Cesare Bissoli
(NPG 1989-06-39)
Questo intervento non intende valutare direttamente i modelli sopra esposti; piuttosto, alla loro luce, cerca di individuare alcuni criteri per una corretta valutazione di qualsiasi modello, ricercando in primo luogo gli elementi e le dinamiche che sorreggono un atto di lettura in gruppo, e poi prospettando opportuni ordini o livelli di giudizio.
QUANDO UN GRUPPO INCONTRA LA BIBBIA
Di questo si tratta infatti nei modelli sopraindicati. Cerchiamo di vederne meglio i fattori operanti, almeno i principali.
Tratti in comune
In tutti i modelli si manifesta un chiaro atteggiamento di piena accoglienza, tendenzialmente totalizzante, in quanto si attribuisce all'incontro con la Bibbia un momento decisivo di autoidentificazione. Tale è di certo nelle comunità neo-catecumenali, ma anche, per altri fattori e sotto un segno probabilmente contestativo, nelle comunità di base, mentre nelle comunità monastiche si manifesta momento forte perché radicato in una tradizione grande e collaudata quale è la lectio divina.
Tale primato alla Bibbia viene riconosciuto in forza della fede secondo cui è stimata Parola di Dio, non certamente come documento semplicemente di cultura e nemmeno di buon sussidio catechistico. La lezione del Vaticano II si fa sentire, in una maniera che sono riconoscibili, in tutti i modelli, medesime ragioni motivazionali e formulazioni di fondo.
Si potrebbe dire che è l'assolutezza riconosciuta alla Parola di Dio nel segno biblico che ricopre e motiva la radicalità della scelta biblica dei modelli, sia pur con delle differenze non leggere di prospettiva.
E chiaramente operante un processo di ricerca articolato e produttivo, dove cioè alla Bibbia si va non a caso, ma con pre-comprensioni, modalità di lettura e di approfondimento, sviluppi nel cammino di fede personale e collettivo, mezzi e strumenti a disposizione (dalla Bibbia personale, alla lettura comune, alla presa di parola...) ben evidenziate e condivise.
Si dovrà però notare che i modelli di cui sopra sono piuttosto carenti nel dire con precisione tutte le loro specificità, in particolare per quanto riguarda la metodologia (si sarebbe dovuto proporre una griglia comune di riferimento), restando di preferenza a livello di indicatori concettuali.
Va pure riconosciuto in tutti e quattro i modelli l'influsso della lettura di gruppo, le cui dinamiche, quando esso è già per sé compattato da comuni visioni ideali, esaltano ulteriormente tale adesione, con la forza della leadership di alcuni e il controllo del gruppo medesimo.
Infine penso si debba sottolineare come sintomatica la citazione del detto di Gregorio Magno: «La Scrittura cresce con il lettore», presente nel modello neocatecumenale, in quello delle comunità di base, della revisione di vita, e certamente tra le righe del modello di Bose.
Con tale detto si esprime la convinzione nella crescita del sapere spirituale in forza della continua frequentazione dei testi. Si tratterà di vedere, come osserva A. Rizzi, se si intende con ciò riconoscere giustamente l' inesauribilità del testo nel contesto dell'azione incessante dello Spirito, o si vuole affermare una produzione soggettiva di significati, cui il testo servirebbe da pretesto. Affermazione dunque da verificare in concreto nei singoli modelli attraverso determinati criteri di valutazione.
Tratti differenti
Ci imbattiamo di fatto in quattro modelli (ma si potrebbero aggiungere altre etichette), cioè sotto il segno della pluralità, pur trattandosi di referenze e processi piuttosto omogenei, come abbiamo ora visto. Quali sono e donde nascono le differenze?
Chiaramente qui si dovrebbe studiare ciascun modello nel contesto culturale cui appartiene, quindi oltre il testo stesso qui offerto. Si dovrebbe ancora calcolare più da vicino il tipo di gruppo che ha prodotto il modello, la fisionomia dei membri, dei capi, le loro interazioni, le loro finalità, le relazioni con la comunità ecclesiale e civile. Chi conosce ad esempio F. Barbero per le comunità di base o E. Bianchi per la comunità di Bose, sa di aver di fronte due portatori di concezioni fortemente caratterizzate rispetto al contesto sociale e religioso.
