cf "Ritratto di un giovane cristiano"
La nostra vita è piena di interrogativi. Ce li sentiamo rimbalzare dentro, appena ci mettiamo un po' a pensare. Molti sono solo nostri. Attraversano la nostra esistenza nelle sue pieghe più intime; li sentiamo come un frammento inquietante di un modo di esistere che siamo noi.
Altri, invece, li condividiamo in un giro di amici che raccoglie ormai tantissima gente.
In questi casi, ci capita spesso di utilizzare persino parole di altri. Ci viene spontaneo costatare, con crescente stupore, che certe espressioni sembrano fatte apposta per dire quanto ci portiamo dentro. A molti di questi interrogativi sappiamo dare risposta. Basta mettersi un po' a pensare o prendere il coraggio a due mani, per sostituire i fatti alle parole.
Ci sono delle domande, invece, che restano brucianti e inquietanti, anche quando ci sembra di aver trovato le risposte giuste. Arriviamo persino a scoprire che la domanda si fa più intensa, man mano che sperimentiamo le possibili risposte. Ogni tanto ci spunta il dubbio che la domanda sia così, proprio perché è un pezzo di noi: siamo noi la domanda, anche quando la diciamo con parole fredde ed elaborate.
La storia che sto per raccontare è incominciata da una di queste domande.
La formulo con le mie espressioni. Non le voglio imporre a nessuno. Ho l'impressione però che tanti, oggi, siano inquietati da questi interrogativi, anche se usano parole diverse per indicarli.
O Dio, tu chi sei? E io, chi sono?
Sono interrogativi impegnativi perché c'è sempre sottintesa una formuletta, che serve quasi da firma in bianco: Dio, chi sei tu per me? E io, chi sono per te?
Pensandoci, in un gioco di esistenze che si lasciano interpellare, mi sono accorto che il problema non è se Dio esiste o non esiste. L'interrogativo è vecchio come il mondo e ormai conosciamo tutte le vie di soluzione. Ci interessa però poco. Non ci serve costatare la presenza o l'assenza di qualcuno che sta lontano, impassibile, a contemplare le cose fuori dalla mischia dei conflitti.
Mi chiedo invece chi è Dio, quando i giornali mi riferiscono di notizie terribili, che non dipendono proprio da nessuna cattiva volontà. Mi dico: Chi sei? Dove è finito tutto il tuo amore, se tanti innocenti piangono e non sanno nemmeno contro chi imprecare?
Me lo chiedo quando decido di prendere tra le mani la mia esistenza, trascinato come sono tra sogni felici e tristi realtà. Chi sono io, strano e indecifrabile come mi scopro? C'è un nesso tra quest'uomo e Dio?
La domanda risuona, solenne e inquietante, quando mi interrogo sul futuro della mia speranza e della nostra storia. E quando ammiro angosciato gli uomini spariti nel nulla, sotto il piede cattivo e ingiusto di altri uomini.
Ho scoperto, sulla mia pelle, che le due domande sono profondamente collegate. Non so quale della due venga prima, in concreto. Ma ho capito di non poterle più affrontare come se fossero due realtà distinte.
E ho scoperto quanto queste due domande abbiano il sapore forte dell'attesa. Mi interrogo sul mistero di Dio e sul mistero che sono, perché non mi basto più e guardo al futuro con trepidazione crescente.
Una volta, le cose non andavano in questo senso. Avevamo utopie da vendere e speranze forti per cui giocare la vita. I profeti non mancavano. Ed era solo questione di saper scegliere.
Oggi invece siamo sprofondati in un lungo e inquietante silenzio, pieno di nulla. Anche il profeta e il sacerdote, come minaccia la Bibbia, non sanno più che pesci pigliare (Ger 14, 18).