Vincenzo Lucarini
(NPG 1993-06-61)
Come nasce un gruppo di animazione di preadolescenti? Come si realizza l'incontro tra la proposta di fare un'esperienza di gruppo e i preadolescenti in quanto destinatari di questa proposta?
In ordine sia logico che temporale, è questa la prima serie di domande che l'animatore si pone nel momento in cui vuole mettere su un gruppo di preadolescenti con cui iniziare un cammino di animazione.
Queste stesse domande rivelano il primo problema con cui fa i conti l'animatore, quello cioè di come «agganciare» i preadolescenti.
COME «AGGANCIARE» I PREADOLESCENTI
Il problema di come agganciare i preadolescenti sembra relativamente facile da affrontare e risolvere. Stando ai dati che ci vengono dalle ricerche e basandosi su quanto salta agli occhi dalla semplice osservazione di ciò che succede nelle parrocchie e negli oratori, le iniziative e le attività che vengono svolte all'interno di queste realtà riguardano in maggior parte proprio i preadolescenti.
In linea di massima ciò indica che, per la preadolescenza, l'incontro tra l'offerta e la domanda di iniziative e attività di gruppo si realizza ancora con una certa facilità. Per una serie di motivi (il catechismo, il «richiamo» di spazi fisici in cui poter giocare) i preadolescenti sono tra gli assidui frequentatori degli oratori e delle parrocchie, e ciò li rende più facilmente raggiungibili da proposte e iniziative dirette a loro.
Il fatto che i preadolescenti diano la loro adesione alle iniziative che vengono loro proposte, non significa che tutte li attraggano allo stesso modo. Innanzi tutto per il preadolescente è affascinante il fare gruppo, lo stare insieme a dei coetanei. Questo fascino cresce se nel gruppo viene dato spazio alla dimensione operativa, del «fare», cioè, delle cose che impegnano motricità e corporeità.
Il fascino aumenta ancora se ciò avviene in un clima di divertimento e di scatenamento ludico. Quanto più l'esperienza sociale è accompagnata dalla dimensione operativa e ludica, tanto più la proposta di gruppo risulta attraente per il preadolescente. Da queste considerazioni emerge che l'aggancio con i preadolescenti può realizzarsi con una relativa facilità, soprattutto se la proposta tiene conto dei loro interessi e di ciò che attrae di più la loro domanda vitale.
Non vanno però nascosti alcuni problemi. Il primo riguarda il fatto che, se è facile raggiungere i preadolescenti presenti già in parrocchia e in oratorio, va anche ricordato che esiste una fascia sempre più ampia di preadolescenti che non frequentano questi ambienti e che per diversi motivi non entrano in contatto con queste opportunità. Si potrebbe correre il rischio di misurare la proposta su quelli più in gamba e più facilmente gestibili, portatori già di domande più consapevoli e «mature», lasciando fuori coloro che invece non hanno ancora questa consapevolezza e questa maturità» nelle domande e nelle richieste che portano.
Il secondo problema è relativo al modo in cui vengono confezionati i messaggi che fungono da veicolo per le esperienze che si vogliono proporre ai preadolescenti.
Questo problema rientra, oltre che nel contenuto della proposta, anche nella forma in cui il contenuto viene proposto e raggiunge il preadolescente. I ragazzi di oggi hanno un «palato» particolarmente sofisticato rispetto ai messaggi e alle proposte con cui si imbattono quotidianamente; quelle che risultano interessanti e quelle a cui si presta attenzione devono essere confezionate in modo tale che superino una certa soglia di interesse.
Se ciò non avviene, al di là dei contenuti, la proposta stessa può non essere presa in considerazione, perché non comunicata in maniera vivace, originale e creativa.
E DOPO L'AGGANCIO, COME FAR CAMMINARE?
Nel momento in cui è avvenuto l'aggancio si pone un secondo problema, quello cioè di «definire e delimitare» il gruppo come luogo educativo. Il rischio maggiore infatti è che ci si appiattisca su un livello di produzione-consumo di attività in relazione agli interessi dei preadolescenti. L'educatività del gruppo nello stile dell'animazione non deriva dal semplice fare delle attività, ma dal fare in modo che queste diventino vere e proprie «esperienze».
Le esperienze, rispetto alle attività, implicano un lavoro di allargamento e dilatazione della consapevolezza attraverso l'uso del linguaggio, che permette di utilizzare l'attività e il fare come stimolo per scavare dentro il vissuto. Perché ciò accada, sono necessarie alcune condizioni relative al modo in cui i due poli in questione, animatore e preadolescente, si pongono nei confronti di questa esperienza, relative all'intesa sul tipo di relazione che li lega con i reciproci ruoli, e a una particolare definizione di alcuni aspetti strutturali.
Condizioni relative al preadolescente
Al preadolescente viene richiesto di avere dei motivi personali che lo spingono a fare l'esperienza di gruppo. La pre senza di questi motivi che hanno a che fare con i suoi bisogni e i suoi interessi permette il processo di investimento da parte sua nei confronti del gruppo. Se ha dei motivi soggettivamente importanti per partecipare alla vita del gruppo, questo gli permette di vedere il gruppo come luogo significativo e di canalizzare le sue energie di crescita al suo interno. Se il gruppo non è luogo significativo, rimane un'area marginale della sua esistenza sulla quale investirà poco, nel senso che darà poco e si aspetterà altrettanto.
Il motivo o i motivi che sono alla base dell'adesione del preadolescente ad un'esperienza di gruppo fanno emergere la sua domanda vitale, che rappresenta il punto di partenza del cammino di animazione. Se si scavasse dentro questi motivi, al di là delle parole che i ragazzi usano per comunicarli, della consapevolezza che ne hanno e dell'intensità con cui li vivono, potremmo affermare che questi motivi rientrano nell'area dei diversi interessi che stanno emergendo come energie nuove e che sono stati indicati nell'area della socialità, dell'operatività e dell'aspetto ludico.
Condizioni relative all'animatore
Per quanto riguarda l'animatore, l'atteggiamento che viene richiesto è relativo ad un particolare modo di avvicinarsi e di considerare gli interessi e i bisogni del preadolescente. Questo atteggiamento implica due livelli, uno più di tipo emotivo e uno più di tipo razionale.
Il primo si riferisce al guardare con simpatia, con fiducia e in modo accogliente gli interessi e la domanda vitale del preadolescente. Questo atteggiamento non è qualcosa di razionalmente imposto dall'animatore a se stesso, ma qualcosa di sentito e di vissuto, che ha quindi modo di manifestarsi e di essere colto e recepito dai preadolescenti.
