Crisi: cinque figure
tra decadenza e speranza
Bruno Forte
È attraverso la via della metafora che vorrei tentare di pensare la crisi in cui si trova oggi "il villaggio globale". Con la sua eccedenza di senso la metafora si presta ad evocare i volti di quanto sta avvenendo e le possibilità di superare le difficoltà presenti senza pretendere di ridurre a diagnosi facile la complessità magmatica di ciò che è in corso. Quattro metafore fluide – naufragio, liquidità, assemblaggio e navigazione - approderanno ad una finale metafora di sicuro Autore: Babele e la sua torre.
NAUFRAGIO
La prima metafora è quella del naufragio: a farne uso come strumento interpretativo dell'epoca moderna e della sua crisi è Hans Blumenberg. L’impiego dell’immagine rinvia a un testo di Lucrezio, voce della condition humaine dell’età "classica": «Bello, quando sul mare si scontrano i venti e la cupa vastità delle acque si turba, guardare da terra il naufragio lontano: non ti rallegra lo spettacolo dell'altrui rovina, ma la distanza da una simile sorte». La potenza dell'immagine si gioca sulla contrapposizione terraferma, stabile e sicura, e il mare, e incostante: lo spettatore dell'età di Lucrezio osserva la scena del naufragio sicuro sul solido terreno delle sue certezze. Lo spettatore dell'età moderna, invece, non ha più queste certezze, anzi l'evidenza della frase di «Vous etes embarqué». Blumenberg commenta: «Non c'è più lo stabile punto di partire dal quale lo storico potrebbe essere lo spettatore distaccato». La novità – dal secolo dei lumi in poi – è che lo spettatore si va distinguendo sempre meno dal naufrago. «Ci piacerebbe conoscere l’onda sulla quale andiamo alla deriva nell’oceano; solo, quell'onda siamo noi stessi». Il naufragio ha perduto la propria azione-quadro: «Ciò che deve essere detto è: fornisce quello che i desideri e le pretese avevano tradotto in aspettative ad essa rivolte». Perdute le certezze che il positivismo e le ideologie dell'epoca moderna ci avevano offerto, chi siamo diventati, noi eredi del moderno e abitatori della postmodernità? Si coglie qui una non marginale differenza fra la crisi del 1929 e l’attuale: allora il mondo delle certezze ideologiche che si presentava come possibilità alternativa e rampante, come uno stile nascente. Oggi dopo la crisi delle ideolOgie e il crollo dei sistemi dei blocchi contrapposti, non è più così.
LIQUIDITÀ
L’immagine del mare mobile, incostante, richiama un’altra metafora, che in forma generale e potenzialmente onnicomprensiva potrebbe caratterizzarsi come quella della liquidità: a servirsene con singolare flessibilità è il sociologo e filosofo britannico di origini ebraico-polacche Zygmunt Bauman. Nel nostro tempo «modelli e configurazioni non sono più "dati", e tanto meno “assiomatici"; ce ne sono semplicemente troppi, in contrasto tra loro e in contraddizione dei rispettivi comandamenti, cosicché ciascuno di essi è stato spogliato di buona parte dei propri poteri di coercizione... Sarebbe incauto negare, o financo minimizzare, il profondo mutamento che l'avvento della modernità fluida ha introdotto nella condizione umana. La lontananza e la irraggiungibilità della struttura sistemica, associata allo stato fluido, non strutturato, dello scenario prossimo e immediato della politica della vita, cambiano radicalmente tale condizione e impongono un ripensamento delle vecchie nozioni che ne caratterizzavano la descrizione». Mancando punti di riferimento certi, tutto appare fluido e come tale giustificato o giustificabile in rapporto all'onda del momento. Gli stessi parametri etici e il “grande Codice" della Bibbia aveva affidato all’Occidente sembrano diluiti, poco reperibili ed evidenti. Si parla di “relativismo”, di “nichilismo'', di ''pensiero debole”, di “ontologia del declino"... Con singolare preveggenza Dietrich Bonhoeffer, il martire della barbarie nazista il 9 aprile 1945 nel campo di concentramento di Flossenburg, descrive la situazione come "décadence": «Non essendovi nulla di durevole, vien meno il fondamento della vita storica, cioè la fiducia in tutte le sue forme. E poiché non si ha fiducia nella verità, la si sostituisce con i sofismi della propaganda. Mancando la fiducia nella giustizia, si dichiara giUsto tutto ciò che conviene. Tale è la singolarissima situazione del nostro tempo, che è un tempo di vera e propria decadenza». Nella crisi attuale questo volto fluido si manifesta nella estrema volatilità delle sicurezze promesse dall’“economia virtuale”, della finanza internazionale sempre più separata dall’economia reale. Crollata la maschera dei mutui a massimo vantaggio e a minimo rischio, restano le macerie di una situazione fluida su tutti livelli. Trovare punti di riferimento . indicare linee guida affidabili, è la sfida titanica per governanti e amministratori, che ancora galleggino sulla liquidità derivata dalla dissoluzione di tutti i valori.
