Domenico Sigalini
(NPG 1991-01-39)
DALLA PARTE DELL'ANIMATORE
Il luogo in cui l'animatore più che in ogni altro dispiega la sua funzione è il gruppo. È una aggregazione di ragazzi, di giovani, di adulti che si caratterizza per quattro elementari coordinate: la struttura, la finalità, la dinamica e le relazioni. Spesso crede di avere a che fare con un gruppo, ma si trova davanti solo ad una accozzaglia di persone senza alcuna relazione positiva, che esprimono più le caratteristiche di una massa che l'affiatamento di un gruppo. È la situazione di tanti gruppi formativi o di catechesi che talvolta assomigliano a delle belle classette scolastiche o a delle compagnie spontanee da bar. In alcuni c'è difetto di relazioni, in altri manca la consapevolezza dell'obiettivo; spesso non si riesce a favorire l'assunzione di ruoli, altre volte invece non c'è un minimo di dinamica costruttiva.
Come aiutare le persone a stabilire l'armonia di tutte le coordinate?
Se in un gruppo c'è bisogno di favorire una maggior coscienza delle relazioni interpersonali per portarle ad un livello di positività, basta fare un predicozzo, magari supportato da frasi del Vangelo o da citazioni di profeti?
Per aiutare i ragazzi a chiarire l'obiettivo, il perché del loro incontrarsi, per far scattare energie di fronte ad una meta, l'unica strada possibile è solo quella di passare attraverso ricatti del tipo: «Se non ci state a quanto vi propongo, andate in qualche altro gruppo...»?
Un altro problema è quello spesso tragico del proporre dei contenuti. Finché si fanno interazioni, si riflette su quanto ciascuno vive, si analizza il proprio vissuto, si riesce a comunicare, è piacevole stare a parlarsi; ma quando si tratta di proporre dei contenuti, delle verità, degli approfondimenti, si deve per forza annoiare o si devono calare in termini «idraulici» tutti gli insegnamenti pur necessari?
Questi e altri problemi pongono l'animatore davanti all'uso di strumenti, tecniche di lavoro di gruppo, spesso chiamati anche giochi di interazione. Hanno del gioco infatti una componente di disponibilità al rischio, un po' di avventura che crea curiosità, l'incognita di una sperimentazione e la gioia di una nuova scoperta.
I quattro volumi «Giochi di interazione per adolescenti e giovani», insieme con il «Manuale» della Elle Di Ci 1991, sono una miniera di esercizi, di tecniche di vita di gruppo, di giochi di interazione. Farne cogliere in termini corretti il posto che essi hanno nella vita di gruppo non può essere compito di una veloce presentazione. Per questo rimandiamo a trattazioni apposite (cf ad esempio la collana, Animazione dei gruppi giovanili).
Qui si vuole solo incuriosire l'animatore e cominciare a fargli nascere l'idea che fare esercizi di animazione, usare questi volumi non è fatto semplicistico o secondario. La sensazione invece che si ha è di tutt'altro tono. «Sono risolti i problemi», direbbe l'animatore sprovveduto. «È finita la creatività», direbbe qualcun altro. «Abbiamo trovato il modo di giocare», potrebbero dire i giovani. Niente di tutto questo, anche perché pure i giochi potrebbero annoiare, pure le tecniche potrebbero complicare la conduzione della vita di gruppo, pure gli esercizi di interazione o di dinamica potrebbero fallire.
Val la pena allora di proporre qualche criterio d'uso di ogni tecnica e in particolare di queste.
Perché?
Per servire l'animazione
Nella vita di un gruppo formativo, non quindi terapeutico, la preoccupazione fondamentale dell'animatore deve essere sempre quella di far crescere le persone attraverso una educazione profonda dell'interiorità, una positiva socializzazione e un continuo rapporto con la cultura del proprio mondo. L'animazione è definita proprio a questo crocevia (cf M. Pollo, L'animazione culturale dei giovani, Elle Di Ci 1986).
