Vito Orlando
(NPG 2000-03-06)
In verità sarebbe stato più esatto intitolare questa riflessione «giovani di fine secolo». Più che aprire finestre sul nuovo, infatti, essa si soffermerà soprattutto su ciò che si eredita dal secolo appena trascorso, anche se di esso i giovani ne hanno vissuto solo l’ultimo frammento. Il nostro riferimento è alla «realtà», o piuttosto alla «generazione», o meglio alla «condizione» o, ancor più, al «mondo», insomma… ai giovani: quanta difficoltà, oggi, nel selezionare una categoria concettuale e individuare soggetti precisi a cui riferirsi. Ovviamente non si tratta solo di una questione di termini, perché dietro ciascuno di essi vi è un prospettiva diversa di approccio e quindi di interpretazione.
Cominciamo pertanto con l’accettare di rifugiarci in una convenzionale identificazione sociologica ereditata dal vecchio secolo e che porta a estendere da 15 a 25/30 anni la fascia di età a cui si estendono comunemente le analisi del mondo giovanile.
Il problema non è tanto quello di delimitare i confini anagrafici del concetto di gioventù, diventati piuttosto labili e tendenti a dilatarsi, quanto di illudersi di poter dire qualcosa di sensato che si possa riferire a una fascia di età così estesa. La velocità del cambiamento, con tutto quello che comporta, rende ormai impensabile l’uso di categorie interpretative applicabili a una così larga fascia di età.
Un primo compito che gli scienziati sociali e, in genere, gli esperti in scienze umane dovranno affrontare, anche nell’immediato futuro, è quello di rivedere gli approcci, le categorie interpretative e i riferimenti anagrafici per definire meglio i soggetti di analisi.
Per quel che riguarda la mia condizione attuale, come educatore avrei preferito entrare nel nuovo millennio con maggiore consapevolezza dei compiti, a partire da una migliore comprensione dei giovani, come sociologo non posso rassegnarmi a vedermi sfuggire di mano una realtà che nessuna categoria riesce ormai a rappresentarmi adeguatamente. Facendo interagire le due esigenze non posso non riconoscere, in questo inizio di millennio, una accresciuta esigenza di attenzione di conoscenza e una rinnovata capacità di accompagnamento educativo lungo un cammino non privo di incertezze ma anche di sorprendenti novità.
CIÒ CHE EREDITIAMO
Che cosa ci viene consegnato dalle ricerche di fine anni Novanta? Quale immagine i giovani danno di se stessi? E gli adulti, studiosi e non, che idea si sono fatta dei giovani?
Senza alcuna pretesa di fare un resoconto puntuale di risultati di ricerca e di opinioni sui giovani, vorrei richiamare due orientamenti fondamentali, che non sono in contrapposizione tra loro, ma che consentono di acquisire elementi significativi di sintesi di conoscenza. Forse più che due orientamenti dovrei parlare di due raggruppamenti tematici di risultati di ricerche che evidenziano attenzioni specifiche e quindi prospettive diverse di lettura.
Soggettività discontinua e contraddittoria
Quando oggi è possibile parlare di giovani? Quando si può dire che un giovane ha lasciato dietro le spalle l’adolescenza ed è entrato nel mondo degli adulti? È identificabile una fascia di età da far rientrare in questa denominazione?
Non è solo un problema che riguarda i giovani. A livello sociale si sta assistendo ad una mutazione del concetto di gioventù che fa intravedere i confini anagrafici sempre più labili e dilatati. Vi sono dimensioni della vita urbana che, all’insegna dell’informale della moda, per esempio, accomunano quindicenni e quarantacinquenni, padri e figli che condividono simboli e stili di vita, modi di essere, di pensare e di viaggiare alla ricerca di comfort e di funzionalità. Si parla, a questo proposito, di «gioventù espansa», una realtà che supera i confini e non riconosce bandiere, trasversale nei consumi, informale e trasformista, ma anche omologata e coatta.[1]
Una situazione in cui gli stessi giovani stanno piuttosto comodi, a cui hanno imparato ad adattarsi senza rinunciare alle opportunità che si presentano. Situazione in cui però accumulano incertezza perché non è facile capire dove si sta andando e si incontrano troppe situazioni in cui non è facile scegliere. Una incertezza, quindi, che viene dalla pluralità delle opzioni potenzialmente disponibili e dalla difficoltà di valorizzare propensioni e capacità personali.[2]
Questa situazione di incertezza si rivela come atteggiamento consolidato anche in riferimento ad altre scelte.
