Oratorio oltre i "cancelli"


Domenico Ricca

(NPG 1993-04-72)

«L'idea degli Oratori nacque dalla
frequenza delle carceri di questa città»
(G. Bosco 1862).

Oratorio e carcere. Ambienti che hanno segnato la mia esperienza di sacerdote-educatore. Un cammino intenso a cui devo molto. Ambiti di vita pastorale dove ho appreso a conoscere i giovani senza soluzione di continuità. A cogliere la normalità, le dimensioni del disagio come, d'altra parte, a constatare nelle situazioni di emarginazione che la giusta risposta, la risorsa adeguata, l'ultimo tentativo può essere quello che innesta processi di radicali mutamenti.
Dai tanti volti di ragazzi/e, di giovani che ho incontrato tra le mura del carcere e si assommano ai ricordi di esperienze forti, prendono avvio queste riflessioni. Dagli incontri con quanti nella mia diocesi, o altrove, in momenti di formazione con gruppi e associazioni, stanno muovendosi nella stessa direzione. Perché, se di qualcosa c'è bisogno, è soprattutto di un «surplus» di fantasia, di nuovo entusiasmo, di un sentire comune. Lo stesso titolo richiama un bisogno di chiarezza nel porre i termini del problema. Evoca più realtà a confronto:
- l'oratorio con le sue tradizioni;
- un territorio nella accezione più complessa del termine;
- i giovani che cambiano, ma tra questi, gli indifferenti, i lontani, i difficili. È per molti nostalgia di esperienze, tentate, sovente frustrate, e non sempre condivise da tutti.
Ci portiamo dentro un cruccio: l'estrema difficoltà ad aprire le porte dell'oratorio per andare «fuori», incontrare altri sul territorio. Le perplessità nell'accoglienza indiscriminata di quanti la più antica tradizione oratoriana indica come destinatari privilegiati.
Si sono tentate le strade dell'integrazione. Hanno deluso e lasciato dell'amaro in bocca. È stato difficile educare gli adulti a scelte coraggiose e innovative. Avevano paura di contaminare i loro figli. A volte ha fatto difetto una certa superficialità. La diffidenza nella troppa professionalizzazione ha frenato i tentativi più avanzati.
Le strade della chiusura, delle quattro mure ben difese, dell'autarchia e della sufficienza, la semplicistica identificazione ragazzi difficili=mele marce, non possono che lasciare rimorsi e la delusione per i troppi sogni nel cassetto. L'apertura totale al territorio in giro la si sta tentando. Centri giovanili polivalenti di prima aggregazione che possano costituire un valido supporto al lavoro di base e al tempo stesso un servizio aperto a tutti i giovani del quartiere.
Vi è, però, una legittima diffidenza, la paura di smarrire per strada l'identità di oratorio: casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria. Oppure di invadere campi e competenze che non sono proprie, dove pare non sufficiente e adeguata la preparazione. Di ingenerare confusione tra il ramo assistenziale, più personalizzato, individuale, quasi terapeutico, e quello dell'animazione che è modalità di gruppo e riporta alla condizione giovanile «della vita quotidiana».

