Gesù, la "Parola" sul mistero di Dio e dell'uomo (RGC 3)

cf "Ritratto di un giovane cristiano"

A questo punto, a me e agli amici con cui condividevo la ricerca, è spuntato il desiderio di arrenderci: "fine corsa", il resto è solo l'avventura solitaria di una fede che assomiglia soprattutto al salto nel buio.
In fondo, è bello misurarsi con un mistero, che ci incombe solenne e impenetrabile. Risolve tutti i problemi, perché ridimensiona il sogno di risolverli. Ci sprofonda in un abisso, dove le parole non bastano più e la sapienza, anche quella più raffinata, diventa presunzione inutile.
Qui però c'è di mezzo la ricerca di uno stile di vita, le ragioni per vivere e sperare. Non basta concludere con un grosso punto interrogativo.
Abbiamo il dovere e il diritto di capirci un po' di più.
Per continuare una riflessione mai spenta, ho fatto l'operazione più semplice e più solenne: ho girato le due domande a Gesù di Nazareth.
Sembra la cosa più ovvia. Lo fanno tutti. Ed è strano costatare come dal suo evento straordinario scaturiscano risposte che sembrano fondare e giustificare modelli diversi di esistenza cristiana.
Sapevo che la scelta di una prospettiva influenza in modo decisivo la qualità dell'immagine percepita. Per questo mi sono preoccupato prima d tutto di definire una prospettiva da cui contemplare l'evento di Gesù di Nazareth.
L'Incarnazione è l'esperienza centrale e fontale della vita di Gesù e della fede che ha suscitato. L'ho scelto come prospettiva fondamentale da cui comprendere l'evento di Gesù Cristo.
Quando i credenti parlano dell'Incarnazione indicano prima di tutto un fatto preciso della vita di Gesù di Nazareth: Dio per salvare l'uomo ha deciso di farsi uno di noi ed è diventato uomo, con la collaborazione materna di Maria, in un segmento concreto di tempo e di spazio.
Non esprimono però solo questo atto di fede.
L'Incarnazione rappresenta soprattutto l'evento, unico e irrepetibile, che ci spalanca le porte verso il mistero di Dio.
In Gesù di Nazareth, infatti, il Dio inaccessibile e misterioso, il Dio ineffabile e radicalmente trascendente, si è fatto "volto", è diventato "parola". Nel volto e nella parola di Gesù di Nazareth, si è fatto vicino, comprensibile. Possiamo parlare di Dio e possiamo parlare a Dio. Possiamo cogliere chi è per noi e cosa chiede a noi.
In compagnia degli apostoli e delle prime comunità ecclesiali ho riletto il vangelo di Gesù dalla parte dell'Incarnazione.