Desiderio di autonomia e nuove dipendenze sono due elementi in contraddizione nell’esperienza giovanile attuale. Con l’avanzare dell’età cresce sempre più il desiderio di autonomia e indipendenza affettiva ed economica dei giovani, ma è anche sconcertante il dato che evidenzia il numero dei giovani che restano ancora nella famiglia di origine intorno ai 30 anni: il 41,1%. È il dato che pone ai primi posti l’Italia nel fenomeno della cosiddetta famiglia lunga. Il motivo immediato è certamente la mancanza di lavoro, la difficoltà della casa, ecc. Ma non è solo questo, perché il fenomeno non è solo dovuto alla necessità. Si tratta molte volte di scelte di vita, forse anche calcolate, che fanno prolungare la permanenza sulla soglia dell’età adulta, perché diventare adulti significa assumere responsabilità, rinunciare ai comodi della casa paterna, accollarsi impegni e farsi carico di altri, ecc. Prevale l’individualismo, si è ripiegati sul privato, centrati sulla propria soggettività che trova spazio di realizzazione nel lavoro e negli affetti, ma che imprigiona e impedisce di compiere il salto generazionale, di assumere ruolo e responsabilità di adulti. La situazione attuale dei giovani, pertanto, è certamente condizionata dalla realtà socioculturale e da un insieme di limiti, di incertezze per il futuro, di sfiducia nelle istituzioni e nella società in generale, ma tutto questo invece di provocare tensioni al cambiamento, proteste e intraprendenza anche in ambito sociale, spinge a trovare soluzioni individuali, a ripiegarsi su se stessi e trovare rifugio nel «nido domestico» che si caratterizza sempre più per la sua tolleranza, la libertà di manovra, una sufficiente autonomia, un complice atteggiamento dei genitori per non rischiare di perdere qualcosa che gli appartiene.
L’attenzione a questi atteggiamenti ha fatto dire a qualcuno che siamo di fronte ad una generazione che non vuole crescere; che indugia sui campi della giovinezza, forse perché ha paura ad entrare nella cosiddetta vita e ama sostare davanti a una soglia che forse non si aprirà mai. Tutto questo viene collegato all’incertezza sulla propria identità: si chiedono sempre quale sia il loro io e non lo identificano in un carattere stabilito, ma in un complesso quasi inesauribile di possibilità.[3]
In effetti, spesso appare contraddittoria l’immagine che gli stessi adolescenti hanno di sé. Vivono infatti accarezzando sogni, ma riescono a farli diventare progetti più nel mondo virtuale che in quello reale.
Ma è anche vero che la situazione si presenta, per la maggioranza degli adolescenti, in modo diverso sia in riferimento alla consapevolezza della propria identità che alla relazione con i genitori. Appare diffusa la difficoltà di assumere la responsabilità della propria crescita, ma questa cambia a seconda delle condizioni di vita e delle relazioni familiari. I processi di formazione della propria identità possono essere sollecitati da condizioni di vita in cui viene richiesta una maggiore corresponsabilità e in cui le relazioni tra genitori e figli non siano troppo cameratesche. L’inquinamento delle relazioni può indebolire la proposta educativa, e l’eccessiva tolleranza senza un minimo di fermezza riduce l’intraprendenza. Questo significa, in effetti, offrire nel processo di crescita punti fermi che sono efficaci per gli orientamenti degli adolescenti. Oltre a tutto questo, nell’ultima ricerca COSPES è apparso anche molto evidente che il modo di vivere il tempo libero è un segno rivelatore del modo di gestire e di pensare la vita e, a seconda delle concezioni, nell’uso del tempo libero si possono consolidare scelte e valori di fondo della vita.[4]
Il «pluriverso» dei giovani
Le prospettive di attenzione e di conoscenza della realtà dei giovani possono essere, in realtà, diverse e ciascuna legittimamente evidenzia aspetti, caratteristiche, tratti identificanti che aiutano a comporre le tessere di un mosaico che hanno comunque difficoltà a far emergere lineamenti precisi.