ASSEMBLAGGIO
Eppure sul mare della storia si affacciano tavole cui aggrapparsi, improvvisate scialuppe di salvataggio con cui forse assemblare una nave comune: queste tavole sono di forme e dimensioni disparate e metterle sospesi sull’onda è impresa non facile. La metafora che potrebbe esprimere questo tentaYivo è quella dell’assemblaggio, dello sforzo di costruire un battello con assi dalle più svariate provenienze. C'è chi chiama questa condizione caratteristica della crisi attuale, con il nome polivalente di "meticciato" e giunge a vedervi l'alternativa alla barbarie dissolvitrice: si tratta della confluenza di identità molteplici, dovuta ai flussi immigratori in atto, ma anche al ravvicinarsi delle lontananze grazie al mondo comunicativo della Rete. È l’esperienza inedita per i più, dell'incontro fra identità diversissime; fino al configurarsi di identità plurali, nomadi, al tempo stesso assertive e flessibili, meticcie. Il succedersi degli eventi – dal fatidico 1989 all’11 settembre 2001 e a quello che ne è seguito – mostra il volto drammatico di questa sfida. «Siamo passati da un mondo in cui gli attriti erano fondamentalmente ideologici a un mondo in cui gli attriti sono fondamentalmente identitari... Per molti ancora il problema dell'identità avvelenerà la storia, indebolirà il dibattito intellettuate, diffondendo ovunque l'odio, la violenza, la distruzione. Ma non basta deplorare un'evoluzione così inquietante né scaricare la colpa sull'Altro, chiunque egli sia. Dobbiamo cercare di domare la pantera identitaria prima che ci divori. E, per iniziare, è essenziale che la osserviamo con attenzione» (Amin Maalouf). Si impone una scelta di fondo: il meticciato, come processo di incontro e di fusione di culture diverse, è stato sempre presente nella storia dei popoli e delle culture. L’illusione di una purezza dell’identità o della razza è pura follia ideologica. Se una cultura è viva e vitale è anche in grado di avviare un processo di mutuo scambio e di reciproca comprensione con l’identità altrui che venga ad abitarla. Certo, questo "assemblaggio" non è facile né esente da rischi: ciò che risulta decisivo è che fra persone e culture si costruiscano relazioni di reciproco rispetto, di riconoscimento dell'altro e di dialogo. I luoghi in cui questo riconoscimento può generarsi sono la società civile e la famiglia: la fecondazione reciproca delle identità non avviene per decisioni solo politiche, che spesso hanno il risultato di aggravare le tensioni presenti, ma per maturazione delle coscienze attraverso laboratori di convivenza e di compartecipazione, Con questo non si vuole tacere che spetta al legislatore favorire in ogni modo le condizioni oggettive e strutturali in cui simili laboratori di “meticciato” divengano possibili: le garanzie di rispetto della dignità di ogni persona, qualunque sia lo status dell'immigrato, l’educazione alla solidarietà e alla multiculturalità, la scuola, il servizio sanitario, il dialogo fra esperienze religiose diverse, il sostegno alle mediazioni culturali e identitarie e la predisposizione degli strumenti ad esse necessarie, sono scelte che competono agli amministratori della cosa pubblica .. L"'assemblaggio", coinvolgendo tutti, richiede regole certe, che lo rendano possibile e fruttuoso. A quali parametri dovranno ispirarsi queste regole per superare la crisi verso un futuro migliore?