Quando anche solo qualcuna di queste tre attività formative zoppica, non c'è vera animazione. È necessario allora che tutti gli interventi educativi siano aiutati da esercizi o tecniche perché si riporti al centro lo stile dell'animazione.
Lo stile è servito dalla maturità dell'animatore, dalla convergenza della volontà dei giovani o ragazzi, dal clima dell'ambiente, da tanti fattori, ma deve avere sempre attivo, responsabilizzato, consapevole, protagonista ogni membro del gruppo.
Se le tecniche servono a questo, sono sempre da utilizzare. Proprio perché l'animatore ha a cuore la voglia di vivere del ragazzo o del giovane, si dà da fare per farla esplodere in ogni atto formativo; proprio perché vuole che ciascuno si appassioni alla vita degli altri, è instancabile nel creare relazioni, nel favorire la comunicazione, nel canalizzare le energie verso un obiettivo comune.
Per far tutto questo spesso servono le tecniche.
Per favorire la comunicazione
Oggi, tra i giovani soprattutto, la comunicazione è tornata ad essere difficile. Si parla anche, ma si copre con un cumulo di parole il proprio volto, anche senza la minima intenzionalità di mascherare. Non si comunica se non dopo vari tentativi o dopo una lunga consuetudine. Tra i ragazzi spesso la comunicazione è formale, è fatta di cose che non dicono niente a nessuno e tanto meno a chi parla.
L'animatore è un mago della comunicazione, ma i maghi si devono attrezzare. Spesso un banale esercizio, caricato di motivi e di finalità, collocato in tempi e modi calibrati, riesce a favorire comunicazione profonda tra le persone.
A questo punto l'animazione è invitata a nozze.
Per stanare le energie necessarie
La conoscenza delle energie dei membri del gruppo passa attraverso una relazione positiva tra le persone. Molti gruppi non mantengono clima, né riescono a produrre, perché le persone si danno per scontate, si sono sempre viste e mai collocate in relazione seria, spesso si sono soltanto difese e non hanno mai messo a disposizione di tutti quello che sono. Servono pazienza e stimoli per far scattare voglia di conoscersi e di confrontarsi.
È evidente però che tutte le tecniche che si usano devono servire una progettualità definita e devono essere sottoposte a verifica costante. In questo senso non si usano esercizi o tecniche per alzare l'indice di gradimento, quando non si sa che cosa fare o manca la voglia di impegnarsi, quando le si propone in maniera dispersiva o per non affrontare mai il problema.
Per far crescere
Sinteticamente potremmo dire che questi esercizi favoriscono lo sviluppo della personalità, ne cambiano gli atteggiamenti, motivano le persone all'apprendimento, liberano spesso da inconsapevoli o coscienti meccanismi di difesa, permettono un rapporto corretto con l'animatore, aiutano a scambiare con tutti e a rischiare.
Sono i classici coefficienti di una crescita in gruppo.
Quando?
Gli esercizi per esempio sono necessari in alcuni momenti fondamentali in cui è importante più un linguaggio evocativo che razionale:
- quando si tratta di creare convergenza di interessi e chiarezza su una esperienza della vita. Non tutti sono motivati alla stessa maniera di fronte alla vita. Eppure spesso l'animatore scambia la voglia di stare assieme con l'intenzione di camminare verso la stessa direzione. È lavoro paziente di ricerca quello di far crescere un obiettivo comune;
- quando si deve scavare in termini coinvolgenti nel vissuto quotidiano. Esperienza educativa non è il fare, ma agire, riflettere sulle azioni e raccontare e lanciare messaggi attraverso ciò che si vive;
- quando si deve creare un campo di significati comune. Si parla spesso usando tutti la stessa parola, senza accorgersi che ciascuno le attribuisce un valore e un significato diversi. Allora non ci si intende più, non c'è un denominatore comune;
- quando si deve chiarire dove sta il problema o dove vuol giungere una proposta;
- quando si vuol arrivare alla risposta a domande profonde per le quali non solo occorre interrogare tutta la saggezza umana, ma saper cercare oltre nell'indicibile, in quella percezione di assoluto che sta in ciascuno e che non viene spontaneamente messa a disposizione di tutti se non in maniera del tutto formale.