Si può guardare ai giovani partendo dal contesto e dalla realtà sociale globale. Nell’attuale società complessa, è diventato ormai un luogo comune parlare del mondo giovanile come di realtà complessa e differenziata, in cui emerge sempre più chiaramente la radicale individualità di ogni vissuto. Anche quando si pensa di poter evidenziare tratti caratterizzanti, si parla comunque non di «universo» ma di «pluriverso» giovanile, perché le caratteristiche di gruppi particolari di giovani non possono divenire teoriche generalizzazioni. Bisogna riconoscere l’esistenza di una varietà di «mondi giovanili» e cercare di individuare le caratteristiche che ne evidenziano le differenze. Certamente il pensare ai contesti sociali e ambientali, alle relazioni e ai processi sociali, alle esperienze e alle possibilità di vita, ecc. dei giovani non può che dare ragione a chi pensa a «mondi giovanili» diversi.
È molto stimolante a questo riguardo il lavoro di analisi della realtà giovanile fatta dal sociologo Pierpaolo Donati alla fine degli anni Novanta.[5] Per le sue prospettive di interpretazione ha bisogno di recuperare due concetti importanti a livello scientifico, scalzando due pregiudizi. Ciò che veramente interessa è comprendere quello che genera la differenziazione socioculturale tra i gruppi giovanili, per evitare di giungere a definizioni monodimensionali prive di reale fondamento. Si richiede inoltre un nuovo modo di descrivere l’essere giovani, un nuovo concetto di generazione. Per questo occorre ricollocare anzitutto i giovani all’interno delle reti sociali che costituiscono il loro mondo di relazioni quotidiane per vedere come, a partire da queste relazioni, si svolge la loro vita, fanno le loro scelte, orientano i loro atteggiamenti, danno consistenza ai loro comportamenti. La realtà giovanile, quindi, va interpretata come l’insieme dei processi di crescita che si sviluppano a partire dalle relazioni tra mondi giovanili, mondi degli adulti e dei coetanei. In questo modo la stessa giovinezza va vista come relazione sociale generata dalle relazioni alle altre generazioni. L’attenzione, pertanto, deve andare alla capacità e qualità generativa di queste relazioni; se cioè aiutano i giovani a crescere, a maturare, a diventare adulti. Questo significherà per i giovani sentirsi generati; mentre sentirsi capaci di generare vorrà dire capaci di progettare e realizzare il proprio futuro in collaborazione con le altre generazioni. In un contesto sociale non più omogeneo, le relazioni giovani-adulti non sono automaticamente generative.
«Il pluriverso giovanile in termini generazionali significa saper cogliere le relazioni di generatività tra il mondo degli adulti e quello dei loro figli. Significa inoltre rimettere al centro dell’attenzione il tema di un nuovo patto generazionale, cioè di un insieme reciproco di diritti e doveri su cui costruire il futuro dei giovani e correlativamente anche quello degli adulti. Un nuovo patto tra generazioni può essere ristabilito soltanto dopo aver compreso in che tipo di ambiente socioculturale vivono oggi i giovani e quali siano i problemi che da esso emergono».[6]
Nella società attuale, il giovane, nelle sue scelte di vita, deve arrangiarsi secondo la logica del «fai da te», senza poter contare sul ruolo propositivo e di guida degli adulti. Non pochi adulti, infatti, hanno maturato la convinzione, o almeno scelto l’atteggiamento, di non dover consegnare ai giovani una società in cui non esiste un’etica condivisa, di non dover proporre valori e ideali comuni perché ciascuno deve essere libero di scegliere come meglio crede.
