Censis 1992
(NPG 1993-07-12)
La condizione giovanile non presenta oggi chiari parametri: non è più un'entità di massa che accomuna quote ampie di giovani; le identità che la definiscono sono molteplici, diversificate e nascoste; i bisogni che esprime si individualizzano e perdono la forza aggregante che in altri periodi storici avevano avuto.
A partire dagli anni '50 e '60 la società occidentale ha costruito l'identità della condizione giovanile sostanzialmente sul confronto-conflitto generazionale: nel periodo di transizione tra l'esperienza formativa e l'inserimento nel mondo del lavoro, il processo che ha dato luogo alla formazione dell'identità giovanile si concretizzava nello scontro verticale tra due pensieri forti: quello dei genitori (che rappresentava la tradizione) e quello dei figli, che (mutuato dalle grandi ideologie o spontaneamente elaborato) prospettava la possibilità del superamento della società dei padri.
Terminato il ciclo che vedeva come nuclei centrali della formazione dell'identità giovanile le lotte politiche e il conflitto generazionale, a partire dai primi anni '80 tale processo sociale (che forniva anche chiare basi per l'interpretazione sociologica) si è andato progressivamente trasformando, dando origine all'attuale situazione che, come si diceva in apertura, non presenta più parametri ben definiti.
L'attenzione per i giovani si concentra oggi prevalentemente sui fenomeni estremi, cioè sulle fasce marginali di una popolazione che ha perso i suoi connotati generali e che esprime, a livello di visibilità, eccessi in positivo o in negativo.
E, di fronte ad alcune fenomenologie che interessano il mondo giovanile, l'osservatore ritrova quasi una curva normale di distribuzione, una «campana» che vede cioè i suoi estremi ricoprire parti poco consistenti del collettivo e la sua parte centrale raccogliere la maggioranza degli individui.
Sui due estremi si collocano da un lato i giovani che vivono problemi di emarginazione, devianza e anomia sociale (tossicodipendenza, alcolismo, eccessi notturni nelle discoteche o violenza negli stadi) e, dall'altro, le punte avanzate di una nuova visione dell'impegno sociale (l'associazionismo, il volontariato, i gruppi studenteschi). Al centro rimane una grande massa indistinta che ha perso visibilità e connotazioni precise.
Nel riferimento alla caduta del conflitto verticale tra le generazioni, di fondamentale importanza è includere nella riflessione generale anche il ruolo della categoria dei genitori in qualità di referenti di un confronto-scontro che ha perso le sue capacità individuanti per i giovani. Solamente un'analisi che si articoli su tutti questi nodi della problematica (le punte estreme, positive e negative, della condizione giovanile, la maggioranza indifferenziata e le figure genitoriali) e sulle relazioni tra loro può fornire le basi per una riflessione sul rapporto tra politiche di welfare, famiglia e giovani.
La sofferenza
La drammaticità dei fenomeni legati alla tossicodipendenza e alle altre forme di devianza giovanile (violenza, alcol, ecc.) è chiaro segnale di sofferenza e di malessere, tentativo di uscire da situazioni anomiche ricercando nell'e- brezza narcotica un'individualità che non riesce ad estrinsecarsi nei canali della vita quotidiana.
Accanto a situazioni in cui il movente principale della ricerca di uno stato alterato di coscienza origina da situazioni conclamate di sofferenza, i segnali che provengono dal mondo giovanile fanno intravedere una zona meno chiara di motivazioni, un insieme di concause che vanno dalla piattezza della vita quotidiana, alla noia, alla mancanza di senso o alla necessità di ritrovare identità tramite riti di gruppo.
In questa area di disagio nascosto si rileva un appiattimento sulla vita quotidiana, un'incapacità di progettare il nuovo e un bisogno di socializzazione che non riesce a concretizzarsi in attività ed ambiti propri dell'impegno sociale ed individuale.
Tali situazioni non si collegano più, esclusivamente, a fenomeni di emarginazione sociale: rimane indubbiamente una quota di disperazione legata alle sfavorevoli condizioni sociali di esistenza ma, al tempo stesso, la ricerca di identità (o la fuga da essa) perseguita tramite l'alterazione della coscienza è ormai un fenomeno che interessa anche giovani benestanti, attestando l'esistenza di un rischio da benessere che può coinvolgere in fenomeni di devianza persone economicamente e culturalmente non svantaggiate. Le motivazioni che portano all'assunzione di sostanze stupefacenti si diversificano e, accanto alle grosse tematiche legate ai probemi della sfera esistenziale, sociale e relazionale, compaiono anche fattori legati alla casualità, alla curiosità o semplicemente all'effetto imitativo riferito al gruppo amicale (cf Tabella).
