandhi amava affermare che quando ci si dà ad una causa ì collaboratori spunteranno anche dai marciapiedi: non si resta mai soli nell'opera del Regno;
    - coltivare la gioia dell'essere collaboratore: la responsabilità che si vive non può cancellare la gioia del donare. Gioire è credere in Dio. Gioire è aver fiducia nell'uomo. Gioire è credere in se stessi;
    - competenza nel proprio lavoro, Ciò comporta stabilire costantemente un circolo tra gli eventi che si vivono e si soffrono, la riflessione che nasce dalla fede e dalla ricomprensione della parola di Dio, la preghiera esplicita che facilita la penetrazione del mistero presente in ogni avvenimento, e il ritorno alla pratica e agli eventi da cui si era partiti. La fede è sempre un atteggiamento di serietà di fronte alla storia, anche quella che ha la parvenza della banalità.

    5.3.2. Speranza: capacità di «penetrare» l'invisibile

    Dalla lettura pastorale alla lettura che vorrei definire apostolica. È un'espressione bisognosa di commento, perché sia resa immediata e piena di senso. Direi in altro modo: dalla contemplazione della presenza dei Signore della vita, all'azione per dare spazio alla vita e farla crescere abbondantemente. C'è una certezza di partenza: l'uomo esiste nel mondo e al di sopra dei mondo, nel tempo e al di sopra dei tempo, nella storia e al di sopra della storia, poiché ha la sua coscienza della continuità del proprio io nel suo stesso divenire e perché in tale coscienza implica l'aspirazione ad essere-più-se-stesso.
    Tutto ciò che lo aiuta a realizzarsi, ad esprimere l'inespresso che si porta dentro è opera di vita, è frutto di speranza.
    Come rendere significativo, di volta in volta, il futuro che ci precede e verso il quale siamo incamminati? Ecco una serie di interventi necessari.

    Primo intervento: saper evidenziare per riuscire ottimisti
    La presenza dello Spirito nella storia fa nascere il bene. Lo Spirito è creatore. Ma come ogni cosa, anche il bene è inizialmente piccolo: anche gli elefanti nascono piccoli. Talvolta ci si trova di fronte a piccolissimi semi, che appena appena si vedono; però ci sono, sono realmente seminati. La speranza li scopre. La speranza li evidenzia. La speranza li coltiva.
    Una situazione poco considerata: ogni momento di trapasso, ogni fase di cambiamento, ogni epoca che chiamiamo di decadenza è, nel medesimo tempo, epoca di grandi realtà che si preparano. La decadenza porta con sé tanta attesa. Nella storia, anche quella contemporanea, c'è tanto bene. Siamo invitati dallo Spirito a collaborare allo sviluppo di ciò che inizia.

    Secondo intervento: saper esorcizzare per essere costruttori
    Il senso realista dei bene fa un suo coltivatore diretto, mentre una psicologia dei nero sempre nero e dell'impossibile perché incapaci rende oltre che passivi anche demolitori. L un utile mestiere quello dell'esorcista oggi. Utile alla storia e utile agli uomini, utile ai presenti e utile a quanti verranno dopo.
    Realismo è comprensione totale della realtà, anche di quella parte che non è visibile, ma che ha bisogno di essere percepita. Quando si diventa settoriali, il rischio di essere pessimisti è molto vicino.
    Una certa larghezza di veduta e una buona capacità di intelligenza delle cose mettono al riparo dal disfattismo.

    Terzo intervento: saper aspettare per scoprire la felicità
    Il bene è più abbondante e più forte del male, sempre, in qualunque momento della storia e in ogni regione della terra! I~ una certezza che la Chiesa ha imparato fin dall'inizio della sua vita, il primo venerdì santo, dalla storia di Cristo: se il giorno della morte del Signore qualcuno avesse detto che il bene era più forte dei male e la vita più resistente della morte, a prima vista sarebbe parsa un'affermazione ironica. E invece anche lì, anzi soprattutto lì, era straordinariamente e paradossalmente vero. È bastato pazientare tre giorni non completi, per avere la riprova della verità.

    Quarto intervento: voler sperare per saper vivere
    Lo sguardo della speranza non è un atteggiamento tanto facile. È la risultante di molte variabili. Alcune immediatamente controllabili, altre più recondite . Alcune si pongono sul piano dell'esistenza quotidiana e nell'ambito delle capacità e delle strumentazioni più tipicamente umane, altre invece hanno per sorgente Dio e il suo dono.
    La speranza è frutto di intelligenza, di comprensione, di fatica di penetrazione della realtà, di visione d'insieme.
    Inoltre è frutto di costanza, di tenacia nella ricerca e nella conquista, di volontà di riuscire, di forza d'animo.
    Non può essere considerata la virtù dei fragili.
    Su un altro versante, la speranza è dono: dei Dio presente, dei Dio scoperto, dei Dio pregato. Con parole diverse: è l'altra faccia della fede. È piccola virtù, ma non comune.