UN OBIETTIVO: LA SIGNIFICATIVITÀ

È attuale e prioritaria la verifica della significatività dell'oratorio. Dalla sua capacità di offrire risposte originali alle sfide e alle urgenze più sentite, specie quelle filtrate dall'attenzione ai lontani. È un mettere al vaglio tutta la comunità educante di un oratorio con i criteri della significatività.
È necessario interrogarci se la persona del sacerdote/religioso ha ancora la possibilità, la voglia, i mezzi per espletare la capacità di educare alla fede e animare le comunità educative.
Verificare se i progetti educativi sono condivisi da tutta la comunità. Come si sente corresponsabile e solidale nelle scelte, anche le più difficili, perché non sorga il dubbio, così frequente, che certe sperimentazioni sono solo pallino di alcuni.
Significatività che richiama la qualità pastorale dell'intervento, laddove ogni iniziativa di educazione, di promozione e recupero annuncia e realizza la salvezza, e nelle proposte di fede si trovano energie di eccezionale valore per l'edificazione di forti personalità.
Come nel settore più marcato dell'emarginazione, così nella fase più centrata sull'accoglienza ed apertura, dentro ogni esperienza di animazione anche più rivoluzionaria deve trovare cittadinanza la prospettiva dell'intenzionalità pastorale.
Un oratorio «significativo» capace di aggregare altre forze, di passare da un'esperienza di pochi ad una comunità parrocchiale ed oratoriana educante. Si è significativi quando chi vuole impegnarsi trova nelle comunità oratoriane riferimenti, appoggio, accoglienza.
Ultimo elemento di significatività che si rivelerà di vitale importanza, è il rapporto, l'inserimento e l'impatto della presenza oratoriana sul territorio. Diventa in tal modo costitutivo il dialogo con la realtà circostante, con le istituzioni sociali ed educative del quartiere e della città.
Una ricerca di significatività a fronte del mondo giovanile in tutte le sue sfaccettature, ma specialmente i più poveri. Per ognuno dovrà essere vivo e presente il richiamo allo studio della condizione giovanile e popolare, a verificare periodicamente se le strutture e le attività sono al servizio dei giovani poveri, dei giovani che a causa della povertà economica, sociale e culturale, a volte estrema, non hanno possibilità di riuscita; dei giovani poveri sul piano affettivo, morale e spirituale, e perciò esposti all'indifferenza, all'ateismo e alla delinquenza; dei giovani che vivono al margine della società e della Chiesa.
Provo a delineare alcune attenzioni nella direzione della significatività degli oratori che ritiene centrale la problematica «oltre i cancelli».

L'originalità dell'oratorio come azione di pastorale popolare

Trapela dal racconto delle figure «storiche» che hanno «giocato» la loro vita sull'oratorio. Sono la memoria carismatica dell'azione pastorale dell'oratorio. Sacerdoti con l'ansia di salvare i giovani, di prendersi a cuore le loro situazioni di deficienza umane e volervi rispondere.
Il loro intervento mirava alla salvezza dell'anima, dichiarazione continuamente verbalizzata e resa visibile da una massiccia proposta sacramentale, ma di fatto si interessavano di tutto il giovane, dei suoi problemi e dei suoi bisogni essenziali fino ad includere quanto è di aiuto al giovane nella sua concretezza, rispondendo al bisogno di gioia e di festa, ma anche di imparare a leggere e scrivere o ad esercitare un mestiere.
Un oratorio che proprio Don Bosco ha voluto plasmare con un suo stile e una fisionomia interna quando dalla valutazione degli oratori del suo tempo si accorse che. «non erano più per i nostri tempi».
Volle un oratorio che doveva riempire tutta la giornata festiva, doveva aprire le porte al maggior numero possibile di ragazzi, doveva essere governato con autorità paterna.
Originalità dell'oratorio dove si esprime un cuore oratoriano o in altri termini la passione educativa e l'ansia pastorale.
«Con un cuore che ha internamente questa carica, si cercano e si trovano poi le mediazioni più adatte, che rispondano alla cultura emergente.
Se uno ha questo ardore interiore comincia con un progetto, poi lo rivede e lo cambia; se non serve, ne cerca e ne elabora un altro. È necessario anche dialogare e imparare da coloro che studiano le scienze dell'educazione e hanno possibilità di indicare suggerimenti nuovi. Il segreto è però nell'interiorità dell'apostolo...».
In un'epoca di complessità e di grande frammentazione urgono figure educative di forte passione e sicura formazione per costituire riferimenti validi. Adulti educatori che con impegno, competenza e capacità educativa sappiano stare a fianco, accompagnare il ragazzo, l'adolescente, e il giovane nei suoi percorsi di crescita.

