Giovani e Beatitudini /8

Coloro che credono

senza vedere

Luis A. Gallo


Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno (Gv 21,29)

Più di una volta nei vangeli vengono dichiarati beati coloro che, stando a contatto con Gesù di Nazaret, ascoltano ciò che egli dice e vedono ciò che egli fa. Così, in Lc 10,23, lui stesso dice, rivolgendosi ai suoi discepoli: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato veder ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, e non l'udirono". Si riferisce, naturalmente, all'arrivo del tempo in cui la grande Promessa di Dio trovava finalmente compimento.
Per millenni, infatti, il popolo d'Israele aveva aspettato, con impazienza più o meno contenuta, che quella Promessa si avverasse. L'aveva sentita risuonare nei suoi orecchi Abramo, agli inizi, quando ascoltò la misteriosa voce divina che, mentre gli ingiungeva di tagliare i ponti con il suo presente, gli prometteva: "In te saranno benedette tutte le nazioni della terra" (Gen 12,3). Ma l'avevano poi sentita ripetere i suoi discendenti tante e tante volte lungo i secoli. Specialmente quando, col passare del tempo, si era andata affermando l'idea che Dio sarebbe intervenuto mediante un suo inviato (il Messia), per portarla a realizzazione. "Magari si squarciassero i cieli e tu scendessi!", sospirava il profeta Isaia (Is 63,19). Ora, con Gesù, tutto questo lungo attendere trovava il suo appagamento. "Il regno di Dio è qui", disse egli inaugurando la sua attuazione in mezzo alla gente (Mc 1,14). E dicendo "regno di Dio", intendeva dire proprio questo: la realizzazione dei vostri sogni, quelli più profondi e più genuini dei vostri cuori.
Perciò egli dichiarava beati coloro che lo accoglievano, perché stavano vedendo con i loro occhi e udendo con i loro orecchi ciò che tanti altri "avevano salutato da lontano", come dice la Lettera agli ebrei riferendosi principalmente ai patriarchi (Eb 11,13). Essi stavano toccando con mano l'adempimento della promessa.
Ma, negli stessi vangeli, c'è anche un'altra grande parola di beatitudine. Viene detta da Gesù otto giorni dopo la Pasqua, quando si presentò di nuovo ai dodici apostoli, questa volta radunati con la presenza anche di Tommaso, che la domenica precedente era stato assente e si era manifestato apertamente incredulo.
Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Poi disse a Tommaso: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente!". Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!". Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno! (Gv 20,26-29).
Questa parola di beatitudine è detta per noi. Per tutti quelli cioè che, non avendo avuto occasione di vedere Gesù con i propri occhi né di ascoltarlo con i propri orecchi, credono a lui e alla sua parola. Lo diceva già un altro scritto del Nuovo Testamento, qualche decennio dopo:
Gesù Cristo voi lo amate, pur senza averlo visto,
e ora senza vederlo credete in lui.
Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa (1Pe 1,8-9).
Alle volte si sente dire da più di un cristiano che, se fosse vissuto ai tempi di Gesù, gli sarebbe stato più facile credere in lui e accogliere il suo messaggio. Vedendo tante cose meravigliose che egli andava facendo, tutto gli sarebbe risultato chiaro e indiscutibile. Si dimentica così che la fede è sempre una "ferma convinzione su ciò che non si vede" (Eb 11,1). Anche coloro che sono vissuti gomito a gomito con lui sono dovuti andare oltre a ciò che vedevano per cogliere ciò che non vedevano. Ne è una dimostrazione l'episodio appena sopra citato di Tommaso. Secondo la narrazione evangelica, egli toccò le ferite delle mani e del costato, e proruppe in una confessione che andava molto al di là di ciò che toccava: "Mio Signore e mio Dio!".
Ciò che noi "tocchiamo" oggi, a duemila anni di distanza, è quello che, attraverso una lunga catena di credenti, arriva a noi circa la persona e la proposta di Gesù. Ma, andando oltre a quello che "tocchiamo", crediamo. Abbiamo la convinzione, più o meno certa secondo i momenti, che ciò che lui ha vissuto e proposto è vero, è reale, vale la spesa di essere accolto e realizzato. E nella misura in cui lo riteniamo tale e lo viviamo, ci si apre una strada di beatitudine. Lo hanno sperimentato prima di noi tanti e tante altri!
Quelli che sono stati più coerenti, ossia i santi e le sante di tutti i tempi, sono stati anche quelli che ne hanno goduto di più. Basta pensare a Francesco d'Assisi. Quale gioia riempiva il suo cuore anche in mezzo alle più grosse difficoltà. Gioiva e cantava! "Perfetta letizia", ripeteva. Egli non vedeva il suo Signore con i suoi occhi, non lo sentiva con i suoi orecchi, non lo toccava con le sue mani, ma credeva intensamente alla sua presenza e alla sua proposta di fraternità universale. Tanto che fu detto "un altro Cristo". E non è detto che non abbia avuto anche lui, come molti altri, dei momenti di smarrimento, di dubbio e di oscurità. Li ha avuti, come ci fanno sapere i suoi biografi, ma ne è emerso. E uscendone, la sua gioia e la sua felicità erano ancora più grandi di prima ...

PER IL LAVORO PERSONALE E DI GRUPPO

Nell'ultima cena che fece con i suoi amici, Gesù pregò intensamente. Pregò per loro e pregò per tutti quelli che in futuro avrebbero creduto in lui (Gv 17,20). Pensava anche a te, in quel momento, a te che avresti creduto in lui dopo venti secoli ... e chiedeva a suo Padre, che è pure il tuo, di renderti felice di quella beatitudine di coloro che, pur senza averlo visto, credono in lui.
Pensa un momento a questa preghiera di Gesù, e lasciati invadere dalla gioia che ti produce.

Preghiera

O Gesù,
nell'ultima cena hai pregato anche per me.
Tu sai bene che ci sono momenti in cui la mia fede
è debole, vacillante;
che ci sono momenti in cui mi assalgono dubbi
e perplessità.
Fa' risuonare allora nel più profondo del mio essere
quelle tue parole benedette:
"Beati quelli che, pur non vedendo, credono"!
Amen.