    5.3.3. Carità: spirito di servizio

    L'espressione evoca una serie di contenuti legati prevalentemente alla disponibilità. Nel presente contesto dell'animazione traduco spirito di servizio con equivalenze che dicano più immediatamente il piano operativo.
    Innanzitutto, essere protagonisti sì, ma non solitari. Il protagonismo nell'animazione nasce e si esprime nella collaborazione. Non si tratta di voler realizzare sogni da lungo tempo accarezzati, ma di saper chiamare in causa tutti coloro che sono interessati alla realizzazione di qualunque progetto. Attraverso una duplice attenzione: essere per tutti spinta efficace all'azione e alla scelta responsabile della collaborazione. L'essere scontenti di ciò che c'è a disposizione, delle persone come degli strumenti, delle qualifiche come delle capacità, non è esprimere animazione e spirito di servizio.
    Inoltre, carità nel contesto dell'animazione si può tradurre ancora con mediazione attenta e paziente. li servizio concreto comporta il superamento dell'individualismo, dello spontaneismo, della dispersione. È vera carità aiutare a problematizzare l'esperienza e la vita, per ritrovare la forza di impegnarsi.
    La mediazione ha vari campi in cui esprimersi. Indico i fondamentali e i più urgenti in un'opera di animazione.
    Mediare tra gli orizzonti e la situazione. È un raccordo necessario per essere concreti ed operativi, per superare la fase dei vuoto entusiasmo o dell'impossibile depressione. Senza spegnere i doni di ciascuno cercando un appiattimento delle differenze, ma aiutando a conservare la gioia della ricerca e della realizzazione difficile ed imprevista.
    Mediare tra i progetti diversi che nascono originariamente in un gruppo, e tanto più quanto i suoi componenti sono ricchi di intuizioni e di prospettive.
    Fare il coordinamento tra i diversi obiettivi comporta raccogliere e valorizzare tutte le briciole di qualità presenti in tutte le persone, tutte le ispirazioni anche quando non sembrano tra loro componibili.
    Mediare infine tra le persone e i gruppi, perché l'unificazione resti arricchimento vicendevole. È una crescita che passa anche attraverso una momentanea rinuncia. Non si è sempre disposti ad accettarla. Ma è la carità più significativa che si può compiere.
    In terzo luogo, carità è traducibile, parlando di animazione, con professionalità.
    Per un animatore sentirsi ed attrezzarsi per essere professionista di animazione, non è compito diverso rispetto a quello di un insegnante per essere ed attrezzarsi come professionista dell'insegnamento. Non ci dovrebbero essere molte parole per convincersi di questa esigenza. Assodata, bisognerà rendersi coscienti della tipica professionalità richiesta nell'animazione. Farsi attenti ai processi personali e comunitari.
    Ecco un facile decalogo da vivere per e nell'animazione:
    1) Saper imparare da tutti e sempre: acquistare conoscenze innanzitutto per saper come agire.
    2) Apprendere competenze in vista della carità fraterna in un servizio concreto adeguato.
    3) Curare le realizzazioni non accontentandosi delle approssimazioni, quasi che basti fare il... bene, comunque verrà fatto.
    4) Vedersi e operare sempre come persone complementari alle altre, che lasciano perciò spazio sufficiente a tutti.
    5) Imparare a fare le cose con ordine, non solo esterno, ma innanzitutto con ordine mentale: è il principio della ragione e della ragionevolezza negli interventi.
    6) Farsi guidare sempre dal criterio che non è soltanto quello pratico, ma anche quello che nasce dalla capacità di comparare le soluzioni.
    7) Programmare con gradualità: il tutto e subito e da tutti non può essere la regola aurea.
    8) Cercare il perfezionamento continuo degli altri come stimolo anche alla personale crescita.
    9) Essere vicini alle persone, superando la preoccupazione dei progetti, delle scadenze, dei risultati appariscenti.
    10) Rendersi conto che ciò che è imparato una volta non può essere imparato per sempre: la vita è in continuo cambiamento.

    5.4. Espressioni tipiche della spiritualità dell'animatore

    Come si condensano nella vita di una persona gli elementi, molteplici e svariati, che in tutto questo paragrafo ho tentato di offrire?
    Come si organizzano in concreto? Quali sottolineature sono capaci di fare la sintesi?
    Non è facile rispondere in modo esaustivo soprattutto se si guarda al credente-animatore che ha esigenze tanto sul versante dei suo essere un credente, quanto su quello dei suo essere animatore: esigenze che vanno continuamente composte in modo armonico. È questo il nodo cruciale e concreto.