Gesù ci rivela un Dio per l'uomo, presente e nascosto

Le pagine del Vangelo sono, in toni diversi, le battute di una grande, unica sinfonia: il Dio di Gesù è il Dio della vita e della felicità. È Dio-per-l'uomo, che fa della vita dell'uomo l'espressione più radicale della sua gloria.
Pensiamo, per esempio, alla disputa tra Gesù e i farisei a proposito della guarigione, avvenuta di sabato, di quel povero uomo che aveva una mano paralizzata (Mt 12, 1-14).
Per la teologia dominante Dio andava onorato prima di tutto rispettando il sabato. L'uomo paralizzato poteva aspettare: sei giorni della settimana erano a sua disposizione, il settimo era invece tutto e solo per la gloria di Dio (Lc 13, 10-17).
Gesù propone una teologia molto diversa. La vita e la felicità dell'uomo è la grande confessione della gloria di Dio. Anche il sabato è in funzione della vita. Gesù non chiede di scegliere tra Dio e la felicità dell'uomo. Afferma, senza mezzi termini, che la gloria di Dio sta nella felicità dell'uomo. Il sabato è per Dio quando è per la vita dell'uomo.
Gesù non gioca come un adolescente bizzoso con la legge. Non si diverte ad infrangerla, per il gusto anarchico di farne senza.
Egli propone una interpretazione radicale della legge, per rivelare chi è Dio.
La norma fondamentale dell'agire è determinata dalla sola esigenza concreta che può abbracciare senza limiti tutta la vita dell'uomo e applicarsi nello stesso tempo e in maniera esatta ad ogni caso particolare: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore... Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mt 22, 37-40).
Dall'amore nasce la libertà, nello spirito delle beatitudini: essere liberi da ogni schiavitù verso il mondo e verso se stessi per essere pronti, in ogni momento, per Dio e per i fratelli, in un amore che si dona e sa rischiare fino alla morte.
Solo in questa prospettiva di libertà e di amore trova collocazione la legge, un fatto importante ma relativo. La prassi dell'amore non può essere fissata in leggi concrete. La libertà per l'amore può esigere talvolta che si faccia molto di più di quanto è fissato autorevolmente, perché Dio viene glorificato dove l'uomo è reso libero.
Questo "contenuto" ci giunge però in un modo molto particolare.
Gesù rivela chi è Dio per l'uomo secondo modelli comunicativi che ripetono la logica fondamentale di ogni parola umana.
Gesù pone dei gesti, testimonia un messaggio, proclama una parola. Si tratta di gesti, messaggi, parole che hanno un loro preciso spessore e sapore storico. Possono essere compresi e decifrati attraverso gli schemi interpretativi con cui ogni giorno valutiamo le nostre esperienze. Nel profondo di questi gesti, parole, messaggi, Gesù è Dio che si manifesta all'uomo.
Le parole umane e le realtà della sua vita quotidiana sono segni che manifestano e nascondono eventi sconfinatamente più grandi: sono il segno della presenza di Dio nella storia dell'uomo.
Il passaggio da quello che si percepisce fisicamente al mistero che si porta dentro e che il segno esterno intende rivelare, richiede sempre uno sguardo penetrante, un intreccio di fantasia e di amore: richiede la fede. Solo nella fede dell'interlocutore gesti, messaggi e parole di Gesù esprimono totalmente il mistero di Dio.
Qualche volta la fede è facile, perché il segno esterno è tutto trasparente del mistero di Dio. Così è capitato per la donna di Naim, che ha scoperto chi è Dio per lei, stringendo vivo tra le braccia il figlio che aveva pianto morto (Lc 7, 11-17).
Altre volte la lettura è molto più complessa. Hanno certamente faticato non poco i venditori del Tempio che si sono trovati le bancarelle sfasciate e la merce all'aria, sotto la spinta purificatrice di Gesù. Anche per loro i gesti e le parole di Gesù manifestavano che Dio è Padre buono e accogliente, è Dio di tutti gli uomini. Hanno però dovuto scatenare una dose alta di fantasia per condividere questa interpretazione (Mt 21, 12-17).
Se riorganizziamo gli elementi sottolineati, possiamo trovarci d'accordo su questa prima conclusione: Gesù di Nazareth rivela che Dio è un Dio per l'uomo; lo rivela però in un intreccio misterioso di gesti e di interpretazioni di fede. In Gesù, noi incontriamo il volto e la parola di Dio nello spessore affascinante e fragile della sua quotidiana umanità.