Si determina un orizzonte di precomprensioni diversificate, assai più vistose e incidenti di quanto non appaia nei modelli.
Gli obiettivi da raggiungere
Una prima serie di differenze sta negli obiettivi che si vogliono raggiungere, al di dentro di quello più ampio di lasciarsi guidare dalla Parola di Dio.
E noto che le comunità di base pongono un chiaro accento sulla lettura politica o liberatrice, connessa fortemente con la critica di ciò che si ponesse, o fosse visto, come sostituto della Parola di Dio (fosse anche la tradizione ecclesiastica); si predilige un legame significativo con il mondo protestante, tipico mondo della Parola (nel caso del modello presentato, con la confessione valdese, trattandosi di esperienze fatte sul comune territorio).
Nelle comunità neocatecumenali la direzione è diversa, vistosamente spirituale, e perciò critica delle incrostazioni e stereotipi religiosi che accompagnassero i membri, portandoli invece all'assunzione di determinati parametri di lettura, congrui agli intendimenti e categorie del movimento. Non si fa troppo affidamento, anche se non lo si nega, allo studio storico-critico e alle scienze umane che servono a esplorare le dinamiche interferenti il cammino della fede.
Nei gruppi di Revisione di vita fa perno il motivo dell'incarnazione della Parola nella storia, sicché la Bibbia si fa preziosa in quanto «luce per leggere la realtà». Ma si potrebbe dire che la storia è già Bibbia, è cioè in qualche misura gravida del mistero della Parola, di cui il codice biblico svolge un'indispensabile azione maieutica.
Nella comunità di Bose antecede e guida tutto l'atto di fede nella Parola come fondamento della comunità, per cui attorno alla Bibbia si costruisce letteralmente tutta la vita, nella ricerca dei significati vitali, ma anche nella strutturazione degli atti della giornata, tra cui centrale è la preghiera della Parola (la liturgia). Veramente qui il monaco è tale, cioè solo, in quanto riservato alla Parola di Dio.
Modalità di impiego della Bibbia
Nel cerchio delle differenze vanno ascritte le modalità di impiego della Bibbia.
Dal quotidiano contatto dei monaci di Bose, tanto da essere cibo sostanziale della comunità, si passa all'incontro periodicamente stabilito negli altri casi, chiaramente più funzionale agli interessi dei diversi gruppi.
Si avverte in Bose il forte collegamento con la liturgia e i Padri, ma anche, moderatamente, con i commentari scientifici, in una sintesi che pare richiamare la grande ermeneutica spirituale degli antichi, e di cui appunto la «lectio divina» è espressione emblematica. Né tutto si consuma all'interno del gruppo, in quanto agli ospiti, che non mancano, si dà opportunità di partecipazione. Esistono anzi degli atelier biblici estivi, dei corsi di iniziazione alla Bibbia.
Leggendo invece la struttura concettuale degli altri modelli, è facile notare il carattere più dimesso, raccoglitore di elementi altrui, soprattutto non usufruente una tradizione storica come la lectio divina dei monaci.
Se a Bose è in certo modo la Bibbia che interpella la vita, nella RdV (ma anche tra i neocatecumenali e le comunità di base) è la vita che interpella la Bibbia («la vita ci introduce alla comprensione della Bibbia»). Conosciamo la classica triade «vedere-giudicare-agire». La Bibbia entra nel secondo momento, come suscitatrice di analogie tra ciò che si vede in profondità del mistero di Dio e ciò che emerge dello stesso nella rivelazione biblica. Qui avrà evidentemente spazio il principio di correlazione tra esperienza e messaggio, come pure l'acquisizione di quel sapere che permette di impossessarsi di entrambi. I membri non sono monaci, ma gente comune, probabilmente più dotata di capacità critica nel caso della RdV e delle comunità di base, mentre la maggior parte dei neocatecumenali si può considerare alle prime armi in ciò che riguarda la Bibbia.