    5.4.1. In generale: esistenza quotidiana tra momento attivo e momento simbolico

    Per un'esperienza di Dio nella vita quotidiana è necessario considerare sia il momento attivo della propria vita, sia il momento più tipicamente simbolico.
    Il momento attivo è quello in cui si è impegnati nel lavoro, nello studio, nell'agire anche ripetitivo, che la giornata di tutti molte volte richiede.
    Il momento tipicamente simbolico è invece quello in cui ci si esprime attraverso la celebrazione della vita: celebrazione nella memoria e nella prospettiva del futuro.
    Non dimentichiamo: l'uno e l'altro momento devono concludere nell'esperienza di Dio. Come è possibile?
    Innanzitutto attraverso la seria e sofferta capacità di vivere quella che è chiamata la sacramentalità diffusa. Seria e sofferta capacità: perché non è un dato facile a ritrovarsi nella nostra esistenza. Dio è presente ovunque. Dove è presente non sta con le mani in mano. Dove è all'opera si rivela nella sua realtà di Signore della vita. Dove si rivela si comunica come dono di vita e richiede che si collabori alla abbondanza della medesima ovunque e per tutti.
    L'animatore è chiamato a farsi esperto di questa presenza di Dio. Deve imparare a scorgere il sacramento di Dio che è tutta la vita.
    C'è un trinomio che lo aiuta a realizzare questo esito: azione-riflessione-contemplazione. Sarà necessaria una parola di commento per collocarlo al suo giusto posto.
    Azione: il punto di partenza per l'esperienza di Dio è sempre la vita, la vita quotidiana, il fatto concreto che si vive. Apparentemente ricco o povero, gradito o fastidioso, facile o difficile, il fatto non può mai essere posto tra parentesi. Ma colto così nella sua nudità resta abitualmente un fatto silenzioso, non parla, non orienta.
    Riflessione: è la problematizzazione dell'esistenza, per ricercare tutte quelle risposte che le capacità personali e collettive sanno dare. Il dato viene studiato in tutte le sue prospettive e dimensioni perché incominci ad esprimersi nella sua relazione alla crescita dell'uomo.
    Contemplazione: è porre il fatto che si vive, è ricomprendere le risposte che la scienza dell'uomo ha saputo trovare, nella luce dell'interrogativo definitivo dei senso profondo che si agita nel cuore dell'uomo, e delle risposte di senso che giudicano e giustificano l'esistenza.
    Il passaggio dalle domande curiose alle domande di significato, da queste alle domande di senso aiuta a riconoscere le nicchie della vita in cui continuamente si nasconde il Signore della vita.
    Questa cerca spesso una sua espressione simbolica: è più capace di dire il proprio rapporto con quanto è al di là della propria esistenza; ha pure una funzione di sostegno e di norma.
    Da qui nasce l'esigenza che la sacramentalità ritrovata ovunque venga tematizzata e raccolta in sim-boli e in celebrazioni.
    L'incontro con Dio nelle cose di ogni giorno, quella che abbiamo chiamato contemplazione, richiede tempi di raccoglimento e di espressione esplicita, che racconti agli altri il nostro incontro con lui e il nostro modo di rispondere alla sua presenza.
    Nasce da qui l'urgenza della preghiera personale e della celebrazione comunitaria.

    La preghiera personale

    Con un termine solo, chiamo questa preghiera personale meditazione.
    Alcune indicazioni utili all'animatore.
    La meditazione ha due obiettivi sostanziali da raggiungere: un approfondimento e un allargamento della conoscenza e dell'esperienza del Signore, e una intensificazione esistenziale della vita concreta dei mistero cristiano. Romano Guardini afferma che la meditazione «compie quel rivolgimento dello sguardo, dei pensiero e dei giudizio, quel nuovo orientamento della viva spontaneità senza i quali la conversione rimane incompleta».
    Non è un esercizio facile.
    È chiaro che nella meditazione l'animatore deve approfondire anche il proprio sguardo di fede, allargare gli orizzonti, scoprirne i nuovi aspetti. Però è anche chiaro che l'accento deve essere posto sempre più sul come realizzare concretamente i principi della fede nella vita quotidiana.
    L'animatore per non lasciarsi risucchiare dalla periferia perdendo il centro dell'esistenza, per superare le immancabili tensioni che nascono dai condizionamenti esterni continui, ha nella meditazione un sicuro alleato. Consideri però che la vera meditazione che modifica e ristruttura la vita si trova al termine di un lungo itinerario e come frutto di silenzio, di concentrazione e di interiorizzazione.

    La celebrazione comunitaria

    La celebrazione comunitaria è la vita stessa che si apre a momenti in cui si fa memoria della storia dell'uomo alla luce del grande annuncio che Cristo è risorto.
    Ogni vera celebrazione propone un'esperienza in cui si possono riscontrare i seguenti livelli: il livello della festa; il livello dell'esperienza dei simboli; il livello dell'esperienza del profondo di sé; il livello del mistero degli altri; il livello dell'immersione nel presente fino a ricercarne il senso attraverso un suo radicamento nel passato e una sua proiezione nel futuro; il livello dei ritorno al quotidiano con energie rinnovate (NPG 3182, p. 41).
    Nella parola, nei fratelli, nel pane e nel vino, nel gesto di perdono, Dio si fa vicino e noi possiamo dire il «sì» al Signore della vita.
    La celebrazione non si conclude in se stessa. Siamo partiti dal fatto della vita per ritornare ancora una volta alla vita, passando attraverso la celebrazione. È essenziale per l'animazione il ritorno ulteriore all'esistenza concreta. Riprende la vita con una nuova consapevolezza e una decisione nuova di ricercare ancora il Signore diffuso, per celebrarlo nella lode.

