Fratel MichaelDavide
(NPG 2014-02-48)
Papa Francesco è stato definito l’uomo dell’anno appena concluso. Le definizioni del suo carisma a servizio del cammino della Chiesa sono state tante e in particolare molti – anzi moltissimi – sottolineano la “novità” di questo modo di essere Vescovo di Roma. Per delineare il volto di Papa Francesco è bello ricorrere ad un’immagine assai suggestiva usata da un altro gesuita che abbiamo scoperto essere uno dei suoi punti di riferimento intellettuale e spirituale: Michel de Certeau. Questo raffinato scrittore e audace studioso della tradizione mistica annotava: «L’uomo in preghiera è un albero di gesti». Dal momento della sua elezione come Vescovo di Roma, papa Francesco sembra che più che assidersi sulla cattedra di Pietro si sia piantato – appunto come un albero – nel “parchetto” della Chiesa che ormai sembra un piccolo angolo dell’immenso Giardino dell’umanità. Da parte nostra vorremmo riposare sotto questo albero facendoci rinfrancare dalla sua ombra e allietare dal gusto evangelico dei suoi frutti.
La novità del perenne
Nulla di “nuovo”, in senso mondano o nella linea delle mode passeggere, nelle parole e nei gesti di Papa Francesco. Il Vescovo di Roma si presenta alla Chiesa e al mondo come «ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli… che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13, 52). La modernità e la novità di papa Francesco sono da ritrovare nelle radici della Tradizione, e proprio la conoscenza esperienziale di questa permette al Vescovo di Roma di osare il futuro senza temere di barcollare o di perdere l’equilibrio della fede che, radicata come un albero secolare, può lasciarsi accarezzare fino a lasciarsi scuotere dai venti talora impetuosi della vita. C’è un filo rosso attorno a cui le parole e i gesti di papa Francesco, conditi di discrezione e umorismo, sembrano organizzarsi come fiori e piante che crescono lungo un corso d’acqua sempre fresco. Questo filo rosso è la Tradizione dei padri della Chiesa: da Ignazio di Antiochia citato affacciandosi al balcone di san Pietro, a Gregorio Magno, a Ignazio di Loyola, a Charles de Foucauld e molti altri.
Quando il papa compie un gesto come quello di cominciare la visita ad Assisi dal luogo della Spogliazione e in mezzo a persone gravemente sofferenti, o dice un parola come la necessità da fare un po’ di "casino" per non addormentarsi nel comodo e nell’indifferenza, dobbiamo subito cercare la fonte dell’ispirazione. Già lo stesso nome scelto rischia di prestarsi a qualche ambiguità sentimentale e dolciastra! La scelta del nome di Francesco d’Assisi significa prima di tutto libero, e questo porta ad un desiderio di libertà per tutti a partire dai più poveri fino al sapersi prendere cura del creato affidato alla cura dell’umanità e non consegnato dal Creatore in balia dei nostri egoismi
I comportamenti di papa Francesco, il suo abbigliamento, la sua croce pettorale, le sue sorridenti e spesso gioiose avventure sulla jeep o a piedi, in mezzo a decine di migliaia di persone in piazza San Pietro, i suoi discorsi, le sue prese di posizione, il continuo richiamo alla “Chiesa povera e dei poveri”: tutto “nuovo”, dunque, e tutto meritevole di attenzione? O tutto invece radicato in una tradizione evangelica che va ritrovata ogni giorno attraverso quel dinamismo irrinunciabile nella vita di ogni discepolo che è il dinamismo della conversione? Quando papa Francesco si è piantato nella storia della Chiesa a servizio di tutta l’umanità, si è scatenata un’attenzione nei suoi confronti degna di essere paragonata a quella che si ha per un neonato… di cui si studiano le espressioni, i sorrisi, i pianti, chiedendosi a chi assomigli. Bisogna riconoscere che, dopo anni così duri per la vita della Chiesa, abbiamo atteso, dopo la rinuncia coraggiosa e onesta di Benedetto XVI, il nuovo papa come si attende la nascita di un bambino, al di qua della sala parto, tutti con una certa trepidazione di conoscere il nome e poi il volto del Vescovo di Roma e questo nome lo ripetiamo nel momento più sacro dell’Eucaristia.
Come padre
In un’epoca come la nostra segnata dall’eclisse della figura del padre o, più ampiamente, di persone che siano in grado di essere punti di riferimento e modelli di umanità, papa Francesco ha fatto ritrovare a molti il senso di una paternità piena di tenerezza. Attendere la nascita del «padre», forse, è uno dei bisogni più nascosti, ma più veri della nostra epoca, almeno in Occidente. Che papa Francesco voglia essere un fratello capace di fungere da padre, lo abbiamo capito subito. Non è un caso - e se lo è stato non è meno significativo - che il solenne inizio del suo ministero come Vescovo di Roma sia caduto proprio nella solennità di san Giuseppe, il cui tradizionale ramo di nardo era già presente nello stemma episcopale di Bergoglio. Eppure, papa Francesco se si comporta da padre di tutti e per tutti non cede a nessuna forma di paternalismo ricordando la parola e il monito del Signore che sta a fondamento delle relazioni all’interno della Chiesa: «voi siete tutti fratelli».
