Persona
Massimo Reichlin *
Il termine "persona" significa originariamente "maschera"; secondo un'etimologia tradizionale, deriverebbe dal verbo latino personare, ossia risuonare attraverso, in quanto nel teatro antico la voce del personaggio risuonava per l'appunto attraverso la maschera indossata dagli attori. La persona è quella voce che risuona attraverso la maschera e quindi il personaggio che svolge un ruolo all'interno del dramma: dramatis persona, per l'appunto. Anche il termine greco corrispondente, pròsopon, che in prima istanza indica il volto umano, assume questa valenza secondaria di maschera, ossia indica il volto dell'attore in quanto si nasconde, ma al tempo stesso si rivela, attraverso il ruolo che interpreta.
Antichità e Medioevo
Questa metafora teatrale viene presto sfruttata nel linguaggio filosofico, in particolare nello stoicismo di Epitteto (I sec. d.C.), che attribuisce all'essere umano il compito di rappresentare la propria parte sulla scena del mondo: ciascuno deve interpretare la persona che ha avuto in sorte, o anche impersonare quel frammentodel divino con cui si identifica. Il termine ha però avuto varie altre applicazioni in età classica; soprattutto, è stato assunto nel linguaggio giuridico per indicare il soggetto di diritto, colui che può assumere un ruolo in giudizio e rivendicare il proprio ius, ossia la parte che gli spetta in base alla legge. E questo uso giuridico che fonda la connotazione normativa che tipicamente si associa al termine: persona è un soggetto di diritti, un individuo che merita rispetto.
Una diversa appropriazione del termine è venuta invece dall'ambito della teologia: i Padri della Chiesa latini hanno infatti utilizzato persona per tradurre ciò che i greci dicevano hypòstasis, ossia la sussistenza distinta, nell'unica realtà divina, del Padre, del Figlio e dello Spirito. È dalle controversie trinitarie che emerge, con Boezio (VI sec. d.C.), la formula che resterà canonica per definire la persona: Boezio la indica come rationalis naturae individua substantia, ovvero una sostanza individuale di natura razionale. Alla sua formula si attiene quasi tutta la tradizione medievale successiva, in particolare Tommaso d'Aquino (XIII sec.) che, difendendo l'applicabilità del termine "persona" a Dio, afferma che «La persona significa quanto c'è di più nobile in tutto l'universo» e precisa che il termine esprime quella grande dignità costituita dall'esistere come una natura razionale e perciò conviene anche alla natura divina (Summa Theologiae, I, q. 29, a. 3).
La filosofia moderna e il personalismo
Nella filosofia moderna il termine "persona" subisce una consistente curvatura semantica: da termine ontologico, indicante una certa realtà (una sostanza, o un'ipostasi), passa a indicare soprattutto una certa funzione, in particolare la funzione psicologica di collegare tra loro i diversi contenuti dell'esperienza della mente, garantendone la continuità e fornendo con ciò i presupposti per l'attribuzione della responsabilità morale. Nella filosofia di John Locke (XVII sec.), la persona non si identifica con la sostanza, o con l'individuo umano, ma con la sua coscienza, con l'io in quanto in grado di conservare memoria dei suoi contenuti mentali attraverso il tempo. In questo quadro, un'eventuale rottura della continuità psicologica mette in discussione la sussistenza dell'identità personale; David Hume (XVIII sec.) giungerà a dichiarare che l'io stesso non è che un fascio di percezioni in perpetuo movimento, la cui identità è il frutto puramente fittizio della nostra immaginazione. Anche Kant (XVIII sec.), che attribuisce un ruolo consistente all'idea di persona, intendendola come ciò che non ha prezzo né valore di scambio ma dignità, ossia un valore incondizionato, sembra concepire la persona non come una realtà sostanziale, ma come la capacità dell'individuo razionale di essere soggetto alla legge morale, ossia come disposizione ad agire in base a massime della pura ragione.
Nel XX secolo la centralità della persona è stata richiamata con forza da vari movimenti personalisti. Il primo autore a definirsi tale fu Charles Renouvier (18151903), la cui difesa della dignità della persona umana contro il panteismo e il positivismo influenzò in parte la nascita di un movimento personalista anche negli Stati Uniti, con autori come Josiah Royce (1855-1916) e, in parte, William James (1842-1910). In seguito, la nozione di persona fu al centro dell'opera di alcuni esponenti della fenomenologia tedesca (Max Scheler, Dietrich von Hildebrand, Edith Stein), i quali svilupparono un'etica materiale dei valori al cui centro stava la persona, da intendersi come sorgente degli atti, essenzialmente di tipo emotivo, mediante i quali i valori vengono conosciuti: persona, per questi autori, indica una realtà stratificata, fatta di corpo, anima e spirito, unificata dal carattere intenzionale dei propri vissuti affettivi e da una modalità empatica di rapporto all'altro, ossia dalla capacità di sentire l'altro, di entrare in relazione profonda con lui attraverso la sfera emotiva.