Non guastano neanche esercizi che aiutano l'apprendimento, la codificazione dei messaggi o, soprattutto, la transcodificazione, cioè la capacità di riesprimere in altri linguaggi quanto è diventato conquista comune.
Come?
Esistono almeno tre elementi necessari che traducono una corretta modalità di utilizzo di tecniche.
La sicurezza dell'animatore
L'animatore deve essere convinto di quello che fa, caricarlo del suo entusiasmo e della sua forza convincente. Deve saper vincere le tipiche resistenze di chi non vuol essere coinvolto in prima persona e sta solo a parlare o a prendere appunti. Se l' animatore non dimostra sicurezza, fa mancare la forza di decidersi.
La sicurezza è fatta anche di preparazione degli strumenti necessari, di conoscenza possibilmente esperienziale della tecnica, di previsione delle principali reazioni o modalità con cui si può svolgere. È spesso necessario che l'animatore abbia di fatto già esperimentato sulla sua pelle, da partecipante, l'esercizio che propone, in maniera da poter fare riferimento a un suo vissuto, alle sue reazioni, alle sue difficoltà. È ridicolo l'animatore che propone un esercizio leggendo dal libro come la massaia quando tenta di realizzare una nuova ricetta di cucina. Talvolta questo capita anche nelle migliori «famiglie».
La sicurezza dell'animatore viene anche da un modo corretto di proporre gli esercizi. Essi esigono questa sequenza minimale:
- una conoscenza precisa dei destinatari; è frutto di una consuetudine appassionata;
- una presentazione che sa motivare e rassicurare di fronte ad ansia e eccessiva preoccupazione; questo è vero soprattutto con adulti, non abituati a interazioni coinvolgenti;
- una corretta esecuzione dell'esercizio o tecnica, secondo uno schema chiaro e accessibile a tutti; da qui l'importanza della chiarezza delle informazioni e della sicurezza della conoscenza;
- un serio approfondimento e scambio dei risultati ottenuti. Ma questo merita una considerazione apposita.
La verbalizzazione
Non sempre, ma spesso, l'esercizio è di feeling, corporeo o di interazione mimica o gestuale. Soprattutto in questi casi, ma anche negli altri, è necessaria la verbalizzazione, quel momento cioè in cui ciascuno, dopo aver riflettuto su ciò che ha fatto o vissuto, dice a tutti come si è sentito, come ha percepito gli altri, che cosa ha provato, quali reazioni ha dovuto controllare...
Un esercizio, soprattutto di dinamica, senza verbalizzazione, oltre che a bruciare grandi occasioni di crescita in un gioco-perditempo, può anche creare frustrazioni e disaffezione alla ricerca.
La finalizzazione
Ogni esercizio ha un suo obiettivo: questo deve essere inserito nell'obiettivo del gruppo, che a sua volta deve favorire lo svolgersi dell'itinerario di crescita.
L'animatore esperto può anche piegare gli esercizi ai suoi obiettivi, deve però trasformarli, adattarli, non prima di averli ben calibrati. Può diventare così creatore di nuovi strumenti.
Gli esercizi vanno sempre riscritti per i destinatari concreti, anche se è facile stravolgerli.
A questo riguardo bisogna mettersi in guardia da una mentalità molto diffusa che è questa: l'animatore ha de contenuti chiari, fin troppo talora, da proporre; non vuol fare prediche e allora inventa una serie di esercizi da usare come indovinello per far arrivare le persone a una meta che viene svelata solo alla fine. L'animazione di un gruppo non è una caccia al tesoro. Altro è il linguaggio o l'affrontare il problema cosí da scavare a fondo nella vita delle persone, altro è far morire una ricerca cosciente e responsabile o turlupinarle per stroncare la loro resistenza.
