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    Il ruolo di padre



    Dizionario dell'animazione /4

    Mario Pollo

    (NPG 1986-02-46)


    Esiste ancora il padre nella società contemporanea, almeno in quella che si fregia pomposamente del nome di «società postindustriale aut post-moderna»?
    Oppure, al contrario, il suo ruolo si è frantumato e disperso al pari di tanti altri ruoli tradizionali?
    Esiste ancora il padre custode e depositano del canone culturale, delle leggi e degli ordinamenti, il padre trasmettitore dei beni più alti della civiltà?
    Esiste ancora, oppure è divenuto solo un affettuoso o indifferente o iroso adulto che si accompagna ai propri figli?
    Wittgenstein sosteneva che quando un problema si può formulare esiste la possibilità di trovarne la risposta.
    Tuttavia la risposta non è facile, stante anche le banalizzazioni a cui questo problema, a livello sociologico, è stato sottoposto.
    Come si può allora formulare un tentativo di risposta non banale?
    Forse facendo ricorso a categorie che riguardano la dimensione profonda della personalità umana, che sono tra l'altro abbastanza indipendenti dalle mutazioni del costume culturale nella società.

    IL RUOLO DEL PADRE NELLA COSTRUZIONE DELLA CULTURA

    Il padre, sin dall'alba della civiltà e quindi della storia, ha sempre rappresentato in modo concreto l'insieme delle leggi, degli ordinamenti, oltre che l'essere il responsabile del processo educativo che assicurava al giovane l'appartenenza ad una data cultura e società. La madre, invece, ha sempre amministrato i valori più alti, cioè più profondi, del miracolo della vita umana e della natura in generale.
    Si può dire che il mondo dei padri è quello della storia, ed è relativo al livello evolutivo della coscienza raggiunto da un particolare gruppo sociale. I valori quindi che il padre trasmette, riguardano la vita storica che il figlio dovrà compiere all'interno del gruppo sociale al quale appartiene.
    I valori che la madre trasmette, invece, sono relativi alle dimensioni esistenziali più profonde, e prescindono dalla storia e dalla cultura locale. Sono quelli connessi ai sentimenti più profondi dell'uomo e al senso della sua vita. Ad esempio, sono tipici del mondo materno i valori connessi al ciclo della natura: alla morte e alla nascita, all'amore e alla sessualità, alla trasformazione evolutiva o a quella regressiva della vita. Le nonne, le leggi, i tabù, le prescrizioni morali, gli stili e i modi di vita appartengono, per contro, al mondo paterno.
    I padri, da questo punto di vista, sono il supporto di ogni istituzione e presiedono di conseguenza all'educazione di tutti i membri del gruppo sociale, stabilendo anche il momento in cui questi sono diventati adulti.
    L'educazione, intesa come abilitazione a partecipare alla vita sociale e alla assimilazione della cultura, ricade sotto la responsabilità del ruolo paterno.
    Queste affermazioni, anche se oggi sono particolarmente evidenti grazie ai contributi della psicologia del profondo e della antropologia culturale, riposano su antichissime tradizioni, e sono manifeste nelle narrazioni di antichi miti e testi sacri. Non sono cioè il frutto di una arbitraria e maschilista divisione di ruoli tra maschile e femminile.
    Tutto questo significa anche che il padre è il garante della conquista della coscienza, dell'autonomia e della libertà da parte dei figli.

    Il padre terribile contro l'emancipazione del figlio

    Ora, in una società come la nostra in cui i ruoli maschile e femminile tendono a uniformarsi, per molti versi addirittura a confondersi, parlare di padre nei termini che ho descritto può apparire addirittura anacronistico.
    Tuttavia è necessario che si tenti di individuare come questo ruolo venga effettivamente svolto, perché esso è ineliminabile per il mantenimento e l'evoluzione di una società civile e matura.
    Prima di proseguire è necessaria però una precisazione: quando si parla in senso positivo del ruolo paterno, lo si fa sempre in riferimento a quella particolare figura paterna che è il padre buono. Allo stesso modo si fa riferimento per la madre alla madre buona. Esistono infatti, anteriori alle figure del padre e della madre buoni, le figure della madre e del padre terribili.
    Il padre terribile, almeno nella tradizione mitica, è l'alleato delle forze primordiali, emotive, inconsce della natura umana, e si oppone alla conquista della coscienza da parte del figlio. È il padre al servizio della primordiale madre terribile che contrasta ogni tentativo di emancipazione da parte dei figli
    La madre cattiva è la figura che ben rappresenta quello stato arcaico della condizione umana in cui la libertà e la coscienza non erano ancora conquistate, e gli uomini vivevano prigionieri di una simbiosi, dipendente e paurosa, con la natura e il gruppo sociale.
    Anche se il padre terribile è storicamente morto, alcuni suoi tratti continuano ad esistere all'interno degli strati più profondi della psiche degli uomini contemporanei. Infatti, in situazioni particolari patologiche, essi vengono alla luce con risultati distruttivi per la salute psichica e fisica dei figli.
    La figura del padre è aperta, come risulta da questo breve accenno, ad una possibile regressione; e quindi, per essere un fattore educativo nella formazione della coscienza e nella acquisizione della cultura e delle norme sociali, deve mantenersi strettamente all'interno dei canoni del padre buono.