Colpisce, inoltre, che tra i dati riportati a proposito di chi ha contattato il servizio di assistenza e consulenza telefonica offerto da «Droga, che fare» la percentuale relativa alle madri che hanno telefonato agli operatori del servizio sia analoga a quella che indica, tra le motivazioni di assunzione, la curiosità, o viceversa, che la quota relativa ai disagi esistenziali (come origine della tossicodipendenza) si colleghi significativamente con quella dei tossicodipendenti che hanno contattato direttamente il servizio.
È possibile leggere in questo dato il segnale di una comunicazione interrotta tra mondo degli adulti e giovani che ricorrono a sostanze stupefacenti, laddove i genitori, al posto di disagio e sofferenza, intravedono la banale curiosità.
Analogamente al mondo della tossicodipendenza, anche i segnali che provengono dal mondo dell'alcolismo giovanile confermano le difficoltà progettuali, la debolezza soggettiva e l'attrazione per le situazioni-limite in cui si persegue una forma di identità altra da quella che è possibile costruire nel tempo e nello spazio della normalità. Attrazione per l'avventura e l'imprevisto, scarsa volontà e ridotta progettualità professionale e relazionale disegnano lo scenario entro cui prende forma l'esperienza di tolleranza e accondiscenza verso ciò che offre l'ebbrezza da alcol (cf Tabella).
I dati relativi ai suicidi, ai tentativi di suicidio e ai decessi per assunzione di stupefacenti testimoniano la drammaticità dei percorsi seguiti da alcuni dei giovani che vivono in situazione di disagio, sofferenza ed anomia sociale (Tabella).
L'impegno
Sull'altro fronte della «curva normale», come si diceva, stanno invece quei giovani che trovano nell'impegno sociale uno dei meccanismi fondamentali della propria identificazione: una recente indagine del Censis ha messo in luce che circa il 17% dei giovani aderisce a più di un'associazione, e che negli ultimi cinque anni è salito il livello di partecipazione tra le associazioni studentesche (+17.5%) e quelle di volontariato (+3.1%), mentre, in connessione con la crisi delle grandi ideologie, la partecipazione è diminuita nelle associazioni politiche e sindacali. Nelle associazioni l'impegno sociale si coniuga con un nuovo rapporto stabilito con le istituzioni, e dalla conflittualità che in passato contraddistingueva tale rapporto si è pervenuti alla ricerca di un dialogo costruttivo.
La progressiva riduzione del conflitto come forza individuante per l'universo giovanile è una delle ipotesi tramite cui è possibile interpretare la condizione di quella massa indistinta di giovani che si situa tra i due estremi della devianza e dell'impegno civile e sociale. Si assiste infatti:
- alla riduzione/estinzione di un conflitto verticale con l'autorità familiare o scolastica;
- a una diffusa omogeneità di valori, comportamenti e aspettative del mondo giovanile con quelli degli adulti;
- ad una chiusura dei giovani entro confini circoscritti (a livello territoriale, amicale, scolastico).
Famiglia e figure genitoriali
Viene a mancare, in definitiva, il principio basilare su cui si era costruita l'identità di passate generazioni di giovani, la capacità cioè di pensare possibile, a partire da una contrapposizione, il superamento del mondo dei padri, oggetto di critica sul piano dell'organizzazione economica, politica e relazionale e valoriale.
Al contrario, nella situazione attuale, i conflitti si particolarizzano nell'esperienza circoscritta del quotidiano, la progettualità si appiattisce sul presente (il 37% dei giovani preferisce vivere alla giornata e non pensare al futuro) e, nell'accettazione più o meno incondizionata dei modelli proposti dai genitori, vive e cresce una figura di giovane a-conflittuale.
L'assenza di conflitto generazionale configura una situazione familiare in cui il giovane in un certo senso «sparisce» nella rete delle relazioni familiari (tab. qui sotto).
La famiglia diventa una rete di protezione nei momenti di passaggio, accompagna ed attutisce lo scontro-confronto tra il giovane e la società e, esattamente al contrario di ogni rito di ini ziazione, non isola e non allontana da sé il soggetto al fine di responsabilizzarlo e di renderlo autonomo. Al posto della via «per aspera ad astra», che implica difficoltà e sforzo, subentra una logica di accompagnamento deresponsabilizzante: il giovane così formato e protetto non avrà più la forza e l'interesse per rinnovare la società che, in tal modo, favorisce la riproduzione identica di se stessa.
