Guido Gatti
(NPG 1993-01-54)
La dimensione sociale della vita umana trova la più ampia e più comprensiva attuazione concreta nella società civile, sia a livello nazionale che a livello di comunità mondiale.
La società civile si struttura politicamente nello stato, che ha la finalità di coordinare, sorreggere, orientare e integrare tutte le altre comunità minori che vivono al suo interno.
Oggetto specifico della sollecitudine dello stato è il «bene comune», cioè la realizzazione di quell'insieme di condizioni strutturali della convivenza, che permettano a ogni cittadino la più ampia possibile esplicazione delle proprie qualità e attività umane.
Bene comune e autorealizzazione delle persone
Secondo la classica definizione, contenuta nella Mater et Magistra, il bene comune è «l'insieme di quelle condizioni sociali che consentono agli esseri umani di conseguire più pienamente e più facilmente lo sviluppo integrale della loro persona» (Giovanni XXIII, Mater et magistra, 70, AAS 53 (1961) 417).
Proviamoci ad analizzare questa brevissima ma compendiosa definizione.
Vi appare subito chiaramente il carattere plurale del bene comune: esso è costituito da una pluralità di condizioni o contingenze di carattere sociale, anche abbastanza eterogenee tra di loro, come si vedrà, ognuna delle quali è assolutamente necessaria per la funzionalità dell'insieme.
Questa funzionalità si misura, come dice Giovanni XXIII, in base alla loro capacità di rendere possibile ai membri della società in questione (uno stato o, al limite, l'intero genere umano) il conseguimento più pieno e più agevole dello sviluppo integrale delle loro persone.
Questo sviluppo integrale comprende naturalmente, almeno in una visione cristiana dell'uomo e della società, la qualità morale delle persone e la maturità della loro esperienza religiosa: elementi che dipendono in ultima istanza dalla libera volontà delle singole persone.
Il bene comune vi concorre perciò solo alla maniera di un condizionamento positivo, senza poterlo determinare con efficacia infallibile.
Rispetto a queste dimensioni decisive dell'autorealizzazione umana, lo stato, cui compete in modo diretto e precipuo la promozione e la difesa del bene comune, ma anche la società civile nel suo insieme, che pure ha compiti e responsabilità non indifferenti nei suoi confronti, si pongono esclusivamente come condizione di possibilità in senso remoto e come ambiente facilitante, senza assumere compiti diretti e senza proporre modelli ufficiali e vincolanti.
ELEMENTI COSTITUTIVI DEL BENE COMUNE
Ma quali sono in realtà queste condizioni? Il magistero sociale della Chiesa non si propone naturalmente di farcene un elenco completo e ordinato: si limita ad offrirci delle indicazioni sparse ed occasionali, sufficienti comunque a orientare una ricerca più sistematica.
Ma più che a una puntigliosa elencazione dei brani del magistero ci sembra utile ricorrere, almeno in prima istanza, all'elenco dei ministeri di un qualsiasi governo. Tenendo conto che è proprio al potere politico della società civile che compete la prima e più diretta responsabilità nei confronti del bene comune, dovremmo trovare in un simile elenco una qualche immagine di ciò che gli stati oggi ritengono appartenere a questo bene.
Ed effettivamente, a parte minori e marginali differenze da paese a paese, tale elenco ci fornisce uno specchio fedele dell'idea di bene comune attualmente dominante nel pensiero e nella prassi politica a livello mondiale.
Ogni gabinetto comprende anzitutto i ministeri dell'interno, della giustizia e della difesa nazionale. La difesa dell'ordine interno attraverso le forze di polizia e l'amministrazione della giustizia e della sicurezza dei confini contro ogni possibile minaccia dall'esterno rappresentano un primo elemento e una prima importante condizione di quello che è ritenuto essere il bene comune: al di fuori di essa il cittadino sarebbe esposto al pericolo della violenza e vivrebbe quindi in una condizione di insicurezza radicale che gli impedirebbe di perseguire con serietà l'impegno della sua autorealizzazione.
Ci sono poi sempre ministri che si occupano dell'economia, delle finanze e dei diversi settori dell'attività produttiva e della distribuzione delle ricchezze all'interno dei paese. Anche il benessere economico collettivo, inteso nel senso di un'ampia, diversificata, sicura e giustamente distribuita affluenza dei beni economici a tutti i cittadini è perciò considerato come una nuova sollecitudine doverosa del governo, nell'ambito del suo impegno per la promozione del bene comune.
Vengono poi i ministeri che si occupano delle comunicazioni, nel loro aspetto più materiale e in quello più squisitamente culturale, dell'istruzione pubblica, della diffusione della cultura, dell'arte e dello spettacolo. Anche la promozione delle condizioni che favoriscono il «colere seipsum» dei singoli cittadini e il generale livello scientifico, culturale, artistico del paese, la circolazione e l'elaborazione del pensiero entrano perciò a costituire quello che è ritenuto il bene comune, affidato alla responsabilità del potere politico. In ogni paese esiste poi un ministero degli esteri, incaricato di difendere gli interessi della comunità nazionale nei confronti degli altri stati, ma oggi e, speriamo, sempre più in avvenire, anche per favorire l'intesa pacifica, la circolazione delle persone, delle merci e delle idee tra i diversi stati.
