Ti racconto Gesù /6
Riccardo Tonelli
(NPG 2013-02-68)
Basta leggere il Vangelo, con la disponibilità a lasciarsi interpellare e coinvolgere, per scoprire una dimensione che l’attraversa tutto: l’incontro con Gesù è sempre una «vocazione», impegnativa ed esigente.
Qualche volta Gesù fa la proposta in modo esplicito e diretto. L’incontro con lui diventa così un invito, senza mezzi termini, a seguirlo. Qualche altra volta, affronta questioni che gli sono proposte, racconta storie che coinvolgono, indica i suoi progetti di vita e conclude sempre con la richiesta: fa’ anche tu lo stesso. Non spiega, ma chiama. Non si accontenta di lasciarsi incontrare, ma esige che il suo amico condivida la sua stessa passione.
Un caso tra mille
È bello rileggere il Vangelo da questa prospettiva. Lo faccio su uno dei mille casi che il Vangelo ci racconta per dire concretamente quello che cerco di condividere a parole.
Un maestro della legge, per curiosità o per saccenteria, fa a Gesù la domanda che si era preparata con cura, per presentare il suo biglietto da visita di uomo informato: qual è il più importante comandamento? Lo chiede, perché da buon ebreo osservante, vive quotidianamente avvolto in una trama ossessiva di norme. Se riesce a scoprire il filo rosso che le lega tutte, può andare in giro a spiegarlo e diventa famoso di colpo, pronto ad una brillante carriera. Se poi può confortare la sua proposta sulla autorevolezza riconosciuta a Gesù – uno strano innovatore che osserva la legge e si muove con una libertà tutta originale – per ascolto e applausi non avrà concorrenti.
Gesù sta al gioco, invece di mandarlo a quel paese. Poi però non si accontenta della risposta alla questione. Non dice: hai capito? Ti sembra chiaro? Gli racconta la storia, davvero provocante, di un samaritano, più bravo, impegnato e devoto… dei migliori nel repertorio della gente brava, un sacerdote e un levita. Non si accontenta di raccontare questa strana storia. Gli dice sul confronto con il buon samaritano: fa’ anche tu lo stesso.
Lo chiama. Gli affida un compito. Lo lancia nella mischia della vita, non con un bagaglio di informazioni in più ma con una vocazione precisa sulle spalle. La risposta di Gesù su chi debba essere considerato il prossimo da amare, diventa infatti una decisa ed esigente chiamata a farsi prossimo.
Ho ricordato un caso. Ne potrei citare altri mille. Tutto il Vangelo, come ho detto, è l’esperienza dell’incontro personale con Gesù che diventa vocazione verso un modo nuovo di vivere la propria vita.
La questione inquietante è un’altra: la qualità della risposta.
Non basta infatti meditare sulla chiamata. Diventa qualificante confrontarci sul tipo di risposta che ci è sollecitata. Sono convinto che la qualità della risposta è decisiva per misurare l’autenticità dell’incontro con Gesù, della decisione di affidare tutta la nostra vita a lui e, di conseguenza, della qualità della proposta che di lui facciamo nel nostro servizio di evangelizzazione.
Ci aiutano, in questa impegnativa ricerca, i discepoli di Gesù e, soprattutto, quel bel tipo a cui Gesù ha persino cambiato nome per dirci quanto l’avventura di Levi sia decisiva per noi, invitati a diventare Matteo, nel ritmo della vita quotidiana.
La chiamata come atto di fiducia
Una mattina Gesù sveglia presto i suoi discepoli. Se li raccoglie d’attorno. Veniva da una notte di preghiera. Lo sapevano bene tutti: non l’avevano più visto, appena terminata la cena. Chiede il silenzio e l’attenzione.
Sono curiosi e impazienti. Chiedono a Pietro e a Giovanni, che di solito conoscevano le cose con un po’ d’anticipo: «Cosa capita?». «Non lo sappiamo… stiamo a vedere»: la risposta è pronta e sincera.
Gesù prende la parola. Va subito al centro della questione.