Le comunità.- di base spiccano per una esigente (e anche talora discutibile) «creatività». I partecipanti, che sono pochi di numero, in prevalenza giovani e caratterizzati dalla presenza di marginali (portatori di handicap), sono invitati ad assumere una doppia competenza, circa il Libro, con gli strumenti esegetici, e nella conduzione della preghiera. Un altro fattore certamente incidente è il contesto di pluralismo confessionale e religioso (dialogo con i valdesi, ma anche con i marocchini mussulmani). Spicca la linea critica di non imbalsamare un modello di lettura, lasciando debito spazio al cuore, all'intervento libero e gioioso dello Spirito («scontro-incontro con Dio», si legge, più che con le pagine del testo). Chi sa la faticosa storia delle comunità di base trova forse in questa descritta da F. Barbero l'approdo ultimo (per adesso) di una evoluzione tormentata, ricca di fermenti innovativi condivisi con altri, su cui si può aprire una fruttuosa discussione.
Tra i neocatecumenali è nota soprattutto l'imponenza della frequentazione biblica, secondo un piano pluriennale e ben distinto e con il coinvolgimento attivo di gente semplice, in una misura che si può definire unica nel mondo occidentale (solo le comunità cristiane di base dell'America Latina raggiungono ancora di più questo livello che possiamo chiamare di lettura popolare della Bibbia). Bisogna però notare una certa esotericità del movimento, nel quale solo gli aderenti hanno parte al banchetto della Parola di Dio. E ancora, non pare sia contemplato il ricorso a quelle scienze analitiche che permettono di cogliere le interne dinamiche, psicologiche, sociali, culturali, dell'esperienza di fede. Vi sono anzi delle riserve di fronte agli abusi che se ne sono fatti. È pertanto comprensibile chiedersi se questo sforzo di interpretare la realtà, come si afferma, nella luce della Parola, non si esponga al rischio di impoverirla, tenendo poco conto delle molteplici e umili parole che permettono di accostarsi a quella.
E il linguaggio?
Vorrei richiamare un istante questa componente ineliminabile di ogni atto ermeneutico, di cui ogni modello è in fondo una codificazione, per osservare un paradosso: tanto più si insiste sul primato e valore della Parola (senso ontologico, si veda fra tutti il modello neocatecumenale), altrettanto poco si dice della funzione della parola, del linguaggio per attingere tale valore (senso epistemologico e pedagogico).
Rimane sì usato il linguaggio della preghiera, si arriva a evidenziare il linguaggio dei segni liturgici e della storia, si riconosce come importante la presa di parola dei membri, ma più con una preoccupazione di salvaguardare meglio un contenuto pensato oltre il linguaggio, che non di ritrovarlo e già sperimentarlo nello sviluppo di questo.
Si potrebbe fare il paragone con chi tende a trovare la yerità di una poesia al di fuori di essa. E possibile, e soprattutto è conveniente?
CRITERI PER UNA VALUTAZIONE
Proponiamo una distinzione che nasce dalle cose, cioè dal fatto che si facciano dei modelli non in astratto, ma per dei gruppi reali. Ebbene, cosa si chiede in tale caso?
* Certamente che si realizzi un vero incontro con la Parola, secondo tutte le esigenze di fede e di scienza, di teologia e di esegesi, di ecclesialità e di conversione personale, tipiche di una lettura cristiana della Scrittura. Raduno tutto ciò sotto la categoria della validità o ortodossia. E chiamo criteri di validità quegli indicatori che permettono di raggiungere compiutamente tale scopo.
* Ma un gruppo non è né il tavolo dello studioso, né luogo di un dibattito accademico. Esso va alla Bibbia per ragioni vitali, corrette o meno che siano, sapendo che nel Libro sacro incontra il coefficiente più alto della propria identità e maturazione spirituale. So- 'no gli elementi che abbiamo visto bene leggendo i modelli.
Allora, oltre a fare un corretto incontro, o meglio, per realizzarlo veramente, occorre impiantare un processo efficace di apprendimento, per cui vengono dosati tempi, spazi, modalità di lettura, forme di interazione, connessioni con il progetto globale del gruppo. Raduno tutto questo sotto la categoria della funzionalità o del buon procedimento. E chiamo criteri di funzionalità quegli indicatori che permettono di conseguire un incontro valido, fruttuoso.
