Oltre la porta santa... Il Giubileo ritorna alla vita quotidiana


Riccardo Tonelli

(NPG 2000-08-II)


La celebrazione giubilare sta per avviarsi verso la conclusione. I grandi avvenimenti che hanno segnato i punti più alti di questa esperienza, sono ormai collocati tra i ricordi felici, circondati dalle interpretazioni e dei commenti.
Per le vie di Roma ritorna la caotica tranquillità della vita di tutti i giorni. Chiese, monumenti, strade e piazze portano i segni positivi di un coraggioso progetto di rinnovamento; nel cuore di molti pellegrini resta la nostalgia di quello che è stato vissuto: le tracce di una esperienza religiosa speciale, le immagini di una festa che ha coinvolto e entusiasmato, un desiderio di responsabilità, capace di prolungare l’avventura nella trama della quotidianità.
E ora?
Per non insabbiare l’entusiasmo nella delusione, aprendo il Giubileo abbiamo condiviso l’urgenza di vivere l’esperienza giubilare come un momento forte nella trama della vita quotidiana, che le dà senso, prospettiva, speranza.
Ora è tempo di sperimentarlo.

Tradurre il Giubileo in una mentalità da vita quotidiana

Il Giubileo del 2000 è stato centrato su Gesù. Non solo perché abbiamo ricordato una specie di suo… compleanno: 2000 anni portati bene, ma soprattutto perché in Gesù il Giubileo non diventa prima di tutto un elenco di cose da fare e di impegni da assumere, ma è la bella notizia che in lui è iniziato il tempo della vicinanza di Dio. Gesù apre, infatti, la sua missione (cfr. cap. 4 di Luca) con una dichiarazione solenne che lascia stupiti i suoi ascoltatori: lui stesso è il grande Giubileo, il sogno fatto realtà, il compito (cf Lev 25) finalmente eseguito a puntino.

Una qualità di vita da dopo Giubileo
Certamente, nessuno può restare con le mani in mano. Il progetto di Dio è ormai un fatto nella nostra storia, personale e collettiva; dobbiamo, di conseguenza, vivere secondo questa logica nuova.
L’abbiamo ripetuto e sperimentato durante la celebrazione del Giubileo. Ora è tempo di tradurlo nel ritmo della vita quotidiana.
Di speranza e di prospettive nuove abbiamo tutti un enorme bisogno. Non riusciamo più a vivere tranquilli, in una situazione in cui ci si uccide per vincere la noia e le pallottole diventano una minaccia vagante, che possono ammazzare l’innocente che incrocia inavvertitamente la loro traiettoria. L’annuncio di speranza va gridato forte: più forte della disperazione. E va fatto sperimentare come qualcosa che ci avvolge, ci restituisce a noi stessi e si traduce in una responsabilità rinnovata.
I discepoli di Gesù hanno celebrata questa novità insperata. Ora la dobbiamo far sperimentare a tutti, per aiutare tutti a scoprire che la voglia di far qualcosa di diverso dal solito, a costo magari di spese impreviste e arrecando un certo disturbo al ritmo normale dell’esistenza, non era la voglia di farci notare e riconoscere… ma l’urgenza di coltivare bene qualcosa da donare a tutti.

L’urgenza di evangelizzare
In una stagione di complessificazione e di frammentazione come è quella che stiamo vivendo, sarebbe una soluzione peggiore dei problemi quella che porta a cercare rimedi sul piano delle specializzazioni, delle distinzioni, delle divisioni… come se ciascuno fosse responsabili di un frammento della globalità e bastasse far funzionare un pezzetto di essa per vedere girare a puntino il tutto.
Il Giubileo ci ha fatto scoprire l’orizzonte globale di tutta l’esperienza cristiana: la vita e il suo senso oltre le provocazioni di cui la vita stessa è carica (dolore e morte ne sono l’emergenza più tragica). I discepoli di Gesù e gli educatori cristiani concentrano oggi impegni, preoccupazioni e interventi attorno a questo grande unico problema, veramente inquietante e comune.
Attorno alla vita e alla speranza la comunità ecclesiale ritrova l’urgenza dell’evangelizzazione, come servizio, che solo lei può assolvere, e, di conseguenza, come dono per tutti.
Chi cerca la vita, infatti, la vuole piena e totale. Troppi ostacoli – insormontabili – ne minacciano la realizzazione. Abbiamo bisogno di un "di più" che sia a fondamento della speranza. Chi evangelizza si assume questo compito: dice forte, a fatti e a parole, che possiamo essere nella vita e restare radicati nella speranza solo se accettiamo di consegnare la nostra esistenza al mistero di Dio nel progetto di Gesù e c'impegniamo a vivere la nostra stessa esistenza e a costruire strutture di servizio nella logica di questo stesso progetto.
Le prospettive sono da pensare e programmare… ancora una volta assieme, perché se il problema è comune non può essere risolto che assicurando la convergenza operosa e creativa di tutte le risorse.
L’urgenza resta: riscopriamo l’evangelizzazione come servizio alla vita e riscopriamo la sua qualità (contenuti e metodi) su questo criterio di evangelizzazione.