Il Padre mi ha affidato una causa, grande e impegnativa: vuole che tutti gli uomini abbiano vita e speranza nel suo nome.
In questi anni, assieme abbiamo fatto tante cose. Però ce ne sono ancora tantissime per aria. Dobbiamo continuare. Ecco… questo è il punto. Voi siete miei amici. Vi ho scelti personalmente, uno ad uno, e ho condiviso con voi tutto quello che mi sta a cuore. Siete miei amici… davvero.
Bene… ci state a caricare sulle vostre spalle la mia causa? Non si può tentennare. Non si può davvero cercare il trucco di servire a due padroni. Di fronte ad una causa tanto impegnativa, bisogna scegliere: o tutto o niente. Scegliete.
Vi assicuro: ne vale la spesa.
Ma… parliamoci chiaro. Non posso assicurarvi nulla di buono. Avrete tribolazioni. Vi farete un sacco di nemici. Il lavoro e la fatica vi toglieranno il sonno e la fame. La croce diventerà la compagna quotidiana della vostra esistenza. L’abbiamo sperimentato assieme in questi anni. Quando c’è di mezzo la vita degli altri nel nome di Dio, non siamo più padroni di nulla: né del tempo, né dei rapporti personali, né delle cose. La meta è affascinante: la vita, piena e abbondante. Pensate ad una mamma che sta per dare alla luce un figlio. Soffre terribilmente, pensa alla vita che sta per nascere… ed è felice. Lo sguardo alla vita fa dimenticare tutto. Delle sofferenze si perde persino il ricordo, appena la nuova vita lancia il primo grido.
Siete miei amici. Mi fido tanto di voi da affidarvi la mia passione più grande. Ci state? Questo mi aspetto dai miei amici.
Sono rimasti di sasso. Speravano… qualcosa di meglio. Erano disposti a rischiare… alla condizione che fosse chiaro il guadagno e che si potesse incominciare a toccare con mano qualcosa di concreto.
Le uniche cose tangibili che Gesù promette fanno accapponare la pelle: dolore, fatica, persecuzioni. Sul resto, chiede fiducia: la felicità che scatenerà la nuova vita… quando verrà.
Senza fretta… ma Gesù non è d’accordo
I discepoli sono bravi. Non si mettono a fare i conti tra rischi e vantaggi. Di Gesù si fidano e si affidano a lui con entusiasmo. Decidano tutti, ad una sola voce: Grazie dell’invito. D’accordo: conta su di noi.
Poi si ricordano di alcune questioni in sospeso. Vanno risolte. Del resto, seguire Gesù è una cosa bella e affascinante. Non c’è fretta: prima mettiamo apposto le ultime faccende e poi… pronti a tutto.
Incomincia la litania dei motivi di attesa: il sì alla chiamata è pieno, coraggioso, ma non c’è fretta.
Gesù io ci sto... prima però lasciami qualche giorno per pensarci. Mi chiedi un gesto così radicale: lasciami il tempo di fare qualche verifica.
Gesù vengo. Mi hai convinto. Sai, però mio padre sta male! Faccio un salto al paese. Lo saluto. Prendo qualche cosa e torno. Due o tre giorni al massimo, te l’assicuro.
Gesù hai ragione. La tua proposta è bella e seducente. Sarei sciocco a tirarmi indietro. Dimmi la verità: è tutto così nero il futuro come ci hai fatto intendere? Qualche cosina la possiamo sperare anche per l’oggi?
Il volto di Gesù si rattrista: «Possibile? Siete stati con me per tanti mesi… e non vi siete ancora liberati dei vecchi schemi. Non ci siamo davvero. Con questa mentalità non possiamo metterci a servire la causa della vita: non possiamo assolutamente».
Ribatte puntualmente le richieste. «Vuoi sapere cosa ti aspetta? Presto detto: le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo il nido… io non ho una pietra dove posare il capo. Tutto il mondo è mio… perché tutti hanno una grande fame di vita e di speranza e Dio ama tutti e regala a tutti il sole e la pioggia. Ma non possiedo niente. Quando andate in giro, non portatevi niente di scorta. Chi serve la vita, vive del rischio del suo servizio».