CRITERI DI FUNZIONALITÀ
Sarà capitata a qualche lettore l'esperienza poco soddisfacente di essersi dato anima e corpo per un campo biblico estivo, o per un cammino quaresimale imperniato sulla marcia degli ebrei verso la Terra Promessa, e di aver trovato rifiuto, o poco consenso, insomma scarsa partecipazione all'iniziativa. Ebbene un cosa si può dire dei modelli detti sopra: pare che funzionino sempre (di fatto si osservano ben poche autocritiche). E ci posso credere, data la felice congiuntura di elementi posti in atto che fanno da supporto.
Quali sono?
Atteggiamento e motivazione
Rifacendosi alla struttura ideal-tipica descritta da Max Weber a proposito di gruppi religiosi, si possono in forma semplificata proporre tre fattori di funzionamento.
Il primo è dato dall'atteggiamento di partenza (e di accompagnamento) dei membri, a sua volta collegato con una qualche motivazione. Se prevalessero la freddezza, l'estraneità, il disinteresse, si mostrerebbero operanti motivazioni di basso profilo (curiosità, gusto di una esperienza nuova...), allora anche una visione diretta di Cristo cadrebbe sotto il sospetto della fantasia. Viceversa, ed è il caso dei modelli sopra ricordati, può essere operante nei partecipanti una precomprensione positiva, una disponibilità piena, e ciò a causa di una forte motivazione. Allora il funzionamento è assicurato.
Si tratterà di vedere a sua volta che cosa regge tale atteggiamento (livello di validità), potendo trattarsi in astratto di genuine ragioni di fede, oppure della forza sollecitatrice dell'ideologia, del carisma del capo, del controllo del gruppo.
Non rimane allora che curare da una parte l'atteggiamento dei membri del gruppo, rendendolo fortemente disponibile, in quanto fattore decisivo di funzionamento, ma insieme assicurandosi di motivarlo con i necessari criteri di verità.
Tematizzare questo problema, aiutare le persone a farsi una corretta precomprensione, mettendo in luce le possibilità di linearità ed equivocità, di disponibilità autentica alla Parola e fanatismo: ecco un compito essenziale di un animatore.
Struttura di incontro
Secondo criterio di funzionamento è dato dal tipo di struttura di incontro, o livello di socialità dell'esperienza: se avviene individualmente o in parecchi, e con quale interazione tra il singolo e gli altri. Bisogna riconoscere che la struttura di gruppo, presente nei modelli sopra detti, ha delle possibilità uniche. Certamente nell'ottica della fede il gruppo si autocomprende come segno della comunità, nel cui seno si incontra la Parola; ma non è contro la fede riconoscere umilmente l'intervento di dinamiche proprie del gruppo bene organizzato, per cui viene scatenato un inedito potenziale comunicativo: sotto il segno della solidarietà e della condivisione della stessa causa, sono incanalate eventuali fughe dialettiche, vengono sostenuti i deboli, accettandone la parola con rispetto.
Pure qui si dovrà mantenere vigile la comune coscienza dei membri circa la forza stimolatrice del gruppo, perché non abbia a cadere in deviazioni narcistiche, élitaristiche, esoteriche, chiuse alla ricerca e al confronto dialettico.
L'ordine delle motivazioni teologiche serve da criterio di guida e di verifica, perché il gruppo non si identifichi tout court con la Chiesa, ma cerchi di esserne un segno verace, pur limitato e perfettibile.
Il metodo
Terzo criterio di funzionamento è dato dal metodo con cui si sviluppa l'incontro del gruppo. Vi rientra una tecnica di lavoro, una divisione di compiti, un tasso di coinvolgimento.
Si possono incontrare documenti, raccontare esperienze, esprimere propri punti di vista.
Dai modelli descritti, per quanto si riesce a cogliere, compaiono certe scelte metodologiche di vivace attenzione al testo (sia pur con procedimenti diversi e con una qualche discrepanza a riguardo dell'indagine scientifica), di partecipazione attiva dei membri (presa di parola), di confronto con altri sistemi di significato (ma anche qui la variazione tra gruppi, ad esempio comunità di base rispetto ai gruppi neocatecumenali, può essere piuttosto vistosa).
