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     Giovani e Chiesa

    Materiali di lavoro con giovani

    Un’esperienza con Riccardo Tonelli *



    Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio.

    Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta "Bella" a chiedere l'elemosina a coloro che entravano nel tempio.
    Questi, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l'elemosina.
    Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: "Guarda verso di noi".
    Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa.
    Ma Pietro gli disse: "Non possiedo nè argento nè oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!".
    E, presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi camminava; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio.
    Tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio e riconoscevano che era quello che sedeva a chiedere l'elemosina alla porta Bella del tempio ed erano meravigliati e stupiti per quello che gli era accaduto.
    Mentr'egli si teneva accanto a Pietro e Giovanni, tutto il popolo fuor di sè‚ per lo stupore accorse verso di loro al portico detto di Salomone.
    Vedendo ciò, Pietro disse al popolo: "Uomini d'Israele, perché vi meravigliate di questo e continuate a fissarci come se per nostro potere e nostra pietà avessimo fatto camminare quest'uomo?
    Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino e avete ucciso l'autore della vita. Ma Dio l'ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni.
    Proprio per la fede riposta in lui il nome di Gesù ha dato vigore a quest'uomo che voi vedete e conoscete; la fede in lui ha dato a quest'uomo la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi.
    Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, così come i vostri capi;
    Dio però ha adempiuto così ciò che aveva annunziato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo sarebbe morto.
    Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore ed egli mandi quello che vi aveva destinato come Messia, cioè Gesù.
    Egli dev'esser accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose, come ha detto Dio fin dall'antichità, per bocca dei suoi santi profeti.
    Mosè infatti disse: Il Signore vostro Dio vi farà sorgere un profeta come me in mezzo ai vostri fratelli; voi lo ascolterete in tutto quello che egli vi dirà
    E chiunque non ascolterà quel profeta, sarà estirpato di mezzo al popolo.
    Tutti i profeti, a cominciare da Samuele e da quanti parlarono in seguito, annunziarono questi giorni.
    Voi siete i figli dei profeti e dell'alleanza che Dio stabilì con i vostri padri, quando disse ad Abramo: Nella tua discendenza saranno benedette tutte le famiglie della terra.
    Dio, dopo aver risuscitato il suo servo, l'ha mandato prima di tutto a voi per portarvi la benedizione e perché ciascuno si converta dalle sue iniquità".
    Stavano ancora parlando al popolo, quando sopraggiunsero i sacerdoti, il capitano del tempio e i sadducei, irritati per il fatto che essi insegnavano al popolo e annunziavano in Gesù la risurrezione dai morti.
    Li arrestarono e li portarono in prigione fino al giorno dopo, dato che era ormai sera.
    Molti però di quelli che avevano ascoltato il discorso credettero e il numero degli uomini raggiunse circa i cinquemila.
    (Atti degli Apostoli, 3-4,4)


    QUALCHE SUGGERIMENTO

    - UN POCO TEORICO E UN POCO CONCRETO - 

    PER ORIENTARE UNA COMUNITÀ ECCLESIALE

    VERSO IL SERVIZIO ALLA FEDE DEI GIOVANI

    Riccardo Tonelli


    1. In un tempo di pluralismo: una scommessa

    Un testo da meditare: La guarigione dello zoppo alla porta bella del Tempio (Atti 3 e 4).
    La risposta di Pietro alla mano tesa dello zoppo è davvero suggestiva:
    * non potendo accogliere la precisa domanda dello zoppo, fa una proposta su cui chiede di scommettere...
    * la forza della sua proposta sta nella esperienza personale che sta a monte: quello che le mie mani hanno toccato
    * e sta nella verifica attuata subito dallo zoppo: la proposta è bella... e se fosse vera... è vera perché la vita torna nelle gambe prima paralizzate
    * il modello comunicativo: la storia di Gesù che guarisce gli zoppi.