    5.4.2. Il ministero di animazione

    Mi pongo un interrogativo: «Che cosa può significare per un credente vivere il mistero di animazione come momento, espressione e luogo di spiritualità?».
    L'animazione è un momento dì spiritualità per il credente che presta questo servizio perché:
    - è dominata dall'«accondiscendenza» tipicamente evangelica: è l'accettazione della situazione delll'altro; è la gioiosa condivisione delle attese e delle prospettive di vita dell'altro; è l'accoglienza incondizionata della dignità di uomo, di fratello in umanità, di figlio di Dio che ciascuna persona ha con sé; è camminare insieme incontro alla vita;
    - è ricercata come intervento educativo: l'educazione non è un momento preparatorio alla spiritualità, bensì collaborazione alla salvezza dì Dio, facendosi segni e portatori dell'amore stesso dei Signore presso i piccoli e i poveri: è già spiritualità.
    L'animazione è espressi . one di spiritualità per il credente che sceglie nel suo servizio ai fratelli lo stile dell'animazione perché:
    - l'animazione crea una relazione educativa orientata a formare persone coscienti, responsabili e capaci di decidere, liberando le potenzialità interiori di cui ognuno è ricco;
    - nello stile di animazione l'esistenza stessa dell'animatore è chiamata a farsi messaggio; la comunicazione è, nell'animazione, di tipo evocativo e autoimplicativo.
    L'animazione è infine luogo di spiritualità per il credente che dà alla propria vita la dimensione del volontariato competente perché:
    - è impegnata a riformulare continuamente a contatto con la cultura in evoluzione il proprio quadro dì riferimento, il proprio sistema di significati se vuol essere efficace;
    - è chiamata ad inserirsi in un gruppo umano, in un territorio offrendo a tutti gli strumenti per fondare le proprie scelte e dar ragione della propria fede.
    Un'ultima dimensione tipica di spiritualità dell'animatore: la presenza della Croce del Signore.
    Il modo di costruzione del Regno di Dio nella storia segue un metodo di efficienza che noi non comprendiamo.
    Cristo chiama sua ora, ossia centro di interesse di tutta la sua esistenza storica, ciò per cui era venuto al mondo, il momento meno interessante per un occhio umano, quello della sua passione e morte in croce.
    L'animatore deve entrare poco a poco in intimità con il mistero della croce e nel difficile realismo del vangelo: «Non si taccia la mia volontà ma la tua...».
    La persona si realizza in un progetto storico, che comporta necessariamente difficoltà, contraddizioni, incomprensioni, sofferenza e morte. È un progetto legato alla mia libertà, in quanto mi vien chiesto di saper amare fino alla donazione dell'esistenza. Crescere nella fede e realizzare una personalità cristiana significa imparare ad assumere esistenzialmente il mistero della croce.
    Nella storia dell'animatore la croce avrà più nomi, si presenterà con più volti: è richiesto all'animatore di saper vivere di solitudine e di pazienza.
    Una solitudine causata dall'offerta; sottolineata dai ruoli e dalle funzioni diverse che l'animatore e i singoli componenti il gruppo realizzano nell'insieme di una comunità; costituita da quella asimmetria non immediatamente colmabile tra adulto e giovani.
    Una pazienza a tutta prova, perché l'esperienza di Dio da vivere personalmente e da aiutare a vivere agli altri vuole la sua giusta paga.
    La grazia a caro prezzo della croce domanda almeno la pazienza di un cammino tribolato.
    Sembra un paradosso: eppure nella spiritualità dell'animatore deve esserci un posto privilegiato per la dimestichezza con esso. L'infinità con il mistero della croce farà dell'animatore una guida realista e preziosa soprattutto nei momenti più difficili.
    Nel silenzio che ama e contempla cresce e si solidifica la speranza.
    L'animatore spera contro ogni speranza!


    6. UNA CONCLUSIONE

    Giunti al termine della riflessione e della ricerca mi pongo alcuni interrogativi a nome di quell'animatore che mi ha seguito fino a questo punto: «Non si sarebbe dovuto parlare di cose più comuni e quotidiane?
    Per esempio delle difficoltà che ogni credente e ogni animatore in particolare incontra nella sua vita. Chiamandole per nome: il tempo che abitualmente viene a mancare quando si tratta della preghiera; l'incapacità al raccoglimento, alla riflessione in un contesto di mondo... rumoroso e caotico; il non saper programmare efficacemente tempi di ritiri, di esercizi spirituali, di campeggi e campi-scuola orientati alla formazione spirituale; e si potrebbe continuare con esempi di tutti i giorni.
    Non si sarebbe dovuto parlare degli strumenti semplici ma che sono continuamente da riscoprire per essere vivaci in fatto di spiritualità?
    Anche qui non mancano le esemplificazioni: la meditazione. Quali sono le tappe che costruiscono una meditazione rinnovare la vita di un animatore? La direzione spirituale: è uno strumento attuale e possibile ancora? che cosa richiede sia nel giovane e nel gruppo, sia in chi offre un servizio di direzione spirituale? La lettura: che cosa leggere e come leggere perché si sappia arricchire l'intelligenza, ma soprattutto riformulare i propri quadri mentali ed operativi?
    Non si sarebbe dovuto parlare più diffusamente e più direttamente di una situazione pregiudiziale, e cioè del rapporto tra spiritualità dell'animatore e spiritualità del gruppo in cui si trova inserito? In modo più semplice del rapporto tra preghiera individuale e preghiera comunitaria?».
    Sono convinto che gli interrogativi che ho posto non esauriscono le domande che un animatore può farsi in questo campo.
    Che cosa rispondo?
    Innanzitutto ho affermato fin dall'inizio che non era mia intenzione offrire un'enciclopedia di spiritualità in miniatura, e perciò non mi sarebbe stato possibile affrontare tutti gli argomenti.
    Inoltre non volevo, e il lettore se ne sarà reso conto, sbilanciare la trattazione sul versante delle pratiche religiose, perché avrebbe significato preparare un manuale e un prontuario da utilizzare solo nel momento della preghiera.
    Mi era parso molto più utile e, a lungo andare, efficace offrire spunti e motivazioni che avrebbero potuto aiutare a rispondere ad alcune domande di fondo e a risolvere una serie di difficoltà pratiche che tutti e sempre incontreremo.
    Infine un quaderno dell'animatore che concludesse un tema così importante senza aprire spazi a lavori e impegni ulteriori era da valutare contrario all'impostazione generale da cui sono partito.
    L'esigenza della riformulazione continua, attenta alla cultura e alla dimensione personale e locale, attenta ai concreti obiettivi dell'animazione, ha avuto la precedenza rispetto agli interrogativi su riportati.