Sembra esservi una costante: laddove l'atteggiamento è più impegnato, tanto più se sostenuto dalla struttura del gruppo, si è propensi a semplificare l'iter metodologico, si indulge a un certo letteralismo, si amano più i momenti di sintesi che la fatica dell'analisi, si tende a contrapporre l'ispirazione carismatica al risultato dei processi razionali.
Passiamo ora a esaminare i criteri di validità.
CRITERI DI VALIDITÀ
Un buon ladro è tale quando sa fare il suo mestiere (funzionalità), ma con ciò non è detto che ci possa essere, eticamente parlando, un ladro buono (validità). L'esempio, nella sua banalità ed estremizzazione, serve a mettere in luce la distinzione dei due livelli di valutazione, e precisamente serve a richiamare la necessità di un controllo dei principi di funzionamento mediante i criteri di validità che derivano dalla fede cattolica.
E in effetti, se si nota bene, tutti e quattro i modelli da noi visti si ferma- no di preferenza sul piano delle motivazioni ideali, che non su quello del funzionamento.
Può essere miopia di analisi, ma certamente è convincimento che l'incontro con la Bibbia avviene entro un orizzonte più grande, identificato con molta semplicità e giustezza nel mistero della «Parola di Dio».
Ma cosa intendere per Parola di Dio e soprattutto come intenderla alla luce del Vaticano II, dunque di una fede «aggiornata» della Chiesa, cui tutti dicono di richiamarsi?
La sintesi di un esperto
Mi riferisco a Carlos Mesters, indubbiamente uno degli operatori più geniali nell'ambito della pastorale biblica. Egli scrive: «Il problema centrale dell'uso della Bibbia nella Chiesa può essere formulato così: come ottenere che il senso scoperto della Bibbia:
- corrisponda alle esigenze della realtà vissuta dal popolo;
- corrisponda alle esigenze dell'analisi scientifica della realtà e del testo;
- sia, nello stesso tempo, rivelazione diretta dell'appello che lo Spirito santo rivolge a questo popolo.
Se manca uno di questi tre elementi la nostra interpretazione è errata o, per lo meno, incompleta».
Personalmente ho cercato una formulazione più classica, ma che converge con il pensiero di Mesters. Tenuto conto che un modello di incontro con la Bibbia è l'atto con cui si stabilisce una relazione fra Bibbia e destinatario, entro l'ottica di fede della Chiesa e mediante un adeguato processo di comunicazione, sarà valida quella lettura che rispetterà le quattro esigenze che vi emergono come dimensioni: teologico-ecclesiale, esegetica, ermeneutica, pedagogico-didattica.
Una parola per ciascuna.
Nel contesto della fede della Chiesa
È probabilmente la componente più rimarcata nei modelli visti sopra. Più difficile è radunare insieme gli elementi che entrano in gioco. Tento una descrizione atta alla valutazione.
Di certo vi entrano i tre principi di verità, di comunione e di ortoprassi: corrispondenza al Credo della Chiesa, mantenimento e promozione della comunione secondo il significato e l'ampiezza che vi dona la fede cattolica (ad esempio la predilezione per i poveri), condotta di vita coerente alla Parola secondo il principio della carità.
Di conseguenza un atteggiamento di conversione e di fede, la considerazione della storia biblica intorno al mistero di Cristo, il ricorso alla preghiera, lo sforzo di incontrare gli altri con rispetto e apertura, l'impegno evangelico nella storia... sono segnali di autenticità, pur nell'ambito della diversità di accenti.
Viceversa ogni segno di chiusura sia alle visioni altrui che alle sfide della storia, la difesa accanita del proprio itinerario biblico, l'individualismo nel processo della fede, la critica spietata in nome della Parola di Dio, il mancato ascolto dei bisogni della Chiesa e della società, l'indifferenza e il sospetto nel confronto dei contributi delle scienze dell'uomo in ordine alla verità integrale... in una parola un deficiente incremento dell'amore a Dio e al prossimo secondo le intenzioni, lo stile e la concretezza di Gesù, ebbene tutto ciò sarebbe in contraddizione con il senso teologico-ecclesiale della Bibbia.