    DOVE E PERCHÉ ZOPPICANO I GIOVANI?
    Scheda di lavoro

    La prospettiva scelta ci sollecita, prima di tutto, ad una lettura attenta della realtà per cogliere quali siano le sfide che il "pianeta giovani" lancia alle comunità ecclesiali. La cosa è seria e richiede un lavoro attento.
    Ecco la proposta di alcuni passaggi "obbligati":
    - 1. Un primo elenco di segni di vita e di segni di morte... indicati/con una procedura di scatenamento - di fantasia e chi più ne ha più ne metta. L'elenco è un elenco... senza capo ne coda... che ha l'unica importante funzione di non perdere indicazioni preziose.
    - 2. L'elenco voi va organizzato, indicando concatenazioni, priorità, responsabilità. In concreto, propongo di indicare:
    • Una specie di trama globale in cui collocare i fatti, per vedere gli influssi reciproci, le cause e gli effetti, quelli immediati e quelli a lunga scadenza...
    • Cosa sta a monte di questi fatti (perché un poco di... dietrologia non guasta mai)
    • Quali interessi (personali e collettivi) stanno dietro i fatti... per cercare di individuare un poco di responsabilità (nel positivo e nel negativo).
    - 3. In genere i fatti sono di ordine "strutturale" (riguardano la gestione del potere e la costruzione di strutture di sostegno a questa gestione). Essi hanno però sempre un riflesso "culturale" (= riguardano orientamenti di vita, modelli di esistenza, valori e relazioni...). È importante cercare di elencare i riflessi culturali: sono essi che pesano e condizionano giovani e adulti.
    - 4. Quale influsso esercitano i cambi culturali oggi in atto sui giovani (essere giovani in questa società...) e sugli adulti?
    - 5. Finalmente... possiamo provare ad indicare quali "sfide" (provocazioni e inquietudini) ricadono dal tempo in cui viviamo sulla gente che come noi ama la vita e la vuole piena e abbondante per tutti.
    Un dato importante non va dimenticato: l'essere giovani non è prima di tutto un fatto cronologico (= sono giovani quelli che hanno dai 16 ai 20 anni... o casa simile...), ma è un dato culturale (= legato al fatto di vivere il tempo delle grandi scelte in questa speciale stagione sociale e culturale... segnata da larga soggettivizzazione, profonda incertezza verso il futuro, attenzione al presente come scelta diffusa e persistente, crisi reciproca di orfanità, crisi delle tradizionali agenzie educative... se non si sono rinnovate...).
    Questa constatazione orienta la ricerca su "dove zoppicano i giovani" verso i tratti fondamentali tipici del tempo che stiamo vivendo.

    2. Prospettive di azione

    Suggerisco alcune priorità sulle quali chiedo un confronto e, se condivise, l'impegno faticoso di tradurre in azioni concrete (verificando eventualmente quelle di prassi comune).

    2.1. L'attenzione all'educazione

    L'attenzione all'educazione rappresenta ormai un patrimonio comune e condiviso nell'ambito dell'educazione dei giovani alla fede.
    Purtroppo però spesso resta un dato generico, che ha un influsso scarso nelle prassi concrete e che purtroppo viene spontaneo mettere tra parentesi quando le difficoltà (anche solo quelle di linguaggio...) si fanno più forti.
    Prendere sul serio l'educazione anche nella evangelizzazione significa:
    1. Centrare le preoccupazioni sulla "qualità della vita": sono in crisi i modelli tradizionali (basta pensare ad alcune "virtù" tanto raccomandate: la coerenza, la fedeltà, la solidarietà, la "modestia"...), ma non sono ancora elaborati e sperimentati modelli di vita, ispirati seriamente dal Vangelo e espressi dentro la cultura attuale (l'identità sulla disponibilità a cogliere il grido di chi ha bisogno, una solidarietà che nasce dalla condivisione, l'interiorità come patria della libertà...).
    2. Riportare la persona verso una unità interiore... per un tempo di crisi, evitando però la frammentazione e la soggettivizzazione. Per esempio: nella capacità di diventare persone "invocanti" (= persone che hanno sogni grandi sulla propria vita e riconoscono di non poter bastare a se stessi...).
    3. Riscoprire l'urgenza della evangelizzazione a partire proprio dall'esperienza di invocazione: il nome di Gesù offerto a chi ha le mani alzate e proposto con forti esperienze per aiutare ad alzare le mani.
    4. Verificare, riconoscendone il limite di inverificabilità, l'incontro con Gesù e la condivisione della sua esperienza di vita... secondo la logica impegnativa del "buon samaritano" o quella dei "discepoli di Emmaus" (che dopo l'Eucaristia... tornano a Gerusalemme per riempirla della loro esperienza).
    5. La scelta dell'educazione si realizza in strutture educative, capaci di orientare verso il modello e la meta. Troppe volte le agenzie tradizionali sono rimaste legate ai vecchi modelli... e risultano in crisi o capaci di realizzare qualcosa solo se diventano "forti" ed esigenti. Questo vale in modo speciale per la famiglia, l'agenzia educativa di base.
    6. L'attuale situazione culturale chiede alle diverse agenzie educative, impegnate nella educazione, di diventare capaci di operare "in rete", diventando luogo di verifica e di riprogettazione "centrato sulla persona..." anche nei confronti delle agenzie che invece restano in crisi (per esempio: rapporto famiglia, parrocchia, scuola gruppo degli amici...).