Poi, con lo stesso tono, se la prende con quelli che vogliono rimandare la decisione: «Non possiamo aspettare. Non possiamo chiedere a chi si dibatte nell’onda della morte… di avere ancora qualche giorno di pazienza, mentre noi andiamo a salutare gli amici o a seppellire i cari defunti. La causa è prima di tutto: persino prima della carne e del sangue».
Lo dice con forza. Qualcuno pensa a Maria, la sua mamma, mescolata tra la folla nell’attesa di Gesù, disposta ad aspettare… il suo momento, lei che aveva il cuore pieno del desiderio di buttargli le braccia a collo, dopo quei lunghi mesi di silenzio.
Un tipo strano: nessuno l’ha invitato ma dice sì
Signore, mi hai convinto. Io vengo. Non ti conosco. Ma uno che parla come te, lo si segue dappertutto. Finalmente ho incontrato quel pezzo della mia vita che stavo cercando e non ero capace di chiamare per nome. Si voltano tutti verso lo sconosciuto che si era infilato nel gruppo senza essere invitato. Chi sei? Risponde, senza ombra di vergogna: Mi chiamo Levi ed esercito un mestiere non troppo bello: esattore delle tasse. Ti ho sentito parlare mentre stavo aprendo bottega. Ti ho ascoltato: la curiosità si è trasformata subito in ammirazione. Io vengo subito. Si ferma un attimo. Riprende la parola: Subito subito no. Mi chiedi una cosa terribile: abbandonare tutto, soldi amici mestiere, per venire con te a servire la causa della vita. Non mi prometti nulla di buono. Eppure vengo. Se ti fidi di me e hai il coraggio di chiamarmi amico, ci sto.
Oggi mi è capitata l’avventura più grande della mia vita. Sono felice, come un ragazzo al primo innamoramento. Voglio gridarlo a tutti i miei amici. Guarda… faccio così: un gran pranzo di festa. Li invito tutti i miei compagni d’avventura e di noia… per dire a tutti la gioia di abbandonare la mia fortuna per stare con te. Posso?».
I discepoli guardano Gesù. Si aspettano un no deciso. Aveva proibito la visita ai parenti e il ritorno a casa per un funerale. Vediamo come se la caverà adesso?
La risposta di Gesù non si fa attendere: «D’accordo. Vieni con me… dopo il pranzo d’addio. Non voglio persone che mi seguano con il muso lungo. Voglio gente felice. La pausa del pranzo di festa va benissimo. Subito dopo, partiamo assieme».
Grazie, Gesù. Vengo. È inteso: al pranzo d’addio siete invitati tutti. I miei amici lo devono scoprire chi è quel Gesù che ha preso tutta la mia vita.
Alla radice: «soltanto servi»
I discepoli rimangono sorpresi. Che Gesù fosse un po’ strano… l’avevano già sperimentato altre volte. Ci prendeva un gusto matto a buttare all’aria il loro modo di ragionare, da persone per bene, devote e osservanti della legge fino allo scrupolo. Questa volta, però, ha esagerato: prima dice di no a chi chiedeva un piccolo rimando per salutare i parenti e per piangere il padre defunto, e poi concede tutto a chi propone un pranzo d’addio.
Gesù glielo legge negli occhi. Riprende la parola: «Lo capisco… non vi sembra logico quello che è capitato. E non avete tutti i torti.
Una cosa però mi sta a cuore e ve la voglio dire, chiara e tonda, perché rappresenta lo stile con cui v’invito a servire con me la causa della vita».
Ritorna il silenzio.
Provate a pensare a quello che i servi sono chiamati a compiere nella casa del loro padrone. Alla fine di una giornata di lavoro, a tavola, per primo, siede il padrone, i servi invece sono indaffarati su mille compiti. Preparano la tavola, cucinano la cena, offrono l’acqua per le abluzioni e poi portano in tavola il cibo sparecchiano e riordinano la casa. Finalmente, alla fine di queste nuove fatiche, possono mangiare anch’essi un boccone, magari in fretta perché si fa notte e l’indomani l’alba sorge presto almeno per loro.