DALLA PARTE DEL GRUPPO
L'animatore ha fatto corsi di preparazione «eccezionali», ha sognato adolescenti da aiutare, se li è portati in cuore in ogni momento della sua preparazione, ha già attribuito loro pregi e difetti, li ha mentalmente collocati nei casi affrontati in «vitro». Finalmente entra in opera. Ora è investito ufficialmente della parte. Ma loro come lo prendono? Che cosa veramente vogliono? Perché gli spunta sempre in bocca quel «boh!?» intraducibile ma preciso e ripetuto dalla Svezia alla Sicilia, con pronunce piú o meno equivalenti? Che bisogni e interessi hanno? Che proposte riescono a cogliere?
Si snoda tutta la gamma di giochi di interazione che partono da una lettura appassionata della loro vita e con quel tanto di oggettività che è possibile attribuirvi per le caratteristiche evolutive degli uomini più o meno marcate a seconda delle latitudini e delle culture.
Dove mi colloco? Dove sono capitato? L'adolescente si appassiona ed entusiasma quando qualcuno lo aiuta a capire che cosa gli capita. Si direbbe che va al gruppo apposta.
Esistono dei dati oggettivi esterni alla sua vita, ai suoi stessi bisogni immediati che gli interessano.
Il primo volume aiuta soprattutto questa collocazione e ha un grande pregio: mette a disposizione alcuni giochi di interazione esplicitamente per i lavoratori. Potrebbe suonare come invito esplicito alla comunità per interessarsi esplicitamente degli adolescenti lavoratori.
Purtroppo in questi anni la vita di gruppo è stata scritta e aiutata a caratterizzarsi solo per studenti. Occorrerà però fare attenzione a non renderli ancora una volta impraticabili soprattutto nella verbalizzazione. Lo stesso mondo scolastico va fatto risuonare nella vita di gruppo. Talora i nostri gruppi, pure di studenti, prescindono sempre dall'ambiente scuola nelle varie tappe educative.
Il mondo dei valori è ancora un allargare la visione nell'adolescente e metterlo a confronto con il mondo che lo precede e lo plasma.
Il secondo volume si preoccupa maggiormente dell'interiorità, delle risonanze personali e soprattutto della iniziale capacità di sintesi.
L'identità è il punto di arrivo di un lungo cammino percorso su sentieri di guerra, eternamente più avanti di quanto si vive. È importante però fissare almeno la direzione del cammino.
A questo servono le proprie capacità e pregi, come energie indispensabili per colmare le lacune lasciate dalle domande della vita.
Il terzo volume affronta con coraggio un'altra area importante della vita dell 'adolescente: l'affettività.
Inizia con il distacco dai genitori, che in questi anni è sempre più difficile per una certa comodità degli adolescenti e una incapacità di maturare dei genitori.
Si dilata nell'esperienza dell'amicizia in cui l'adolescente sperimenta ricerca, egoismo, dialogo e capacità di dono.
Diventa ancora più concreto quando si vuol educare la sessualità ad essere espressione alta di affettività, di relazione positiva. Molti animatori trascurano o trovano scomodo tale tema, ma bisogna affrontarlo seriamente. Avere alcuni giochi di interazione calibrati non guasta.
Infine, il quarto volume spinge l'adolescente a programmare la sua vita. La progettualità non abita proprio di casa nella vita dell'adolescente, più attento e disperso nei particolari, se non forse per una crescente interiorità che lentamente crea sintesi di tutto.
Deve imparare da solo a valutare, affrontare e risolvere i problemi della sua vita, diventare indipendente.
Spesso purtroppo l'animatore crea legami, invischia e chiude in seni materni caldi e confortanti.
E infine si può proporre all'adolescente di ritenere necessari gli altri per la propria crescita, non solo perché scambia amicizia, dà e riceve gioia di stare assieme, ma anche perché sa collaborare, partecipare, costruire novità e gioia per tutti.
I quattro volumi si mettono a disposizione di un itinerario ideale, ma sono solo e soprattutto esercizi. Esigono quindi di essere incastonati con criterio in veri e liberi itinerari formativi, dove contenuti e proposte necessarie vengono a costituire la struttura portante del cammino di crescita.