    2.2. Narrare la speranza

    La nostra speranza e la sua proposta non può risiedere nella sicurezza (neppure nella pretesa di "meritare"): è fondata sull'unico nome in cui possiamo avere la vita. Gesù il Signore,
    II nostro servizio alla speranza si traduce immediatamente in evangelizzazione... per dare ragione dei segni di speranza che cerchiamo di produrre.
    Narrare la speranza... è una urgenza "difficile" e impegnativa (per non fare parole vuote o per non diventare cercatori di proseliti... in una situazione in cui tutti cercano disperatamente ragioni per sperare...). In concreto:
    1. Se l'unico nome che da vita è il Signore Gesù, non possiamo parlare di speranza senza continuare l'esperienza dei suoi discepoli, impegnati a portare in giro per il mondo la "bella notizia", producendo fatti di speranza (basta rileggere gli "Atti": la prima comunità, Pietro e lo zoppo, lo stile di Paolo...).
    2. Attenzione ad un modo di parlare di speranza che eviti la "risposta facile" (di cui siamo... maestri). Le nostre parole di speranza vanno misurate violentemente con i fatti di disperazione che quotidianamente constatiamo.
    3. Il servizio alla speranza esige una ricostruzione dell'accoglienza e dell'esperienza del "mistero", accettando il ritmo del tempo del mistero... tanto diverso dal "subito" del presentismo attuale.
    4. Gesù ci propone un modo concreto per narrare la speranza: le parabole. Va compresa bene la ragione: vuole farci capire... solo che ciò che comunica non può essere capito con la "testa" (a fil di ragione), ma con il "cuore" (lasciandosi provocare, coinvolgere, rischiare di decidere). I ragionamenti si capiscono quando sono chiari o non si capiscono se sono oscuri... Le parabole chiamano a libertà e responsabilità e ci si decide "rischiando"... come Maria la "serva del Signore".
    5. Le parabole di oggi sono le esperienze di vita... quelle esperienze che fanno nascere vita dove prima c'era morte.
    6. Un modello concreto per narrare la speranza è la "narrazione del Vangelo della speranza", in uno stile comunicativo che corrisponda al messaggio che vogliamo comunicare:
    · l'amorese è la lingua che rispetta il mistero
    · la costruzione di narrazioni in cui si intrecciano tre differenti storie (quella di Gesù e dei suoi discepoli, quella del "narratore e quella di coloro cui viene offerta la narrazione, accolti, riconosciuti, amati e liberati... proprio nell'atto narrativo stesso).

    2.3. Ricostruire modelli di vita cristiana per l'oggi

    Se un giovane ci chiedesse: "Gesù mi piace davvero... ci sto... Che cosa devo fare? Cosa mi capiterà nella vita?" ... la risposta è difficile... perché è difficile proporre i modelli classici di esistenza cristiana... ma facciamo fatica a proporne di nuovi.
    Questa è la grande impresa delle comunità cristiane impegnate nella pastorale giovanile.

    2.3.1. Il contenuto
    In genere le comunità ecclesiali danno l'impressione di sapere già bene chi è cristiano esemplare e su quali esigenze insistere. Ma proprio qui si corre il rischio di parlare lingue diverse o di risultare interessanti solo per una fascia ridotta di giovani... nostalgici e rassegnati.
    Alcune esigenze:
    possiamo immaginare un giovane cristiano che sia a tutti gli effetti "un giovane di questo tempo"?
    capace di realizzare una scansione nuova e originale del tempo (tra passato, presente e futuro)?
    capace di progettare e sperimentare "fatti di futuro" per riempire la città di tutti (dopo le esperienze liturgiche e sacramentali) dei segni della speranza che ha sperimentato?
    capace di mettere Gesù al centro della sua vita... nella qualità di vita (la vita evangelica...) e nella condivisione appassionata della sua causa)?