Il continuo cambiamento del mondo giovanile

L'accoglienza diventa difficile quando ci si accorge, e sovente in modo traumatico, che di fronte a noi sta un mondo giovanile in continua evoluzione.
E, se dentro l'oratorio, la struttura, il contesto del mondo dei ragazzini e degli adulti, attutiscono l'impatto del cambiamento, fuori dell'oratorio sembra che il mondo giovanile cambi più velocemente. In questo evolversi così brusco dei bisogni, delle attese, delle procedure collettive di elaborazione, più facilmente i giovani ignorano l'oratorio come luogo per una risposta.
Tra le tante letture della condizione giovanile ci interessano particolarmente le antiche e nuove povertà giovanili, come i giovani della quotidianità con il loro diffuso e generalizzato disagio di vivere, ma anche i giovani cosiddetti «invisibili» nel difficile passaggio scuola-lavoro. Destano inoltre preoccupazione quei giovani per i quali l'eccedenza di bisogni genera situazioni di marcato disagio e continua frustrazione.
I nostri contesti di vita tendenti, in generale, alla «normalità» potranno di certo essere provocati da quanto emerge in un'indagine nazionale sui gruppi spontanei, su aggregazioni giovanili di soggetti che manifestano estrema difficoltà a muoversi in una socializzazione verticale e preferiscono immergersi del tutto in una «socializzazione in nero». È forte la distanza, quando non totale il distacco dei giovani della quotidianità dai luoghi in cui si giocano i discorsi educativil.
Per non parlare di quelli in continuo ballottaggio tra disagio, marginalità, devianza. Dove troppo sovente i normali percorsi educativi (famiglia, scuola, gruppo) sono diventati percorsi e via al disagio. Un mondo che soffre sulla propria pelle le diverse esclusioni. Dall'esclusione ecologica, perché nel loro territorio sono segnati a dito, stigmatizzati. Uno stigma produttore di ulteriore disagio quando non di devianza. All'esclusione scolastica laddove il mondo della scuola ha il sapore del sogno, del «paradiso perduto» da riconquistare, a qualunque costo, sovente con segnali di protesta e devastazione delle stesse strutture. Ambivalente messaggio che non di meno può essere utilizzato per momenti di ricupero scolastico al di fuori di ogni istituzionalità. E, l'ultimo, l'esclusione relazionale perché tagliati fuori dalla normale rete dei rapporti sociali, puntati a dito. Sorte comune a tanti, quasi dato collettivo in alcune zone di grandi metropoli e centri urbani. Vi è la premessa per il formarsi di subculture, bande, gruppi più o meno organizzati che favoriscono lo scadere in forme marcate di trasgressione: vandalismo, forme di incivility, di devastazione di strutture istituzionali, l'area del consumo e dello spaccio di droghe, la microcriminalità specie contro il patrimonio.
Trasgressione, aggressività contro la società degli adulti che rimanda ad una precarietà del principio di identificazione, alla mancata integrazione.

La realtà del territorio

Si va progressivamente arricchendo di figure, risorse, punti rete, luoghi istituzionali come del privato sociale, di volontariato e di associazionismo. Spazio privilegiato per l'azione e la relazione dei diversi mondi vitali dei ragazzi. Una ricchezza che esige agilità di movimento e capacità di discernere nella complessità. Si è percepito in questi anni una scoperta del territorio attraverso tre tappe progressive. Dall'animazione dei gruppi, alla politica e il decentramento per arrivare, in ultimo, alle iniziative per l'emarginazione. Queste fanno emergere pressante il bisogno di collegare gli interventi di prevenzione e di recupero al vissuto della persona. Sorgono nelle circoscrizioni i coordinamenti di prevenzione al disagio. Si accentua la necessità di non settorializzare gli interventi, ma di legarli tra loro: strategia delle connessioni, lavoro di rete. Perché è più che mai viva una figura di educatore territoriale non francobollo al ragazzo, bensì mediatore di risorse sul territorio. Non per spirito di parte, ma a ragion veduta, si può affermare che proprio dagli oratori e dalle parrocchie viene l'impulso al settore della pastorale di attenzione al territorio e quindi la necessità di matura riflessione. Dal bisogno di conoscere i vissuti dei ragazzi, dalle provocazioni o quasi concorrenza di altre agenzie educative, dal sorgere di nuove tecniche di animazione.
«Territorio per noi significa più cose: mappa dei bisogni delle persone (economici, culturali...), condizione reale delle persone (i luoghi, le situazioni), la strutturazione geografica del luogo di vita (trasporti, i servizi, le case, il verde...), la cultura vissuta (la storia, il sistema di segni e simboli usati per comunicare). L'oratorio non è un'isola...».
Dall'emarginazione con le esperienze improntate ad intervento terapeutico che sentono il bisogno di andare sul territorio con attenta riflessione a programmazione di esperienze di strada. Se oggi è calata la dimensione di partecipazione politica nel territorio, di certo è aumentata l'attenzione al territorio per un discorso di animazione nella linea della risposta all'emarginazione.
Sembra così preminente l'attenzione al territorio come luogo da costruire insieme, dove le varie agenzie educative, tra cui anche l'oratorio, concorrono a inventare luoghi di incontro significativi per i giovani. Che è poi un modo di dire prevenzione. Oppure chi dice territorio «luogo terapeutico» vuol significare e disegnare lo spazio in cui risorse istituzionali, del privato sociale, delle associazioni e volontariato concorrono a creare punti positivi di una rete di appoggio ai giovani in difficoltà. Sarà mai ribadito a sufficienza che per stare nel la complessità di un territorio che si sviluppa e si costella anche di figure e presenze giuridiche nuove è opportuno aggiornare la conoscenza dei rapporti istituzionali e delle nuove modalità di partecipazione. Esige qualificazione, senso della profezia, coraggio della domanda quando nel settore dell'assistenza, dei pubblici interventi, si privilegia la logica dell'effimero, dello spreco, del programmare iniziative di pura immagine a qualche personaggio politico, ma non incidono per nulla sulla vita della gente.
Richiede che il settore del volontariato e del privato sociale si sottragga alla logica di spartizione di quei soldi (sempre troppo pochi perché primi a cadere sotto la scure dei tagli delle diverse finanziarie) che vanno spesi per un bisogno reale e non per soddisfare le esigenze di chi le promuove. Non era necessaria «tangentopoli» per essere convinti che nella logica dei contributi e delle convenzioni si deve esigere ed offrire trasparenza. Si rischia, troppo sovente, di smarrire il punto di vista dei veri bisogni dei giovani più poveri e della qualificazione professionale degli interventi. Non è sempre vero il «pur che si faccia».