Questo modo di guardare la domanda di vita del preadolescente non deve essere visto come fine a se stesso o come strumentale e funzionale ad altri obiettivi, ma è giustificato e viene accompagnato da un'analisi più razionale e approfondita che si basa sull'interpretazione di questa domanda vitale alla luce dei presupposti dell'animazione. In questa ottica la domanda vitale viene letta come una preziosa domanda educativa che implicitamente i ragazzi rivolgono all'animatore. L'animatore, quindi, sotto gli interessi del preadolescente individua la domanda-richiesta a che il gruppo diventi un contesto in cui poter liberare le energie nuove che stanno affacciandosi sulla vita del preadolescente. Queste energie che stanno emergendo a diversi livelli, delle quali non è molto consapevole ma che appena intuisce e «sente a livello di pelle», vengono vissute dal preadolescente come la sensazione di un rivolgimento imminente e in parte già in atto del suo mondo, senza che gli siano chiari né i motivi né la direzione di questi complessi processi di trasformazione.
Il preadolescente indirizza così al gruppo una domanda complessa di canalizzazione e gestione del cambiamento che si sta attuando nella sua vita, in vista di una esplicitazione ed integrazione delle energie e delle potenzialità contenute in questo cambiamento come base per diventare grandi.
Agli occhi dei preadolescenti il gruppo diventa significativo se si pone come un punto di riferimento e di sostegno rispetto alla possibilità di manifestare e concretizzare la sua spinta ad «uscire» da un mondo tipico dell'infanzia, quindi eterogestito e perlopiù preconfezionato dai grandi, per fare l'esperienza iniziale dell'autogestione e dell'autodeterminazione. Tutto ciò risulta però poco chiaro ed evidente al preadolescente, perché non possiede gli strumenti cognitivi e linguistici capaci di permettergli una visione d'insieme di questi processi e di prendere in carico questo suo mondo interno in agitazione; inoltre egli non dispone nemmeno delle risorse emotive per diventare protagonista della sua vita, data la sua abitudine alla dipendenza e alla subalternità nei confronti degli adulti rispetto alla interpretazione e alla gestione dei sui bisogni. Questa spinta ad «uscire» che si coglie dietro gli interessi del preadolescente e che rappresenta il tentativo di canalizzare il cambiamento attraverso la ricerca del gruppo, rappresenta qualcosa di assai prezioso per l'animatore; qualcosa a cui dare spazio e su cui attivare la relazione e i processi educativi.
Condizioni relative alla relazione tra animatore e preadolescenti
Oltre alle condizioni che riguardano specificamente l'animatore e i preadolescenti, ci sono quelle che riguardano l'intesa sul come impostare la relazione.
In questo senso è fondamentale che sia presente la disponibilità, implicita o esplicita, ad avventurarsi in un percorso comune e ad accettare il rischio di coinvolgersi in una comunicazione vitale, pur da posizioni e ruoli diversi.
Da una parte i preadolescenti, portatori di domande vitali, che fanno un'iniziale credito di fiducia all'animatore.
Dall'altra parte l'animatore con la propria esperienza, con la propria cultura, con la propria posizione sulla vita, che si pone come offerta di contenimento e di stimolo a guardare dentro le domande vitali e radicarle nella storia collettiva con un progetto. È importante, quindi, che ci sia questa disponibilità allo scambio, alla comunicazione affettivo-simbolica, che implica l'accettazione del coinvolgimento significativo con altri diversi da sé (l'animatore e gli altri preadolescenti). Questa diversità, più marcata nei confronti dell'animatore per motivi di età, di esperienza, di cultura e complessivamente di potere all'interno della relazione, comporta la presenza e l'accettazione di posizioni asimmetriche sia da parte dell'animatore che dei ragazzi. L'asimmetria è ciò che permette uno scambio fecondo e che arricchisce tutti i soggetti, ma comporta dei rischi anzitutto nel modo in cui può essere intesa dall'animatore.
Il fatto che nella relazione asimmetrica egli abbia un potere maggiore, non deve essere inteso e tradotto come distanziamento e rigida assunzione e difesa delle proprie posizioni.
Anche per lui il coinvolgimento comporta il rischio di partire per un percorso in parte sconosciuto, dove dovrà, in quanto sistema aperto, confrontarsi con situazioni che saranno lo stimolo per rivedersi, per allargare i propri orizzonti personali e ristrutturarsi.
Condizioni strutturali
Una quarta serie di condizioni si riferisce inoltre ai fattori strutturali relativi ad alcune dimensioni quantitative dell'esperienza di gruppo.
Anzitutto il numero di persone. La possibilità di attivare in maniera significativa i processi educativi nello stile dell'animazione, richiede la presenza di un numero di ragazzi che non sia né troppo piccolo né troppo grande. Il numero ideale è intorno ai quindici. Questo perché un numero inferiore non crea le condizioni per uno scambio e una produzione ricchi di stimoli, esperienze, contributi; un numero maggiore di membri invece porta a configurare non più un gruppo ma una massa, con rischi di frammentazione, disarticolazione e impossibilità di relazioni significative. Un numero medio di persone permette quindi che si possa parlare di piccolo gruppo: dove si possono attivare facilmente le comunicazioni faccia a faccia, dove c'è varietà e ricchezza di stimoli, ma dove c'è anche una certa esperienza di unitarietà, di interdipendenza e articolazione.
Sempre a livello strutturale sono importanti la frequenza con cui avviene e si presenta la possibilità di vedersi, interagire, comunicare. Se le occasioni formali e informali sono poche, il gruppo avrà difficoltà a passare da realtà sociologica a realtà psicologica in cui si attivano i processi tipici del piccolo gruppo e con essi le opportunità di utilizzarli in termini educativi. Oltre alla frequenza, c'è anche il problema della continuità. Un gruppo è un organismo vivente, e per svolgere appieno le sue funzioni e dare frutti ha bisogno che vengano percorse le tappe del suo ciclo vitale. Un gruppo che vuole partire come gruppo di animazione deve quindi prevedere la possibilità di incontri e opportunità frequenti di interazione, poste in un arco di tempo abbastanza lungo da poter permettere il dipanarsi delle sue fasi evolutive.
L'ADESIONE DEL PREADOLESCENTE ALL'ESPERIENZA DI GRUPPO E LE SUE VICISSITUDINI
È tipico dei preadolescenti nella fase di costituzione del gruppo attribuire un immediato credito di fiducia al gruppo stesso. Si affida al gruppo il preadolescente, ma non del tutto, e con un atteggiamento di continua verifica rispetto alla fiducia accreditata.
La verifica che viene effettuata riguarda il fatto se il gruppo risulta in sintonia con le sue aspettative, al poter essere, cioè, uno spazio in cui le energie che stanno emergendo possano essere considerate, rispettate e adeguatamente sostenute. Questo insieme di aspettative personali con cui il preadolescente investe il nuovo contesto sociale che si sta formando, rappresentano il metro di misura e di verifica di quanto il gruppo effettivamente gli offre e gli permette. Di particolare importanza è il modo in cui i preadolescenti effettuano questa operazione di verifica.