    2.3.2. In un serio confronto culturale
    La proposta di un progetto di esistenza cristiana è fortemente condizionato anche dal confronto tra i modelli culturali dominanti e ciò che è irrinunciabile della esperienza cristiana.
    Questo richiede:
    una reale capacità di confronto con i modelli religiosi ricorrenti
    l'urgenza di assicurare confronto critico e capacità selettiva e decisionale... sapendo che i giovani sono spesso capaci di far convivere esperienze ed e-spressioni religiose diverse, in una specie di zapping esistenziale...
    un preciso ripensamento "culturale": a partire dalla riconosciuta differenziazione di modelli di espressione e di vita.

    2.3.3 Fare proposte facendo fare esperienze
    Coloro che condividono questa esigenza si interrogano su come fare. L'operazione urgente percorre due direzioni.
    Da una parte richiede la fatica di inventare modelli e proposte.
    Dall'altra si richiede la possibilità di proporre tutto questo "facendo fare esperienza" e verificando, in modo critico, le esperienze spontaneamente in atto.
    In concreto:
    clima religioso che si respira in famiglia
    modelli di catechesi
    celebrazioni e momenti di preghiera, ufficiali e informali (in famiglia)
    qualità dei rapporti giovani-adulti
    modelli proposti ai ragazzi e ai giovani
    ...
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    ANALISI DEI DIVERSI MODELLI DI SPIRITUALITÀ

    L'elaborazione di un progetto nuovo di esistenza cristiana, radicato sul passato, chiede la capacità di cogliere in modo critico quello che ci viene consegnato.
    Possiamo tentare una lettura critica dei modelli teologici e antropologici sottostai ti nelle diverse proposte di spiritualità oggi ricorrenti?
    Per farlo la ricerca è chiamata a percorrere un preciso processo di discernimento:

    La recensione dei "fatti"

    Propongo di individuare alcune "pratiche religiose" presenti (o raccomandate) nel mondo giovanile
    una preghiera di uso frequente (per esempio: la "salve regina")
    una iniziativa religiosa che ha riscosso una certa attenzione
    qualche testo religioso che qualcuno vorrebbe mettere (o rimettere) tra le mani dei giovani.

    L'interpretazione

    Questi eventi di spiritualità (preghiere, documenti, realizzazioni...) vanno analizzati per cogliere quali dimensioni fondamentali dell'esistenza concreta e quotidiana "cristiana" è presente in esse:
    quale immagine di Dio
    chi è l'uomo
    quale attenzione viene riservato alla vita quotidiana concreta
    come è risolto il rapporto tra passato-presente-futuro (in dimensione di "speranza")
    come è risolto il rapporto tra la persona – gli altri – le cose – il mondo e la stona...

    Verso alternative?

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    3. Una proposta di interventi concreti

    Come una comunità ecclesiale può mettersi a lavorare per realizzare i tre impegnativi compiti appena ricordati?
    Faccio una proposta che riprende e rilancia l'esperienza dei discepoli di Emmaus. Su ciascuno dei 4 momenti sollecito ad un confronto per verificare l'esistente e concretizzare gli orientamenti.

    3.1 La dinamica "entusiasmo-crisi"

    Ci avevano sperato tanto. Avevano accettato l'invito di Gesù con entusiasmo. Avevano lasciato tutto per seguirlo, affascinati dalla sua persona e convinti della sua causa.
    Ora però tutto sembrava finito. Nel peggiore dei modi. I suoi nemici avevano catturato Gesù. L'avevano sottoposto ad un processo che era tutto una presa in giro. L'avevano condannato, come fosse un malfattore, lui che a-veva solo fatto del bene a tutti quelli che aveva incontrato. Poi, dopo averlo torturato, l'avevano ucciso. Tutto era finito così. Gesù aveva promesso di vincere anche la morte. L'aveva fatto con quella degli altri. Con la sua però... nulla da fare. Gesù era stato cancellato dagli occhi e dal cuore dei suoi amici. Avevano vinto i suoi nemici. Tutto doveva ritornare come prima.
    Pazienza... era stato un bei sogno, finito troppo presto e nel modo più tragico. Adesso non c'era proprio più nulla da fare. Bisognava tornarsene a casa, con l'amarezza della nostalgia e con un pizzico di vergogna. Era necessario riprendere in mano gli attrezzi del lavoro, abbandonati con troppa foga qualche mese prima. Ritornare... quelli di prima: come se nulla fosse accaduto, superando persino il sorriso beffardo degli amici di un tempo, che non avevano capito la strana voglia di mettersi dietro quel tipo di Nazareth, che stava facendosi un mucchio di nemici con le sue idee.
    Molti discepoli avevano già preso la strada del ritorno. Adesso toccava anche a loro. Buoni buoni, avevano deciso di ritornare ad Emmaus, a casa propria. Come se nulla fosse successo.