    Il padre buono e la crescita della coscienza e dell'autonomia

    Il padre buono, a differenza di quanto molti pensano, non è il padre permissivo o solo tenero, ma il padre che non rinuncia al rigore nel trasmettere la cultura e i valori etici, perché ha a cuore, fondamentalmente, l'ottenimento da parte del figlio della capacità di vivere in modo autonomo all'interno della società.
    L'aggettivo «buono» non riguarda quindi la maggiore o minore severità del padre, ma bensì il fatto che l'azione del padre è orientata alla emancipazione e, quindi, alla evoluzione della coscienza del figlio.
    Da questo punto di vista il padre permissivo non è assolutamente un padre buono, in quanto rinunciando al proprio ruolo non pone il figlio in condizione di maturare una corretta integrazione nella vita sociale e di acquisire una personalità forte e cosciente. Allo stesso modo, un padre autoritario non favorisce lo sviluppo del figlio e non può essere ritenuto, come il padre permissivo, pienamente un padre buono. Tuttavia essi non appartengono alla tipologia del mitico padre cattivo che possiede ben altri tratti terrificanti e distruttivi.
    Il padre buono, per concludere questa digressione, è un padre assai rigoroso che sa abbinare la severità all'amore e al dialogo. È una figura complessa in cui però rimane fondamentale il fatto che egli è il depositario del canone culturale, dei valori etici, delle leggi, delle prescrizioni oltre che del cielo.

    Il padre e il cielo

    Nel dire che il padre è il depositano del cielo ho voluto introdurre, anche se un po' bruscamente, una ulteriore considerazione sul suo ruolo all'interno della dinamica della civiltà che è rappresentata dall'educazione.
    Dalla tradizione più antica al padre, oltre alle funzioni appena descritte, è associata quella di garante dei valori e delle forme culturali più astratte e spirituali, nel senso trascendente rispetto alla vita mondana. In altre parole, il padre è il depositario dell'apertura al cielo della vita umana. Anche la madre esprime una sua specifica spiritualità, essa però è più naturale, più legata alla vita biologica umana, ai valori profondi della psiche. Si potrebbe dire, anche se le schematizzazioni sono sempre riduttive, che la spiritualità materna è fondamentalmente di ordine psichico, mentre quella paterna di ordine totalmente trascendente.
    È chiaro che nella persona equilibrata l'influenza materna e quella paterna si equilibrano dando vita ad una spiritualità piena, non astratta ma saldata nell'armonia della persona con se stessa e con il mondo. I due ruoli, materno e paterno, sono, rispetto alla spiritualità, entrambi necessari e complementari. L'accentuazione di uno a discapito dell'altro crea scompensi e non consente una piena conquista della spiritualità da parte della persona umana.

    CARENZE DELLA FIGURA PATERNA

    Appurata la funzione che sin dalle epoche storiche più remote viene assegnata alla figura paterna, non resta che tentare di individuare come essa possa essere interpretata all'interno dell'animazione, per integrare anche le carenze che la figura paterna concreta manifesta in molti casi nell'attuale vita sociale e culturale.
    Per fare questo è bene partire dalle carenze della figura paterna oggi.
    Molti padri oggi hanno rinunciato al proprio ruolo di depositari del canone culturale, e credono di vivere modernamente il loro ruolo ponendosi alla pari, come improbabili amici dei figli.
    Altri hanno, invece, completamente abdicato al loro ruolo educativo, sommersi dalle esigenze, sovente professionali, di una società complessa e stressante dal punto di vista delle richieste di successo, prestigio, affermazione e potere a cui devono rispondere. In questi casi la delega alla madre o ad altre istituzioni educative è totale.
    Altri ancora, a causa delle condizioni di sfruttamento, di emarginazione e di povertà materiale e spirituale in cui vivono, non riescono in alcun modo ad essere educatori. Per fortuna, accanto a queste ed altre categorie di padri, vi sono quelli che il padre riescono ancora a farlo. Non mi sembra però che siano maggioranza.
    Tutto questo, accanto alla rinuncia contestuale di molte madri a svolgere il proprio ruolo, determina varie sfasature nell'educazione e nella formazione della personalità di molti giovani.
    Molto malessere giovanile, anche quello più disperato della violenza e della droga, può trovare in questa situazione una spiegazione.
    Lo stesso narcisismo dilagante ne è una conseguenza diretta. Il recupero corretto del ruolo materno e paterno è una delle principali esigenze della nostra civiltà se vuole avere ancora un futuro.