Alla scuola della GMG

Faccio un esempio concreto, lasciandomi misurare da una delle questioni più grandi e inquietanti: i giovani e il servizio che gli adulti sono chiamati a svolgere per la loro vita e la loro speranza. La cronaca quotidiana ce la lancia addosso violentemente in ogni momento.
Su questa frontiera il Giubileo ha vissuto un momento bellissimo, che ha lasciato a bocca spalancata persino i più scettici.
Il ritorno nella trama della vita quotidiana dell’esperienza giubilare può ritrovare un suo momento forte nella rinnovata attenzione educativa e pastorale verso il mondo giovanile. La GMG ha rappresentato un confronto, speciale e imprevedibili, degli adulti, delle istituzioni educative e della Chiesa, prima di tutto, con i giovani.
Tradurre il Giubileo nella vita quotidiana comporta, di conseguenza, la fatica di mettersi alla scuola della GMG.
Tra le tante cose, voglio ricordarne due: la prima riguarda la "domanda" e la seconda la "risposta".

Chi sono i giovani
Tolte poche intelligenti eccezioni, i commenti che hanno accompagnato l’avvenimento, da qualsiasi sponda provenissero, giocavano a generalizzare. Il milione di giovani che ha invaso Roma e i due milioni che hanno partecipato alla veglia conclusiva, sono facilmente diventati "i giovani" del mondo, profondamente cambiati rispetto alle previsioni di questi ultimi anni, come diceva qualcuno, o la dimostrazione che le raccomandazioni diffuse da alcuni educatori e operatori pastorali avevano colto nel segno.
Qualche altro ha introdotto una distinzione radicale. I giovani di Roma sono i "papa-boys", quelli bravi e impegnati… Non sono tutti i giovani… perché ci sono tutti gli altri – i più – radicalmente diversi da questa fetta privilegiata di gioventù.
Ancora una volta, molti adulti si sono divertiti a catturare i giovani per darsi ragione. Non me la sento di condividere questi modelli interpretativi. E, di conseguenza, sono critico nei confronti di alcune terapie suggerite.
Alla radice del successo della GMG (quella di Roma e le precedenti), con un indice di progressione crescente, sta un profondo intenso bisogno di stare assieme, di incontrarsi, di scambiarsi frammenti di esperienza, desideri e progetti.
La nostra è una società capace di moltiplicare le occasioni di incontro e incapace di assicurare ad esse la reale forza di incontro. Siamo ormai alle soglie della situazione limite: oceaniche manifestazioni di massa dove la comunicazione reciproca è ridotta la minimo, fino a poter morire nella solitudine ai bordi di un prato dove migliaia di giovani cantano e danzano.
I giovani – molti giovani, almeno – non sono più in grado di sopportare questa situazione. Rispondono all’invito di chi li convoca e poi vogliono gestire in proprio quello che è proposto, per assicurare l’esperienza di un tessuto relazionale il più alto possibile. Per questo, rompono gli schemi e trasbordano negli orari previsti, per assicurare quello spazio di cui non possono più fare a meno.