    Siamo alla prima tappa del cammino di personalizzazione della fede. Essa inizia da una decisione che, spesso, è frutto di una esperienza felice (la partecipazione a qualche grande avvenimento, rincontro con qualche persona, una nostalgia che corre tra le pieghe dell'esistenza che si riesce a chiamare per nome quando finalmente si incontra la risposta a questa attesa...). L'esperienza spinge a procedere oltre il ritmo di routine in cui veniva giocata l'esistenza e fa fare cose imprevedibili.
    È difficile distinguere la qualità della motivazione che sta alla radice. Ma forse è davvero poco importante. In gioco c'è una esistenza che si esprime sempre secondo modalità molto varie.
    L'esperienza forte viene progressivamente interiorizzata. La motivazione iniziale è approfondita e verificata. Si giunge al coraggio di una scelta che chiede di decidere da che parte stare, rinunciando a qualcosa, magari bello, non compatibile con la decisione presa. L'esperienza diventa proposta vocazionale "per la vita", anche se si esprime su mille diversi sentieri. La risposta personale diventa "adulta": dall'entusiasmo adolescenziale alla maturità di un orientamento di vita, che reinterpreta e riorganizza tutte le altre esperienze di vita.
    A questo punto – provvidenziale – scatta la possibilità della crisi. Nasce dalla delusione di qualche sogno infranto, dal peso di una coerenza difficile, dal fascino sottile delle alternative, abbandonate ma mai cancellate.
    La crisi rimette tutto in discussione. Costringe a rivedere con calma la decisione per personalizzarla nuovamente, sotto l'urgenza delle circostanze nuove.
    La crisi può avere esiti differenti. Uno dei possibili è... il ritorno alle posizioni precedenti. Non è una tragedia... e non può essere colpevolizzato come irrimediabile.
    Si pone urgente la trama di interventi che segue.
    Quali concrete esperienze possiamo programmare per mettere i giovani in attenzione verso l'esperienza cristiana, aiutandoli a scoprire quanto è "bella" per la voglia di vita e di felicità che ci portiamo dentro?

