I giovani allo specchio: una «lenta serietà»


Giuseppe De Rita

(NPG 1994-01-42)


Pur se questa è una fase storica in cui sembrano andar più di moda gli anziani che i giovani, è giusto dire che le ricerche sulla condizione giovanile si moltiplicano e si accavallano. Per cui chi voglia o debba scrivere qualcosa sull'argomento si ritrova con una sovrabbondanza di dati ed elementi di conoscenza e di approfondimento.
Nondimeno si sfugge alla sensazione spiacevole che è molto difficile cavar fuori una dignitosa linea interpretativa dall'insieme di materiale che abbiamo a disposizione. Le ragioni di ciò stanno probabilmente nel fatto che ogni analisi sui giovani (sia essa molto impressiva e naive o frutto di ponderose indagini campionarie) parte da un angolo visuale molto specifico, personalizzato, spesso legato alle esperienze compiute nella conoscenza dei giovani acquisite nei ristretti ambiti familiari e amicali. Sui giovani tutti ritengono di poter avere qualcosa da dire o qualche ipotesi da verificare. La letteratura si amplia, l'interpretazione non matura.
Basterebbe vedere, per averne conferma, come non riescano a dir molto le tante ricerche degli anni passati su aspetti ritenuti via via essenziali: quelle sul conflitto generazionale; quelle sull'ardore dei giovani nella radicale tensione alla trasformazione della società; quelle sulla dilatazione della giovinezza (l'adolescenza prolungata) tipica di questa epoca di famiglia lunga; quelle sullo stress dei giovani di fronte alla società complessa; quelle sulla anomia giovanile; quelle sul sovraccarico di conoscenze e skills fornite ai giovani; quelle sull'individualismo giovanile; quelle sulla crescente dimensione tecnologica e mediatica (televisione, informatica, ecc.) che accompagna i giovani d'oggi; quelle sulle diverse forme e campi di marginalizzazione del mondo giovanile. Potrei continuare, ma credo che chiunque dei lettori che abbia curiosato fra tabelle o pagine di alcune di tali ricerche sa bene che esse non producono adeguati spunti di interpretazione complessiva dell'universo giovanile di oggi.
Non per questo è giusto abbandonare il lavoro di esplorazione e di approfondimento, specialmente quando (come mi sembra avvenga oggi) l'oggetto di tale lavoro, cioè il mondo giovanile, tende a nascondersi ed appiattirsi sulla realtà degli adulti, quasi in una logica di omologazione. Dubito sempre, infatti, quando mi si parla di omologazione (fra gruppi sociali, fra generazioni, fra culture): ci ritrovo sempre una furba sottrazione degli interessati allo sguardo altrui, così da avere più autonomia e libertà.
Vediamola dunque questa linea interpretativa basata sull'ipotesi della omologazione, linea oggi vincente. Le ricerche parlano chiaro, una per tutte una ricerca Doxa della fine del '92: i giovani sono in una quiete quasi assoluta, se è vero che il 92% di essi è soddisfatto dei suoi rapporti con la famiglia; il 90% dell'istruzione che sta completando; l'89% dei propri vestiti e dei rapporti con i coetanei; 1'89% delle amicizie e della casa in cui vivono; l'82% della propria salute ed il 78% del tenore di vita in cui sono immersi. O la ricerca è sbagliata (ma la Doxa è brava e del resto molte altre ricerche confermano il senso, se non la qualità esatta, degli atteggiamenti indicati), oppure questi nostri giovani sono proprio appiattiti, con soddisfazione all'attuale loro condizione.
Una quieta inquietudine, con una progettualità per il futuro molto povera (l'ambizione più ricorrente, per l'81,6% è per «voglio avere famiglia e figli»), con una grande propensione alla quotidianeità e con una forte caduta delle tensioni innovative e conflittuali. L'omologazione è a questo punto quasi totale, anche sui sentimenti, se si pensa che gli stati d'animo prevalenti sono considerati dai giovani comuni anche alle loro famiglie ed alla gente in generale (preoccupazione, disillusione e sfiducia, incertezza, confusione). Stati d'animo generici, più che altro di sfogo emotivo, e che contraddicono solo in parte la forte soddisfazione dell'attuale modo di vivere.
Ma non c'è una qualche incrinatura in questa così forte omologazione dei giovani agli adulti? Ci sono segnali che qualcosa si sta muovendo? L'incrinatura c'è, ed è la progressiva sensazione dei giovani che la famiglia toglie loro qualcosa: dà tanto ma non permette di uscire dal guscio, di maturare una propria personalità.
Così, se si domanda ai giovani quali processi di crescita personali siano oggettivamente impediti dalla prolungata vita in famiglia, le risposte si appuntano prioritariamente sull'indipendenza economica (51,8% ); sull'emancipazione femminile (49,2%); sulla capacità di assumere le proprie responsabilità (46,2% ); sulla conoscenza di se stessi (44,5% ); sui rapporti con gli amici (41,7%); sulla crescita personale e sulla sicurezza interiore (38,5% e 35,7%).
Fra un terzo e metà dei giovani italiani sentono l'ovattato coinvolgimento della famiglia come un ostacolo alla propria maturazione; ci sarà anche un po' di compensazione psichica in tali risposte, ma la verità di fondo è che un disagio esiste. C'è da sperare che prenda progressiva forma, anche dialettica se non vogliamo che cresca una progressiva immaturità umana delle nuove generazioni. Qualcosa si sta muovendo in questa direzione, anche se forse non nella logica conflittuale che ha contraddistinto in passato le successioni generazionali. Chi guarda ed analizza il mondo giovanile avverte, infatti, da un lato, il recupero di valori di impegno e responsabilità individuale, dall'altro l'affermarsi di una tensione positiva ad una sorta di riforma della vita collettiva. Nella graduatoria delle virtù infatti i primi cinque posti vanno, per i giovani, alla onestà (66,5%); alla responsabilità (53,5% ); alla solidarietà collettiva (36,5%); alla laboriosità (32,1%) ed alla razionalità (15,1%); mentre non superano il 3% delle risposte le «virtù» della flessibilità e della furbizia. E non vale il sospetto che poi i giovani cerchino nei fatti di essere più furbi di quanto dichiarino; vale il fatto che la loro scala di valori sta cambiando.
Lo si vede, del resto, anche nei loro crescenti comportamenti: cresce l'associazionismo (il 65% dei giovani fa parte di un'associazione culturale o sociale); cresce il volontariato di solidarietà sociale; cresce l'esperienza religiosa, anche e specialmente di stampo collettivo e di gruppo; cresce l'attenzione (se non ancora la tentazione a farsene coinvolgere) alla trasformazione della qualità della vita comune, della politica, delle istituzioni.
In conclusione, l'omologazione innegabile dei giovani d'oggi è verosimilmente destinata a lasciare il passo a scelte culturali e di vita di nuova esplorazione delle loro possibilità di crescita. Si tratterà di un processo non rapido e conflittuale (non vedo nuovi '68 all'orizzonte), ma di un processo lento e cauto. Forse per questo non dovremmo aspettarci risultati immediati nella crescita di maturità dei giovani; ma possiamo coltivare a ragione la speranza che la lentezza del processo si unirà ad una grande serietà dei protagonisti. Ecco, nel bene e nel male, la «lenta serietà» sembra essere la caratteristica dei nostri figli.