Il paragone è chiaro… ma cosa c’entra?
Gesù continua: «Chi è più importante: il padrone o il servo?». Non ci sono dubbi: «Il padrone… ha diritto di comportarsi così».
Gesù li guarda negli occhi. Dopo un attimo di silenzio, riprende deciso: «Mi chiamate maestro e signore… e fate bene, perché lo sono davvero. Che cosa sto facendo con voi? Faccio come i servi nella casa del padrone. Io sono in mezzo a voi come uno che serve. Sapete perché? Non voglio farvi prediche… vi chiedo solo di costatare dei fatti importanti.
La causa della vita sta a cuore prima di tutto a Dio: è la sua passione e il suo impegno. Lui la realizza. Lui però l’affidata a me; io l’ho affidata a voi, perché siete miei amici.
Quando abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare, dobbiamo avere il coraggio di riconoscerci soltanto dei servi… senza eccessive pretese. È chiaro adesso il paragone del padrone e del servo?
Per la vita e la speranza… solo Dio è padrone. Noi siamo soltanto servi… preziosissimi perché la causa della vita è affidata a noi, ma soltanto servi, perché il progetto appartiene a Dio».
Hanno capito il paragone e la conclusione. Qualche dubbio resta ancora… sul pranzo di Levi. Gesù non vuole lasciare in sospeso un argomento tanto importante. Riprende la parola: «Volete sapere perché ho permesso a Levi di ritardare la partenza per organizzare un pranzo di festa?
Due ragioni mi hanno spinto a questa scelta. Ve le dico: tra amici non ci possono essere segreti.
La prima è la più evidente. Organizzando la festa, Levi vuole esprimere la sua gioia di abbandonare tutto per seguirmi. Questo è bellissimo… ha capito fino in fondo la storia della perla preziosa.
Anche la seconda ragione è importante. Provate a pensarci. La causa della vita è immersa nel mistero di Dio. Siamo sicuri dei risultati… solo nella fede. La festa è l’espressione più bella della nostra fiducia in lui… Chi fa festa, riconosce di essere soltanto servo… tant’è vero che affida il risultato della sua fatica al mistero di Dio».
Vada per la prima ragione… ma la seconda è troppo sibillina per il modo di pensare di gente che era abituata a fare i conti su dati concreti e verificabili. I discepoli lo scopriranno solo quando incominceranno a considerare anche la morte di Gesù (e la loro stessa morte… violenta) una grande festa per la vita e la speranza.
E le nostre scuse quotidiane?
Questo è Gesù. Di conseguenza, non c’è altro modo per proporlo, incontrarlo, sceglierlo come la ragione determinante della nostra esistenza, la perla preziosa da scoprire e da acquisire, mettendo in secondo piano tutto il resto.
D’inviti ne riceviamo tanti. Basta guardarsi d’attorno e rendere penetrante e compassionevole il nostro sguardo.
Siamo circondati d’inquietanti appelli alla vita, al senso, alla speranza. Ci provocano tanto che rimbalzano quotidianamente dentro la nostra esistenza, anche quando facciamo finta di non accorgercene.
Vanno compresi e interpretati, chiamando le cose con il loro nome. Ma alla radice sta sempre Gesù, il Signore della vita, solidale con noi perché tutti abbiano vita piena e abbondante, ragioni di senso ed esperienza di speranza.
Ci chiama per nome, immergendoci in un grande progetto vocazionale. Di risposte possibili ce ne sono molte e diverse.
L’unica che è tradimento, è il silenzio, la disattenzione, il circondarsi di scuse e di voglia di procrastinare la decisione.
Hanno fatto così i discepoli, chiamati personalmente da Gesù. Ma si tratta di una consolazione troppo scarsa.
Il riferimento è Levi che diventa Matteo: si fa avanti, con gioia, segue Gesù con coraggio, pianta in asso i suoi progetti e i suoi affari… perché ha un’impresa più grande da realizzare.