Questo è il punto di arrivo di una generazione di adulti che, avendo vissuto l’ubriacatura radicale e l’annullamento di ogni riferimento ideologico, vive attualmente un’estrema incertezza su di sé e rinuncia alle sue responsabilità nei confronti delle nuove generazioni. Consegnata ai giovani come espressione della massima libertà e autonomia, questa regola, in verità, li fa sentire un po’ smarriti, disorientati, come in un supermercato. Questa situazione ha fatto concludere al sociologo Donati, al termine della ricerca Giovani e generazioni, che il mondo giovanile attuale per un terzo è orientato positivamente: coloro che per appartenenza religiosa, per esperienza di gruppo, per offerte progettuali, per relazioni propositive e stimolanti, ecc. sanno collocarsi nel tempo e riconoscono di avere un passato e di potersi aprire a un futuro; sono i giovani che si danno ragione per un impegno per gli altri, che si aprono alla solidarietà, che non sfuggono impegni e responsabilità. Gli altri, secondo Donati, sono piuttosto disorientati perché non trovano adulti che si propongano in modo significativo, non trovano spazi in cui sperimentare relazioni che aprano alla solidarietà, si trovano insomma in un deserto educativo che non può certo facilitare le scelte che possano condurli a maturazione; non pochi vivono senza alcuna capacità di annodare il passato al futuro ed esauriscono la loro esperienza in un presente che accresce incertezze e disagi.
VERSO DOVE ANDIAMO?
Siamo intanto nel nuovo millennio e dobbiamo imparare a guardare con occhi nuovi la stessa realtà giovanile. Potremmo correre il rischio di rimanere attardati nella ricerca di categorie interpretative non del tutto in grado di illuminarci sulle situazioni nuove della vita dei giovani. Bisogna invece imparare a tematizzare queste nuove realtà a livello di attenzione, di conoscenza e di strategia di azione. Voglio richiamare brevemente l’attenzione su due aspetti della novità del mondo adolescenziale e giovanile, che ritengo importanti per comprendere meglio la loro realtà attuale e per cercare la prospettiva giusta di conoscenza e di intervento.
La generazione elettronica
Non possiamo trascurare il fatto che i giovani di oggi sono venuti su manovrando telecomandi, maneggiando video e televideo, cassette e cd-rom, appassionandosi ai videogiochi, accanendosi intorno a un computer, avventurandosi nella navigazione in rete alla scoperta di incantati mondi virtuali, con la voglia di intessere nuove relazioni… Divenuti esperti utilizzatori del telematico e del multimediale, hanno trovato nuovi spazi di esperienza, nuove fonti di conoscenza, motivi diversi di interesse, nuove soddisfazioni, nuove mete e accarezzato progetti che si collocano in orizzonti diversi.
Vi è ora un’identità dell’internauta tutta da scoprire sia per le sue caratteristiche specifiche sia in riferimento agli influssi condizionanti che possono verificarsi. Da una parte il navigatore è stimolato a diventare protagonista, a sviluppare capacità interattiva e relazionale, anche se tutto questo si gioca nel virtuale. Intanto maturano capacità di uso della nuova tecnologia, padronanza del linguaggio multimediale, che diventano sempre più anche nuove professionalità messe a disposizione dei nuovi bisogni di comunicazione, di amministrazione, di mercato, di processi produttivi, ecc.
Se teniamo conto che tutto questo, pur in forme diverse, è riferibile a ragazzi, adolescenti, giovani, gli interrogativi che ne nascono sono tanti e di diversa natura. Come distinguere le generazioni a partire da Internet? Come valutare le relazioni tra le generazioni? Quale tipo di generazionalità Internet è capace di produrre?