Qualcuno capace di affascinare
Abbiamo tutti bisogno di consegnare la speranza verso il futuro a qualcuno di cui fidarsi tanto da affidare a lui le cose più inquietanti dell’esistenza.
Non ci bastano più le idee brillanti e le chiamate… alle armi nel nome di ideali forti. Troppe delusioni scottano ormai sulla propria pelle… Ci vuole un "personaggio", carico di fascino, capace di esprimere un sentiero di speranza.
La richiesta è comune e attraversa, con la stessa intensità, la ragione che ha spinto le centinaia di migliaia di giovani convenuti a Roma e coloro – in numeri più ridotti, per tante e diverse ragioni – che affollano concerti musicali e cose simili.
La somiglianza tra i primi e i secondi, però, è solo apparente… forse, meglio, è solo di livello.
Per molti giovani la soluzione provvisoria e apparente risulta sufficiente. Per questo corrono alla rincorsa di espressioni effimere e mutano riferimento con preoccupante facilità. Altri invece – e penso a molti dei giovani di Roma – non si accontentano più di qualcosa di esteriore, fragile, seducente e superficiale. Cercano qualcosa di più alto e impegnativo, perché hanno ormai sperimentato quanto il fondamento alla speranza sia cosa seria e impegnativa e non riescono più a rassegnarsi al fascino del primo venuto.
Questo qualcuno l’hanno trovato… in un Vecchio stanco e affaticato, che sa diventare imprevedibile e fantasioso oltre l’immaginabile, quando è a contatto con i giovani. Nessuno riesce a convincermi ancora sulla forza delle sue parole. Possono essere belle e sagge finché si vuole, ma non hanno la presa che invece si constata. Al contrario, è la sua persona la ragione di un entusiasmo che supera tempi e confini. Le sue parole rimbalzano affascinanti quando sono le meno formali possibili e potrebbero stare sulla bocca di tutti… tanto sono semplici e poco elaborate. Ma sono le "sue" parole… e questo basta a scatenare un entusiasmo incontenibile.
Ma c’è di più… molto di più… proprio quello che sfugge a troppi osservatori superficiali.
Il Papa mette la sua persona al centro, con una capacità formidabile… ma sempre e immediatamente rilancia su Gesù, l’unico che può saturare la sete di speranza e di futuro che brucia nell’esistenza dei giovani. Sembra dire: voi cercate speranza, vita, futuro… io vi assicuro che la troverete… fidatevi di me: io l’ho trovata in Gesù il Cristo… seguite lui, cercate lui, affidatevi a lui… e sarete nella vita.
Mi sembra interessante constatare, a questo proposito, il salto di qualità teologico che anima la sua parola. I discorsi sono tutti elaborati, in un tentativo, attento e colto, di non tralasciare nessuna dimensione della complessa verità cristiana. Gli applausi e i consensi scattano però quando tutto questo si concentra nella sintesi: Gesù, vita e speranza, responsabilità.

Le tappe di un itinerario di interiorizzazione

Come realizzare tutto questo?
I compiti che riguardano le informazioni da acquisire si risolvono facendo lavorare scienza e sapienza. Se le cose non sono conosciute, ci vuole qualcuno che le comunichi e le spieghi. Se sono già note, abbiamo bisogno di chi ce le ricordi e ce ne faccia cogliere il significato.
Esistono però informazioni che riguardano la vita, la sua qualità, la capacità di lasciarsi coinvolgere da esse. In questo caso, funziona molto meglio il confronto tra vissuti e lo scambio di esperienze.
La traduzione del Giubileo in qualità nuova di vita si colloca soprattutto nella seconda ipotesi. Per questo abbiamo la necessità di metterci in cammino, cercando la dolce compagnia di qualcuno che ha vissuto, prima di noi, la nostra avventura e si rende disponibile a condividere con noi il suo itinerario.
Il Vangelo ci offre una esperienza molto bella al riguardo: la storia dei due discepoli di Emmaus (Lc 24). In loro compagnia possiamo scoprire le tappe e le condizioni irrinunciabili di un cammino di interiorizzazione.

Dall’entusiasmo alla crisi

I due discepoli avevano abbandonato tutto per seguire Gesù. L’avevano fatto con un coraggio e una passione che ha lasciato a bocca aperta persino gli amici più intimi. Gesù li aveva conquistati e affascinati.
Poi i tempi cambiano. Arrestano Gesù, lo processano, lo condannano e l’uccidono. All’entusiasmo subentra la delusione. E’ tutto finito… l’unica soluzione è quella più deprimente: tornare alla vita di tutti i giorni. Pazienza… il sogno era stato bello… se è finito, è finito. Basta con le nostalgie. Si rimettono così in viaggio con il cuore pieno di nostalgia e con una faccia che trabocca tristezza da tutti i pori.
Anche questo è un modo di concludere l’esperienza affascinante del Giubileo. Non è quella che raccomando… anche se la tentazione di percorrerla può attraversare la vita di tanti noi. I due amici di Emmaus ci aiutano a prevedere rimedi seri e prospettive impegnative.