    3.2. L'accompagnamento di un educatore intelligente

    Camminavano senza scambiarsi una parola. Non ne avevano più: le ultime si erano spente in gola con il saluto triste agli amici che restavano a Gerusalemme. All'improvviso, si avvicina un viandante, spuntato quasi dal nulla. Veniva come loro dalla direzione di Gerusalemme. Ma non l'avevano notato prima. "Buongiorno". "Salve". "Dove andate?". "Veniamo da Gerusalemme e torniamo a casa nostra ad Emmaus. Manca ormai poco, per fortuna". Insiste il pellegrino: "Posso unirmi a voi? Io vado oltre. La strada è lunga e, di questi tempi, anche un po' pericolosa. Possiamo farci compagnia?". "Accidenti... che facce tristi avete. Non l'avevo notato prima. Mi sembrate appena spuntati da un funerale. Mi sbaglio?".
    La risposta è pronta. Le parole corrono come uno scroscio di pianto. "Veniamo davvero da un funerale. Ne parla tutta Gerusalemme. Come fai a non saperlo? Hanno ucciso Gesù di Nazareth. Era nostro amico e nostro maestro. Noi stavamo con lui, condividevamo la sua passione per la liberazione d'Israele e la sua speranza nel futuro di Dio. L'hanno ucciso, inchiodato sulla croce, dopo un processo che sembrava studiato apposta per condannarlo".
    Una pausa per prendere fiato e per riandare agli ultimi bagliori di quella speranza che aveva loro infiammato il cuore.
    "Aveva fatto solo del bene: guariva gli ammalati, trattava bene i poveri, aveva una parola buona anche per i peccatori. Ha resuscitato persino dei morti. Hai sentito parlare di sicuro di Lazzaro, quello di Betania. Gesù l'ha riportato in vita, tré giorni dopo che era morto. Purtroppo parlava con eccessiva libertà di Dio e della legge che Dio aveva dato al suo popolo. Voleva troppo bene alla povera gente. L'hanno ucciso. Chi? Lo sai di sicuro... i romani, ma con la complicità dei nostri sacerdoti e dei "maestri della legge"...
    Prima di morire, aveva promesso che sarebbe ritornato in vita, anche lui, come il suo amico Lazzaro. Ma ormai sono passati tre giorni... e non è capitato proprio nulla".
    Il secondo incalza: "Proprio nulla... non è vero. Sai, nel nostro giro c'erano anche delle donne. Stavano con noi per servire Gesù. Un paio di loro dice di aver visto Gesù risorto. Nessuno ci crede. Sono donne fanatiche... Se lo sono immaginato, accecate dal dolore e dall'amore. I capi, Pietro e i dodici, non hanno visto nulla. Tutto è finito. Torniamo anche noi a casa".
    "Calma. Non correte troppo nelle conclusioni", riprende la parola lo strano compagno di viaggio. "State facendo una lettura scorretta degli avvenimenti. Vi fermate a quello che avete visto con gli occhi. Mi spiace per voi: siete un po' ciechi. Non sapete leggere dentro gli avvenimenti".
    "Aiutaci tu... se ci riesci". "Volentieri. Ascoltate".
    Un passo dopo l'altro si avvicinano a casa. Un passo dopo l'altro, il compagno di strada aiuta a rileggere gli avvenimenti dal mistero che si portano dentro. Cita brani della Scrittura. Ricorda profezie antiche e nuove. Rende attuali lontani ricordi. Neppure nei tempi in cui stavano con Gesù, avevano vissuto un'esperienza simile. Allora erano tutti proiettati verso il futuro. Si erano quasi dimenticati del passato. Il presente e i progetti su esso erano troppo importanti per pensare ancora al passato. Adesso, invece, dal presente vanno verso il passato. Lo ricomprendono, immergendolo nel mistero di Dio. Le cose meravigliose che Dio ha compiuto per il suo popolo, diventano una specie di nuova lettura del presente. Anche il buio, l'incertezza e il dolore cambiano tono. Brillano di qualcosa che non avevano mai scoperto. Si guardano negli occhi. "Strano... ma allora non hanno ucciso la nostra speranza. Ce l'avevano spenta. Avevano tentato di spegnerla ed eravamo caduti nella trappola. Senza passato il nostro presente diventava disperato. Tornavamo a casa perché eravamo senza futuro. Invece... c'è speranza. Aveva ragione Gesù quando ci parlava del chicco di grano che deve morire per diventare spiga". "L'hanno ucciso... ma non hanno vinto. Dio vince la morte. Era tutto programmato nei piani misteriosi di Dio".
    Spontaneamente sulle labbra affiorano le parole dei Salmi. Hanno un sapore nuovo. Non se n'erano mai accorti prima.
    "E se tornassimo a Gerusalemme?". "Domani. Oggi è tardi. Non possiamo rifare il cammino di notte. È troppo pericoloso. Domani".
    Poi, ormai, ecco le prime case di Emmaus. Sono arrivati a destinazione: domani mattina, alle prime luci, si torna a Gerusalemme.
    Il compagno di viaggio fa finta di salutarli per rimettersi in cammino. "Prosegui? A quest'ora?". Insistono: "Fermati con noi. Nella nostra casa, un posto per tè lo troviamo senza problemi. Dai... fermati".
    Erano rassegnati a tornare alla vita di prima. Avevano tirato i remi in barca, scoraggiati e delusi. Ma l'esperienza di Gesù li aveva segnati dentro. Respiravano l'esigenza dell'ospitalità, quella vera. Le loro parole non erano di circostanza. Venivano dal cuore. "Sta' con noi. Sei ospite nostro".
    Il viandante misterioso si ferma. Qualche resistenza, forse per saggiare l'autenticità dell'invito. Poi si ferma. Accetta l'atto di ospitalità.