Più o meno tutti i ministeri anche nei gabinetti più pletorici, come quello italiano, rientrano nell'una o nell'altra di queste grandi suddivisioni e segnalano la accertata presenza di una di quelle condizioni che entrano a costituire il bene comune.
L'assenza, oggi sempre più generalizzata, di un ministero deputato a garantire la monopolicità ideologica o culturale o religiosa o anche solo politica di tutti i cittadini e la loro omologazione sulle posizioni del potere politico in queste materie è un segnale importante: una effettiva e non solo teorica libertà di parola, pensiero, opinione politica, ideologica e religione sono considerate in tutti i paesi, anche in quelli che di fatto sono tutt'altro che rispettosi di questo principio, come un elemento essenziale del bene comune.
Bene comune e principio di sussidiarietà
Concludendo possiamo quindi dire che, almeno in prima istanza, vanno considerati parte integrante del bene comune la certezza del diritto, la sicurezza dell'ordine civile, il rispetto dei diritti di libertà individuale e l'accesso equo di tutti i cittadini ai beni economici e culturali prodotti dalla comune collaborazione, ma anche la promozione dell'iniziativa autonoma dei singoli, delle famiglie e delle società intermedie, come vuole il cosiddetto «principio di sussidiarietà».
Per il principio di sussidiarietà, i rapporti tra le persone, lo stato e gli altri corpi intermedi della società devono essere regolati in modo da non accentrare nello stato, sottraendole alla gestione diretta dei singoli o delle società intermedie, quelle competenze che gli individui e i corpi intermedi sono ugualmente capaci di gestire da soli: «Come non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. (...) L'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle o assorbirle» (Pio XI, Quadragesimo Anno, 35, AAS 23 (1931) 203).
Si tratta di spostare in qualche modo il più basso possibile, nella struttura piramidale del potere sociale (e quindi il più vicino possibile alla persona e al suo diretto ambito di operatività e decisionalità), il baricentro dell'iniziativa politica e la formazione della volontà sociale.
COMPITI DELLO STATO E CONCORSO DEI CITTADINI
Proprio anche per questo, il bene comune non va fatto consistere soltanto nella somma dei beni che ogni singolo cittadino ottiene come quota-parte della divisione dei vantaggi prodotti dalla collaborazione sociale, e neppure dal fatto che questa divisione (come pure quella degli oneri richiesti da questa collaborazione) sia equa: tutti questi beni, per quanto importantissimi per la realizzazione di un autentico «bene comune», sono ancora di natura premorale o «ontica».
Riteniamo che il bene comune abbia come suo «hard core» un bene in qualche modo direttamente morale: la fiducia reciproca e la collaborazione volonterosa tra tutti i cittadini e tra tutti i corpi intermedi della società civile.
Questa fiducia reciproca presuppone la giusta divisione dei vantaggi e degli oneri e la tutela, da parte dell'autorità, dei diritti fondamentali di tutti i cittadini, ma è qualcosa che va al di là di questa giustizia e di questa tutela, qualcosa che può nascere solo dalla cospirazione di tutti i soggetti sociali e che nessun potere politico e nessuna struttura sociale è capace di produrre e di garantire da sola: l'autorità e le strutture della società avranno il compito di assicurare le condizioni che la rendono possibile, ma essa è il prodotto della qualità morale di tutta la società e dell'impegno di tutti i cittadini.
Il bene comune è tale perché è il prodotto del loro impegno comune.
La promozione di questo bene incombe quindi su ogni cittadino e su ogni corpo intermedio della società civile, come dovere in certo qual modo comprensivo di tutti gli altri doveri, legati alla loro appartenenza sociale.
Promuovere il bene comune significa anzitutto rispettare le leggi, praticare la giustizia, pagare le tasse, assumere con onestà e gestire con sollecitudine tutte le eventuali responsabilità civiche affidate al singolo dalla situazione concreta in cui viene a trovarsi o dalla fiducia delle autorità e dei cittadini.
Promuovere il bene comune può richiedere il superamento del proprio interesse immediato. Ma è della natura del bene comune di ricadere, almeno come bene morale della propria autorealizzazione, su coloro stessi cui richiede sacrifici e rinunce.
Senza di questa comune dedizione dei cittadini, nessuna forma di governo e nessun governo concreto riuscirà mai a garantire ai cittadini la fruizione di quei beni che sono loro necessari per il perseguimento della loro autorealizzazione etica. Ma soprattutto l'assenza, colpevole o meno poco importa, di questa dedizione e di questo impegno disinteressato ed altruistico per il bene comune in quanto bene del «prossimo» costituirebbe un tale deficit di qualità morale per le singole persone che ne fossero vittime da rendere non solo difficile ma addirittura impossibile il perseguimento di questa autorealizzazione, che è sempre di natura ultimamente etica, e quindi contraddittoria rispetto a una forma così grave e fondamentale di disimpegno morale.