E gli interrogativi non si pongono solo in questa prospettiva. Il computer e Internet si diffondono sempre più ma restano ancora strumenti di una élite ristretta. Il loro uso diventa il nuovo fattore di differenziazione anche tra i coetanei, come è stato verificato che lo è a livello di rapporti tra fasce sociali e interi popoli? Vi sono cioè nuove aggregazioni che prendono consistenza a partire dalla rete?
Tutte queste realtà costituiscono il presente dei giovani che va analizzato per poter valutare meglio l’apporto e l’incidenza della nuova tecnologia e degli strumenti a disposizione sull’identità degli adolescenti e dei giovani, per capire meglio come l’attuale esperienza di vita e di relazioni acquisti caratteristiche specifiche; per verificare, insieme, quali novità si potranno sperimentare e verso quale futuro stiano andando i giovani.
La «globalizzazione» giovanile
Un altro elemento va preso in considerazione e questa volta partendo dalla prospettiva delle nuove connotazioni della realtà sociale, culturale ed economica. La generazione elettronica vive una dimensione temporale, spaziale e relazionale che la colloca nel processo di globalizzazione. L’universo/pluriverso giovanile ha il suo spazio naturale nel villaggio globale. I giovani possono anche vivere in aree geografiche lontane ma si moltiplicano le affinità; le manifestazioni e i nuovi aeropaghi dei giovani hanno connotazioni sopranazionali. Tutto questo si può riscontrare facilmente nella musica, nella moda, nello sport e anche nella festa, nelle aggregazioni e nel volontariato. Le grandi feste giovanili sono forti messaggi di una vita che non si arrende, che cerca riferimenti, che sa ritrovarsi attorno a qualcosa, qualcuno. Il volontariato internazionale è una via giovanile per globalizzare la solidarietà. La contestazione alle caratteristiche che sta assumendo la globalizzazione dei mercati fa intravedere la consapevolezza dei rischi a cui va incontro il mondo globalizzato.
Si tratta di cogliere tanti piccoli germi, presenti sia in senso positivo che negativo, nei nuovi aeropaghi giovanili aperti alla globalità; di essere più attenti ai motivi di contestazione di questi nuovi orizzonti di vita per salvaguardare i diritti umani e civili dei singoli e dei popoli, per aiutarli ad essere protagonisti nella realizzazione di una convivenza umana più giusta.
Concludendo
Ho solo indicato due prospettive di attenzione per la conoscenza e la comprensione dei giovani del nuovo millennio. Queste prospettive meritano un più puntuale approfondimento delle caratteristiche di ciascuna, delle loro implicanze e anche di quello che offrono come spazi nuovi in cui incontrare i giovani, riconoscere i loro interessi, percepire i loro bisogni, ricongiungersi alle loro sensibilità. Queste due prospettive vanno tenute insieme e vanno fatte interagire per una conoscenza che non voglia arrestarsi ad ambiti non più sufficienti a rivelare a pieno la realtà giovanile e a consentire di essere più propositivi nelle offerte.
NOTE
[1] Cf Giancola A., La moda nel consumo giovanile. Strategie &Immaginari di fine millennio, Franco Angeli, Milano 1999.
[2] Cf C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, Giovani verso il duemila. Quarto Rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, Il Mulino 1997.
[3] Il 2 agosto 1999 apparve, su La Repubblica p. 17, un articolo di Pietro Citati, Questa generazione che non vuol crescere mai. In esso si presentava con una dovizia di riferimenti e con linguaggio provocante notevoli provocazioni sulla realtà giovanile, tanto da suscitare altri interventi.
[4] Cf Tonolo G., Adolescenza e identità, Bologna, Il Mulino 1999.
[5] Cf Donati P., Colozzi I., Giovani e generazioni. Quando si cresce in una società eticamente neutra, Bologna, Il Mulino 1997; Donati P., Prandini R., Giovani e cambiamenti generazionali, LDC, Torino 1999.
[6] Donati P., Prandini R., Giovani e cambiamenti generazionali, LDC, Torino 1999, 145-146.