Ma perché il conflitto e la logica del superamento, in qualità di principi individualizzanti per i giovani, sono in via di dissoluzione?
Non ha certo senso, a questo proposito, un'interpretazione che si rifaccia a propensioni caratteriali delle diverse generazioni (generazioni forti e generazioni deboli), così come appare riduttivo ricondurre tutto il discorso alla crisi delle grandi ideologie di trasformazione (elemento che comunque riveste un peso non secondario nel processo che si sta analizzando).
Ciò che ha avuto una funzione importante nel determinare questo stato di cose è stato, con ogni probabilità, lo stesso ricambio generazionale. In altri termini, non va dimenticato che buona parte dei genitori degli attuali giovani è formata da quelle persone che hanno definito la propria identità giovanile tramite i conflitto con i propri genitori e l'adesione a logiche di superamento e rinnovo della società. In quel caso il conflitto verticale si articolava su parametri ben precisi: alla tradizione, alle posizioni politiche reazionarie, all'autoritarismo, alla chiusura all'altro da sé e all'individualismo borghese si contrapponevano la modernità, la volontà di cambiare, l'antiautoritarismo, lo spirito libertario e il collettivismo. Di qui originò una precisa fisionomia della condizione giovanile come antitesi al mondo dei padri: il nemico era chiaro e riconoscibile.
Ora sono i genitori a fluttuare tra libertarismo, atteggiamenti democratici, creatività, apertura, tolleranza e scarso peso riconosciuto alla tradizione, e il risultato di tale processo è una sorta di pedagogia incerta, aperta ai suggerimenti innovativi ma debole in termini valoriali, disponibile all'autocritica ma, forse per questo stesso motivo, insufficiente a creare un polo di opposizione funzionale al processo di individuazione dei figli.
Il genitore amico, che in una ricerca del Censis risultava essere l'immagine preferita da circa un terzo dei genitori intervistati, destruttura il conflitto, così come la caduta delle grandi ideologie di trasformazione e il benessere raggiunto annullano la possibilità di riprodurre nuove e più mature logiche di rinnovamento della società.
La nuova generazione di genitori, portatrice di valori moderni, di tolleranza e di libertarismo ha trascurato forse, a partire dalla critica dell'autoritarismo, il peso dell'autorevolezza, privando così la generazione dei figli di un polo di riferimento forte (costruttivo e individualizzante) con cui confrontarsi o scontrarsi: un «buon nemico» che, arricchito dall'esperienza, sappia uscire dai confini dell'autoritarismo recuperando autorevolezza per non cadere nell'ambiguità di un libertarismo e di un permissivismo destrutturanti.
Quale politica giovanile?
La progettazione di una nuova politica di welfare nei confronti dei giovani e delle famiglie non può quindi prescindere da:
- una seria politica di sostegno e recupero delle fasce giovanili marginali;
- la valorizzazione delle esperienze associative e di volontariato;
- una serie di interventi mirati per la fascia media della popolazione giovanile (spazi culturali, ricreativi, sportivi, informazione, prevenzione, orientamento scolastico e professionale, politica abitativa, mobilità per studio o lavoro, politiche occupazionali);
- un sostegno alle famiglie (in termini di infrastrutture e servizi) che le «alleggerisca» del sovraccarico assistenziale e funzionale a cui sono sottoposte e permetta loro di recuperare del tempo per ciò che riguarda le dinamiche relazionali interne al nucleo.
L'attivazione di queste politiche (o il potenziamento di quelle già in corso) presuppone la capacità di realizzare interventi integrati a favore dei giovani.
Un approccio assistenziale (mirato sulle fasce più deboli) deve quindi raccordarsi con approcci di tipo formativo-educativo ed economico (si pensi agli investimenti necessari alla realizzazione di strutture socializzanti o al finanziamento di borse di studio o di altre esperienze formative in Italia e all'estero o, ancora, alle risorse da indirizzare in una seria politica abitativa per i giovani).
È inoltre evidente l'utilità per poter creare un cortocircuito tra le parti estreme della «campana», appoggiando e valorizzando quelle iniziative del volontariato e dell'associazionismo che si indirizzano verso il mondo della marginalità giovanile: promuovere il sociale (le fasce marginali) a mezzo di sociale (le punte estreme dell'impegno giovanile) può risultare dunque un percorso efficace delle politiche di welfare per il mondo giovanile.