Una diversa prospettiva personalista venne invece proposta nel programma filosofico e politico della rivista Esprit, fondata nel 1932 dal filosofo francese Emmanuel Mounier (1905-1950) e animata da personalità quali Jacques Maritain (1882-1973) e Paul Ricoeur (19132005). Sulla base di un'interpretazione della persona che ne enfatizza i caratteri di libertà e trascendenza, ossia di apertura alla relazione in senso sia politico sia religioso, Mounier proponeva una terza via tra liberalismo individualista e collettivismo marxista, individuando nella persona la cifra di una sintesi tra centralità del singolo e importanza della comunità: porre al centro la persona significa affermare da un lato i diritti universali di ogni individuo, dall'altro i doveri di solidarietà sociale la cui osservanza contribuisce a costituire l'ambiente necessario alla fioritura personale. Questo approccio ebbe un consistente impatto anche sulla cultura italiana ed è fra gli elementi culturali che hanno influenzato il nostro dettato costituzionale.
Il dibattito bioetico
Oggigiorno, questi progetti filosofici sono stati per lo più abbandonati e l'interpretazione della realtà umana è prevalentemente delegata alle scienze umane, come la psicanalisi o la sociologia, e ancor più alle scienze naturali, in particolare alla biologia evoluzionistica, alle neuro-scienze e alle scienze cognitive. Tuttavia, la nozione di persona è ancora largamente al centro del dibattito etico, sia in etica generale sia soprattutto nell'ambito della bioetica. Larga parte dei problemi di bioetica verte infatti sulla definizione dei confini della persona e quindi sui confini dei nostri doveri di tutela nei suoi confronti: ciò vale sia per l'inizio della vita umana, che si interroga sul momento a partire dal quale si può parlare di un diritto alla vita del nuovo individuo, sia per la fine della vita umana, soprattutto in rapporto alle problematiche etiche e giuridiche poste dal venire meno della coscienza o delle funzioni cognitive.
In maniera schematica, si può dire che oggi si contrappongono essenzialmente due visioni della persona, l'una che rimanda alla concezione classica, antica e medievale, l'altra che si collega alla declinazione moderna del concetto. Alcuni, infatti, difendono una concezione sostanzalista, che si richiama alla definizione di Boezio e interpreta la persona come essenzialmente sovrapponibile all'essere umano: essendo un individuo di natura razionale, la persona è coestensiva con l'individuo umano, e poiché quest'ultimo comincia con la formazione di un nuovo patrimonio genetico, al momento della fecondazione, si dovrà riconoscerein quel momento l'inizio della persona stessa. Benché infatti il nuovo individuo contenga soltanto "in potenza" tutte le qualità e le capacità tipiche della persona, la sua realtà sostanziale è già in atto e attivamente volta alla costruzione di sé. Analogamente, al termine della vita, il fatto che soggetti in stato vegetativo o affetti da patologie neurologiche a carattere degenerativo manchino della coscienza o di capacità cognitive superiori come la razionalità e il linguaggio, non toglie che siano ancora persone, benché gravemente malate, e perciò stesso meritevoli di una particolare tutela. Altri studiosi, al contrario, difendono una concezione che richiama non troppo da lontano la tesi lockiana sulla persona; sostengono cioè che la persona si caratterizza per la sua capacità di esercitare certe funzioni psicologiche superiori, come la coscienza, il linguaggio e la razionalità e che perciò non si può parlare di persona prima che emergano tali capacità, né si può continuare a definire persona un individuo che le abbia definitivamente perdute. In altri termini, per questa posizione si dà una netta distinzione tra individuo umano e persona: l'embrione umano nelle prime fasi, e anche il feto per larga parte del suo sviluppo, sono individui umani ma non persone, perché non ne posseggono le caratteristiche proprie; allo stesso modo, il soggetto in stato vegetativo o affetto da una forma avanzata di demenza non sarebbe più una persona, non potendo più esercitare quelle funzioni superiori che fondano la dignità personale. Va sottolineato che, per alcuni, l'enfasi sulla capacità attuale di esercitare certe funzioni si traduce anche in una critica alla tradizionale limitazione della nozione di persona agli esseri umani: poiché la biologia evoluzionista e l'etologia attestano con sempre maggiori prove l'esistenza di elevate capacità razionali in diverse specie di mammiferi superiori, non si può affatto escludere che alcuni di essi abbiano caratteristiche sufficienti per essere considerati persone. In sostanza, da un lato non tutti gli esseri umani sarebbero persone, dall'altro non tutte le persone sarebbero esseri umani; escludere a priori gli animali non umani dal novero delle persone significherebbe cadere nello specismo, ossia nell'ingiustificato privilegio degli interessi umani sulla base della mera differenza di specie.
Come si vede, quello relativo alla persona è uno di quei casi in cui una discussione teorica che affonda le radici in un lontano passato ha conseguenze molto rilevanti su alcune tra le questioni più controverse del nostro presente. Il successo di cui gode ancora oggi la nozione di persona, ad onta delle difficoltà che ne hanno sempre circondato la caratterizzazione, è dovuto senza dubbio alla sua capacità di esprimere sinteticamente da un lato un insieme di caratteristiche proprie di alcuni individui biologici, dall'altro la ragione di dignità che si associa al possesso di tali caratteristiche. È difficile pensare che si possa fare a meno di questa nozione nel linguaggio etico, politico e giuridico; proprio per questo la controversia teorica sulla sua corretta definizione non cessa di tenere occupati filosofi e studiosi di etica in tutto il mondo.
* Professore associato di Etica della vita nell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano
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(Aggiornamento sociali 3/2013, pp. 253- 256)