Si tratta infatti di verifiche che si realizzano più su un piano emotivo, di «sensazioni», quindi per lo più implicite e poco consapevoli, invece che su un piano più razionale, quindi esplicito e consapevole. È come se il preadolescente fosse costantemente attento a come si trova in gruppo e come le sue attese vengono corrisposte o meno; e sulla base delle risposte che si dà decide se continuare o meno questa esperienza e il grado in cui coinvolgersi ed investire in essa.
Come conseguenza di questa situazione, si può notare che il numero delle persone che fanno parte del gruppo e il loro livello di partecipazione subiscono cambiamenti continui e rilevanti. Per cui ci possono essere incontri o attività con un alto numero di partecipanti e, subito dopo, il numero può calare sensibilmente. Così anche, a livello individuale, a un forte coinvolgimento e partecipazione alla vita di gruppo, può far seguito un'improvvisa e repentina uscita di scena, senza che siano chiari, dall'esterno, i motivi di queste variazioni.
Da quanto detto possiamo raffigurarci il preadolescente, alle prese con le dinamiche e le problematiche di questa fase iniziale della vita del gruppo, come se fosse metaforicamente «sulla soglia» del gruppo stesso, e da questa posizione osservasse attentamente e reagisse a quanto accade nel gruppo.
Le informazioni che accumula, fortemente filtrate dalla propria soggettività senza un'accurata elaborazione e presa di coscienza di questi dati, e senza che abbia intenzione di esporre quanto va maturando all'animatore e al resto del gruppo, fungono da base su cui decide in che termini porsi verso questa possibile esperienza di gruppo. Quello che non deve essere dato per scontato da parte dei preadolescenti è che, per il fatto di aver dato la propria adesione iniziale alla proposta di fare gruppo, ciò significhi la decisione convinta e definitiva di andare fino in fondo all'esperienza iniziata: l'adesione del preadolescente è da considerarsi provvisoria e suscettibile di cambiamenti qualitativi e quantitativi sia in senso positivo che negativo.
La sua adesione e il suo coinvolgimento vanno considerati in termini progressivi, man mano che il preadolescente riceve delle risposte e formula delle verifiche tra ciò che vuole e sente e ciò che il gruppo gli permette e garantisce. Proprio per questo, oltre che progressiva, è una adesione che è determinata interattiva- mente in relazione alla situazione. Nel momento in cui il preadolescente decide di proseguire la sua esperienza nel gruppo, si apre probabilmente a livelli di coinvolgimento e partecipazione maggiori.
CONSIDERAZIONI GLOBALI SULLA FASE
In questa fase non è ancora possibile parlare di gruppo in termini psicologici, bensì unicamente in termini sociologici di «aggregato» di persone che non posseggono un senso del noi; esso non presenta una organizzazione e una strutturazione di sistema ben definito.
Psicologicamente ogni membro del gruppo è fortemente focalizzato e centrato su se stesso, sui propri bisogni e sui possibili pericoli che si possono correre in quella situazione nuova.
Gli altri vengono visti in termini funzionali rispetto a questi bisogni e ai possibili pericoli. Non vengono quindi riconosciuti e considerati esistenti per se stessi, ma per la funzione che svolgono rispetto alla possibilità di poter dare spazio ai propri interessi, che, per le loro caratteristiche, richiedono la presenza di altre, persone (gli interessi ludico-motori); o per i pericoli che possono rappresentare in riferimento ai propri fantasmi e alle proprie paure.
Uno stato di insicurezza
Dal punto di vista psicologico l'esperienza soggettiva dei membri del gruppo è l'insicurezza. In generale l'insicurezza è una condizione che si crea quando ci si trova di fronte a situazioni che hanno un carattere di novità. Per il preadolescente il nuovo, di cui fa esperienza nel gruppo, ha molti aspetti. C'è la novità del fare delle cose con dei coetanei e con un animatore che tenta di porsi in maniera diversa rispetto agli altri adulti che conosce. Soprattutto c'è il fatto che l'esperienza sociale in gruppo assume dei significati nuovi per lui in relazione all'emergere dei cambiamenti corporei, affettivi, relazionali, cognitivi. Per cui, anche se si trova in gruppo con persone che conosceva già in precedenza, con queste persone si trova a vivere dimensioni nuove e per gran parte sconosciute, legate ai significati nuovi che assumono in seguito ai cambiamenti in atto. C'è anche la novità della relazione con l'animatore, che è comunque una persona che appartiene a un'età diversa e facilmente etichettabile all'inizio secondo gli schemi con cui si rappresenta gli adulti in genere.
Tutto ciò ha delle conseguenze sul modo di immettersi nella situazione del gruppo da parte del ragazzo Innanzitutto gli fornisce elementi ulteriori per rinforzare la sua posizione di «stare sul la porta» del gruppo, per osservare, raccogliere informazioni su quanto si trova davanti.
Se da questo livello, più interno, passiamo al livello sociale, qui il preadolescente deve trovare una strategia per muoversi e gestire quanto accade nel gruppo. A questo trova aiuto e sostegno in alcune strategie comportamentali con le quali ha imparato a fronteggiare le situazioni sociali nuove o difficili. Si tratta delle cosiddette «maschere», che permettono di tenere sotto controllo e gestire questo insieme di situazioni nuove e potenzialmente rischiose, secondo modalità consolidate e conosciute.
Uno strumento utile per seguire l'evoluzione della situazione psicosociale del gruppo è rappresentato dalla finestra di Johary. In questa fase la finestra di Johary presenta piccole dimensioni nell'area pubblica, l'area che contiene quelle informazioni su di sé di cui la persona è a conoscenza e che partecipa e condivide anche con gli altri, e dimensioni nettamente più grandi nelle altre tre aree. Ciò che salta agli occhi è che c'è scarsità di informazioni sugli altri, e c'è il prevalere di ciò che non è conosciuto (area buia e area cieca). Questa situazione che riporta ancora una volta alla condizione di insicurezza, presenta dei rischi, in quanto fornisce l'opportunità ad ognuno di attivare meccanismi proiettivi mediante i quali gli altri possono essere visti in maniera distorta secondo le proprie paure e i propri fantasmi.
Il rischio ulteriore di questa situazione è che ci si comincia a rappresentare gli altri in parte basandosi sulle informazioni che man mano diventano disponibili, ma in gran parte sulle sensazioni e sulle impressioni che gli altri suscitano a livello emotivo. Se prevale il livello emotivo, sarà difficile distinguere tra quello che la persona è realmente e quello che si vede nell'altro a partire dalle proprie impressioni. Il non conosciuto può quindi venir riempito da ciò che ci si aspetta dagli altri sulla base della propria esperienza o da quello che si ha paura possa venire dagli altri. La non considerazione dell'importanza di questo fattore o la gestione non in termini educativi, rischia di creare un corto circuito che può rappresentare la base dell'abbandono o del non coinvolgimento nel gruppo.
