Romano Prodi *
(NPG 2008-09-38)
La storia dell’Europa non ha senso senza la storia del cristianesimo, nelle sue forze e nelle sue debolezze.
Vale qui la pena di ricordare che i grandi padri dell’Europa sono stati cristiani convinti e hanno attinto alla loro fede per costruire l’Europa.
Questo è necessario dirlo con forza ai giovani cristiani europei. Per essere cittadini europei non bisogna mettere tra parentesi la fede, al contrario si può e si deve attingere dal proprio credo i fondamenti della coerenza etica, della perseveranza, della sapienza, della mitezza, della condivisione, della magnanimità ma anche del pensare in grande, in modo da costruire un futuro che sappia misurarsi sulle sfide della pace e della giustizia. Senza arroganza, senza esibizionismi, senza la pretesa di imporre qualcosa a nessuno, con i giovani musulmani ed ebrei d’Europa i giovani cristiani devono essere il lievito e il seme di questa nuova storia.
Con uno spirito ecumenico, con uno spirito di tolleranza e rispetto per la diversità e per l’altro, il fermento religioso può dare all’Europa quell’anima di cui il nostro continente non può fare a meno.
I grandi padri dell’Europa, che hanno dato origine a questo singolare disegno, non hanno avuto piccole ambizioni, ma grandi ambizioni.
Non hanno messo al primo posto il loro interesse e il loro successo personale, hanno fatto molto di più: hanno pensato e cominciato a fare l’Europa della pace, con grande pazienza, ma anche con grande perseveranza, senza mai perdere la vera rotta.
Essi hanno, con il loro pensiero e con la loro azione, posto tutti noi di fronte al problema del metodo nell’azione politica. Questo significa porre al centro della nostra azione l’orizzonte del mondo e non il nostro angusto territorio. Significa ritenere che chi usa la menzogna, il cinismo, l’ipocrisia (anche se apparentemente ottiene qualche risultato) è destinato inevitabilmente alla sconfitta. Significa ritenere che chi persegue la giustizia, la pace e la verità, anche se pagherà prezzi alti, alla fine vincerà.
Quali possono essere i contenuti dell’azione politica in questo tempo drammatico?
– Capire la società, partendo dai più piccoli e dai più deboli.
Ascoltare e capire la società. Ci sono contraddizioni significative in Europa, ci sono contraddizioni enormi tra l’Europa e il sud del mondo. Non si può pensare al futuro dell’Europa che non sia anche il futuro del sud del mondo. Se i paesi di quest’area andranno alla deriva, anche l’Europa vivrà giorni dolorosi. È necessaria una politica lungimirante che affronti lo scandalo della povertà e costruisca rapporti di partenariato in modo da realizzare lo sviluppo economico e civile di questi paesi. Il nostro esempio di costruire rapporti che vanno al di là dei confini nazionali è per loro prezioso.
– Riconoscere i diritti dell’altro.
Il futuro dell’Europa ci sarà se sapremo riconoscere i diritti di quei popoli che subiscono ingiustizia, che vengono violentati nelle loro attese primarie. Riconoscere i diritti degli altri significa accoglierli, cambiare i nostri comportamenti e costruire nuovi atti politici.
– La riconciliazione.
Nel tempo della guerra, quando la guerra mostra il suo totale fallimento, come un paradosso, diventano forti le parole deboli. Oggi il futuro dei paesi, che hanno vissuto la guerra, sta nella riconciliazione, una parola mite che racchiude in sé la più grande forza.
– Sconfiggere la paura.
Nel tempo in cui il terrorismo vuole prendere in ostaggio i popoli attraverso la paura, è necessario spezzare il meccanismo perverso del terrore. La risposta al terrorismo non sta nella guerra, che anzi lo moltiplica, ma nella democrazia, nella saldezza di istituzioni, che sanno prosciugare i giacimenti di odio dentro cui cresce, che sanno prevenire le azioni disperate attraverso gli strumenti di cui dispongono, che sanno risolvere i conflitti che lo alimentano. Tutto questo domanda l’impegno di ciascuno, perché non restiamo catturati dal meccanismo della paura.
Il cristianesimo ci ricorda che l’antidoto alla paura è la fede. So che questa affermazione è più facile da dire che da mettere in pratica, ma so anche che questo è il compito dei giovani cristiani.
Nel momento della grande unificazione europea, i giovani sono chiamati a portare la loro freschezza, la loro intelligenza, il loro impegno, perché l’Europa cresca non come una fortezza, ma come un soggetto politico, che fa della pace e della giustizia la sua identità e la sua vocazione.
* Presidente della Commissione europea, Stoccarda, 8 maggio 2004