La testimonianza apostolica

Sappiamo che le parole e le azioni di Gesù non ci sono giunte in una registrazione fredda e impersonale, quasi fosse un resoconto stenografico o una immagine fotografica. Esse sono state trasmesse attraverso la fede appassionata di uomini che, animati dallo Spirito, hanno colto il senso dell'esistenza di Gesù e lo hanno espresso nella testimonianza della parola e della vita.
Per cogliere il significato dell'evento dell'Incarnazione, dobbiamo perciò orientare la nostra ricerca anche nella direzione dell'esperienza della Chiesa apostolica, espressa nei testi dei Vangeli, degli Atti, delle Lettere e nella prassi ecclesiale adottata.
I discepoli di Gesù avevano capito di essere amati e pensati da lui. Essi sperimentavano che in Gesù la vita umana trovava un senso. La loro situazione esistenziale, spesso senza speranza e senza prospettive, carica di tanti problemi, diventava per Gesù importante, interessante, affascinante. Era qualcosa che Gesù faceva pienamente suo.
Assunta in Gesù, questa stessa esperienza, povera e fragile, veniva restituita ai discepoli piena di significati.
Essi poi compresero che tutto questo Gesù lo diceva e lo faceva nel nome di quel Dio che chiamava "Padre".
Nella bontà che gli uomini sperimentavano in Gesù, nel suo perdono, nella sua proposta di libertà, di gioia, di senso alla vita, c'era il Padre.
Nel contatto quotidiano con Gesù, gli apostoli hanno incontrato Dio e l'hanno scoperto come un Dio vicino e accogliente. In Gesù hanno sperimentato che Dio dona la salvezza in uno stile insperabilmente originale: salva nella solidarietà, in una compagnia così profonda con ogni uomo da farsi realmente uomo.
Dopo la morte e la resurrezione di Gesù la comunità ecclesiale si raccoglie attorno alla persona del Signore risorto, ora presente in modo nuovo. Animata dal suo Spirito, essa si costituisce, agisce e proclama l'evento di salvezza che ha sperimentato.
Nasce una prassi ecclesiale in cui la Chiesa apostolica cerca di ripetere quello che ha sperimentato nell'incontro personale con Gesù di Nazareth.
Basta ripensare a quanto è successo al Concilio di Gerusalemme, come riferisce At. 15.
La Chiesa apostolica era alle prese con un gravissimo problema. Stava suscitando dispute accese, tensioni e sospetti. Ci si chiedeva: coloro che si decidevano per la fede cristiana e non provenivano dal mondo giudaico, dovevano vivere sottoposti alle legge di Mosé? I punti scottanti erano soprattutto due: la pratica della circoncisione e l'astinenza da certi tipi di carne.
Gli apostoli hanno discusso a lungo, senza riuscire a trovare un accordo. Erano d'accordo nel riconoscere la centralità assoluta di Gesù per la salvezza; si rendevano pienamente conto che la sua mediazione salvifica poteva risultare incrinata se subentravano altre esigenze concorrenti. Risultava però difficile decidere la portata concreta e operativa di questo orientamento di fondo.
La soluzione è apparsa invece immediata quando la testimonianza di Pietro e la saggezza di Giacomo hanno chiesto di spostare l'attenzione dai principi all'esperienza fatta stando con Gesù. Hanno ricordato: "Non possiamo imporre agli altri dei pesi inutili, che neppure noi ci carichiamo sulle spalle".
Il criterio decisivo per risolvere i problemi è la possibilità di sperimentare la bontà di Dio. Continuando la prassi di Gesù, bisogna far sperimentare agli uomini chi è Dio: il Padre buono e accogliente, che non chiede cose inutili, come invece fa chi comanda per il gusto di farsi obbedire. Non è possibile annunciarlo nella verità, se la parola proclamata viene poi accompagnata da una serie di pretese inutili, motivate sul compromesso e sulla paura.
Sollecita a questa lettura del Concilio di Gerusalemme la meditazione delle pagine di commento che Paolo ha indirizzato ai Galati (Gal. 5).
Ritorna lo stesso tema. Paolo riprende la conclusione del Concilio: la coscienza della grande libertà a cui Gesù ci ha chiamati e la raccomandazione di astenersi dalle carni sacrificate agli idoli.
Il documento conclusivo proponeva questo impegno a tutti i cristiani. Poteva sembrare il compromesso dell'ultimo momento, per accontentare anche le minoranze intransigenti.
Paolo invece commenta in termini diversi la raccomandazione. Sa di essere libero: può mangiare qualsiasi genere di carni, per la libertà a cui Cristo ci ha liberati. Non può però usare della sua libertà come gesto di disprezzo e di offesa per il fratello più debole, che ne rimarrebbe impressionato malamente. La sua inesauribile libertà termina quando incomincia il dovere sommo della carità fraterna.
Come posso annunciare il Dio di Gesù Cristo, come Padre buono e accogliente, se provoco il fratello nelle sue convinzioni più profonde, se lo metto in crisi nel nome della maturazione che ho acquisito?
La logica è la stessa di Giacomo. Paolo la porta alle conseguenze più radicali. Per risolvere i problemi pastorali che la comunità cristiana è chiamata ad affrontare lungo lo sviluppo della sua storia, il criterio è quello rivelato nella prassi di Gesù: l'esperienza che il Dio di Gesù è un Dio per l'uomo.