La crescita di domanda di prevenzione

Tra i motivi della riscoperta dell'oratorio anche all'interno della Chiesa italiana vi è la preoccupazione per la formazione di una coscienza civile nelle nuove generazioni.
La Chiesa ha a cuore il disagio e il rischio in cui si trova la maggioranza degli adolescenti. Se all'emarginazione grave possono dare risposta strutture terapeutiche agili e specializzate, al crescente disagio e allo sradicamento sociale e culturale dei giovani sembra poter dare risposta un'azione preventiva attivata in strutture aperte e dinamiche come gli oratori.
«... rilevantissimo campo di testimonianza dell'amore cristiano... quella prevenzione che si esercita con l'opera quotidiana di una pastorale rivolta a tutti i giovani».
Forte riscoperta della prevenzione, non solo come operare strategico (è meglio spendere prima), ma come attenzione formativa che punta al coinvolgimento dei giovani in una nuova partecipazione sociale e politica. Perché dire prevenzione è dire intervento educativo, formativo, attraverso l'animazione sul soggetto, ma ancor più intervento politico, sociale e culturale sul contesto. È cospargere il territorio di una rete di risorse significative attente ai giovani. È la politica di spazi di aree di socializzazione guidate per i giovani.

Nuova domanda del volontariato

Cresce il numero di quanti vorrebbero fare qualcosa per gli altri (tra i 17 e i 75 anni, il 13,8% persone dedicano sei ore alla settimana per il puro volontariato). Anche tra i giovani. Cercano uno spazio per l'impegno. Sovente le proposte di animazione nei gruppi tradizionali non suscitano entusiasmo. Ed allora se ne vanno. Hanno un'altra immagine di servizio. Il vivere «a porte aperte», sul territorio, con gruppi di ragazzi un po' difficili, potrebbe essere la via nuova, lo sbocco desiderato. È una domanda da canalizzare, responsabilizzare ed educare.

La dimensione missionaria

Gli accenni precedenti trovano in questa vocazione della Chiesa radice, forma ed espressione. La memoria della missione indica tre direzioni di riflessione: il tipo di destinatario (partire dagli ultimi, i lontani), il senso di missionarietà di tutta la comunità e non solo di alcuni pionieri, la ricerca dei giovani. Un contatto «fuori le mura» diventa indispensabile e fondamentale per riuscire a collocarsi psicologicamente e pastoralmente nel vivo dei problemi nei quali i giovani meno favoriti si dibattono. Territorio, quindi, come riferimento d'obbligo e punto di attenzione preferenziale, campo di rilevamento, spazio di lavoro, soggetto attivo per raggiungere i giovani in forma più totale.