    I due discepoli di Emmaus sono stati davvero fortunati. Nel cuore della crisi hanno incontrato un educatore sapiente che, facendo strada con loro, li ha aiutati ad interpretare le ragioni della crisi, riportandoli al coraggio della decisione.
    Alcuni elementi vanno sottolineati: rappresentano compiti che ci sono affidati se vogliamo aiutare i giovani a personalizzare la loro fede.
    Prima di tutto, appare indispensabile la presenza di un adulto sapiente, che sappia far strada in modo discreto, permetta alle persone di raccontare le pagine della propria e-sperienza, quelle felici e quelle tristi, ascolti con interesse sincero, provochi a riprendere in mano quei pezzi di vita che sono i più decisivi nel cammino di maturazione.
    Questo adulto è un educatore accorto: non uno che pretende di conoscere i segreti dei "volti tristi", neppure uno che svende con sicurezza la soluzione ai problemi, non uno che spiega tutto dall'alto della sua competenza. Fa l'educatore perché, guidando per mano, aiuta a pensare e riporta le persone a quel livello di profondità in cui gli avvenimenti, personali e sociali, ritrovano il loro volto più autentico.
    L'adulto educatore è tutt'altro che rassegnato. Ha un progetto chiaro davanti e gioca in modo abile le sue risorse per aiutare le persone a coglierne il significato e a desiderarne la realizzazione.
    Infine, è uomo di fede. Sa aiutare a rileggere gli avvenimenti dal mistero che si portano dentro e rilegge i documenti della sua esperienza religiosa per mostrare la loro contemporaneità rispetto agli avvenimenti. Realizza un intelligente processo interpretativo nella logica dell'integrazione tra le fede e la vita. La sua credibilità non è assicurata dalla scienza di cui può far bella mostra ma dalla testimonianza di vita che traspare subito nello stile dell'accompagnamento e nella sapienza della interpretazione.
    L'entusiasmo della prima scelta, nel gioco crisi-accompagnamento, è diventato ormai maturazione profonda, che prevede le incertezze e prepara le decisioni.
    Una constatazione però dà da pensare e sollecita ad uno stile di accompagnamento tutto speciale.
    Con la testa i due discepoli hanno capito quanto sono stati sciocchi a fuggire. Ma non tornano a Gerusalemme. Le difficoltà oggettive li tengono però ancora frenati. Siamo ancora ad un livello di comprensione "culturale". Tutto è chiaro... ma solo sul piano delle conoscenze. La passione e la vita concreta resta ancora lontana. La produzione domina nelle scelte: siamo lontani dall'entusiasmo maturo dell'adulto che sa rischiare, perché "ci crede".
    Proviamo a verificare chi sono gli educatori "a contatto" con i giovani, con quali modalità si mettono vicini ai giovani, cosa si può fare di più e di meglio per aiutarli a diventare educatori... come si dovrebbe essere?

    3.3. Un pezzo di futuro per dare speranza al presente

    Si mettono a tavola.
    Ad un certo punto... si aprono gli occhi.
    Gesù ha fatto strada con loro. Ha pregato lungo la via con loro, aiutandoli a rileggere gli avvenimenti dal mistero che essi si portavano dentro. Li ha aiutati a pregare contemplando.
    Ora la preghiera esplode nella celebrazione. Gesù prende il pane e la coppa del vino. Li benedice e li condivide.
    Un grido: "È lui, il crocefisso è risorto. Possibile che non ce ne siamo accorti prima? Eravamo proprio ciechi, di dolore e di rassegnazione". Non c'è più. È tornato nel silenzio da cui è venuto.