Gesù, volto e parola di Dio, rivela chi è l'uomo

Gesù ci parla di Dio. Ascoltandolo dalla prospettiva dell'Incarnazione abbiamo scoperto che ci dice cose stupende ed insperate anche sul significato e sul valore dell'umanità dell'uomo.
Nell'Incarnazione Dio si è rivelato all'uomo in modo umano. Il suo ineffabile mistero è diventato comprensibile e sperimentabile perché ha preso il volto e la parola di Gesù di Nazareth. Il rapporto tra Gesù di Nazareth e il Dio ineffabile non è come quello di una fotografia rispetto ad una persona amata, non funziona come una registrazione rispetto alla viva voce di un amico lontano.
In Gesù Dio ha assunto un volto umano e si è fatto parola non come ci si serve di uno strumento esterno (che in nulla modifica quanto uno è), per comunicare qualcosa di sé, visto che non si può farlo direttamente e immediatamente.
L'umanità di Gesù è invece Dio-con-noi: l'evento nuovo e insperabile in cui Dio stesso, rimanendo Dio, si è fatto vicino, volto e parola, per incontrare e salvare l'uomo. La sorprendente novità, testimoniata da Fil. 2, 6-8, sta proprio in questo: Dio non ha abbandonato la "forma di Dio" per prendere quella di "servo", ma è diventato pienamente uomo, sussistendo totalmente come Dio.
Per questo l'Incarnazione è anche la rivelazione più piena dell'uomo: rivela qual è la sua sconfinata grandezza.
Gesù è uomo, di una umanità come la nostra: è uomo come lo siamo tutti noi.
La sua umanità può manifestare, rendere presente ed esprimere Dio, perché l'umanità dell'uomo è stata fatta radicalmente capace di essere manifestazione di Dio. L'Incarnazione è incominciata proprio nella Creazione. In questo primo, definitivo gesto di salvezza, Dio ha creato un uomo, capace di essere "volto" e "parola" di Dio.
Se l'uomo non fosse stato costruito così, Gesù di Nazareth non potrebbe essere Dio con noi, perché la sua umanità sarebbe incapace di offrire "una tenda" a Dio.
Oppure si potrebbe avanzare l'ipotesi contraria. Se Gesù è Dio, allora di certo non è un uomo come noi; la sua umanità è solo apparentemente simile alla nostra, mentre in realtà è diversissima, come la luce non ha nulla da spartire con le tenebre.
Lungo lo sviluppo della fede ecclesiale, ci sono stati quelli che hanno proposto la prima ipotesi (Gesù non è Dio) o la seconda (Gesù è Dio, ma non è vero uomo). La fede della Chiesa ha difeso sempre con forza e con fierezza che Gesù è uomo, profondamente e veramente uomo e, nello stesso tempo, Dio-con-noi.
Questa grande affermazione ci assicura che la nostra umanità è più grande di quello che possiamo immaginare. Essa è, in piccola o grande misura, "volto" e "parola" del Dio ineffabile e inaccessibile.
Gesù è il caso supremo, unico e irrepetibile, di una umanità tanto pienamente realizzata, da essere volto e parola in modo definitivo. Egli è colui che realizza tutte le possibilità dell'uomo, raggiungendo in pienezza l'abbandono totale al mistero di Dio.
Gesù lo è di fatto. Noi abbiamo la possibilità di essere uomini pienamente umanizzati come lui; e di fatto, un pochino almeno, lo siamo, per la solidarietà di vita e di salvezza che ci lega a Gesù e a coloro che come lui hanno portato a pienezza la loro umanità.
Certo, la diversità tra noi e Gesù è grande. È però sul piano della realizzazione concreta; non su quello della possibilità. L'umanità dell'uomo è sempre il luogo in cui Dio si fa presente nella nostra esistenza quotidiana, come il Padre buono e accogliente, che salva e riempie di vita.