    IL CANOVACCIO

    Per una scuola di giovani animatori

    Franco Floris - Domenico Sigalini


    OBIETTIVO DEL QUADERNO

    Va messo anzitutto in luce l'obiettivo del quaderno.
    Trattando della spiritualità dell'animatore ci si pone al cuore del progetto dei «quaderni».
    Il «credo» dell'animatore (Q1 diceva: l'animazione è una funzione che prende il volto concreto quotidiano di una persona: l'animatore».
    Ma l'animatore ha una sua identità: attorno a che cosa, con quali ferimenti matura questa sua identità cristiana?
    L'obiettivo è, allora, aiutare l'animatore a definire la sua identità di fede, nella scelta globale di quel particolare servizio ai giovani che è l'animazione.
    Questo obiettivo generale viene raggiunto attraverso vari obiettivi intermedi, che non sono altro che ossatura di tutto l'impianto educativo dell'animazione, ma letti attraverso una particolare angolatura, quella della risonanza interiore, personalissima, di un animatore che nello svolgere il suo ruolo non deve sentirsi svuotare, ma crescere in consistenza e maturità umana e cristiana.
    Diverse pagine dei quaderno potranno sembrare ripetizioni o riassunti di cose già note, ma la novità sta proprio nel punto di vista da cui ci si pone. Se, per esempio, si parla della visione di Chiesa che sta alla base (cf Q3) o della Incarnazione (cf Q7), non è per studiare un impianto teorico di teologia, ma per cogliere la risonanza, e precomprensioni, l'unità interiore che ciascuno deve sentire pena il ridurre tutto ad una sorta di mestiere dell'animazione. Con il rischio di un lavoro sterile sul piano umano e su quello della crescita di fede: si lavora senza più riconoscere le ragioni di fondo per spendere il proprio tempo a favore dei giovani.

    PUNTI NODALI

    Vediamo allora quali sono i «punti nodali» che raccolgono l'obiettivo generale e quelli intermedi del quaderno.
    - Parlare di spiritualità è anzitutto rintracciare un «punto di vista» per rileggere l'intera animazione. Per cogliere tale punto di vista occorre, concretamente, fare attenzione alla «introduzione» (paragrafo 1) e alle varie «premesse» agli altri paragrafi. Sono i luoghi in cui rintracciare i «punti di vista» per capire quello che segue, togliendo l'impressione che si tratti di un «déja vu».
    I problemi sono più concreti di quanto si pensi. Proviamo a passarli in rassegna.
    Se parlo di spiritualità perchè devo ri-formularla? Ri-pensarla a partire dalle istanze teoriche dell'animazione culturale e dall'esperienza concreta di chi fa animazione, a quali conseguenze conduce? Che rapporto va stabilito tra cultura e animazione? Su tutti questi problemi si veda il primo paragrafo del quaderno.
    I temi teologici tipici della scelta dell'animazione (la passione di Dio per la vita dell'uomo, il Regno di Dio e la chiesa a servizio del Regno sviluppati nel Q3, come vengono a caratterizzare il modo di vivere e dunque la spiritualità dell'animatore? Si veda, a riguardo, la «premessa» al paragrafo terzo.
    L'Incarnazione, fondamento del rapporto tra animazione e fede, può non essere il fondamento della spiritualità dell'animatore? Da questa angolatura va riletto il quarto paragrafo dei quaderno.
    Quali atteggiamenti, a questo punto, descrivono la spiritualità di un animatore e secondo quali modalità viene ad esprimersi? È questa l'angolatura da cui leggere il quinto paragrafo.
    - Come arrivare ad una spiritualità coerente con l'animazione, staccandosi da spiritualità che creerebbero disagio o schizofrenia qualora non fossero debitamente superate, anche se per l'animatore sono state fino a questo momento capaci di dare unità alla sua vita?
    - Puntare la ricerca e la costruzione della propria identità su un fondamento unificante: l'Incarnazione, e sull'antropologia teologica che ne sostiene tutti gli sviluppi.
    - Avere la pazienza di rendere praticabili i principi teologici e antropologici con gli atteggiamenti e le virtù tipiche del cristiano, rese coerenti, in una rigorosa ri-visitazione, con la scelta dell'animazione.
    - Operare una sutura tra la propria spiritualità e le sue manifestazioni e la spiritualità dell'animazione.

