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    “Vegliate”. Parabola del portiere che vigila (Mc 13,33-37)



    Parabole giovani /9

    Roberto Seregni

    (NPG 2012-09-2)


    In-coscienti

    L’ho letto in un libretto di Thomas Merton: “La vita spirituale è soprattutto questione di vigilanza.” [1] e mentre ascoltavo la storia di Gigi – ovviamente non è il suo vero nome – questa frase continuava a ronzarmi per la testa.
    Sì, sarebbe bastata un po’ di vigilanza, attenzione e discernimento e molte delle scelte che hanno ribaltato e azzerato la storia di Marco, forse, sarebbero state diverse. E, forse, sarebbe diversa anche la sua vita.
    Lo faccio parlare, si sfoga, racconta. Delusioni, fiducie mal riposte, fretta, superficialità, frenesia e un abbondante pizzico di ingenuità hanno sdoganato la sua vita e le sue relazioni in un deserto di aridità e di solitudine.
    Il pianto prende il sopravvento, lo abbraccio, cerco di dirgli che non tutte le porte si sono chiuse, che è sempre possibile rialzarsi e ripartire, che lui è molto di più dei suoi errori e dei suoi fallimenti. Si lascia abbracciare, ora.
    E mentre le lacrime inzuppano la sua maglietta colorata, io penso alle parole di Gesù: “Vegliate!” (Mc 13,35) e mi passano davanti agli occhi molti fratelli e sorelle che hanno smesso di vegliare sulla loro vita, che hanno svenduto il loro stile alla fretta e alla superficialità.
    Quanti fallimenti e quante ferite si potrebbero evitare vivendo con più attenzione e più coscienza. Così scrive Luciano Manicardi:
    «Spesso confondiamo l’intensità del vivere con la molteplicità degli impegni e non ci rendiamo conto che così il tempo scorre su di noi e che siamo degli in-coscienti che si lasciano sottrarre la vita». [2]
    Una bellissima parabola del Rabbì, che troviamo solo nel racconto di Marco, ci richiama a troncare l’in-coscienza del nostro vivere quotidiano attraverso l’arte preziosa della vigilanza.

    Guardate con attenzione, state svegli: non sapete, infatti, quando è il tempo. Come un uomo che – andato via e lasciata la sua casa e affidata la responsabilità ai suoi servi, a ciascuno il proprio compito – ordinò al portiere di stare sveglio.
    Vegliate dunque: non sapete infatti quando il signore della casa tornerà, se alla sera o mezzanotte o al canto del gallo o al mattino: perché, giunto all’improvviso, non vi trovi che dormite. Quello che dico a voi lo dico a tutti: vegliate! (Mc 13,33-37)

    Non sapete quando è il tempo

    Il racconto della parabola, pur presentando un po’ di confusione e sovrapponendo probabilmente tradizioni diverse confluite all’attenzione dell’evangelista, ha come protagonista un portiere che riceve l’incarico di vegliare nell’attesa del ritorno del padrone della casa. In una manciata di versetti per quattro volte viene ricordato l’invito forte di Gesù alla vigilanza. Questa attenzione nasce da una motivazione ben precisa: “Non sapete quando il signore della casa tornerà” (v.35). Il padrone ritornerà, questo è certo; ma sarà all’improvviso, senza una chiamata particolare di avvertimento. Quindi, l’unica soluzione possibile, è essere pronti in ogni momento, sempre svegli e desti. Questo è proprio quello che è sottolineato dai verbi che Marco decide di utilizzare per descrivere la qualità della vigilanza del discepolo.
    Vediamoli un po’ più da vicino.

    Guardate con attenzione!

    Molto interessante è il verbo con il quale l’evangelista apre la parabola: “Guardate con attenzione.” (v.33) E’ il verbo che richiama concentrazione, messa a fuoco, sguardo attento. E’ il contrario della superficialità e della distrazione che spesso caratterizza il nostro sguardo sulla storia, sul mondo, sugli altri e persino su noi stessi. Non basta “guardare” per accorgerci della presenza del padrone che è ritornato, ma è necessario uno sguardo attento, concentrato, che sa distinguere e discernere. Anche un ubriaco sa “guardare”, ma il suo sguardo è annebbiato e confuso. Così, anche noi, rischiamo di essere annebbiati dalla fretta, dalla superficialità, dalla frenesia dei nostri ritmi invivibili. Senza rendercene conto rischiamo di essere talmente ubriacati e frastornati da quello che ci circonda che il nostro sguardo deforma e svuota la realtà.
    Così Enzo Bianchi descrive lo sguardo lucido del credente:
    “La vigilanza è dunque lucidità interiore, intelligenza, capacità critica, presenza nella storia, non distrazione e non dissipazione. Unificato dall’ascolto della Parola di Dio, interiormente attento alle Sue esigenze, l’uomo vigilante diviene responsabile, cioè radicalmente non indifferente, cosciente di doversi prendere cura di tutto e, in particolare, capace di vigilare su altri uomini e di custodirli.” [3]

    Non addormentatevi, vegliate!

    Non dormire, stare svegli, non lasciarsi schiacciare dal sonno: questo è il senso principale del verbo usato al v.33. Un altro termine, con il medesimo significato, è utilizzato da Marco per l’invito alla veglia che troviamo ai vv.35-37.
    L’attenzione e la vigilanza richiamate in questa parabola sono totalmente relative alla persona di Cristo che è venuto e che verrà. Il discepolo veglia in attesa di un incontro, rimane desto, lotta contro l’appesantimento del sonno e la fatica della veglia per riconoscere e accogliere la venuta del suo Signore. Il luogo dove il discepolo si esercita nell’arte della veglia è la quotidianità. Nello scorrere feriale del tempo il cristiano si allena allo sguardo profetico che riconosce i segni della presenza del Regno e la venuta del Signore. Segni impercettibili, a volte. Segni che solo un cuore che sa sincronizzarsi al ritmo cardiaco del Regno può intuire. Segni che solo uno sguardo educato al silenzio, plasmato dalla Parola e appassionato nell’amore è in grado di decodificare. Segni che solo mani e braccia allenate al servizio dei poveri e all’accoglienza incondizionata degli ultimi sanno afferrare e abbracciare. La vigilanza che il Rabbì ci chiede è tutta impastata nella nostra più feriale quotidianità.
    Così afferma Carlo Maria Martini:
    «Vigilare significa badare con amore a qualcuno, custodire con ogni cura qualche cosa di molto prezioso, farsi presidio di valori importanti che sono delicati e fragili. Vigilare impegna comunque a fare attenzione, a diventare perspicaci, a essere svegli nel capire ciò che accade, acuti nell’intuire la direzione degli eventi, preparati a fronteggiare l’emergenza». [4]
    A Gigi e a tutti quelli che corrono il rischio di cadere nel letargo della superficialità, della fretta e della distrazione, il Rabbì ricorda: “Non sapete quando il signore della casa tornerà! Quello che dico a voi lo dico a tutti: vegliate!” (vv. 35.37).


    NOTE

    1 Thomas Merton, Pensieri nella solitudine, Garzanti, 1959, p.40
    2 Luciano Manicardi, Il tempo e il cristiano, Monastero di Bose, 2000, p.11.
    3 Enzo Bianchi, Le parole della spiritualità, per un lessico della vita interiore, 1999, Rizzoli, pp. 32-33.
    4 Carlo Maria Martini, Sto alla porta, Centro Ambrosiano, 1992, p. 26.


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