Osservatorio giovani
Domenico Cravero
(NPG 2012-08-4)
Ho partecipato, lo scorso settembre, al primo happening degli oratori italiani. L’obiettivo, esplicitato nel titolo: «Oratorio e/è educare. Sfide, prospettive, esperienze», assumeva il tema decennale CEI. La sua «formula» H1O evocava la forza rigeneratrice dell’acqua, sinonimo di vita. Indicava anche la «fontana del villaggio», dove la comunità cristiana e l’oratorio offrono gratuitamente a tutti quanto ha di essenziale e prezioso: Gesù, acqua viva.
L’happening dei responsabili delle variegate proposte oratoriane del nostro paese (un migliaio di giovani educatori, insieme a sacerdoti e religiose) è stato un evento intenso, vivace e ben organizzato, un’occasione di scambio e di «gemellaggio» tra oratori, poiché ogni gruppo era ospitato da un oratorio locale. I momenti di convegno, presso la Fiera di Montichiari, hanno offerto numerosi spunti di riflessione e testimonianze di vita, centrati sui processi educativi e pastorali degli attuali oratori.
Gli stand presentavano alcune proposte significative di pastorale giovanile in Italia.
Gli workshop, che riguardavano una quindicina di ambiti, offrivano alla discussione esempi e pratiche di come le comunità cristiane possono fare oratorio oggi.
La condivisione dei modelli e lo scambio delle esperienze hanno testimoniato la convinzione dell’attualità della proposta educativa oratoriana. La capacità aggregativa delle parrocchie, infatti, è ancora importante: quest’anno le estate-ragazzi degli oratori italiani hanno accolto un milione e mezzo tra bambini e adolescenti, guidati da circa 200mila animatori.
L’oratorio è una grande narrazione – spiegava mons. Beschi vescovo di Bergamo –, «molti uomini e donne possono raccontare la propria esperienza a partire da lì». C’è bisogno che gli oratori si parlino, condividano preoccupazioni e prospettive. Il pedagogista Giuseppe Mari non ha nascosto la difficile condizione delle parrocchie di oggi: la pratica religiosa si attesta sul 25%, le vocazioni sacerdotali e religiose sono in crisi, così come il matrimonio. «La sfida richiama l’agonismo, tipico di chi non si rassegna». Nonostante tutto l’investimento di generosità, di entusiasmo e di intelligenza, infatti, l’esito educativo è scarso. Occorre continuare nell’impegno di «far emergere l’originalità cristiana. Dio è amore e l’oratorio deve educare all’amore disinteressato e alla vera libertà (…) Occorre lavorare perché i giovani possano fare le loro conquiste e aumentare la propria autostima. Oggi servono luoghi di virtù, pratica dei valori che professiamo».
Siamo tutti consapevoli di attraversare un momento di sfide educative difficili ma abbiamo anche bisogno di vedere in concreto che è possibile costruire «luoghi di vita e di passione educativa di una comunità».
Viviamo un tempo di caduta della speranza, di perdita di coraggio e di vitalità. Servono oratori dove i giovani possano sognare, inventare, proporre, sperimentare. Le comunità hanno bisogno dei giovani: devono imparare ad ascoltarli, riconoscerli, valorizzarli. Gli oratori possono diventare, così, un crogiuolo che permette al maggior numero di ragazzi di mettersi alla prova e scoprire i talenti nascosti e di seguire la propria vocazione.
La perdita di passione è causata soprattutto dalla paura degli adulti (sacerdoti, religiose, educatori, genitori).
Predomina spesso il timore di non essere all’altezza delle situazioni, la paura dell’incognito, il dubbio di saper reggere la sfida.
La ragione che calcola non riesce più a individuare vie d’uscita (alla crisi del lavoro, al fallimento dell’educazione, alla perdita della fede). Ci vuole la ragione che inventa.
I giovani sono creativi: essi sanno ancora sognare. Il nostro mondo si è fatto vecchio e, insieme, infantile: s’atterrisce e si chiude in sé. Non comprende, non chiama, non sostiene gli adolescenti e la loro creatività. Rifiuta il loro apporto vitale. Si è dimenticato che ogni società ha un bisogno vitale di essere rinnovata dalla generosità dei giovani e dalla loro creatività. Così i giovani si sentono parcheggiati a scuola e senza futuro. Spesso s’accorgono di essere trattati come una generazione che non conta, come una combriccola di irresponsabili di cui non si ha bisogno.
Le parrocchie e tutta la chiesa hanno un bisogno vitale dei giovani.
Nei tre giorni di Brescia l’entusiasmo dei giovani era più di una speranza, pareva già un inizio.
Occorre osare. Reinventare un passato glorioso. Scegliere i valori di una tradizione viva e tradurla in un mondo tutto nuovo. La condizione di minoranza non ci condanna a una pastorale di basso profilo. La mediocrità, la lamentazione, il rifugio nostalgico sono il più grave ostacolo alla passione dei giovani e al loro entusiasmo. È questa depressione, infatti, che rende impermeabili all’acqua (H1O) rigeneratrice delle nuove generazioni.