UN METODO: ACCETTARE IL PARADIGMA DELLA COMPLESSITÀ

In una società complessa e articolata non sono più possibili soluzioni che tendano a ridurre, a negare la complessità del sistema. Deve, bensì, prevalere la convinzione che qualsiasi ipotesi è sempre soggetta a verifica, perché non unica e definita per sempre. Entrare in dubbio di fronte a valutazioni univoche, o peggio semplicistiche. Di fronte alla necessità di un metodo diventa vitale affrontare la nostra problematica assumendo in tutte le sue diverse accezioni il paradigma della complessità. Eccone alcuni passaggi.
1. Complessità privilegiando le valenze etiche. L'oratorio si configura allora come il luogo della pratica educativa nella sua totalità. La figura dell'educatore che mette in gioco con la vita e la testimonianza i valori etici. Di fronte a giovani che hanno perso il piacere della vita e troppo sovente giocano con il rischio, con la morte, sono essenziali figure «educative» che sappiano entrare in empatia, far riscoprire la voglia di creare, di far gruppo, di libertà. Adolescenti fragili, che non tengono, che non reggono la benché minima frustrazione, che vivono tutto in modo simbiotico, con una carenza di autonomia dalle cose e dalle persone, hanno bisogno di amore, di azione e di pensiero. Si permetta un'ampia citazione: «Come giustamente non basta l'amore, così non basta la tecnica. Non basta fare, fare, fare e non pensare, perché l'adolescente ha bisogno di un tuo pensiero, della tua mente che pensi e accolga i suoi disturbi e lo aiuti a risolverli, attraverso l'ascolto, la comprensione, il rappresentare il limite, l'offrirsi come oggetto di identificazione. Correre, giocare, agire non basta; occorre pensare. Se ci si limita ad essere l'organizzatore del tempo libero, delle attività, tutto è molto più semplice, perché non ci si coinvolge, perché non si accolgono le proiezioni che gli adolescenti immettono dentro l'operatore, alla ricerca di una risposta positiva introiettabile. Se ci si limita a giocare e a moltiplicare l'attività, non si risolvono i problemi dei ragazzi, come non li risolve il ripetersi che bisogna amarli, o ama re tutti, ma si deve essere disponibili ad ascoltarli, a comprenderli. L'adolescente ha bisogno di amore, di azione, e di pensiero. Soprattutto di pensiero. Educare: mettere dentro gli adolescenti delle emozioni, del pensiero, della fantasia creativa».
2. Complessità per accettare la coniugazione tra azione, osservazione e teorizzazione. Le energie spese nella riflessione e nel far crescere una teoria valgono quanto quelle spese per l'azione quotidiana. Siamo impregnati di cultura della testimonianza a scapito di cultura dei processi. Sul terreno del disagio e dell'emarginazione è essenziale abilitarci non soltanto a leggere i fenomeni, quanto piuttosto a individuarne le cause, seguirne l'evoluzione nei diversi stadi, stare dietro ai processi, ai percorsi che segnano il disagio. Fattori primari - processi - stadi finali. E gli stadi finali se non ricevono input di stacco si autoalimentano sempre di più. In questa linea occorre guardare al disagio, all'emarginazione, alla devianza non solo come fattore negativo da rimuovere, ma pure come espressione di valori, come un agire comunicazionale.
Assumendo la distinzione tra senso e significato dove per significato si intendono le singole azioni, sospese nel tempo della vita del ragazzo, e per senso la sua intera storia e biografia, accettare il paradigma della complessità vuol dire andare oltre i fatti, oltre il significato delle singole azioni, per ricondurre al senso globale, all'intera biografia dell'individuo.
3. Un metodo che permetta di coniugare oratorio e territorio per non dimenticare i bisogni delle masse di giovani che non frequentano l'oratorio. Da considerare come una agenzia della comunità, delegata a soddisfare i bisogni della comunità, sia realizzando i suoi compiti specifici (educare i giovani alla fede) sia cooperando a progetti unitari. Un oratorio non isola, che si inserisce in una strategia delle connessioni che va dall'apertura dell'oratorio ad altri gruppi, come effettivo allargamento e non solo generica disponibilità, fino al massimo di coinvolgimento come parti di un coordinamento permanente per la promozione di iniziative e servizi gestiti con altri. E la comunità territoriale trae la propria potenzialità dalla ricchezza delle sue differenze, che ha il diritto e dovere di esistere, creando con gli altri ponti, legami e contatti. Dove, infine, si accetta e si esige che il progetto di sintesi, fondato proprio sulle connessioni delle differenze, sia compito del governo locale. Ci si opporrà ad ogni forma di dominio e di omologazione dell'ente locale come del pari si dovrà condannare come antisociale e anticomunitario ogni comportamento di movimenti e organizzazioni che per coltivare il proprio orticello isolazionista hanno difeso la propria specificità anche a scapito della comunità e dei soggetti.
4. Dalla contrapposizione sterile dentro-fuori, accoglienza dei difficili-integrazione, sarà possibile uscirne con mediazioni dettate dall'attenzione ai soggetti, alle loro biografie. Se si accetta di formulare progetti pastorali fuori dalle logiche del tempo, fuori le mura, che rispettano l'identità dei soggetti che si vuole incontrare, che curano maggiormente il rapporto dialogico con i giovani, e non vanno loro incontro prevenuti e sulla difesa delle proprie sicurezze dei propri ambiti. Non significa rinunciare al progetto educativo globale. Piuttosto si riafferma la necessità per la comunità di una proposta unitaria, da articolarsi nel metodo, con tappe che permettono di giungere, passando dall'oratorio diffuso, aperto, fuori, all'accoglienza fino all'accettazione del patto formativo.
5. Complessità per coniugare nell'oratorio accoglienza e patto formativo. Il punto di arrivo nell'incontro di ogni giovane sarà la firma di un patto o contratto educativo, che ha per oggetto l'accoglienza delle diversità di ognuno, la disponibilità a comunicare, la voglia di apprendere.
6. Per non sfuggire alla complessità è richiesto a quanti sono nell'oratorio di operare per un progetto che dia senso al significato, che inglobi nella progettualità globale l'attenzione ai singoli, agli individui. È tutta la comunità che deve trovarsi d'accordo sulla scelta di questo metodo, un progetto unitario con percorsi diversi.
Oratorio diffuso, decentrato con progetti educativi pieni di senso, aperti a volti particolari, a biografie e significati particolari.
Progetti educativi aperti alla relazione, all'agire comunicativo, alla capacità di simbolizzare all'agire significativo, alla capacità di azione, all'agire solidale, al protagonismo.
7. Esige, infine, di apprendere l'incertezza.
Provo personalmente un certo disagio, quando si pretende di racchiudere tutto in schemi rigidi, quando si vogliono disegnare limiti e confini quasi il mondo giovanile, specie quello del disagio, fosse contenibile in descrizioni fissate a priori. Apprendere l'incertezza per non chiudersi o limitarsi nell'accoglienza, nella fantasia, nel discernimento dello spirito, per non porre limiti alla passione educativa che deve stimolare la razionalità progettuale.