LA COMUNICAZIONE ANIMATORE-GRUPPO
Nella fase della nascita del gruppo, la comunicazione che si realizza tra animatore e gruppo è di fondamentale importanza rispetto alla decisione dei membri del gruppo di proseguire questa esperienza e al modo in cui porsi rispetto al suo proseguimento.
All'inizio della vita di ogni gruppo, in senso generale, sono molte le attese e le aspettative sull'animatore o sul conduttore. È molto forte la tendenza a delegare a lui la gran parte del potere relativo alla gestione della vita del gruppo. Se questi processi sono presenti in maniera generalizzata in ogni gruppo, si può affermare che risultano particolarmente intensi e pervasivi per un gruppo di preadolescenti.
I preadolescenti, infatti, oltre a trovare in questa modalità una strategia per gestire la situazione nuova, quella cioè di stare in attesa, di aspettarsi che sia l'animatore a fare la prima mossa, si trovano anche in continuità con un loro modo si porsi in relazione con gli adulti. In queste relazioni c'è la consuetudine, da parte loro, a vedere gli adulti come coloro che hanno tutto il peso nella lettura e nella gestione della loro vita. Malgrado nella sua vita stiano emergendo delle energie e risorse nuove, potenzialmente capaci di mettere in crisi il modo in cui si strutturavano fino ad ora queste relazioni, il preadolescente non ha ancora integrato queste nuove risorse nella sua visione di sé e del mondo; per questo continua ad aggrapparsi a modalità tutto sommato securizzanti.
All'inizio gli sguardi e le attenzioni sono rivolti in maniera privilegiata all'animatore. Lo studia a fondo, e dalle informazioni che si traggono del suo modo di interagire e di considerarli si deducono le conclusioni anche in relazione a come potrà essere, in prospettiva futura, l'esperienza in quel gruppo. In qualche modo si realizza all'interno del preadolescente una sovrapposizione e un'equivalenza tra animatore e gruppo. In base a questa equivalenza il gruppo che va costituendosi avrà caratteristiche che risentiranno del modo in cui l'animatore imposterà le relazioni e del clima generale che sarà capace di creare.
In base a queste considerazioni si può parlare di un atteggiamento globale di dipendenza da parte del gruppo nei confronti dell'animatore.
A livello della rete di comunicazione globale, comprendente cioè sia i membri del gruppo che l'animatore, si evidenzia una situazione per cui i canali di comunicazione, da considerarsi provvisori in questa fase, interrelano uno a uno l'animatore con ognuno dei ragazzi.
Inoltre, mentre l'animatore assume più il ruolo di colui che attiva e stimola la comunicazione da una posizione di proponente, i preadolescenti sono più in una posizione di rispondenti, di coloro che non prendono l'iniziativa di attivare la comunicazione e stanno perlopiù in attesa che lo faccia l'animatore. Dal punto di vista della rappresentazione grafica di questa situazione iniziale, dalla disposizione dei canali di comunicazione emerge una configurazione a raggiera.
Spostandoci da un livello più esterno della comunicazione a uno che implica anche i processi affettivi e relazionali, questa fase si caratterizza per il fatto che all'animatore viene accreditata fin dall'inizio una certa fiducia. Si tratta, come si è detto, di una fiducia che è condizionata a delle verifiche, quindi progressiva e interattiva; ma è fondamentale che sia presente almeno in qualche grado fin dall'inizio La sua presenza infatti è uno dei fattori che permettono il primo coinvolgimento nell'esperienza di gruppo.
È interessante, rispetto a questo processo, approfondire ciò che ne permette l'attivazione. Si tratta probabilmente di un processo che si inscrive nella dinamica più globale che il preadolescente si trova a vivere nei confronti delle figure adulte di riferimento. Sulla base di questa dinamica l'animatore, come figura un po' diversa da quelle rappresentate dagli adulti di cui ha fatto esperienza, è nella condizione di venire idealizzato. Questa idealizzazione si basa sulla speranza di trovare un adulto che sia coinvolto in maniera rispettosa nel suo processo di crescita e che lo veda nelle sue potenzialità emergenti più che in ciò che ancora non è capace di fare.
Il processo di comunicazione che si svolge tra animatore e gruppo si presenta così con carattere di grossa complessità. La complessità è legata sia ai diversi livelli coinvolti, sia alla presenza di aspettative e «fantasmi» da parte di tutte e due le componenti in relazione tra di loro.
In questa situazione è importante avere dei punti di riferimento, dei parametri in base ai quali capire quali siano le variabili più rilevanti in gioco e in che modo possano fornire delle indicazioni su come si sta sviluppando la comunicazione. Queste informazioni risultano utili per l'animatore, in quanto gli permettono anche di correggere e calibrare il suo modo di impostare la relazione con il gruppo.
Due variabili rilevanti
Un primo punto da approfondire riguarda ciò cui i preadolescenti prestano attenzione nel modo gestire la comunicazione dell'animatore nei loro confronti.
Nella fase di costituzione del gruppo due tipi di fattori sembrano avere particolare rilievo da parte dei ragazzi.
- le modalità relazionali;
- le modalità organizzative.
Le modalità relazionali
Il preadolescente desidera che l'animatore sia in grado di sintonizzarsi con il suo volersi sentire grande, rispettato e degno di fiducia. È come se ponesse una domanda-appello all'animatore: «Sei capace di cogliere questa mia voglia di essere e di diventare grande? Hai fiducia che riuscirò a diventarlo e a mantenerla, anche quando io stesso mi sentirò e mi comporterò da bambino?»
Sulla base di queste aspettative i ragazzi focalizzeranno in maniera molto particolareggiata il come l'animatore si relaziona con loro.
Oltre alle parole, diventano importanti gli atteggiamenti di fondo che si rivelano più chiaramente attraverso messaggi di tipo non verbale. In questo senso diventano importanti la capacità di reggere alla variabilità e fluidità della situazione emotiva, alla confusione rispetto ai propri desideri, alle improvvise cadute di tensione, alla apparente provocatorietà di certi comportamenti.
All'animatore viene richiesto di essere quasi un contenitore di questo mondo che sta cambiando e di saperne affrontare l'urto senza abbandonare il campo, senza perdersi d'animo, mantenendo la propria fiducia verso ragazzi ed evitando di assumere atteggiamenti autoritari.
Le modalità organizzative
Oltre alle modalità relazionali i preadolescenti valutano le capacità organizzative dell'animatore.
Le modalità organizzative si riferiscono al fatto che l'animatore riesca a cogliere i bisogni e gli interessi dei ragazzi e accetti, in questa prima fase, di pensare, organizzare e realizzare attività, iniziative e opportunità in cui viene dato spazio ai loro interessi e bisogni.
I ragazzi assumono un atteggiamento di delega nei confronti dell'animatore rispetto alla lettura e alla risposta ai loro bisogni. Si tratta di un atteggiamento per molti versi simili a quello che hanno verso gli adulti in genere. La delega che viene data all'animatore è accompagnata da un atteggiamento di fiducia relativamente al fatto che possa diventare una figura positiva di promozione della loro crescita.
