Carlo Molari
(NPG 1995-09-05)
Il contenuto essenziale della fede in Cristo può essere espresso in modo conciso dicendo: «Gesù salva». La salvezza indica pienezza di vita (cf «Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza o pienezza»: Gv 10,10). Le componenti essenziali della salvezza, come appare in tutta la Bibbia e come è offerta in Gesù, sono due: essa è da Dio ed è nella storia. Ritenere questo significa affermare che «la ricerca del Vero è stimolata in noi da una Parola molto più ricca della nostra verità; il nostro amore è suscitato da un Bene molto più grande di noi; possiamo realizzare la giustizia, perché Essa stessa si offre e spinge per entrare nella società degli uomini; esistiamo perché la Vita in noi si esprime e ci alimenta». Parola, Bene, Giustizia e Vita esistono già e possono entrare nella storia umana. Noi li chiamiamo Dio. E il Natale proclama questa scoperta.
L'interpretazione del mistero di Gesù, quindi, celebrato nel Natale, parte dal presupposto che Gesù salva perché Dio in Lui si fa presente e opera; che Egli, cioè, è stato costituito Messia e Signore (cf At 2,36) perché ha svelato, nella sua esistenza, i tratti essenziali dell'azione e della parola divine che salvano. La efficacia salvifica dei suoi gesti di perdono, di compassione, di misericordia è la medesima efficacia dell'Amore creatore di Dio. Per questo Gesù è stato chiamato «icona (eikòn) di Dio» (2 Cor 4,4), «l'immagine del Dio invisibile» (Col 1,15), «irradiazione della sua gloria, impronta della sua sostanza» (Eb1,3). Ogni azione di Gesù, in questa prospettiva, ha senso e struttura simbolica ed egli poteva dire: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9). Egli viveva in tale comunione con Dio da renderlo presente attraverso la sua azione. Gesù realizza ed esprime quindi il mistero della presenza salvifica di Dio fra gli uomini. Il Natale ne è la celebrazione simbolica: Dio si fa carne nella storia umana.
Nella tradizione cristiana questa presenza dell'azione di Dio in Gesù viene tradotta con l'espressione incarnazione. Il termine, raro nei primi tempi e divenuto poi corrente, significa diventare carne o farsi uomo. Questa espressione nel Prologo del quarto Vangelo è usata in riferimento al Verbo di Dio: «Il Logos si è fatto carne» (Gv 1,14). Il termine Logos o Verbo per riferirsi a Gesù è utilizzato anche nel prologo della lettera di Giovanni (1,1: «Ciò che abbiamo toccato del Verbo della vita») e nella Apocalisse («il suo nome è Verbo di Dio»: Ap 19,13: parola che giudica, cf Ap 20,11-12).
Il termine incarnazione si può prestare ad equivoci e di fatto nei secoli è stato utilizzato anche per esprimere le fantasie degli gnostici relative alla discesa di un essere celeste in terra (un eone divino, come essi dicevano). In realtà, nel prologo del quarto Vangelo divenire carne significa rivelare la perfezione divina in forme umane, far risuonare la sua Parola in modulazioni create. Ed è presentata come l'effetto dell'azione dello Spirito di Dio, e l'opera formatrice di Gesù nei confronti degli Apostoli si compie con l'effusione dello Spirito. Giovanni dice che tale effusione è stata resa possibile dalla spiritualizzazione di Gesù nella risurrezione. Riferendo le solenni parole di Gesù nel tempio: «Chi ha sete venga a me e beva», egli infatti commenta: «Questo disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in Lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato glorificato» (Gv 7,39). Gesù rappresenta una vetta eccelsa dell'azione dello Spirito nella storia umana: un testimone che suscita ancora fede nella azione salvifica di Dio e che effonde ancora Spirito in chi accoglie la sua parola.
L'incarnazione, come azione dello spirito di Dio, non è un evento istantaneo, bensì un processo che per Gesù culmina nella Pasqua, quando è stato costituito «principio di salvezza eterna per tutti quelli che gli obbediscono» (cf Eb 5,9), «Figlio di Dio in pienezza per opera dello Spirito nella risurrezione dai morti» (cf Rm 1,4). Lì Gesù ha raggiunto l'identità di figlio e realizzato la rivelazione suprema dell'amore divino.
Per il cristiano quindi celebrare il Natale è ricordare il momento di inizio del cammino di fedeltà che consentirà a Gesù di realizzare in modo paradigmatico l'epifania di Dio in mezzo agli uomini.
L'avventura continua
Ma la storia salvifica non è finita. La rivelazione di Dio, infatti, non si è esaurita in Gesù. Essa continua e sempre secondo la legge dell'incarnazione. Gesù è stato costituito Messia e Signore appunto perché altri, riferendosi a Lui, possano perpetuare la sua missione. La sua rassicurazione: «in verità, in verità vi dico: chi crede in me, anch'egli farà le opere che io faccio e ne farà anche di più grandi» (Gv 14,12) è la promessa della continuità. La fede in lui si è sviluppata nella convinzione che i suoi seguaci, «riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore», vengono «trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore» (2 Cor 3,18).
In questa prospettiva l'incarnazione non è solamente un evento, ma un paradigma costante dell'azione di Dio e quindi anche una legge essenziale dell'esistenza redenta: la componente strutturale di una autentica spiritualità cristiana. La specificità della vita cristiana è la fedeltà a questa legge rivelata in Gesù.
Ricordare il Natale di Gesù, quindi, è celebrare la legge della incarnazione, è proclamare che la Parola divina diventa udibile sulla terra solo quando lo Spiri- to la rende parola di uomini; è ripetere che l'amore di Dio diventa efficace solo quando lo Spirito di Cristo lo traduce in gesti di amore umano; è testimoniare che la misericordia del Padre si esprime nella storia solo quando nello Spirito di Cristo si fa perdono di creature; è mostrare che la Vita diventa dono per gli uomini quando lo Spirito di Dio rende carne la sua Parola.
Le sfide attuali della storia attendono altre forme di rivelazione, invenzioni nuove di solidarietà, inediti livelli di umanità. Più la storia procede, maggiori forme di amore, di solidarietà, di misericordia, di perdono sono necessarie alla vita umana. Celebrare il Natale, quindi, non è solo rievocare un passato, né solo proclamare la legge fondamentale della salvezza, ma è anche crea- re quell'ambiente vitale, che consenta forme inedite di rivelazione divina e quindi una nuova umanità.
Mentre per la nascita e la crescita di Gesù è stato sufficiente un semplice ambiente familiare, per lo sviluppo della presenza di Dio nella storia umana non bastano singoli individui e ambienti ristretti. Sono necessarie comunità sempre più ampie, che vivendo in fedeltà il Vangelo, creino climi vitali intensi e consentano l'irruzione dello Spirito di Dio in forme nuove. Celebrare il Natale è appunto esercitarsi per questa missione di vita.