    STRUMENTI

    Offriamo alcuni semplici strumenti di lavoro per le varie fasi di utilizzazione dei quaderno.

    Un impegno preliminare: leggere la vita di un santo

    Può essere arricchente, mentre in gruppo si studia questo quaderno, chiedere di leggere personalmente la vita di un santo per lasciarsi coinvolgere in una spiritualità vissuta concretamente.
    Tra le varie figure di santi se ne possono consigliare alcune, come le vite di Don Bosco, don Orione, Carlo Borromeo, Teresa di Lisieux, Francesco di Assisi, Tommaso Moro, Charles De Foucauld, Madre Teresa di Calcutta, Piergiorgio Frassati, Armida Barelli, Simone Weil, Raissa Maritain, Don Mazzolari, Don Milani...
    In concreto si legge la biografia (o il diario) e, man mano che si procede, si trascrivono alcuni slogan o frasi dei santo oppure alcune riflessioni personali sul tipo di spiritualità che ne emerge e sugli imperativi per il proprio modo di vivere da credenti.
    Finita la lettura si raccolgono i vari stimoli e si verifica in che modo possono essere mattoni utili per la costruzione della spiritualità dell'animatore. Facendo attenzione, tuttavia, a non sovrapporre in modo eclettico le esperienze dei santi e a riformulare nell'oggi i loro stimoli.

    Strumenti per un primo approccio

    Ecco alcuni modi per iniziare il lavoro sul quaderno.
    - Affermazione e negazione. Si scrive al centro della lavagna la parola «spiritualità» e si chiede ai presenti di aggiungerne altre dieci che, a loro parere, hanno a che fare con tale termine. Una volta scritte le dieci parole si chiede di «negare» (sottolineando) le parole scritte che, a parere di qualcuno, non c'entrano con spiritualità. Infine si chiede se qualcuno vuoi far risuscitare una delle parole negate (facendo un cerchio attorno)
    Inizia la discussione tra chi ha affermato e negato. Si arriverà ad alcune convergenze e ad alcuni punti controversi. E si arriverà anche, ed è lo scopo di questo strumento, ad una prima descrizione di cosa intendere per spiritualità.
    - Scorrere l'indice. Il primo problema da affrontare è la ricerca del «punto di vista». L'operazione si ripropone sia al primo paragrafo, introduttivo a tutto il quaderno, sia alle singole premesse agli altri paragrafi.
    Il lavoro può essere svolto osservando, prima personalmente poi in gruppo, l'indice del quaderno, per segnare su di esso cosa già si suppone di sapere. Subito dopo si ricerca, nella introduzione generale o nelle premesse ai paragrafi, il particolare punto di vista del quaderno su quel tema o problema. Una domanda molto semplice per concretizzare il lavoro può essere a questo punto: «io, rispetto a questo, come vivo?».
    - La drammatizzazione delle spiritualità. Dopo una lettura delle varie fotografie (spiritualità degli intervalli, spiritualità dell'intenzione ... ) si può dare vita a delle drammatizzazioni di gruppo che evidenzino le caratteristiche del modello, magari applicando le varie scene alla vita di un ipotetico animatore di gruppo.
    Dopo le rappresentazioni si può discutere sugli aspetti positivi e negativi di ogni modello e sulla possibilità o meno di assumerlo come spiritualità dell'animatore.
    - Le strisce alla Mafalda. Si disegnano su cartelloni delle strisce come le classiche strips di Charlie Brown e Mafalda. Una strip per ogni modello di spiritualità.
    Indichiamo due possibili serie di soggetti. La prima è a soggetto libero: brevi scene, in tre o quattro quadretti, di vita spirituale di un animatore. Con le relative «nuvolette» di parlato. Una seconda serie potrebbe essere invece a soggetto obbligatorio. In ogni striscia i personaggi sono due sagome di uomo, una colorata (il credente) e l'altra in nero (il cittadino). I tre o quattro quadretti possono rappresentare dapprima il credente staccato dal cittadino, poi il credente ed il cittadino in lotta, infine il credente con tratti di cittadino o viceversa, oppure il cittadino con la testa del credente...
    Segue discussione per evidenziare i vari modelli di spiritualità e per verificare fino a che punto l'animatore può farli suoi.