Se il preadolescente valuta nel processo comunicativo la presenza di queste particolari modalità e su queste basa il modo in cui proseguirà il processo comunicativo stesso, anche l'animatore ha bisogno di indicatori sui quali misurare gli esiti della comunicazione.
Per l'animatore risulta particolarmente difficile la possibilità di cogliere e valutare questi indicatori Innanzitutto perché i preadolescenti sono scarsamente consapevoli di quanto sta succedendo loro, tanto da poterlo comunicare e poter dare un riscontro diretto della loro posizione. In secondo luogo c'è la paura di scoprirsi in questa fase iniziale a causa del sentirsi insicuri. L'animatore può quindi fare affidamento soltanto su feedback indiretti.
A questo riguardo può essere utile da parte dell'animatore avere degli indicatori di riferimento sui quali poter cogliere delle indicazioni.
Lo schema che viene raffigurato presenta due assi che si incrociano tra di loro, così da evidenziare quattro quadranti. I due assi situano le persone relativamente al grado di partecipazione e al grado di coinvolgimento nella vita del gruppo.
La partecipazione si riferisce al rendersi attivo o meno del ragazzo in relazione alle attività e alle iniziative concrete che si fanno nel gruppo.
Il coinvolgimento si riferisce invece all'intensità con cui i preadolescenti in gruppo entrano in relazione tra di loro. La presenza di un alto coinvolgimento nelle relazioni e di un'alta partecipazione alle attività sono degli indicatori, in questa fase iniziale, di un superamento positivo delle prime difficoltà nella vita del gruppo. In senso più generale ciò va letto come un segnale di un primo decidersi di far parte del gruppo e come un feedback importante anche rispetto alla relazione con l'animatore. Difficoltà generalizzate e diffuse in più membri del gruppo rispetto al partecipare e al coinvolgersi, vanno viste come campanelli d'allarme, in quanto registrano una situazione di impasse nel superamento delle problematiche iniziali, come fattore di ostacolo verso la spinta all'appartenenza e, infine, come feedback con risvolti negativi nei confronti della relazione che l'animatore imposta con il gruppo.
Problemi più limitati riguardanti uno dei due assi possono avere differenti interpretazioni. Una difficoltà a coinvolgersi nelle relazioni in questa prima fase è un fatto quasi naturale, in quanto più facilmente nei gruppi di preadolescenti viene dato spazio ed energia alle attività. Più difficile il contrario, il prevalere cioè del coinvolgimento nelle relazioni rispetto alla partecipazione alle attività.
Questo schema permette di tastare il polso in maniera molto ampia alla relazione tra l'animatore e il gruppo. In maniera più specifica può utilizzare altri indicatori che si riferiscono ai messaggi non verbali che i singoli ragazzi o il gruppo inviano e che funzionano da metacomunicazione sulla relazione. L'insieme di queste informazioni possono essere utili come fonti a cui l'animatore attinge per individuare i feedback sulla relazione in atto tra lui e il gruppo.
Viste le considerazioni precedenti, la relazione animatore-gruppo è decisiva nelle prime fasi della vita del gruppo. Dalle caratteristiche che essa assume i preadolescenti ne traggono spunti per formulare previsioni future e per decidere se e come coinvolgersi nell'esperienza. È dunque fondamentale che l'animatore faccia particolare e costante attenzione a questo ambito e ne tragga elementi per verificare e calibrare il suo intervento nella relazione.
LA COMUNICAZIONE ALL'INTERNO E CON L'ESTERNO
Si è visto come in questa fase, dal punto di vista del livello socio-organizzativo della comunicazione, il gruppo sia tutto orientato e strutturato attorno alla figura dell'animatore. Siamo in presenza di una configurazione a raggiera che comporta dei canali provvisori che collegano individualmente i membri del gruppo all'animatore. Spostandoci dal piano dei processi verticali (che riguardano la comunicazione animatore-gruppo) a quello dei processi orizzontali (che riguardano il gruppo al suo interno), si evidenziano alcuni fenomeni particolari.
Il livello socio-organizzativo
Il livello socio-organizzativo del gruppo riguarda i processi e i fenomeni che si attivano quando il gruppo stesso si mette al «lavoro» per svolgere le attività e le iniziative per cui è sorto.
Per noi è importante analizzare questi fenomeni da un punto di vista comunicativo. In particolare ci interessa vedere come si forma la rete di comunicazione, che tipo di configurazione assume e in che modo i diversi membri del gruppo gestiscono il proprio ruolo all'interno di questa rete.
L'insieme di questi fenomeni caratterizzano la struttura formale che il gruppo si dà, è la sua «faccia» ufficiale. In poche parole, è il modo in cui il gruppo si organizza dal punto di vista sociale e comunicativo rispetto a ciò che rappresenta il contenuto specifico su cui si muove.
In un gruppo di animazione il gruppo non nasce con una sua organizzazione formale già definita; se la crea e se la struttura invece a partire dalla comunicazione che man mano emerge dal fare delle cose insieme.
All'inizio non esiste quindi una rete di comunicazione, nel senso che non sono stati ancora attivati in maniera stabile e diffusa i canali comunicativi che permettono lo scambio e la circolazione delle informazioni tra i membri del gruppo. Questo perché c'è una situazione di non esposizione, di segnali indiretti (il silenzio, l'imbarazzo, la vergogna) che assumono il significato di una richiesta rivolta all'animatore affinché gestisca in gran parte e come proponente attivo la comunicazione. Quindi, oggettivamente, c'è poco scambio e poca circolazione di informazioni tra i membri del gruppo, soprattutto nei momenti di vita ufficiale (le riunioni) e in quelle situazioni in cui si richiede uno scambio di tipo verbale.
Gli scambi cominciano ad attivarsi soprattutto nei momenti informali e in relazione ad attività concrete da svolgere. Siamo in presenza di un processo di strutturazione e creazione della rete di comunicazione del gruppo. In questa fase iniziale diventa importante che si stimoli il gruppo ad attivare il suo «potenziale» comunicativo, a far sì che si attivino il più possibile i canali comunicativi che interrelano ogni membro del gruppo con ognuno degli altri. Infatti, se certi blocchi o difficoltà di attivazione vengono affrontate in una fase iniziale, in cui esiste ancora una certa fluidità, è possibile superarle con facilità; altrimenti il rischio concreto è che queste difficoltà si sclerotizzino, trasformandosi in «buchi» permanenti nella rete di comunicazione.
L'assenza di una rete di comunicazione non permette l'emergere e quindi l'individuazione dei ruoli. Anche rispetto ai ruoli siamo in una fase di sperimentazione ed esplorazione. Durante questa fase, in cui non ci sono punti di riferimento su cosa gli altri si aspettano e su cosa delle proprie modalità e possibilità comportamentali risulta ben accetto agli altri membri, i ragazzi si affidano alle proprie «maschere» per gestire socialmente la situazione.