In ascolto di quello che la Bibbia intende dire
È la dimensione esegetica. A seguito del Vaticano II è vistosamente penetrata nella coscienza attuale.
Ha per motto: operare in modo che il testo dica se stesso. Principio accettato da tutti, ma in concreto applicato in misura che può arrivare alla deformazione. Così sarebbe nel caso di letture affrettate, secondo comprensioni diventate stereotipo, per assonanza, inclini al fondamentalismo... Più in profondità, e questo riguarda da vicino i movimenti o gruppi fortemente caratterizzati, l'orizzonte di senso, determinato da qualche presupposto o categoria teologico-culturale, può diventare filtro ideologico, controllo della libertà della Parola...
Al positivo, sono incontri di genuino ascolto quelli in cui, rispettando il duplice carattere divino-umano della Scrittura, si lascia spazio a una intelligenza della fede che dia conto di entrambi gli aspetti. La ricerca critica e l'analogia della fede sono certamente due fattori di autenticità.
Come Parola che raggiunge l'uomo di oggi
È la dimensione ermeneutica propriamente detta, per cui l'incontro con il vecchio libro si traduce in parola attuale per chi ascolta.
Nei modelli visti sopra ciò pare funzionare assai bene. In verità il cammino è piuttosto complesso e ricco di fattori, proprio perché l'atto di appropriazione del senso biblico è atto eminentemente umano. Qui rientra di diritto ciò che è stato detto a proposito dei criteri di funzionamento, come la necessità di una buona motivazione per un adeguato atteggiamento o precomprensione, la cura di una sana struttura di gruppo. In sintesi, si tratta del buon rapporto tra Bibbia e vita.
Si possono richiamare come segnali di autenticità alcuni indicatori: la percezione della Parola come appello personale nella triplice direzione di Parola che illumina, provoca crisi (conversione), genera speranza; la cura delle mediazioni tra Parola scaturente dalla Bibbia e la condizione attuale, mediazioni di tipo culturale (la voce della razionalità competente) ed ecclesiale (il magistero della Chiesa, l'esperienza di santità...); più in generale l'attenzione ai segni dei tempi come suggeritori privilegiati di incarnazione del vangelo; la valorizzazione del linguaggio con le sue molteplici valenze come canale indispensabile della Parola. Quanto alla componente pedagogico-didattica o della buona comunicazione, chiaramente qui veniamo a sfociare nel discorso sui criteri del buon funzionamento visti sopra, in ciò che riguarda in particolare il metodo di approccio.
CONCLUSIONE
Aver enunciato dei criteri non significa ancora aver in mano compiutamente i processi per renderli operabili, il «che cosa» si deve fare. Vi è anzi ancora prima il bisogno di approfondire tale criteriologia ora sul versante teologico, ora su quello esegetico, ora su quello ermeneutico, ora su quello della comunicazione. Per questo gioverà continuare la lettura degli interventi che seguono come focalizzazione di questo o di quell'aspetto. Intanto, volendo concludere il nostro discorso, possiamo formulare la tesi che come la funzionalità senza criteri di validazione lascerebbe cieco il processo di lettura, così il quadro di validità senza un processo bene funzionante sarebbe vuoto. Cioè le due serie di criteri interferiscono reciprocamente, ma non in maniera tale da negare le differenze di intenti e di servizio; e soprattutto mettono in chiaro che l'atto di lettura biblica nel gruppo è un fatto complesso, determinato da più fattori, religiosi ma anche umani, soggetti all'investigazione di scienze diverse, teologiche e profane. Attribuire alla grazia di Dio il vasto successo dei modelli è giusto, a patto che si accetti che il buon Dio si avvalga anche di quelle mediazioni che sono i dinamismi umani, e che si accetti ancora la relatività e finitezza di tali mediazioni. In tale maniera che non possa esistere qualcuno che dice: il mio modello è unico o migliore. Viceversa, forti nella fede e competenti nelle cognizioni e abilità umane richieste, si tenga conto con cura dei diversi fattori intervenienti, per essere «fedeli a Dio e fedeli all'uomo in un unico gesto di amore» CT 55).