    Al cuore dei problema

    Una volta entrati in tema, si tratta di evidenziare il problema: quale spiritualità per un animatore, laico e magari giovane, che vede nell'animazione in modo di testimoniare la fede ed uno stile per annunciare il vangelo ai giovani?
    - Il gioco della metafora. È mportante anzitutto riprendere alcuni contenuti ecclesiologici rifacendosi al Q3. Per non appesantire il lavoro si può ricorrere alla tecnica della metafora (cf B. Grom, Metodi per l'insegnamento.... LDC 1981, p. 140).
    Mandato della metafora: «per me la chiesa è come...». Questo per far emergere, più che i singoli contenuti su cosa è chiesa, gli atteggiamenti di fondo a proposito di chiesa e regno di Dio, chiesa e promozione umana, chiesa e salvezza. Una volta emersi questi atteggiamenti o stati d'animo, si può studiare il paragrafo terzo di questo quaderno, in particolare «Una comprensione della chiesa che ispira una spiritualità dell'animazione (3. L).
    - Una tavola rotonda. Esigenza dell'animatore è spesso quella di mettere a fuoco una sua identità laicale rispetto al modo di vivere dei prete o della suora. L'animatore non è un laico per insufficienza di prove, ma è un uomo che vive a titolo originale la sua chiamata alla santità. Si può chiarire il problema con una tavola rotonda in cui sono messe a confronto e in dialogo varie vocazioni e vari modi di vivere quel «sacerdozio» dei fedeli che è alla base della secolarità. Per la tavola rotonda possono essere chiamati un prete, una suora, un professionista, un attivista nel mondo dei lavoro, un animatore... Tema per tutti: tratti fondamentali del proprio modo di fare esperienza di Dio e originalità della propria vocazione rispetto alle altre.
    Da notare che il quaderno affronta la spiritualità in termini di seria laicità, ma non ha il tempo di trarre tutti gli orientamenti al vissuto quotidiano, E in questa direzione che la tavola rotonda dovrebbe proseguire l'approfondimento della spiritualità dei laico.
    - Una tabella. Per puntualizzare il fondamento della spiritualità (l'Incarnazione) si possono riprendere le strips che sono state preparate in precedenza (vedi sopra) e valutarle alla luce di tale evento determinante per il cristianesimo. Invece che alle strips, si può ricorrere ad una tabella per ripensare in termini di spiritualità le prospettive di evangelizzazione presentate nel Q7 (gerarchica, dialettica, di incarnazione). Per ogni prospettiva si pone la domanda: quale risonanza spirituale ha nell'esperienza di un animatore, in particolare nella mia esperienza di animatore? In quale prospettiva allora riconoscersi?
    Indichiamo come costruire la tabella. È divisa in due parti lungo l'asse verticale:
    sulla sinistra sotto il titolo: «stili di evangelizzazione» vengono riportate alcune affermazioni (vedi sotto) relative alle diverse prospettive di evangelizzazione;
    sulla destra sotto il titolo: «quale spiritualità per l'animatore?» si lascia spazio bianco in corrispondenza di ogni prospettiva.
    A piccoli gruppi si compila la tabella, dapprima leggendo e commentando le affermazioni sulla sinistra e poi individuando i tratti caratteristici di una spiritualità coerente con ogni prospettiva.
    Seguono ora le domande: in quale identikit di spiritualità ti ritrovi? Ti ritrovi in uno solo, oppure il tuo modo di vivere sovrappone i diversi identikit? Anche qui segue discussione in gruppo.
    Diamo, per costruire la tabella, quattro affermazioni per la colonna di sinistra che descrivono sinteticamente quattro modi di pensare la evangelizzazione ed il suo rapporto con l'animazione.

    1. «Noi facciamo educazione solo per poter evangelizzare; l'interesse alla scuola, allo sport alle cose che piacciono ai giovani è un momento di passaggio all'evangelizzazione».
    2.«Essere cristiani è essere uomini; basta educare i giovani ed essere persone, promuoverli socialmente e politicamente per fare dei cristiani. Quando tu riesci a farli stare bene insieme, a farli parlare, a responsabilizzarli per qualche servizio, hai raggiunto l'obiettivo».
    3.«Bisogna organizzarsi bene:
    - chi fa educazione, sport, attività di convivenza;
    - chi evangelizza e educa alla preghiera.
    Di conseguenza occorrono:
    - un luogo per l'educazione religiosa e la preghiera ben raccolto, di un certo stile, difeso e recondito;
    - i luoghi della vita di relazione, di sport e di promozione umana».
    4.«La grazia di Dio ha una potenza sconvolgente, non ha bisogno di tanti puntelli o mediazioni umane rischiando con queste di contaminarsi.
    La fede è frutto di un annuncio puro e incontaminato. “ Dio che dona la fede».

    Cosa si intende per cultura della vita?

    Una delle parole chiave del quaderno è «cultura della vita». una intuizione molto fresca e vivace a cui tuttavia va dato un corpo adeguato.
    Indichiamo tre possibili tracce di lavoro in proposito.

    Lettera a...
    Si propone ad ognuno di scrivere una lettera ad un giovane drogato perché angosciato dalla vita o ad un giovane che ha subito un incidente strdale che lo rende inabile per il resto della vita. La lettera va scritta a partire da tre frasi:
    - «non abituarsi alla morte prima che venga»;
    - «accogliere la legge del seme»;
    - «convertirsi al futuro, riformulando 'chi sono'».
    Una volta scritte le lettere, a piccoli gruppi le si legge insieme cercando di arrivare a precisare cosa si intende per «cultura della vita».