Qui, per «maschera» si intende quell'insieme di modalità e strategie comportamentali a cui il preadolescente ricorre, nel tentativo di mostrare agli altri quella «faccia» di sé che ritiene possa incontrare i favori e una relazione positiva degli altri; oltre che salvaguardarlo da quelli che ritiene possano essere, pericoli cui può andare incontro in quella situazione. Parliamo di maschera, perché si tratta di qualcosa che, in maniera abbastanza intenzionale, il soggetto utilizza per mostrare se stesso non come realmente è o si sente, ma come vorrebbe, in funzione di un'impressione buona negli altri.
Nel fare questo i ragazzi si affidano a quanto è risultato loro utile anche nelle altre situazioni e contesti di vita quotidiani (scuola, famiglia, gruppo di amici...). Ciò che accade nel gruppo è che facilmente, data la mancanza di punti di riferimento e considerata la novità dell'esperienza, ognuno tende a presentare di sé quegli aspetti a cui ricorre o a cui è ricorso in situazioni simili.
È necessario inquadrare correttamente, in termini educativi, il discorso della «maschera». Da un certo punto di vista la «maschera» rappresenta indubbiamente una risorsa a cui il preadolescente ricorre per difendere e per proteggere, nella situazione nuova e potenzialmente generatrice di ansia, aspetti più delicati e profondi di sé. Per cui sia
i comportamenti di ostentata spavalderia, che quelli di palese timidezza e riservatezza, o ancora i comportamenti sospettosi, hanno la funzione di protezione dalla situazione nuova.
Le «maschere», pur essendo quindi un modo con cui i preadolescenti si camuffano, presentando a livello sociale un sé artificiosamente rielaborato, vanno rispettate e accettate in quanto svolgono un'importante funzione protettiva che viene mantenuta finché non si hanno informazioni più precise e attendibili che possano renderle inutili, e far così emergere il sé reale.
Il livello emotivo-affettivo
A questo livello hanno luogo una serie di processi di importanza notevole per la vita del gruppo. La loro importanza è tale anche perché si tratta di processi che non saltano agli occhi in maniera evidente, che stanno più sullo sfondo, ma che hanno comunque un grosso peso su quanto accade in maniera esplicita. Potremmo definire i processi di questo livello come «appartenenti all'altra scena» del gruppo, rispetto a quella ufficiale appunto. I processi che vi hanno luogo riguardano anzitutto l'ambito individuale, con i bisogni personali che ciascuno porta nel gruppo, anche in prospettiva evolutiva; ma riguardano anche l'ambito collettivo dei fenomeni emotivi ed affettivi che sono relativi più propriamente al gruppo.
A livello individuale il bisogno di cui i preadolescenti sono portatori, e che risulta significativo in questa fase, ruota intorno all'area del riconoscimento. Esso rivela che nelle relazioni interpersonali, all'interno del gruppo che sta nascendo e nelle attività che vengono svolte, il preadolescente cerca la conferma del fatto che «per gli altri c'è», esiste, ed è preso in considerazione. Si può considerare questo bisogno come basilare e fondamentale rispetto agli altri.
Il bisogno di riconoscimento ha caratteristiche e contenuti specifici e particolari per il preadolescente. Egli, infatti, si trova in una situazione in cui non sa bene chi è e che cosa stia diventando; non è ancora adulto ma non è più bambino; perciò il pericolo è che senta in maniera forte l'angoscia di «non essere nessuno».
In relazione a ciò è prevedibile che i preadolescenti presentino, soprattutto in questa fase, un rilevante bisogno di essere rassicurati rispetto al fatto di esserci.
Il bisogno di essere riconosciuto come persona esistente acquista inoltre, per il preadolescente, un contenuto specifico. Il preadolescente vuole essere riconosciuto esistente non in modo generico, ma negli aspetti nuovi che vanno emergendo. I messaggi con cui l'animatore e gli altri del gruppo gli comunicano direttamente o indirettamente e che lo riconoscono come esistente, sono più graditi ed efficaci se rivolti alle sue nuove competenze, abilità o all'immagine di sé come persona che sta diventando grande.
Sempre a livello individuale, ma legata alla situazione del gruppo, possono essere attivate anche paure e angosce, che possono arrivare anche a manifestarsi in forme persecutorie. Il gruppo come luogo ed esperienza nuova comporta uno stato di insicurezza da parte dei preadolescenti. L'insicurezza può trasformarsi in paura e angoscia di persecuzione se il gruppo da «posto sconosciuto» comincia ad essere rappresentato come «posto pericoloso», in cui possono succedere cose brutte. Si tratta quindi di una forma estrema che può attivarsi sotto l'azione di meccanismi proiettivi, ma che può essere favorita ed alimentata da un clima di non accoglienza e poco strutturato da parte dell'animatore. Se il gruppo non si struttura come luogo realmente accogliente bensì pericoloso, queste angosce possono scattare e frenare il suo successivo sviluppo. I contenuti di queste angosce, la loro persecutorietà, appaiono molto legati all'esperienza individuale, riferita a ciò che ognuno immagina sia l'esperienza più brutta che possa capitargli nel rapporto con gli altri.
Per quanto concerne i fenomeni di carattere collettivo che trovano spazio in quest'area, c'è tutto il capitolo del livello informale che comincia ad attivarsi. Al di là del livello sociale della comunicazione, grossa attenzione viene posta a quello che può essere colto in senso più profondo e che può permettere di farsi un'idea e un'immagine più ampia e globale degli altri. C'è perciò una grossa attivazione dei «radar». A livello intuitivo si cercano quelle informazioni che permettono di organizzare questa immagine più globale degli altri. Le immagini che vengono elaborate servono poi per capire da chi ci si sente più attratto (perché non pericoloso, più simile a sé o perché in possesso di qualcosa che si vorrebbe per sé); ma servono anche a capire da chi bisogna stare lontano, perché troppo diverso da sé, perché ritenuto un pericolo per qualche motivo, o perché non in possesso delle qualità ideali. In tal modo si raccolgono le prime informazioni sui possibili orientamenti di avvicinamento e distanziamento da un punto di vista informale.
Il livello normativo-culturale
Il livello normativo-culturale si riferisce invece a quanto il gruppo elabora e definisce nel suo interagire e nel suo comunicare, sia sul piano dei presupposti di fondo e delle prospettive generali di lettura e interpretazione della realtà, sia su quello delle indicazioni concrete e specifiche che guidano l'operatività dei singoli membri e del gruppo. Appare evidente come il discorso del livello normativo- culturale nella fase iniziale della vita di gruppo sia molto limitato e quasi assente; più che altro implicito.
