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    Incroci vitali

    Salvatore Ricci

    (NPG 2014-05-02)


    "Lei non sa chi sono io...": un'auto-presentazione di sé, sentita o pronunciata, il più delle volte in tono presuntuoso se non addirittura arrogante. Eppure può essere anche un fraterno invito a rivedere l'idea piena di pregiudizi che abbiamo degli altri. Così come avrà fatto tante volte anche Matteo, giudicato, discriminato ed etichettato come un grande peccatore. È un invito a riconoscerlo per quello che è, non per quello che fa. Un invito accolto pienamente da Gesù, sin dal primo incontro.
    Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: "Seguimi". Ed egli si alzò e lo seguì.
    Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: "Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?". Udito questo, disse: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Mt 9,9-13).
    Gesù vide un uomo… Il suo è uno sguardo che dichiara la sua passione per ogni uomo e la sua storia, il suo desiderio di incontrare e costruire rapporti profondi. È uno sguardo che accoglie e non respinge perché non è venuto per incriminare e puntare il dito - così come fanno i farisei, così come fa il mondo oggi- ma è venuto a guarirci, a farci rinascere. È lo sguardo di chi ama veramente, perché vede Matteo e non i suoi errori, l'uomo creato da Dio e non ciò che la vita lo ha reso. Perché Lui conosce chi è Matteo.
    Il nostro modo di ralazionarci spesse volte è determinato dall'idea che ci facciamo dell'altro, basando le nostre convinzioni su quello che l'uomo può o non può fare, trascurando ciò che realmente è.
    E questo però ci porta anche a credere che il nostro prestigio, la nostra immagine, la nostra grandezza sia direttamente proporzionata al nostro fare, al punto che siamo così impegnati a costruire il telaio della finestra che a volte dimentichiamo l'orizzonte che essa ci permette di vedere, e non siamo capaci di contemplare il panorama, la bellezza e la profondità dell'essere umano, la persona.
    E così tutte le nostre energie le spendiamo in attivismo sterile, quasi una sorta di promozione di se stessi attraverso il nostro efficientismo, trascurando la costruzione e la crescita dei rapporti umani. Al punto che il ruolo eclissa l'essere, come l'armatura nasconde il cuore del cavaliere.
    Ricordo che tempo fa andai a trovare un caro amico sacerdote che non vedevo dagli anni del seminario. Dopo i consueti saluti e gli immancabili "ti ricordi quando…" mi invitò ad andare con lui per porgere l'ultimo saluto al suo caro vecchio Vescovo emerito venuto a mancare il giorno prima e la cui camera ardente era stata allestita presso una Chiesa ubicata all'interno di una grande struttura ospedaliera per disabili mentali. Non nascondo che più che da un sentimento di gratitudine verso quel Vescovo che non conoscevo, fui spinto da un pizzico di curiosità. "Chissà quanta gente importante, quante autorità, quanta sontuosità..." mi ripetevo lungo il tragitto.
    Appena arrivati però, entrando in Chiesa, la mia fantasia viene immediatamente frenata dalla realtà. In fondo alla navata deserta, ai piedi del presbiterio scorgo il feretro circondato da un piccolo gruppo di persone. Gente importante? Stendardi? No. Soltanto gli "ospiti" della casa. Il rumore dei nostri passi, amplificati dal vuoto della navata, veniva interrotto da una sottile voce al microfono che invitata i presenti alla recita del Santo Rosario.
    Sembra assurdo, ma quel Vescovo, che per tanti anni era riuscito ad attirare intorno a sé una moltitudine di gente, ora è un uomo solo. Un tempo si sgomitava per avere un posto di prestigio accanto alla sua sede, ora invece accanto alla sua salma c'è soltanto qualche curioso "speciale". Quell'anello infilato al suo dito, che tante volte era stato oggetto di competizione nel porgere le riverenze, ora viene toccato solo da mani insolite. Quella voce, che un tempo creava il silenzio, perché voce autorevole, ora è stata soffocata dal vociare di quelle poche persone. Quel Vescovo, un tempo così importante, così stimato, ora è un uomo solo. Allora agli occhi degli altri siamo importanti per quello che facciamo o per quello che siamo?
    Gesù chiamando e amando Matteo sin dal primo momento ci insegna ad andare oltre l'apparenza, oltre le sovrastrutture che ci creiamo o che ci vengono imposte, per imparare a far risplendere il nostro "essere" perché l'apparire ci nasconde e inganna, l'essere invece ci rivela…
    Essere, nonostante i nostri limiti e fragilità, per non ritrovarci un giorno a dire "Lei non sa chi sono stato io…".


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