    Cultura della vita è...
    Un altro lavoro di gruppo può essere il seguente. Si offre un elenco di affermazioni che lasciano intravvedere cosa sia cultura della vita e quindi si discute, precisando gli aspetti che vanno accolti e quelli che vanno rifiutati o accolti in modo critico.
    Ovviamente l'elenco deve contenere affermazioni positive e negative. Ad esempio, «cultura della vita è»:
    - voglia di vivere;
    - lasciarsi trasportare dalla corrente;
    - vivere quel poco che la vita passa;
    - innestare;
    - tempo di tenerezza;
    - dare un nome alle cose;
    - divertirsi;
    - sacrificarsi;
    - spendere soldi;
    - fare politica;
    - lasciar sbocciare;
    - soffrire per una causa;
    - accontentarsi.
    Quali di queste affermazioni rispondono al proprio modo di pensare la cultura della vita?

    Di fronte a un messaggio. Per approfondire ancora cosa si intende per cultura della vita si può leggere insieme un brano di Lucio Lombardo Radice riportato nella finestra di pag. 3 1. Il tema è quello della felicità e del suo contenuto e, in particolare, del luogo dove si può sperimentare felicità. È facile la trasposizione per quel che riguarda come vivere personalmente la cultura della vita.

    Le beatitudini dell'animatore

    L'approfondimento del paragrafo quinto «la spiritualità dell'animazione» può essere svolto affiancando le pagine del quaderno con una ricerca da parte dei presenti dal titolo «le beatitudini dell'animatore».
    Ecco una traccia operativa.
    - Si leggono insieme le beatitudini (ad es. Mt 5).
    - Si comincia a ripensare le beatitudini, ponendosi nell'ottica di chi fa animazione, secondo questa terna:
    viviamo in un tempo di... (come si caratterizza l'oggi per i giovani nell'attuale momento culturale?);
    il Signore annuncia e promette che... (qual è l'annuncio evangelico attualizzato per l'oggi?);
    sarete beati come animatori, se... (quale vissuto allora si raccomanda all'animatore che vuole vivere da credente oggi?).
    La terna, come si vede, vuole evidenziare:
    - la sfida in cui l'animatore e i giovani sono immersi;
    - qualche «fatto» della vita di Gesù (andando oltre il testo puro e semplice delle beatitudini e cogliendo la intera vita di Gesù come «vivere da beati») che offre una illuminazione ed una promessa di salvezza);
    - il conseguente stile di vita dell'animatore.
    A questo punto si può leggere insieme o, meglio ancora, presentare i contenuti del quaderno al paragrafo 5, in particolare ai punti «gli atteggiamenti 'spirituali' di ogni animatore» e «gli atteggiamenti 'credenti' dell'animatore».
    Infine si può chiedere di integrare le beatitudini scritte in precedenza con gli stimoli offerti dal quaderno. Si arriva così ad una sorta di programma di vita dell'animatore.

    Verso un vissuto da animatori credenti

    Dalle «beatitudini» occorre passare ad una verifica puntuale dei modo di vivere dell'animatore. Indichiamo tre tecniche di lavoro.

    - Un diario spirituale. A mano a mano che si approfondisce il presente quaderno si può chiedere ai giovani animatori di scrivere, per un certo tempo (un mese o due), tutte le sere, un «diario spirituale» in cui «raccontare» a Dio, il vissuto quotidiano: esperienze positive e fatti problematici, slanci e paure nella ricerca di una identità personale, momenti di tristezza e interrogativi profondi sul senso «credente» della vita. Il tutto con un linguaggio interiore e sapienziale, evitando tuttavia toni intimistici e autocontemplativi.
    Scrivere un diario sollecita il giovane animatore ad un continuo esame di coscienza, ad una confidenza più immediata nel trattare con Dio, a ripensare il vissuto alla ricerca della trama nascosta...
    Queste pagine possono essere rilette tutte insieme da una guida spirituale, meglio se estranea al gruppo, il quale offrirà poi una sua riflessione sulle intuizioni positive, su alcuni nodi problematici e su alcune «svolte» risolutive nella linea della spiritualità della Incarnazione.
    - Le ventiquattro ore di un giovane animatore. Su un foglio, in cui è disegnato un quadrante di orologio con l'indicazione delle varie ore, gli animatori segnano come spendono il loro tempo in ore e minuti nell'arco di una giornata tipo, per lo più feriale. I vari spicchi del quadrante esprimono delle misurazioni quantitative sulle quali si comincia a lavorare per arrivare poi a valutazioni qualitative, relative cioè al peso che i vari momenti della giornata vengono ad avere nell'esperienza spirituale.
    Si possono suggerire alcune voci che devono comparire nel quadrante: lavoro e/o studio, vita di relazione (amici, coppia), animazione di gruppo, tempo libero per se stessi (sport, scuola di danza...), lettura e meditazione, preghiera personale, partecipazione al territorio (rapporto con le istituzioni sociali, la parrocchia ...), vita di famiglia...
    Dopo aver completato il disegno, la domanda rivolta ai singoli diventa: dove ti è più facile incontrare Dio? In gruppo ci si comunica le risposte per vedere dove stanno le difficoltà e le intuizioni positive. Una attenzione particolare può essere data al verificare se l'incontro con Dio è visto più nella direzione di una sacramentalità «diffusa» o più nella direzione di una sacramentalità «espressa» nella preghiera o nella lettura della parola di Dio.


    T e r z a
    p a g i n A


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