Il gruppo, infatti, sta mettendo le basi per la costruzione di una sua struttura e organizzazione che permetterà lo scambio e l'interazione, e che avranno come conseguenza l'elaborazione dei contenuti di questo livello della comunicazione interna del gruppo.
I punti di riferimento su cui il gruppo può già contare sono di carattere più strutturale: quando e quanto ci si incontra, dove ci si incontra.
Per quanto riguarda i punti di riferimento psicosociale si tengono in conto quelle norme e quei comportamenti che si adottano in genere nella nostra società in situazioni sociali nuove; ne sono un esempio, l'esercitare un forte controllo sul proprio comportamento.
Un aspetto importante è quello relativo al linguaggio utilizzato. Lungo il suo ciclo vitale il gruppo acquisirà un linguaggio, nel senso del contenuto e della forma, caratteristico e condiviso, che rappresenterà un elemento di forte identità. In questa fase invece il linguaggio di ognuno è fortemente caratterizzato da valenze personali, e appare inoltre molto controllato e stereotipato. Il controllo esercitato sul linguaggio in questa fase è di particolare rilievo per i preadolescenti. Infatti i preadolescenti usano il lin guaggio come uno dei primi luoghi in cui si manifesta il distanziamento nei confronti degli adulti, per esempio un linguaggio trasgressivo (le «parolacce»).
Il controllo del linguaggio ci rivela un processo in cui si cerca di mostrare la faccia socialmente accettabile di sé, soprattutto all'animatore, con la paura che i nuovi «linguaggi» più trasgressivi, per il nuovo che portano, possano spaventare o non essere accolti dall'animatore stesso.
La comunicazione del gruppo con l'esterno
In questa fase non esiste ancora un confine, psicologico e socio-culturale, che separi e differenzi il gruppo dal contesto entro cui si pone. I processi di definizione del gruppo come realtà dotata di una propria identità e di proprie caratteristiche si stanno appena attivando. Il gruppo non esiste, quindi, come realtà separata dentro il contesto di una comunità più ampia. Ciò vale sia per i membri del gruppo, che non sentono ancora di far parte di un «noi» che li unisce e che li distingue dagli «altri» fuori dal gruppo, sia per questi «altri» per i quali il gruppo non è visibile e non rappresenta ancora una controparte con cui attivare processi di scambio e di comunicazione. Sulla base di queste considerazioni si può quindi affermare che non esiste e non è possibile in questa fase parlare di una comunicazione tra il gruppo e la realtà esterna al gruppo.
CONSIDERAZIONI EDUCATIVE: OBIETTIVO DELLA FASE
È importante che l'animatore anticipi l'evoluzione del gruppo attraverso la formulazione di un obiettivo ideale di questa fase.
L'obiettivo generale della fase l'abbiamo così formulato: Fare in modo che i preadolescenti, al primo impatto con la realtà del gruppo, possano fare l'esperienza del gruppo stesso come luogo sicuro, in cui potersi coinvolgere e poter dare progressivamente spazio alle energie nuove che stanno emergendo.
Obiettivi intermedi
Nella prospettiva di costruire il gruppo come luogo che il preadolescente percepisce «sicuro», l'animatore deve perseguire una serie di obiettivi di tipo intermedio, attraverso i quali si definisce e si specifica ulteriormente cosa significa un gruppo come luogo sicuro.
Un gruppo che sia attraente per i preadolescenti
I preadolescenti avranno modo di sperimentare il gruppo come luogo sicuro innanzi tutto se sentiranno che esiste una sintonia tra il clima generale con cui vengono le attività del gruppo e la loro voglia di fare, di divertirsi e di liberare l'energia vitale che colgono in sé in maniera esplosiva. Un gruppo frizzante, dinamico, che non susciti un senso di stanchezza, noia e appiattimento.
La scelta di fondo è quella di parlare agli interessi e al desiderio del preadolescente, di mettersi sulla lunghezza d'onda del suo mondo vitale. È un chiaro schierarsi da parte della vita nuova che sta emergendo, invece che con i controlli, i blocchi e i tentativi di imbrigliare questa energia nuova. È un gruppo che scatena la voglia di vivere e di vivere «con avventura».
Un gruppo accogliente
Un altro «ingrediente» importante è la presenza di un clima accogliente nei confronti dei preadolescenti. In maniera specifica questo clima può essere messo in relazione a tre aspetti della comunicazione che si stabilisce in gruppo:
- una comunicazione che riconosca ognuno come esistente;
- una comunicazione che confermi il ragazzo nella percezione che ha di sé;
- una comunicazione che sia rispettosa dei tempi e delle modalità che ogni ragazzo sceglie o di cui ha bisogno per presentarsi e aprirsi progressivamente.
La comunicazione a cui ci si riferisce è quella che coinvolge l'animatore e ogni singolo ragazzo, quindi quella in cui l'animatore si pone come modello diretto, e quella che si realizza e viene stimolata tra i membri del gruppo. È qualcosa che impegna l'animatore in prima persona, ma anche i preadolescenti.
Per quanto riguarda il primo aspetto, quello che concerne il riconoscimento di ognuno come esistente, si intende il fatto che ogni preadolescente deve poter ricevere stimoli verbali e non verbali, diretti e indiretti, che gli comunichino che la sua presenza nel gruppo viene percepita, sottolineata, desiderata. Questo processo risulta più facile per coloro che fin dall'inizio si dimostrano più attivi e si propongono per avere riconoscimenti; mentre risulta sicuramente più difficile per coloro che sono più timidi, bloccati e meno capaci di prendere l'iniziativa.
In secondo luogo la comunicazione che si sviluppa deve porsi in termini di «conferma» di come il soggetto si percepisce e si propone. Nei limiti del possibile, ciò implica che non ci si ponga in termini critici o valutativi nei confronti dei ragazzi. Non si deve cioè tentare di «smascherare» precocemente comportamenti o atteggiamenti passivi, proiettivi o difensivi, e forzare ad assumere comportamenti o atteggiamenti che si ritengono invece più adeguati. Ciò che i preadolescenti devono cogliere è una vicinanza rispettosa di dove stanno e di come si percepiscono.
Un gruppo strutturato
Se all'inizio la voglia di scatenarsi è tenuta a freno dall'osservazione e dalla valutazione dei possibili pericoli, può crearsi una situazione di stallo in cui si vorrebbero fare delle cose ma non si prende l'iniziativa per farle. Quindi è necessario che, almeno in questa prima fase, la spinta ad attivarsi e a fare delle cose venga stimolata e sostenuta da un'adeguata strutturazione. Le iniziative e le attività devono essere organizzate con un impegno più rilevante dell'animatore, che deve farsi carico di proporre e sostenere le risposte con una grossa attenzione ai modi e ai tempi della realizzazione. La strutturazione si riferisce anche ad un'attenta pianificazione degli spazi, dei modi e dei tempi che i preadolescenti usano per proporsi, farsi vedere e comunicare se stessi nel gruppo. Ciò significa che deve operare da canalizzazione, freno e contenitore per coloro che tendono a prendersi spazi e tempi rilevanti di protagonismo nel gruppo, e operare invece da stimolo, sostegno, protezione per coloro che tendono a prendersi pochi spazi e poco tempo nel gruppo stesso.