IPOTESI DI UN PERCORSO

Tappe progressive di un tentativo (di minima) di oratorio oltre i cancelli aperto all'inserimento dei lontani.
* Conoscere il territorio
Individuazione delle zone di normalità e di disagio attraverso una «mappizzazione» del territorio, non per stigmatizzare ulteriormente le zone di rischio bensì per meglio articolare i fattori di rischio. Massima attenzione alle manifestazioni giovanili ed alle loro evoluzioni.
* Disegnare la rete sociale ed ecclesiale
Impiego di energie per raggiungere, conoscere tutti i punti rete sociali ed ecclesiali operanti nel proprio territorio; entrare nella e favorire la strategia delle connessioni.
* Tentare alcuni esperimenti di oratorio diffuso o aperto
Pur iniziando con interventi semplici, legati a qualche attività particolare, non trascurare la visione d'insieme per essere attenti a quanto già accade in quella zona. La capacità di motivare il proprio intervento in un'ottica di globalità e di progetto unitario sarà d'utilità all'ambiente da cui si parte, alla comunità oratoriana perché senta il progetto come suo. Una chiarezza positiva anche per il territorio in cui ci si inserisce. Un'identità, una progettualità ben definita e dichiarata non possono che favorire il dialogo e il confronto ed incentivare la collaborazione.
Per esemplificare si potrebbero offrire tre strade:
- oratori volanti (cercare i ragazzi dove sono);
- gruppi di attività all'interno della comunità per riempire il tempo vuoto di questi ragazzi;
- centri giovanili aperti, animazione in zone prive di servizi nei quartieri rischio.
Da non dimenticare che l'intervento va fatto non sulla testa della gente e di quanti già operano nella rete. Attenzione a non «colonizzare» il territorio!
* Accoglienza iniziando da alcuni momenti significativi
La gradualità dell'incontro con la struttura oratorio dovrà attuarsi a partire da momenti che hanno la caratteristica della massima apertura: feste e tornei, musica o teatro, per operare possibili agganci a proposte di formulazione di gruppi di interesse.