    IL RUOLO «PATERNO» DELL'ANIMAZIONE

    L'animazione può da questo punto di vista offrire un contributo, almeno per quanto riguarda il ruolo paterno. Essa, se ben interpretata, può consentire all'animatore di svolgere un ruolo autentico di padre buono.
    L'animazione, infatti, è una educazione svolta per mezzo di un ruolo educativo paterno, anche se chi la svolge è di sesso femminile
    Non è un caso che l'animazione tra i suoi obiettivi principali abbia quello di favorire l'identità personale del giovane all'interno della cultura sociale e, quindi, della tradizione in cui vive.[1] Per ottenere questo obiettivo, si è visto che è fondamentale un apprendimento linguistico che radichi le parole nel mondo della storia e dei valori del gruppo sociale.
    Un animatore che operi in questa direzione, al di là del suo particolare stile personale, svolge indubbiamente una funzione tipica del padre buono. Se poi nello svolgerla unisce al rigore personale l'apertura critica del dialogo e l'accettazione incondizionata dell'altro, ecco che il connotato paterno dell'animazione si svela appieno.
    Un altro modo attraverso cui l'animatore svela la paternità del proprio ruolo è quello di porsi, all'interno della relazione educativa, come il limite Di porsi, cioè, come il rappresentante dei confini al cui interno possono svolgersi i modi e le forme della convivenza e dell'espressione sociale. In altre parole l'animatore, al di là del tentativo di comprendere le spinte all'innovazione, al cambio e financo alla rivoluzione del gruppo giovanile che anima, non può rinunciare a svolgere il ruolo di rappresentante delle regole e dei valori della tradizione sociale in cui vive e in cui, bene o male, crede. L'educatore è sempre un adulto che dialoga con il giovane senza rinunciare ad essere adulto. La responsabilità educativa è anche questo.
    Egli è un padre buono, in questo caso, se gestisce il proprio essere il limite con una certa flessibilità che lo porti ad essere in grado di adattare le regole alla novità particolare di ogni situazione educativa concreta. Se cioè è in grado di educarsi educando, e di aprirsi quindi al nuovo e alla diversità.
    La rigidità del limite, anche se contrabbandata come fedeltà, è il modo peggiore di onorare la tradizione e la memoria culturale perché, invece di farne un qualcosa di vivo in grado di incarnarsi nella novità del presente, la condanna alla mummificazione, che come si sa è un processo che della vita dà solo una modesta illusione.
    L'animatore è colui che ha il coraggio di far scontrare la carica desiderante del giovane con la dura realtà del limite storico e culturale dello spazio-tempo in cui vive.
    A volte questo è un ruolo poco popolare, ma indubbiamente necessario per la conquista della coscienza da parte degli stessi giovani.
    Un altro modo attraverso cui l'animatore dice la propria paternità è nel perseguire l'obiettivo dell'animazione in cui si parla della scoperta del sociale come luogo della solidarietà.
    L'animatore deve proporsi come il tramite tra il mondo del privato, del personale in cui vive il giovane e l'oggettività e l'universalità del mondo sociale rappresentato dallo Stato, nonché dai problemi più generali dell'intera umanità.
    L'animatore è padre se riesce a far uscire il giovane dalla ricca, ma anche riduttiva, esperienza delle relazioni personali faccia a faccia, per affrontare quelle più impersonali e astratte attraverso cui si manifesta il sistema sociale ed il potere che lo sorregge e nutre. Se riesce, cioè, a farlo impegnare nelle istituzioni, oltre che nel piccolo gruppo sociale.
    L'animatore è padre quando propone se stesso come elemento fondamentale della scoperta, da parte del giovane, del sociale istituzionale.

    L'ANIMATORE UN TESTIMONE DI VALORI

    Quanto detto si salda strettamente con quello che vede il ruolo paterno dell'animatore, più che nella predicazione dei valori, nella concreta testimonianza degli stessi valori, vissuta in coerenza con il progetto che egli ha fatto di sé e della propria vita.
    Il padre, infatti, non è colui che predica i valori, ma è colui che testimonia della loro possibilità di essere concretamente vissuti nella vita quotidiana.
    Questo non significa che egli non debba annunciarli, ma che può annunciarli solo quando riesce a viverli, magari anche perdendo.
    Solo così il padre è il depositario di un sistema di valori, di un progetto di vita e, magari, di una concezione politica della società. Solo così il padre riesce ad essere un tramite tra un insieme di uomini che sta passando nell'orizzonte del tempo e un insieme di uomini che nello stesso orizzonte si sta affacciando. L'animatore è padre quando si colloca in questa dimensione.
    Quando cioè riesce a utilizzare il metodo e gli strumenti dell'animazione all'interno di questa figura di educatore.
    L'animatore per poter animare deve essere un padre buono.


    NOTE

    [1] Si veda la voce «identità personale» di questo dizionario, in NPG dicembre 1985. Inoltre M. POLLO, L'animazione culturale, nn. 5 e 6 de «I quaderni dell'animatore», LDC 1984.


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