Un gruppo in cui ci sia un controllo del livello di conflittualità
Particolare attenzione deve essere posta nel controllare e limitare, almeno in questa fase, il livello di conflittualità tra i membri del gruppo.
C'è pericolo, infatti, che si possano creare situazioni di precoce scatenamento ed esplicitazione dell'aggressività. Questo atto potrebbe condizionare o, addirittura, creare danni difficilmente recuperabili in vista della creazione di un clima di amicizia, di coinvolgimento e di cooperazione all'interno del gruppo. Lo sforzo di evitare, nel momento costitutivo del gruppo, condizioni troppo conflittuali, è teso a favorire la creazione di un clima interpersonale «temperato», festivo, che rende possibile un progressivo e graduale coinvolgimento di tutti i partecipanti, in modo da poter prendere agevolmente «posto» al suo interno.
Un gruppo come luogo di «esperienze»
Il gruppo che si sta costruendo è fondamentale che diventi un luogo di «esperienze» per il preadolescente. Il gruppo si configura come luogo di esperienze in relazione ad alcuni fattori:
- un luogo in cui, al di là delle attività e delle cose che si fanno, c'è la presenza percepibile di un «clima» interpersonale in cui i preadolescenti sentono, a livello di vissuto e non di parole, di essere accolti e accettati profondamente rispetto al processo di difficile «gestazione» del nuovo a cui sono impegnati in prima persona;
- un luogo in cui c'è lo sforzo di sintonizzarsi sul canale privilegiato dai preadolescenti per comunicare, esprimere e fare i conti con il proprio mondo, e cioè quello dell'operatività e della dimensione concreta. È lo sforzo di non muoversi unicamente o in maniera privilegiata sul piano cognitivo-razionale-linguistico, ma di partire appunto dalla comunicazione che avviene attraverso il fare e l'operatività;
- il fare esperienza non si ferma però al semplice registrare il vissuto o al permettere di fare, ma si articola nel muovere dai dati grezzi, forniti appunto dal sentire e dal fare, per cominciare a scavare dentro questi dati attraverso il linguaggio e far nascere domande, interrogativi; e da lì partire per cercare anche delle risposte.
In linea con le capacità e le disponibilità del momento evolutivo del gruppo e di quelle dei preadolescenti, ci si muove dal sentire e dal fare per innescare un percorso di elaborazione simbolica del fare e dell'agire.
INDICAZIONI PER L'ANIMATORE
Nel processo relazionale che l'animatore mette in atto con i preadolescenti, vanno sottolineati alcuni possibili pericoli e quelli che sono gli aspetti da privilegiare. Il primo pericolo da evitare da parte dell'animatore nella relazione con i preadolescenti è di fagocitare in maniera eccessiva lo spazio dell'iniziativa e della strutturazione del gruppo. Se è vero che i preadolescenti hanno l'esigenza che almeno all'inizio l'animatore si prenda la responsabilità dell'iniziativa, delle proposte e dell'organizzazione della vita del gruppo, è anche vero che l'animatore dovrebbe chiedersi quale sia il limite tra ciò che gli viene richiesto, che risulta quindi necessario, e ciò che potrebbe essere invece addebitabile ad un eccesso di utilizzazione del suo potere in quanto animatore.
In questo secondo caso, saremmo in presenza di una relazione che pone l'animatore nella posizione di colui che interpreta e gestisce i bisogni del ragazzo e relega quest'ultimo nella posizione deresponsabilizzante di colui che viene gestito.
Il secondo pericolo si riferisce al definire la relazione in un modo che dà al preadolescente la sensazione di essere «ingabbiato».
Ciò si verifica quando l'animatore «forza» in qualche maniera l'adesione e la partecipazione del preadolescente alle attività e alla vita del gruppo. Si accennava in precedenza al fatto che i preadolescenti danno un'adesione condizionata ad una serie di verifiche. Se l'animatore, in modo non del tutto esplicito, pretende e spinge ad una appartenenza che va oltre le intenzioni e quanto il ragazzo sente di potersi coinvolgere, corre appunto il rischio di ingabbiarlo. Chiaramente il tipo di partecipazione che ne consegue sarà forzata e non pienamente convinta, quasi «estorta», con quanto di negativo ne può derivare a breve e a lungo termine
Gli aspetti da privilegiare
Due atteggiamenti dovrebbero essere particolarmente curati e comunicati nella relazione dell'animatore con i preadolescenti.
Il primo si riferisce al comunicare dei messaggi di «permesso». Il dare permessi riguarda la comunicazione di una disponibilità, innanzi tutto maturata internamente e successivamente manifestata, a vedere con favore e positivamente quanto di nuovo sta emergendo nella vita dei preadolescenti. Si tratta, quindi, di una modalità polarmente opposta al controllare, porre divieti, bloccare.
Inoltre è necessario sia qualcosa di cui l'animatore è pienamente convinto razionalmente, ma che sia anche l'espressione esterna del vedere benevolmente la crescita dei preadolescenti. Ciò richiede, emotivamente, di saper fare i conti con un mondo in destrutturazione e caotico qual è quello dei preadolescenti.
Il secondo atteggiamento si riferisce alla necessità di fungere da contenitore per i preadolescenti. Fungere da contenitore, da un punto di vista emoti vo, significa saper accettare, senza spaventarsi e mantenendo una certa stabilità, le angosce, il caos, le paure e l'instabilità del mondo preadolescenziale.
Tecniche di animazione
1° fase
Criteri di scelta
Per questa prima fase risultano adeguate quelle tecniche che appaiono in sintonia con gli obiettivi generali della fase. I criteri di massima sono i seguenti:
- favorire un ampliamento delle conoscenze e delle informazioni sulle persone che fanno parte del gruppo, e del contesto in cui il gruppo è situato;
- favorire un ampliamento delle conoscenze mediante l'autopresentazione (permette alle persone di decidere cosa far conoscere di sé, come e quando farlo);
- sperimentare il lato piacevole dello stare insieme.
Tecniche specifiche
1. Tecniche che permettono di conoscere le informazioni essenziali dei membri del gruppo (nome, età, hobby, ecc.).
2. Tecniche che permettono di acquisire informazioni più particolareggiate sulle persone che fanno parte del gruppo (dialogo a coppie, interviste a gruppetti).
3. Tecniche che puntano sulla creazione di un clima piacevole (le domande impertinenti, auto-presentazione tramite metafore)..
4. Tecniche focalizzate sulla corporeità.
5. Tecniche che in vario modo permettono di conoscere le aspettative e le attese dei partecipanti rispetto al gruppo.