Una scuola speciale di preghiera

Lungo il viaggio di ritorno incontrano un forestiero. Si unisce ad essi e chiede le ragioni di tanta tristezza. Gliene danno, parlando della morte violenta di Gesù.
Il forestiero non la fa da maestro: non bastano parole intelligenti per spegnere la disperazione. Li aiuta a riflettere.
Le sue parole hanno una doppia funzione:
- Prima di tutto, aiutano i due discepoli, alla soglia della disperazione, a ripensare la loro esperienza, per cogliere tutto quello che stava dentro ad essa ma sfuggiva inesorabilmente perché avevano perso l’abitudine di leggere la realtà dal mistero che si porta dentro. Letta da quello che appare, l’avventura di Gesù poteva dirsi conclusa nel fallimento più nero e nella vittoria dei suoi nemici. Letta in profondità, diventava la vittoria dell’amore sulla violenza, del perdono sulla forza, della disponibilità a "marcire sotto terra" per diventare spiga turgida di vita.
- Nello stesso tempo, il forestiero aiuta i due discepoli a ripensare a quelle pagine della Scrittura che conoscevano bene, che avevano citato e pregato tante volte… ma che restavano astratte e lontane dalla vita concreta. Ricomprese sotto la provocazione di quello che avevano sperimentato, diventano illuminazione alla vita.
Sotto la guida accorta del forestiero, la vita fa domande ad un mistero più grande, e la fede, vissuta e pregata, è capace di dire qualcosa alla vita.
Hanno imparato a pregare, alla scuola del forestiero, mettendo in confronto, al livello profondo, vita quotidiana e Parola di Dio.
L’esito è la voglia di tornare a Gerusalemme… anche se poi ragioni di prudenza frenano la decisione. Le parole del forestiero avevano cambiato l’intelligenza dei due discepoli… ma il cuore era ancora prigioniero delle logiche esigenti del "buon senso".

Un pezzo di futuro nella trama del quotidiano

Giunti a casa, sollecitano il forestiero a fermarsi con loro. Si sarebbero rimessi in cammino all’indomani, alle prime luci dell’alba, loro per Gerusalemme, lui per il paese di destinazione.
Mentre consumano un poco di cena, il forestiero si manifesta. Spezza il pane e lo divide, benedice la coppa di vino e la fa girare… celebra l’eucaristia.
I loro occhi si aprono verso l’esperienza di Dio. Non solo lo riconoscono, mentre prima non aveva un volto e un nome. Superano tutte le difficoltà e si mettono in cammino verso Gerusalemme. Nulla più frena il loro entusiasmo. L’esperienza nuova li urge dentro, come una forza insperata che li spinge ad inondare il mondo di quello che avevano toccato, sperimentato, condiviso: per la vita e la speranza di tutti.

Il ritorno a Gerusalemme

Il confronto con la Parola ha illuminato la vita. La celebrazione dell’eucaristia la cambia e trasforma i due discepoli, disperati e paurosi, in persone nuove.
Tornano a Gerusalemme, la città da cui erano fuggiti per paura, la città che aveva ucciso Gesù. Pieni dello Spirito, la riempiono dei segni di novità. Basta una lettura del libro degli Atti per scoprire le cose meravigliose che i discepoli di Gesù hanno realizzato nella trama della loro esistenza concreta e quotidiana.
Per ritornare a Gerusalemme dopo l’esperienza giubilare, i discepoli hanno bisogno di pregare e celebrare. La preghiera e la celebrazione spalancano la vita cristiana verso un servizio nuovo e coraggioso per la vita di tutti.
Lo stretto collegamento tra celebrazione e vita quotidiana sollecita chi è tentato a leggere la propria esperienza solo dalla prospettiva del suo esito, quando asciugata ogni lacrima vivremo nei cieli nuovi e nella nuova terra, a misurarsi coraggiosamente con i gesti della necessità, nel tempo delle lacrime e della lotta. Nello stesso tempo, immerge nel futuro la nostra piena condivisione al tempo: in quel frammento del nostro tempo che è tutto dalla parte del dono insperato e inatteso. Dalla parte del futuro, il presente ritrova la sua verità, il protagonismo soggettivo accoglie un principio oggettivo di verificazione.
In questa discesa verso la sua verità, siamo sollecitati a restare uomini della libertà e della festa, anche quando siamo segnati dalla sofferenza, dalla lotta e dalla croce.
Ritornano così, rinnovate e più forti che mai, le urgenze che ci siamo dati, aprendo il Giubileo, per vivere in modo autentico l’esperienza giubilare.