Le prime parole e i primi gesti di papa Francesco sono stati confermati dal primo testo consegnato alla Chiesa come esortazione apostolica dal titolo: Evangelii Gaudium – che suona come una proposta radicale di «cammino per la Chiesa nei prossimi anni» (n. 1). Il testo si presta ad essere letto e interpretato da varie angolature e può suggerire cammini ed emozioni tra le più svariate, essendo un testo lungo, complesso, articolato e, soprattutto, coraggioso. Non potendo e non dovendo riprendere tutti i temi e le sfide lanciate dal Vescovo di Roma, vorrei accogliere questo testo semplicemente sottolineando un aspetto che mi sembra fondamentale per la conversione del nostro modo di cercare di essere discepoli del Signore Gesù e obbedienti al suo Vangelo.
Al cuore dell’esortazione apostolica c’è una citazione della Prima Lettera di Giovanni, che mi sembra essere ormai il cuore pulsante di ciò che Papa Francesco ci sta aiutando a ritrovare, come fondamento e differenza irrinunciabile del nostro essere discepoli di Cristo Signore. La citazione è la seguente: «In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio» (1Gv 4,2). Papa Francesco ricorda a tutti i fedeli, che desiderano conformare la loro vita al Vangelo, il dovere di ripartire continuamente dal mistero dell’Incarnazione. Essa è il primo passo di quegli abbassamenti del Verbo, come amano ripetere i santi Padri, che si rivela pienamente nel mistero pasquale. E’ in questo mistero che siamo stati battezzati e ogni giorno scegliamo di essere ribattezzati attraverso l’obbedienza concreta alle esigenze della Parola di Dio, racchiusa nelle Sacre Scritture e sempre ardente nel cuore degli uomini e delle donne di ogni tempo e di ogni luogo.
Porta aperta
Senza inutili giri di parole, papa Francesco cerca di rinnovare alla Chiesa del nostro tempo la chiamata ad essere "porta" (n. 47) aperta, perché tutti possano entrare nelle stanze amorose del Regno di Dio che viene. Il Vescovo di Roma ci mette in guardia da alcune tentazioni che rischiano di rendere vana la carne e la croce di Cristo, fuori dalle quali non c’è salvezza vissuta e non è possibile alcuna salvezza annunciata. I pericoli sono chiaramente indicati con parole forti: «Questo implica di evitare diverse forme di occultamento della realtà: i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza» (n. 231). Papa Francesco elenca sette minacce da cui ogni credente e la Chiesa stessa, come Corpo di Cristo in crescita verso la pienezza del Regno di Dio, deve concretamente tenersi vigilante e attento.
Al cuore della sua esortazione, papa Francesco indica la strada ai suoi fratelli e sorelle nella fede, indicando un criterio di discernimento senza il quale si rischia di girare a vuoto attorno a noi stessi senza uscire verso il volto di Dio che si invera in quello concreto e normalmente ferito dei nostri fratelli e sorelle in umanità:
«Il criterio di realtà, di una Parola già incarnata e che sempre cerca di incarnarsi, è essenziale all’evangelizzazione. Ci porta, da un lato, a valorizzare la storia della Chiesa come storia di salvezza, a fare memoria dei nostri santi che hanno inculturato il Vangelo nella vita dei nostri popoli, a raccogliere la ricca tradizione bimillenaria della Chiesa, senza pretendere di elaborare un pensiero disgiunto da questo tesoro, come se volessimo inventare il Vangelo. Dall’altro lato, questo criterio ci spinge a mettere in pratica la Parola, a realizzare opere di giustizia e carità nelle quali tale Parola sia feconda. Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi e gnosticismi che non danno frutto, che rendono sterile il suo dinamismo» (n. 233).
Abituati a sentire esortazioni che hanno di mira piuttosto i mali che affliggono il mondo esterno che la Chiesa al suo interno, siamo profondamente toccati dal fatto che papa Francesco parli ai suoi fratelli e sorelle in Cristo, richiamando ciascuno a quella grazia battesimale che ci fa testimoni di gioia e lievito invincibile di speranza. Con quello stile cui ormai cominciamo ad abituarci e da cui ci sentiamo sempre più sollecitati, papa Francesco ha sentito il bisogno persino di coniare un neologismo che si premura di spiegare:
«La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. “Primerear – prendere l’iniziativa”: vogliate scusarmi per questo neologismo. La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr 1 Gv 4,10), e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più di prendere l’iniziativa!» (n. 33).
Papa Francesco ha suonato lo shophar che dà inizio ad un tempo di rinnovamento e di conversione che tocca la vita e il cuore di tutti i membri del Corpo di Cristo che è la Chiesa. La piramide della Chiesa si è capovolta e questo non può non dare un po’ di capogiro. Ancora una volta è il Pastore ad essere avanti a tutte le pecore, mentre siamo abituati e pensare che questi sia nelle retrovie ad evitare gli assalti alle spalle piuttosto che aprire orizzonti sempre più ampi. Per dirla tutta, papa Francesco ci ha simpaticamente sorpassati e ci sembra di avere il fiatone a stargli dietro! Sapremo accogliere la sfida? Risuona in tutto il suo splendore di speranza e di audacia l’invito del profeta: «Venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2, 5).