NAVIGAZIONE
È la metafora della navigazione che può forse descrivere la possibilità di un tale superamerito della crisi in atto: come dovrà essere la barca risultante dall'assemblaggio delle tavole fornite dal mare? Secondo quale disegno realizzarla? Verso quale navigazione guidarla? Vorrei presentare la metafora e il suo significato in rapporto al nostro presente attraverso alcuni versi di un poeta del Novecento, fine conoscitore della cultura francese, Mario Luzi. Si tratta di una poesia del 1935, intitolata Alla vita, dove lo sguardo va al di là del presente segnato allora pesantemente dal regime al potere e dalle politiche di guerra che lo caratterizzavano – verso un domani, che chiederà nuovi inizi, nuove navigazioni. Dice tra l'altro il poeta:
Amici ci aspetta una barca e dondola
nella luce alle il cielo si inarca
e tocca il mare,
volano creature pazze ed amare
il viso d’Iddio caldo di speranza
in alto in basso cercando
affetto in ogni occulta distanza
e piangono:
… Amici dalla barca si vede il mondo
e in lui una verità che procede
intrepida, un sospiro profondo
dalle foci alle sorgenti…
La barca è il mondo uscito dalle macerie delle ideologie, delle guerre mondiali e dei genocidi del Novecento, di cui è vertice la Shoah. La ricostruzione è stata possibile perché un codice, etico e spirituale, ha ispirato i passi delle nazioni e la costruzione della casa europea. Per l’Italia questo codice è raccolto nella Costituzione repubblicana, approvata il 22 dicembre 1947. Si tratta di un testo di singolare ricchezza, confluenza delle anime culturali che avrebbero cooperato alla ricostruzione morale del Paese dopo la tragedia della guerra e della dittatura: l'anima cattolica, quella liberale e quella socialista. È tuttavia in modo particolare al personalismo di ispirazione cristiana che la legge fondamentale dello Stato repubblicano deve la sua fonte più ricca in materia di valori. Questa fonte era stata compendiata nel cosiddetto Codice di Camaldoli, documento programmatico di politica economica elaborato al termine di una settimana di studio (18-23 luglio 1943) tenutasi nel monastero di Camaldoli, presso Arezzo, cui avevano partecipato una cinquantina di giovani dell'Azione cattolica italiana e della federazione universitaria cattolica (Fuci) per tracciare le linee dello sviluppo futuro del Paese, una volta finita la guerra. Vi emergeva l’idea della centralità della persona nella futura organizzazione dello Stato e della sua economia nel quadro della corresponsabilità e della solidarietà nazionale. Un pensatore francese, Emanuel Mounier, era andato raccogliendo attorno alla dignità dell'essere personale un'analoga visione del mondo: «La persona non è un oggetto: essa anzi è proprio ciò che in ogni uomo non può essere trattato come un oggetto». L'idea dell’assoluta singolarità dell'essere personale è il baluardo teoretico contro ogni possibile manipolazione dell'essere umano. La Costituzione italiana recepisce questo principio della dignità irriducibile della persona, ovvero della sua irriducibile singolarità, nell'art. 2, dove afferma che «la repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo». Questi diritti sono considerati naturali, non creati cioè giuridicamente dallo Stato, come fa chiaramente intendere l'uso del verbo “riconoscere”, che implica la preesistenza di essi rispetto alla loro formulazione giuridica. Rispettare la dignità di ogni essere personale è il primo impegno cui chiama la Costituzione, in piena sintonia con l'idea cristiana dell'assolutezza, singolarità e pari dignità di ogni uomo o donna davanti a Dio e alla storia. E muovendosi su questo orizzonte con assoluta fedeltà a questo principio che la barca potrà essere costruita e navigare sul mare della storia. La crisi non si supera se la persona, la sua dignità, il suo lavoro, la realtà dei suoi rapporti, non torna ad essere centro e misura dell'economia e della politica.
TORRE DI BABELE
Chiudo questo gioco di metafore liquide con la metafora più che solida, tratta dal “grande codice” dell'ethos occidentale che è la Bibbia: si tratta del racconto della "Torre di Babele". Il capitolo 11 del libro della Genesi autorizza certamente a vedervi l'immagine della confusione disgregante, l'origine di tutte le crisi nate dalla scissione fra il virtuale - immaginato o preteso – e il reale, vissuto e pagato di persona. C'è però un senso che sfugge per lo più ai commentatori: lo richiamava Voltaire, sottolineando come il nome ‘Babele’ voglia dire che "el" – il Dio – è padre. Jacques Derrida ne ricava un'importante conclusione, osservando che Dio punisce i costruttori della torre «per aver in questo modo farsi un nome, scegliersi il proprio nome, costruire da sé il proprio nome, riunirsi in esso come nell'unità di un luogo che è al tempo stesso una lingua, una torre, l'una e l'altra. Li punisce per aver voluto così assicurarsi autonomamente una genealogia unica e universale». Secondo la metafora biblica non sarà allora l’omologazione delle differenze il futuro dell’umanità, ma la loro convivialità, il loro reciproco riconoscersi ed accettarsi, sul fondamento comune della dignità assoluta di ogni persona umana e del diritto di ciascuno all'uguaglianza, formale e sostanziale. Davanti al Dio della storia nessun uomo è un'isola: oltre il naufragio, sulle onde della modernità liquida, la barca va costruita insieme nel rispetto di tutti, consentendo a tutti regole comuni, certe ed affidabili, per navigare insieme, sul vasto tratto di mare che ancora ci resta da percorrere verso il porto – intravisto nella speranza e mai pienamente posseduto nella realtà – della pace universale e della giustizia per tutti.
(Avvenire 13 giugno 2010)