L'Immacolata
un inizio e una totalità
Alessandro Maggiolini
Non si sciupano, non si toccano neppure, le gemme sui rami. Son cosine piccole, quasi insignificanti, ma dentro nascondono il segreto che verrà: la festa dei fiori e la gioia del raccolto.
Una donna che attende un bambino non inizia ad amarlo quando il figlio va a scuola o va a soldato: non aspetta neppure d'averlo tra le braccia: appena ha intuito che in grembo le è insorta un'esistenza – prima non c'era –, non vive la gravidanza come se fosse un periodo di squilibrio ormonico: la vive come un rapporto; attende, ma sa già che lui o lei c'è – il figlio è sempre una sorpresa oltre che un progetto –: e pensa al nome, prepara il corredino...
Sto dicendo che l'inizio è sempre un mistero. E che l'amore è impaziente: sa cogliere nel germe tutto lo sviluppo, e non sta passivo; previene, risale su su fino all'origine oltre la quale non c'è nulla...
Sto cercando di capire il perché dell'Immacolata. Certo, Dio aveva bisogno d'un angolo pulito di mondo per poterci mettere i piedi. Lo capiscono anche i bambini i quali, quando son cavati dalla vasca dopo il bagnetto, sanno che non devono uscire dal tappetino, se no si sporcano di nuovo. Un angolo pulito, sta bene. Ma perché prevenire fino a raggiungere il cominciamento assoluto e lì collocarci già la grazia? Il dogma è esattamente questo, nella solennità un po' arida della sua formulazione: per singolare privilegio, Maria già dall'inizio della sua concezione, in previsione dei meriti di Cristo, è stata esente dal peccato originale.
Dall'inizio della sua concezione. Perché?
È il discorso dell'amore che spiega: dell'amore che vuol subito possedere, che anticipa, che sta in agguato per cogliere immediatamente. Un po' come una mamma che non risponde al sorriso del bambino, ma lo precede e lo provoca. Quando il piccolo accennerà al primo gesto di gioia, lo farà perché c'è la mamma che gli solletica il mento ed è curva su di lui con gli occhi felici.
Così per Dio. Poteva attendere l'adolescenza di Maria o la nascita; no, si è collocato al primo insorgere della vita oltre il quale Maria non esisteva: questo è già momento di grazia. Il seguito lo si sa: non è come in un giallo di Agatha Christie. L'Immacolata Concezione non è soltanto mistero d'un istante: è dialogo d'una vita, un dialogo che ha incluso cadenze felici e lunghe fatiche e qualche pianto nascosto e terribile. Un dialogo totale, senza mezze misure, capace soltanto di «sì»: neppure lontanamente sfiorato dal «no» o dal «ni» che è il nostro stile più subdolo ed usuale di rispondere. Dio chiamava - ed ogni volta la vocazione si faceva più esigente, fino alla croce -, e Maria si lasciava condurre per mano con docilità sempre crescente: il Fiat non è un caso nella sua vita. E ogni risposta impegnava tutte le forze - tutte: non una fibra del cuore rimaneva esclusa -; e ogni risposta ne preparava un'altra più ampia, più profonda.
La misura dell'amore è amare senza misura. E i nostri atti non solo ci seguono, ma ci cambiano...
Chiediamoci un po' brutalmente: ebbene, se l'Immacolata Concezione è tutto questo, a noi che cosa importa? È un privilegio di Maria, e sia...
Sa di profanazione esprimerci così.
Potrei rispondere che questa sorella è la prima tra i salvati; che ci ha dato il Signore Gesù; che sul Calvario ha penato anche per noi - senza urlare, come nel film di Pasolini -; che è immagine del nostro futuro di noi, redenti dal Battesimo eppur attraversati dal peccato e dalla fragilità ; che è motivo di speranza, atterriti come siamo da quella tragica croce che ci è messa sulle spalle e che è la libertà finita: la capacità di dire «no» a Dio... o di scansarlo.
Potrei dire tutto questo. Ma preferisco semplicemente contemplare e godere di questa creatura immacolata che appare nel mondo, portata sulle mani sporche d'una umanità che affondava nella colpa eppure non rinunciava a sperare. Ricordate le genealogie? Genuit, genuit, genuit... Poi il ritmo si interrompe: Dio interviene. La storia ha una impennata. Il Signore è vicino. Benedetto il frutto del ventre tuo, Maria...