    Le poche ore trascorse con loro, hanno lasciato il segno. Li ha guidati per mano in un'intensa esperienza di preghiera, che li ha cambiati profondamente. La speranza e la passione ritorna prepotente nei loro cuori intorpiditi. La preghiera e la celebrazione si spalancano verso la vita.
    L'incontro con Gesù nel gesto eucaristico modifica profondamente le cose. Quello che i discepoli avevano compreso culturalmente, si trasforma in esperienza di vita. E così le paure, le previsioni nere e le incertezze svaniscono. Si afferma con forza l'urgenza della novità: tornare subito a Gerusalemme per condividere l'esperienza della resurrezione e si riprende l'avventura di speranza che la morte violenta di Gesù aveva interrotto.
    Nell'Eucaristia ci si trova immersi in un frammento di futuro che trasforma il presente, lo interpreta e fa nuove le persone.
    Non è un gesto nella stessa logica degli altri mille gesti di cui è punteggiata la vita quotidiana. Esso è in una logica radicalmente nuova. Per questo le conseguenze sono nuove e imprevedibili.
    La fatica di aiutare i giovani a personalizzare la propria fede ritrova qui una tappa irrinunciabile. Ci fornisce una direzione precisa di lavoro. Non è quella tradizionale che va dall'impegno educativo e di conversione verso la celebrazione, che diventa premio atteso e meritato. È tutta nuova: la celebrazione immerge nel mistero e svela se stesso ad ogni giovane nel progetto che Dio ha su di lui; questa esperienza, un pezzo di futuro tra le pieghe della necessità del presente, trasforma punti di prospettiva e impegni. Riporta all'incontro personale con il Dio di Gesù nella Chiesa e rilancia la responsabilità vocazionale di diventare costruttori del regno.
    La constatazione ci porta a concludere sulla dimensione irrinunciabile dei sacramenti (e dell'Eucaristia, in modo speciale) nel processo di personalizzazione della fede.
    I sacramenti sono la grande festa cristiana del presente tra passato e futuro, tra memoria e profezia: il tempo del futuro dentro i segni della necessità, tanto efficace e potente da generare vita nuova.
    Memoria solenne ed efficace del passato, riscrivono nell'oggi i grandi eventi della nostra salvezza. Restituiscono così il presente alla sua verità per la forza degli eventi. E immergono nel futuro la nostra piena condivisione al presente: in quel frammento del nostro tempo che è tutto dalla parte del dono insperato e inatteso. Dalla parte del futuro, il presente ritrova la sua verità, il protagonismo soggettivo accoglie un principio oggettivo di verificazione. In questa discesa verso la sua verità, siamo sollecitati a restare uomini della libertà e della festa, anche quando siamo segnati dalla sofferenza, della lotta e dalla croce.
    Le nostre comunità ecclesiali propongono celebrazioni dell'Eucaristia... Come sono? Come i giovani le vivono? Con quali esiti? Cosa bisognerebbe fare di diverso e come è possibile realizzare il diverso programmato e sognato?

    3.4. Vivere nella città

    Adesso non è più tardi per tornare a Gerusalemme. Non ci sono più i pericoli del viaggio notturno. Partono, di corsa: l'esperienza vissuta va comunicata agli altri. Ritornano a Gerusalemme, per gridare a tutti: Gesù è risorto, la sua avventura per la vita e la speranza di tutti... continua. Anzi: ricomincia.

    Il segno eucaristico spalanca verso l'evento di Dio che si fa vicino a noi per la nostra vita e, nello stesso tempo, verso la nostra vita quotidiana che progressivamente si trasforma nel progetto di Dio. Esige e fonda un modello globale di esistenza cristiana e, quindi, di spiritualità.
    L'Eucaristìa è la grande festa cristiana del presente tra passato e futuro, tra memoria e profezia. Essa è quindi una grande esperienza trasformatrice. Aiuta a spezzare le catene del presente, senza fuggirlo. È un piccolo gesto di libertà, che sa giocare con il tempo della necessità e sa anticipare il nuovo sognato: il regno della convivialità, della libertà, della collaborazione, della speranza, della condivisione.
    È importante ricordare che tutto questo non si realizza in un gioco d'intese, di realizzazioni o di compromessi. La sua radice è invece il mistero di Dio, reso presente nella pasqua del Crocefisso risorto.
    Come i discepoli di Emmaus ritroviamo le ragioni più profonde della speranza e un desiderio ardente di "tornare a Gerusalemme", per inondare tutti di questa speranza.
    Dalla Gerusalemme dell'Eucaristia ritorniamo alla Gerusalemme della vita quotidiana. L'esperienza vissuta trasforma in protagonisti di speranza: sentinelle che vegliano sul nuovo millennio, per sollecitare tutti a costruirlo nella direzione della pace, della giustizia e della solidarietà, discepoli di Gesù impegnati a testimoniare con i fatti le beatitudini annunciate con forza e passione.
    Nella celebrazione eucaristica abbiamo cantato i canti del Signore. Tornando nelle nostre città, riusciamo a cantarli, in una convivialità nutrita di speranza, in questa nostra terra.
    Cantando i canti del Signore in terra straniera, là riscopriamo la nostra terra, provvisoria e precaria, ma l'unica terra di tutti.
    Cantando i canti del Signore, la «terra straniera» diventa la nostra terra che vogliamo far diventare dimora accogliente per tutti, proprio mentre sogniamo, cantando, la casa del Padre.
    Cosa si attende Gerusalemme (la nostra comunità, la nostra parrocchia, la nostra città) dai giovani cristiani? Possiamo immaginare una nuova qualità di vita da diffondere attorno a noi? In che modo?

    (Alghero, settembre 2002)


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